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In Italia oltre 30.000 aziende agricole coltivano in ambiente protetto ortaggi e fiori su una superficie che raggiunge circa 35.000 ettari: i costi energetici per il riscaldamento, in particolare per i 6.000 ettari di serre permanenti, sono stimati in 350 milioni di euro l’anno, ovvero il 30% del costo di produzione in serra. Cifra che oggi pesa sul bilancio delle imprese agricole chiamate a competere sui mercati nazionali ed internazionali. Un interessante studio di ENAMA con Aiel, presentato anche a Pescia lo scorso 30 giugno, illustra le misure adottabili per conseguire un significativo risparmio nelle serre.
I costi per riscaldare le colture protette sono diventati proibitivi a causa della riduzione delle agevolazioni sulle accise per il gasolio destinato alle serre, sollecitata dall’Unione Europea, e della triplicazione del prezzo dei carburanti nell’ultimo decennio. Raccogliendo una sollecitazione del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ENAMA (Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola) ha inteso promuovere questo studio con la collaborazione di Aiel, Associazione Italiana Energie Agroforestali, che ne ha curato la realizzazione. L’uso razionale dell’energia è più facile e conveniente di quanto si pensi: si tratta per prima cosa di indagare e scoprire i punti deboli del fabbisogno energetico aziendale. Quando la componente dei costi energetici di un’azienda è pari a ca. il 10% del fatturato annuo, ci sono chiaramente margini di risparmio conseguibili. Nel comparto delle colture protette sono conseguibili risparmi energetici dell’ordine del 5-30% in molti settori produttivi. Oltre il 50% della produzione floricola e circa il 15% di quella orticola si coltiva in ambienti protetti con un coinvolgimento di circa 30.000 aziende agricole. In Italia, attualmente il costo di riscaldamento incide indicativamente per il 30% sul costo di produzione in serra (Fonte ENEA). In Toscana, in particolare, la superficie destinata a ortaggi è di 220 ettari, mentre quella per i fiori e piante ornamentali è di 334 ettari. Le misure adottabili per il risparmio energetico riguardano azioni su: schermi energetici (20-40% risparmio energetico); isolamento delle coperture e dei sistemi di aerazione (10-20%); coibentazione e materiali di copertura (7-10%); sistemi di distribuzione del calore (10-18%); ottimizzazione dell’impianto di riscaldamento (10-15%); regolazioni climatiche (10-20%); sistemi di rilevazione (5-10%); ottimizzazione dello sfruttamento della superficie coltivabile (8-10%); risparmio d’acqua e di energia per l’irrigazione (5-10%); lampade a basso consumo o di tipo LED (50-80%). I sistemi di riscaldamento a biomasse si rivelano poi un grande vantaggio in un'area particolare come quella toscana, che è boscata per il 50% del territorio e dove la filiera agro-forestale è ormai molto sviluppata. Proprio lo scorso 30 giugno, a Pescia, sono state presentate da Cia Pistoia e Aiel le opportunità a disposizione delle aziende floricole. Con cippato e pellet si risparmiano di consumo dal 30% al 60% rispetto al gasolio agricolo e, con gli incentivi in 5 anni, si copre dal 50% al 100% dell’investimento per l’impianto di riscaldamento. Valter Francescato, direttore tecnico di Aiel, ha riportato alcuni interessati esempi in quest'ambito: in una serra di 5 mila metri quadri, che consuma 86 mila litri annuali di gasolio, se investo 400 mila euro per progettazione, acquisto e messa in funzione di un impianto di riscaldamento a cippato da 500 kW, posso rientrare in 5 anni del 75% sull’investimento fatto. Grazie a 38.700 euro di risparmio annuo sul combustibile e ai 21 mila euro all’anno per 5 anni di contributo del Conto Termico (uno dei sistemi di incentivazione a disposizione di imprese e non solo). Tutto questo se il gasolio costa 80 euro a MWh (megawatt all’ora) e se il cippato si trova a 35 euro a MWh, cioè a 120 euro a tonnellata (ma nel pistoiese si trova a meno: 80 euro a tonnellata). Il