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ARPAT intervista Gozzini del Consorzio LaMMA sul cambiamento climatico

L'intervista di ARPAT a Bernardo Gozzini del Consorzio LaMMA per comprendere meglio il fenomeno del surriscaldamento del Mediterraneo con le conseguenze di estati sempre più calde e l'innalzamento delle temperature marine in Europa e Italia.

 

 

Quali sono i dati che emergono dal bollettino pubblicato da Copernicus, il servizio di osservazione della Terra dell’Unione europea?

Sono ormai diversi anni che ogni estate commentiamo informazioni e dati sulle temperature registrate, sugli estremi, sugli eventuali record a confermare l’andamento ormai inesorabile di estati sempre più calde in linea con una emergenza climatica in atto.

Attraverso l'Indice Universale di Clima Termico (UTCI), che tiene conto della temperatura, dell'umidità, della velocità del vento, dell'irraggiamento solare e del calore emesso dall'ambiente circostante, nonché della risposta del corpo umano ai diversi ambienti termici, si possono classificare i giorni di stress da caldo rappresentati da una temperatura, in ˚C, “simile a quella percepita”. I dati di Copernicus su UTCI evidenziano un aumento consistente della percentuale dei cosiddetti giorni con forte stress termico (UTCI compreso tra i 38 e i 46 ˚C). Il grafico mostra la percentuale di giorni con forte stress termico in Europa dal 1950 al 2023 nel quale è evidente come questa percentuale sia più che raddoppiata con il 2022 ed il 2023 in testa alla classifica.

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Il 2023 si è concluso a livello mondiale con una anomalia superiore a 1 ˚C, il raggiungimento della soglia di 1,5 ˚C del riscaldamento globale - limite concordato nell'ambito della COP di Parigi (2015) - può sembrare una realtà molto lontana, ma potrebbe essere più vicino di quanto si pensi. Secondo Copernicus, se il riscaldamento continuasse al ritmo attuale, sarebbe molto probabile che ciò possa avvenire nel 2033.

Qual è la tendenza in Toscana?

Anche in Toscana le temperature stanno aumentando con un trend molto simile a quello italiano ed europeo e questo aumento è più evidente in estate. Per esempio, considerando i dati di quattro capoluoghi (Firenze, Arezzo, Pisa e Grosseto) sono state calcolate le ondate di calore identificate come un periodo di almeno tre “giorni critici di calore” consecutivi, intendendo per “giorno critico di calore” un giorno con temperatura media giornaliera superiore di una deviazione standard rispetto alla temperatura media giornaliera climatologica (calcolata su 1991-2020). Il grafico mostra un aumento considerevole con un trend significativo indicato dalla linea grigia.

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Inoltre, a Firenze sono quasi triplicati i giorni con temperatura massima uguale o superiore a 35 ˚C, una soglia considerata limite al comfort delle persone. Il dato del 2024 è calcolato al 27 agosto con 44 giorni rispetto ai 48 della famosa estate 2003. Considerando la previsione per i prossimi giorno è molto probabile che il 2024 raggiunga il record del 2003 se non addirittura superarlo.

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Il cambiamento climatico ormai è in mezzo a noi, detta la nostra agenda sociale e politica con eventi estremi sempre più intensi. Oltre alle ondate di calore abbiamo alluvioni lampo che costringono a rivedere anche la progettazione delle opere idrauliche per il contrasto al dissesto idrogeologico. Il regime pluviometrico cambia, ad anni particolarmente piovosi seguono anni con siccità sempre più persistenti che determinano da una parte le condizioni favorevoli agli incendi boschivi con una vegetazione secca a fare da combustibile dall’altra la necessità di una pianificazione diversa della gestione della risorsa idrica, accumularla quando in abbondanza per poi usarla con parsimonia nelle siccità.

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È in atto un fenomeno di surriscaldamento del Mediterraneo: perché le acque del mare stanno diventando sempre più calde?