prezzo del gasolio per il riscaldamento delle serre, che dal 2010 è soggetto ad un’accisa del 22%, è quasi triplicato nell’ultimo decennio passando da circa 0,3 €/l del 2001 (31 €/ MWh) all’attuale (giugno 2012) valore medio di 0,91 €/l, ovvero 85 €/MWh (fi - gura 4.1) con punte di oltre 1 €/l in alcune zone d’Italia. Le biomasse legnose, in particolare il cippato, hanno invece mantenuto negli ultimi decenni un andamento dei prezzi molto più stabile rispetto ai combustibili fossili. Nel 2004 il prezzo del cippato (M30) era di 60 €/t (17,6 €/MWh), nel 2008 è arrivato a 85 €/t (25 €/MWh) e attualmente (2012) costa poco meno di 100 €/t, ovvero 28 €/ Mwh. Tutte le biomasse agroforestali sono attualmente molto più convenienti rispetto al gasolio per la produzione di calore: il primato spetta al cippato con un risparmio che arriva quasi al 70%. Ovviamente, se da un lato le biomasse risultano attualmente molto più convenienti del gasolio agricolo in termini di energia primaria, dall’altro, le caldaie e gli impianti comportano investimenti sensibilmente maggiori rispetto ai combustibili convenzionali. Ma non dobbiamo dimenticare gli incentivi al calore rinnovabile nelle serre, come i titoli di efficienza energetica (TEE): negoziabili e che certificano i risparmi energetici negli usi finali di energia prodotta da fonte rinnovabile. Il meccanismo si basa sull’obbligo alle aziende distributrici di gas e/o di energia elettrica di conseguire un obiettivo annuo prestabilito di risparmio energetico. L’energia risparmiata si misura in tep (tonnellate equivalenti di petrolio = 11,63 MWh), che corrisponde all’energia sviluppata dalla combustione di una tonnellata di petrolio. Un TEE corrisponde al risparmio di 1 tep. Il valore medio del prezzo del TEE sul mercato (2011-2012) è variato nell’intervallo 95-110 €/tep. In conclusione, è opportuno che tutte le Aziende effettuino una valutazione per l’installazione di una moderna caldaia a biomasse che ad oggi si rivela sicuramente interessante in termini di risparmio e di sostenibilità, concetto spendibile anche a livello di marketing. Un'Azienda che investe in sostenibilità oltre che risparmiare in termini di costi interni, infatti, richiama sicuramente l'attenzione su di sè per la sua qualità. Far parte di un'economia circolare e di forte attenzione all'ambiente è oggi determinante anche per ciò che riguarda il marketing aziendale. Basti poi pensare che le serre riscaldate con gasolio emettono in atmosfera più di 1 milione di tonnellate di C02-eq e hanno costi elevati che portano alla perdita del potere di acquisto. I costi di questo tipo di riscaldamento non sono allora più sostenibili né per le Aziende, né per l'ambiente.
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Ascritta nella lista A2, dunque specie invasiva riscontrata per ora solo in limitate zone dell'area EPPO, Solanum eleagnifolium è da tenere sott'occhio per evitarne una diffusione ulteriore.
Solanum eleagnifolium, come ci spiega il Centro di Sperimentazione e assistenza agricola di Albenga (SV), è un’infestante che si può propagare sia per seme, che per moltiplicazione vegetativa ed è per ora stata osservata in Sicilia e Sardegna. Invade aree coltivate, habitat antropizzati, rive dei fiumi, bordi di strade e ferrovie e ama ambienti con scarse precipitazioni (250 – 600 mm annui), tollerando facilmente la siccità e la salinità del suolo. Si adatta pertanto bene al clima mediterraneo. Come infestante compete per acqua e nutrienti con le specie coltivate ed è particolarmente dannosa quando associata a grano, mais, barbabietola da zucchero, agrumi, cetriolo, pomodoro, pesco, patata, olivo e vite con perdite di raccolto che possono essere ingenti se non viene correttamente contrastata; inoltre le sue bacche sono tossiche per il bestiame. Il suo controllo attraverso erbicidi si è dimostrato in molti casi inefficace ad eccezione dei prodotti sistemici come il glifosate, che possono essere utilizzati per diserbi non selettivi in frutteti e su colture in pieno campo.