L’oceano gioca un ruolo fondamentale come regolatore e stabilizzatore del clima; infatti, assorbe quasi il 90% del calore in eccesso nel sistema ed anche un terzo della CO2 emessa ogni anno dalle attività umane. La quantità di calore assorbita ormai è tale da far aumentare la temperatura del mare non solo in superficie ma anche in profondità e questo maggior contenuto di calore riduce anche la capacità di assorbire l’anidride carbonica. Anche il Mediterraneo si sta riscaldando ad un ritmo maggiore rispetto agli oceani, negli ultimi 63 anni l’aumento registrato è di circa 1,1 ˚C su tutto il bacino con un incremento maggiore nella parte Centro Occidentale. Nel grafico sottostante elaborato dal CEAM  (Fundació de la Comunitat Valenciana Centro d'Estudis Ambientals del Mediterrani) relativo al periodo dal 1982 al 2023 è evidente come è cambiata la temperatura media del Mediterraneo.

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Nella mappa sottostante viene riportata l’anomalia della temperatura superficiale del Mediterraneo nel mese di luglio 2024 dove non si vedono aree con anomalie negative e la zona più calda risulta l’Adriatico dove quest’anno si sono registrati problemi con la mucillagine.

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Infine, la temperatura superficiale del Mediterraneo ha appena stabilito un nuovo record di temperatura nei primi giorni di agosto raggiungendo l'incredibile valore di +28,15 ˚C di temperatura media della superficie del mare considerando tutto il bacino.

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Ci sono rischi di innalzamento del livello del mare anche nel Mediterraneo? Con quali conseguenze?

Copernicus conferma che a causa di una combinazione di espansione termica dell'acqua marina e di scioglimento dei ghiacci terrestri, negli ultimi trenta anni il livello del mare del Mediterraneo si è innalzato a un ritmo medio di 2,8 mm all'anno. Questo dato segna un aumento del ritmo di innalzamento del livello del mare rispetto alla media del XX° secolo. Entro il 2100, il livello del mare potrebbe essere aumentato di 90 cm rispetto al 2000, con variazioni locali fino a 10 cm.
In generale, l’innalzamento del livello del mare aumenterà il rischio di inondazioni ed erosione costiera, per lo più associato a mareggiate e alte maree. Alcune aree costiere italiane potrebbero correre il rischio di essere sommerse dal mare ed anche alcuni molti siti del patrimonio culturale della regione mediterranea potrebbero essere sono esposti al rischio di inondazioni costiere.

Quali sono previsioni per questo scorcio di stagione estiva?

Al momento le previsioni mensili e stagionali ci dicono che settembre, in linea con quanto avvenuto negli ultimi anni, potrebbe avere anomalie termiche positive vale a dire più caldo rispetto alla norma ma non eccessivo mentre per quanto riguarda le precipitazioni a settembre la circolazione dovrebbe favorire un numero di giorni piovosi inferiore alla norma. L’estate non è ancora finita e sembra prolungarsi fino a tutto settembre.

Redazione
Fonte intervista ARPAT
 
il sindaco Tomasi di Pistoia contento per la visita del ministro dell'agricoltura Lollobrigida ai vivai pistoiesi

Intervista ad Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia, dopo l’incontro del 2 dicembre fra i vivaisti del Distretto pistoiese e il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida insieme al sottosegretario con delega al florovivaismo Patrizio La Pietra. Tomasi: «contento della presenza del ministro, solo le visite nei vivai e l’interlocuzione diretta fanno capire davvero che cosa contraddistingue il vivaismo». Per il sindaco di Pistoia «è bene che ci siano risorse per accompagnare le aziende vivaistiche, che non hanno mai chiesto sussidi a pioggia, sul fronte dello sviluppo tecnologico».

 
Fra i presenti all’incontro organizzato sabato 2 dicembre dal Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia e le associazioni agricole pistoiesi con il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, accompagnato dal sottosegretario con delega al florovivaismo Patrizio La Pietra (vedi), c’era anche il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi. 
Floraviva gli ha posto alcune domande, subito dopo l’incontro, per sentire le sue valutazioni sulla visita del ministro Lollobrigida nella capitale del vivaismo e sul significato dell’investitura del pistoiese La Pietra a referente nazionale del comparto vivaistico.
Quali sono, sindaco, gli aspetti più interessanti di questo incontro col ministro dell’agricoltura?
«A me interessa che entri bene nella mente, sulle scrivanie, nei pensieri della politica e del ministro in particolare, ma anche del Gruppo Ecr che è venuto qua (sono parlamentari europei) e anche degli altri, che cosa è il vivaismo e le sue differenze dall’agricoltura tradizionale: la sua filiera, la sua logistica e il suo modo di lavorare. Solo la presenza sul territorio e le visite nei vivai e l’interlocuzione diretta con le associazioni florovivaistiche fanno capire che cosa è realmente il vivaismo. Quindi sono contento che siano venuti sul nostro territorio. Sono iniziative che vanno moltiplicate, con tutte le altre forze politiche del Parlamento europeo dalla sinistra alla destra e con gli organismi del Ministero».
Lollobrigida ha sollecitato le imprese a farsi avanti e segnalare al Ministero le problematiche che si presentano nell’attività, ad esempio quelle doganali nell’esportazione di piante in certi paesi: una volontà di dialogo col mondo imprenditoriale?
«Sì e so che è già intervenuto direttamente su alcuni problemi doganali delle nostre aziende e penso che li abbia risolti. Ha detto anche che l’interlocuzione deve essere costante, cioè il mondo cambia rapidamente, le cose cambiano rapidamente e nell’arco di pochi mesi abbiamo visto le guerre, abbiamo visto le siccità ecc. Quindi ci deve essere una politica che ascolta costantemente, che modifica le norme in modo rapido. Quindi non più con tempi di reazione decennali. C’è veramente bisogno di un rapporto costante bilaterale».
Il ministro ha fatto un esplicito riferimento al fatto che il sottosegretario La Pietra ha la delega su questo settore e rappresenta quindi il punto di riferimento per il florovivaismo. Un sottosegretario espressione di questo territorio può essere d’aiuto e in che modo? Tra l’altro è La Pietra che sta portando avanti la nuova legge quadro di settore.
«Assolutamente, perché abita qui. Ma aggiungo un’altra cosa, che secondo me ha fatto la differenza per ottenere questo ruolo. Quando era all’opposizione ed entrò in Parlamento con il 4% Patrizio si è sempre dedicato a questo mondo, ma nemmeno lontanamente immaginavamo di poter vincere e governare il Paese. Però Patrizio ha scelto di  specializzarsi e seguire il mondo dell’agricoltura e da semplice senatore di opposizione di un gruppo del 4/5%. Quindi penso che sia stata premiata la sua specializzazione e dedizione e penso che ci metta la testa e ci lavori. Poi alcune cose riescono, altre meno, l’importante è la presenza e il lavoro».
Comunque per le questioni tecniche e di dettaglio è con lui che devono interloquire i vivaisti?
«Sì, abbiamo un sottosegretario che viene da un territorio che ha una vocazione agricola e vivaistica. Non credo sia avvenuto molte volte nella storia, nel senso che a volte i sottosegretari vengono scelti semplicemente per appartenenza politica: è stato così ma abbiamo la fortuna che viene da un territorio che sa che cosa è l’agricoltura e il vivaismo. Questo è importante, quindi chiamatelo, rompetegli le scatole e penso che avrà un orecchio attento».
E lei come sindaco di Pistoia, sede del Distretto vivaistico ornamentale leader in Europa, ha qualche suggerimento da dare in materia di sostegno alle aziende vivaistiche?
«All’incontro sono state dette alcune cose importanti. La prima è che il mondo del vivaismo non ha mai chiesto sussidi a pioggia senza impegni produttivi. Loro chiedono di accompagnare lo sviluppo delle aziende sul fronte tecnologico e della ricerca per continuare a stare sul mercato, come hanno sempre fatto lottando con le unghie e con i denti. Quindi è bene che ci siano delle risorse dedicate al vivaismo. Secondo, e ci tengo molto, ci sono delle fasi precompetitive nelle quali il vivaismo deve fare rete. Il laboratorio fitosanitario per controllare lo stato di salute delle piante prima di immetterle sui mercati e non avere rotture di scatole o blocchi all’ingresso in certi paesi è un momento precompetitivo, per il quale tutti quanti si devono mettere insieme. Cioè nella fase precompetitiva ci sono delle cose che fanno bene a tutto il sistema: vanno fatte tutti insieme e vanno aiutate. Poi sul mercato chi è più bravo aprirà sbocchi di mercato e chi fa la piante migliori ne venderà di più. Ma noi a Pistoia le facciamo tutti bene fortunatamente [sorridendo, ndr]. Questa è la competizione giusta, legittima, che fa anche crescere le aziende. Ma nella fase precompetitiva vanno aiutate tutte insieme».
 