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L'Indice di Organizzazione Criminale (IOC), elaborato dall’Eurispes nell’ambito del quarto Rapporto Agromafie con Coldiretti ed Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sul sistema agroalimentare, parla chiaro: sono 170 gli immobili confiscati e 28 le aziende sequestrate in Toscana alla criminalità, in particolare a Pistoia e Grosseto. Il quarto rapporto Agromafie è stato presentato e discusso ieri nella Presidenza della Giunta della Regione Toscana con il presidente Rossi, il Dirigente Area Ambiente Coldiretti, Masini e Vadalà, Comandante regionale del Corpo forestale dello Stato per la Toscana, Marcelli, Presidente Coldiretti, Caselli, Presidente Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.
L'indice si basa su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l'intensità, in una data provincia, del fenomeno dell'associazionismo criminale, in considerazione delle caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia di eventi criminali denunciati, che di fattori economici e sociali. Così Pistoia e Grosseto, rispettivamente al 39° e 50° posto, sono in cima alla classifica dei territori toscani dove l’intensità dell’associazionismo criminale è più elevata seguite da Prato al 57°, Arezzo al 58°, Livorno al 64°, Firenze al 70°, Pisa al 73° e Lucca al 78°, che si trovano nella fascia “medio bassa”. Massa Carrara, 82°, e Siena, 83°, si trovano invece molto distaccate nella specialista dell’intensità della diffusione criminale. Il quarto rapporto “Agromafie” sui crimini agroalimentari in Italia è stato presentato ieri, giovedì 30 Giugno, alla sede della Presidenza della Giunta della Regione Toscana a Firenze a Palazzo Strozzi-Sacrati, in Piazza Duomo. Ha introdotto i lavori Gian Maria Fara, Presidente di Eurispes. Sono intervenuti: Stefano Masini, Dirigente Area Ambiente Coldiretti, Giuseppe Vadalà, Comandante regionale del Corpo forestale dello Stato per la Toscana, Tulio Marcelli, Presidente Coldiretti, Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Le conclusioni sono state di Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana: “Sostenibilità e sicurezza, i valori da coniugare nelle politiche di sviluppo del territorio rurale e montano della Toscana”. Il business delle agromafie supera, secondo le stime, i 16 miliardi di euro solo nel 2016. Per raggiungere il loro obiettivo i clan e le associazioni criminali organizzate ricorrono ad ogni forma possibile di reato, dall’usura al racket estorsivo, dall’abigeato alle macellazioni clandestine ai furti fino alla lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a 4 volte nella filiera che va da produttore al consumatore, passando anche dalle infiltrazioni nel settore del trasporti e della logistica. In cima alla black list dei settori più colpiti dalle frodi salgono la ristorazione, la carne e le farine, pane e pasta (il dato è riferito al valore dei sequestri effettuati dai Nas nel 2015). Dei 170 immobili confiscati al 30 settembre che proiettano la Toscana al dodicesimo posto (1%), 40 immobili destinati, 128 in gestione totale e 2 usciti dalla gestione. Per quanto riguarda le aziende si contano 40 beni destinati, 16 in gestione e 11 usciti dalla gestione. «La criminalità organizzata che opera nelle campagne – spiega Tulio Marcelli, Presidente Coldiretti Toscana - incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone, perché a differenza della criminalità urbana, può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili ed attivabili. Si tratta dunque di lavorare per il superamento della situazione di solitudine invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivando il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la Pubblica amministrazione, perché la mancanza di dialogo costituisce un indubbio fattore critico nell'azione di repressione della criminalità». Nel suo intervento Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ha sottolineato come il rispetto della legalità abbia un valore non solo giuridico, come rispetto della legge, ma anche un profondo valore economico perché pone le imprese nell’ambito di corretti rapporti economici, etici e di mercato. Nella giornata di ieri si è anche ricordato il prezioso contributo delle Forze dell'ordine nello smascherare i “prodotti tarocchi” che erodono quote di mercato al vero “Made in Italy” e “Tuscany” agroalimentare con gravi ripercussioni sulle imprese, ma anche sui cittadini e sui livelli di occupazione.
Redazione
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Presso il laboratorio fitopatologico del Centro di Sperimentazione e assistenza agricola di Albenga (SV) durante il mese di maggio 2016 sono stati osservati attacchi da parte dell'afide radicale sull’apparato di margherite in coltivazione. Il parassita causa problemi nell'approvvigionamento di nutrienti da parte della pianta.
Pemphigus bursarius (afide galligeno del pioppo o afide radicale) determina problemi di approvvigionamento di nutrienti da parte della pianta, compromettendone l‘apparato radicale e causando crescita stentata, giallumi diffusi fino ad avvizzimenti veri e propri. Pemphigus bursarius compie un ciclo dioico tra pioppo (Populus nigra) e alcune piante erbacee spontanee, fra cui le composite, e si può riconoscere facilmente per le secrezioni cerose biancastre che produce e che finiscono per ricoprire porzioni più o meno estese delle radici delle piante interessate. Nelle fasi iniziali dell’attacco, tali secrezioni cerose possono essere confuse con grumuli di cornunghia in fase di disfacimento. Ma un'attenta osservazione con una lente contafili può facilmente togliere ogni dubbio. Per il suo contenimento è possibile utilizzare insetticidi sistemici registrati per applicazione radicale su specie floricole/ornamentali, nonché scegliere con attenzione i siti di produzione evitando quelli in cui sono presenti pioppi nelle immediate vicinanze della coltivazione.
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Ieri la Commissione Europea ha esteso l'autorizzazione fino alla fine del 2017, in attesa del parere dell'Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) sugli effetti della sostanza sulla salute umana e sull'ambiente. Utilizzato come principio attivo in molti erbicidi, il glifosato è da tempo oggetto di dibattito.
Nonostante due successive riunioni, gli stati membri dell'Unione Europea non sono riusciti ad esprimersi, né a favore, né contro l'utilizzo del glifosato. La questione è però molto importante in quanto il suddetto diserbante è accusato di essere probabilmente cancerogeno da parte dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), mentre l'EFSA, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, l'ha definito probabilmente non cancerogeno. Il glifosato è oggi l’erbicida più utilizzato al mondo, presente in ben 750 formulati e maggiormente collegato alle sementi OGM di mais, soia e cotone il cui DNA è stato manipolato da Monsanto per resistere allo stesso diserbante. Il glifosato è anche tra le sostanze che hanno superato i limiti di legge per presenza nelle acque, superficiali e sotterranee. Oltre che in agricoltura, il glifosato è ampiamente impiegato dagli Enti Pubblici per la pulizia dei margini stradali, delle massicciate ferroviarie e dei binari. Nonostante più di due milioni di cittadini europei abbiano sottoscritto la petizione su Avaaz per chiedere la messa al bando della sostanza, ancora non si arriva alla parola “fine” sulla questione. In Italia la notizia dell'estensione dell'autorizzazione all'utilizzo ha suscitato diverse reazioni: il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale, commenta: «La Commissione sta ignorando il parere della comunità scientifica, nonché la voce dei cittadini». Pascale lamenta inoltre: «serie lacune nel rispondere all’esigenza di trasparenza sulla valutazione scientifica del glifosato, necessaria per esprimersi sul rinnovo o meno dell’autorizzazione». Da Confagricoltura, invece, moderata soddisfazione nell'attesa che venga trovata una soluzione a lungo termine: «La proroga concessa dalla UE è un'opportunità per verificare le decisioni scientifiche e salvaguardare gli agricoltori italiani». Resta comunque la disponibilità dell'Organizzazione degli imprenditori agricoli italiani per un impiego del glifosato nel segno di una sempre maggiore sostenibilità, limitandone l'impiego in presenza di colture.
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