Lorenzo Sandiford

Il sindaco di Pistoia a Flormart su verde pubblico, Pnrr e contratti coi vivaisti

Alessandro Tomasi, sindaco della capitale italiana del vivaismo ornamentale, intervistato il 22 settembre a Flormart in margine al convegno sul verde e l’attuazione del Pnrr: servono risorse non solo per le forestazioni urbane, ma pure per la gestione del verde, attenzione anche al patrimonio arboreo delle aree interne e bisogna consentire contratti di coltivazione coi vivaisti per la programmazione delle forniture di piante.


Al convegno del 22 settembre mattina alla Fiera di Padova su “Il verde per la qualità della vita: attuazione e prospettive del Pnrr”, organizzato da Fiere di Parma in collaborazione con Anci e Associazione Pubblici Giardini nell’ambito del salone professionale del florovivaismo Flormart – The Green Italy, è intervenuto, come unica voce fra i sindaci italiani, Alessandro Tomasi, primo cittadino di Pistoia, la capitale nazionale del vivaismo ornamentale.
Al termine dell’incontro, che mirava a «fare il punto sui progetti inerenti la foresta urbana, i parchi e giardini storici e le altre misure del Pnrr che hanno finanziato o finanzieranno il verde nelle città» e che è stato moderato dal pistoiese Renato Ferretti, da poco vice presidente del Consiglio dell’ordine nazionale degli agronomi e dei dottori forestali (Conaf), Floraviva ha posto alcune domande al sindaco Tomasi per capire meglio le istanze da lui sollevate nel suo intervento.
Sindaco, lei ha partecipato a questo convegno un po’ nelle vesti di portavoce dei sindaci, in quanto primo cittadino della capitale del vivaismo ornamentale e unico sindaco presente: che cosa mi può dire sull’attuazione del Pnrr in rapporto alle tematiche del verde? Come sta andando? Quali gli aspetti positivi e quelli negativi?
«Il Pnrr è sicuramente dal punto di vista degli investimenti una grande opportunità. È innegabile che siano arrivate tante risorse per fare investimenti: in riforestazione urbana, riqualificazione urbana, ma penso anche a investimenti sull’assetto idrogeologico. Però la necessità dei Comuni è che alla parte degli investimenti corrisponda anche l’arrivo di risorse per la parte corrente. Che vuol dire? Che dopo le riforestazioni e le riqualificazioni urbane serve mantenere quel verde, serve assumere delle professionalità interne che parlino lo stesso linguaggio di chi ha lavorato per riforestare e che possa seguirli. Penso ad agronomi, penso a tecnici, ingegneri, geometri e architetti che possano costituire nelle amministrazioni dei pool [gruppi di lavoro, ndr] che seguano il verde a tutto tondo. Questo è il primo aspetto che ho evidenziato durante l’incontro».
Ecco, un altro punto a cui ha fatto cenno, se ho ben capito, è il fatto che siano poco coperte nel Pnrr le superfici extraurbane: lei ha accennato a delle problematiche in questo senso nel territorio di Pistoia?
«Io ho portato l’esempio del mio Comune. Nel convegno si è parlato di grandi aree metropolitane, no? L’immaginario collettivo si è concentrato sull’idea che Milano, per esempio, o Torino si potessero riforestare dal punto di vista urbano. Loro hanno dimostrato che è molto difficile perché quelle superfici non sono riusciti a trovarle all’interno delle aree urbane e si sono dovuti espandere fuori. Io ho portato però l’esempio di un Comune tipo il mio, che è, come la maggioranza dei Comuni, intorno a 100 mila abitanti e che ha anche caratteristiche tali per cui su 236 km quadrati 215 km non sono urbanizzati. E quindi c’è tutto il tema delle aree interne, delle nostre colline da mantenere (per esempio le coltivazioni di ulivi), ma anche delle nostre montagne, delle foreste, che spesso non sono pubbliche. Già abbiamo un grandissimo patrimonio arboreo, dei luoghi stupendi che vanno mantenuti contro il dissesto idrogeologico, contro l’abbandono dei privati di aree boschive che magari ricevono in eredità e in difesa di coltivazioni che sembrano non rendere, come quella dell’olio, ma che sono caratteristiche del nostro territorio. Quindi all’attenzione delle riforestazioni urbane contro gli aumenti di calore per il cambiamento climatico, per creare zone d’ombra, per abbellire le nostre città e tutto quello di cui si è parlato all’incontro, va aggiunta l’attenzione a mantenere quello che c’è già…».
… e su questo ulteriore aspetto pensa che troverete qualche risposta nel Pnrr?
«No, nel Pnrr secondo me non ne hanno tenuto conto. Ma le risorse che verranno in futuro ci sono e dovranno essere dedicate sempre di più alle aree interne. Ricordo che le aree interne sono degli ecosistemi che danno molto alle città, perché l’acqua arriva da lassù. Noi scappiamo dalle città per andare a rifugiarci nella montagna per trovare ombra. E nella mia città in particolare più della metà della popolazione vive in queste zone in piccole frazioni che hanno dei benefici molto importanti: comunità vive dove non si è solo numeri, comunità che mantengono quei territori, magari facendo l’orto, magari coltivando e magari facendo impresa, e che vanno necessariamente aiutate».
Lei ha poi parlato di un tema che interessa molto ai vivaisti, i contratti di coltivazione, portando l’esempio di una città francese dove c’è più libertà di manovra e possibilità di programmare le forniture di piante. È così?
«L’Italia rischia di morire di burocrazia, anche nel mettere a terra il Pnrr. Sottolineavo che noi siamo costretti a gare al massimo ribasso, e quindi spesso ci accontentiamo di prodotti scadenti o abbiamo lavori che non rispettano tutti i requisiti e dobbiamo tornarci sopra. Ma nelle grandi municipalità degli altri Stati non è così. Facevo l’esempio di Marsiglia, perché me ne ha parlato un nostro vivaista, dove già da 5/6 anni sono venuti qua e hanno programmato (quindi ci sono le leggi e il codice degli appalti francesi che glielo permettono) l’acquisto nei nostri vivai, da qui a 5 anni, di piante che servono loro…».
… quindi hanno già contrattualizzato tutto?
«… hanno già contrattualizzato e controllano ogni anno l’andamento di queste piante, come vengono coltivate, le curano se c’è da curarle, le scartano se c’è da fare delle sostituzioni. Noi arriviamo alla fine del lavoro oppure dell’appalto complessivo e mettiamo l’acquisto delle piante se ci riesce».
Voi non potreste farlo? Che cosa potete fare?
«Noi o mettiamo nella gara direttamente l’acquisto delle piante, quindi chi vince la gara, una ditta edile, alla fine dovrà acquistare le piante oppure, finito il lavoro, dobbiamo fare una nuova gara d’appalto per acquistare le piante. Che poi ci devono essere, devono essere buone…».
… senza una pianificazione.
«Sì. Quindi avere dei contratti di questo genere, delle gare d’appalto e delle regole che ci permettano di andare dai vivaisti e dire loro: noi fra 5 anni vogliamo arrivare a questo. Questo permette a loro di programmare, permette a noi di spendere meno, permette di avere piante di migliore qualità: insomma permette di avere una programmazione aziendale che sarebbe importante. Su questo stiamo spingendo e speriamo che qualcuno ci ascolti».
Nel nuovo Codice degli appalti ciò non è ancora possibile? 
«Non c’è stata comunicazione fra il Ministero dell’Agricoltura, che è più sensibile a questi temi, con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha corretto il Codice degli appalti. Ma questo è endemico di questo Paese…».
… quindi quando sarà la prossima finestra per introdurre questa possibilità? 
«Sempre perché il Codice degli appalti, come tutte le leggi, può essere modificato. Dunque, bene fare passare questo concetto. Ma ne devono passare anche altri, perché il Codice degli appalti sui lavori pubblici è migliorabile».
Quindi ci sono tante cose da migliorare e c’è sempre la possibilità di farlo? 
«Certo, io mi auguro di sì. Da quando sono sindaco l’ho visto revisionare già più volte in questi sei anni».

Lorenzo Sandiford

presidente di Aipsa Sandini - substrati con alternative alla torba

Intervista ad Andrea Sandini, presidente dell’Associazione italiana produttori di substrati di coltivazione e ammendanti, dopo il convegno del 21 settembre a Flormart sullo stato del comparto, dove è stato presentato un progetto del Cts Aipsa in collaborazione col Crea OF per la valutazione della qualità di matrici organiche quali le fibre di legno e i compost, che consentano di ridurre la torba. Sandini ha spiegato a che punto siamo nella transizione ecologica e manifestato un certo scetticismo sull’uso dei compost in ambito professionale. 

 
“Substrati di coltivazione, impieghi, composizione, normativa, qualità”: questo il titolo del convegno organizzato giovedì 21 settembre alla Fiera di Padova, nell’ambito di Flormart – The Green Italy, dalla Associazione italiana produttori di substrati di coltivazione e ammendanti (Aipsa) e da Edizioni Laboratorio Verde. Un’occasione per fare il punto sullo stato di questo importante comparto, che vede l’Italia, con più di 5 milioni di metri cubi, al secondo posto in Europa, dopo la Germania, per consumo di substrati; e, con un giro d’affari di circa 260 milioni di euro, al primo posto in termini di valore economico (fonte Aipsa). Un comparto che è in questo momento alle prese con la transizione ecologica verso substrati con meno torba, se non ancora del tutto privi.
Verso la fine dell’incontro è stato presentato un progetto di studio sperimentale a cura del Comitato tecnico scientifico di Aipsa, definito in collaborazione con Sonia Cacini, ricercatore del Centro di ricerca Orticoltura e Florovivaismo (Crea – OF) di Pescia, di “Valutazione della qualità delle fibre di legno e dei compost”. Come spiegato da Stefano Notari, nei prossimi anni ci sarà un aumento della domanda di substrati, sia in relazione all’espansione delle colture fuori suolo che alla diffusione di piante ornamentali in nuovi areali. Inoltre si dovrà ridurre l’impatto sull’ambiente e si punterà sempre di più su matrici organiche quali le fibre di legno e/o i compost, ma questi materiali dovranno «possedere caratteristiche peculiari per l’uso specifico, per garantire la sicurezza per gli operatori e la tutela dell’ambiente ed evitare squilibri nutrizionali e fenomeni di tossicità per le piante». Pertanto questo progetto di studio, articolato in due parti, sarà rivolto 1) alla caratterizzazione chimica dei compost attualmente utilizzati e alla valutazione dei requisiti di idoneità e 2) alla caratterizzazione di 20 fibre di legno con successivi messa a punto di substrati a base di fibre di legno e relativi test in serra.
Al termine del convegno Floraviva / il Vivaista ha intervistato Andrea Sandini, presidente di Aipsa, associazione costituita nel 2007 con lo scopo di valorizzare le produzioni di substrati e ammendanti e qualificare il mercato: un luogo di incontro per gli operatori del comparto che, si legge nel sito web di Aipsa, «riunisce oggi 22 imprese che costituiscono più del 75% del fatturato del settore» in Italia. La sala, come osservato dallo stesso Sandini, era effettivamente «piena, con tutte le tipologie di clientela: dai giovani studenti ai produttori di piante di vario tipo», segno che «è un argomento molto vivo».
Presidente, come si può fotografare la fase in cui ci troviamo nella transizione verso un uso sempre minore della torba nei substrati?
«L’Italia tradizionalmente è già molto avanti. Nel senso che i substrati tipici prodotti in Italia per il vivaismo e per la floricoltura hanno sempre utilizzato materie prime “non solo torba”. Quindi i dati dicono…».
… quali soprattutto?
«Il cocco era sempre stato un prodotto molto utilizzato, pomice, lapillo, perliti e via dicendo. Quindi noi già oggi siamo a una media nazionale di 50% torba tra hobby e professionale. Ma ci sono alcuni settori un po’ più critici, come i seminativi da alveolo, dove ancora la torba ha un ruolo che va dal 90% al 100%».
Come stanno le cose nel vivaismo ornamentale?
«Il vivaismo ornamentale ha delle percentuali di torba minori perché si usa molta perlite, si usa cocco…».
… a che percentuale di torba siamo qui?
«Nel vivaismo ornamentale la percentuale della torba si aggira intorno al 70/80%. Ma si va a ridurla e ci sono già prove fatte negli ultimi 3/4 anni, sia dalla Associazione che dai singoli produttori di substrati, per andare sul “peat free” [senza torba, ndr], anche perché molti produttori nazionali già vendono all’estero in Stati dove è richiesto il peat free” o il “peat less” [meno torba, ndr], quindi con il 50% massimo di torba oppure addirittura niente torba».
I materiali alternativi che saranno miscelati con la torba quali saranno?
«Per ora cocco e fibra di legno e vari minerali, perlite, lapilli, pomice e quant’altro».
E il compost?
«Il compost è ancora usato più nell’hobbistica che nel professionale, proprio per una questione di programmazione della produzione. Ossia si utilizzano nel professionale, per poter programmare bene le produzioni, delle materie prime che siano abbastanza neutre, ossia dove il fertilizzante va aggiunto in maniera tale che si possa pilotare la coltivazione. Col compost questo è un po’ più difficile. Quindi se uno ha bisogno di pilotare la coltivazione per gestire le consegne, il compost, come abbiamo sentito anche dai vari utilizzatori durante il convegno, non è proprio gradito».
Questo è lo stato attuale, ma come prospettiva, considerando anche il progetto di ricerca che voi stessi avviate sulle fibre di legno e sul compost, lei che attese ha?
«La ricerca che stiamo facendo come Aipsa si svolge adesso sulla caratterizzazione di alcune specifiche materie prime, mentre invece a livello europeo se ne stanno studiando anche altre, sia come ricerche ufficiali fatte da più università e centri di ricerca europei e si stanno valutando anche altre materie prime, oltre alle fibre di legno. Certo la fibra di legno è quella che ha un focus particolare in quanto è una materia prima reperibile ovunque, non solo localmente come la torba nel Nord Europa, ma ce n’è in Italia, ce n’è in Francia, ce n’è in Germania, ce n’è in Spagna, quindi ovunque localmente. Ed è un prodotto che ha una stabilità chimica e fisica notevole, quindi ci si può lavorare sopra».
E sul versante della ricerca sui compost?
«Stiamo facendo anche su questo dei grandi lavori, però ribadisco che è un prodotto che ha una stabilità diversa, perché è un prodotto molto più vivo di quello che può essere una torba, una fibra di legno e una fibra di cocco. Lavorare con un prodotto che ha una carica batterica e una salinità così è sicuramente più difficile che lavorare con materie prime neutrali».
Però, da un punto di vista economico, potrebbe essere interessante?
«Un compost fatto veramente bene ha un costo, perché deve maturare molto a lungo, che si stabilizza intorno a quello delle torbe più costose: medio, più costose. Invece un compost non veramente maturo, non lavorato al 100%, può avere dei prezzi molto più bassi. Però dipende appunto dal tipo di utilizzo che uno vuole fare».
Ultima domanda: a livello normativo ci sono novità all’orizzonte che possono interessare in particolare gli operatori del florovivaismo e in particolare del vivaismo ornamentale?
«A livello normativo ci si aggiorna costantemente, nel senso che noi abbiamo un elenco di materie prime che possiamo utilizzare. A questo elenco dobbiamo aggiungere man mano materie prime, chiamiamole così, “nuove”. Purtroppo il processo non è velocissimo. Quando si va a Bruxelles o a Roma per aggiornare questi elenchi i tempi sono abbastanza lunghi».
 
Lorenzo Sandiford

 
Alberto Pardossi riduzione della chimica di sintesi nelle serre

Breve intervista al prof. Alberto Pardossi dell’Università di Pisa, a margine dell’incontro sulle serre temporanee e il florovivaismo del 16 giugno di Confagricoltura Pistoia, su alcune specificità del controllo biologico a fini antiparassitari in serra e nel vivaismo.

 
«Le serre del futuro», fra «innovazione e sostenibilità nel settore florovivaistico», sono state al centro dell’intervento del prof. Alberto Pardossi, ordinario di Orticoltura e floricoltura dell’Università di Pisa, in occasione dell’incontro del 16 giugno a Pistoia fra i vertici di Confagricoltura e Stefania Saccardi, assessore all’agricoltura e vice presidente della Regione Toscana, sulla questione della regolamentazione delle serre agricole temporanee (vedi). 
Nella sua relazione Pardossi si è soffermato, tra l’altro, sulle due principali «linee evolutive della sostenibilità in serra»: da un lato quella legata all’utilizzo di energie rinnovabili e dall’altro la tendenza a ridurre l’impiego di prodotti chimici di sintesi a fini antiparassitari incoraggiando piuttosto l’uso di metodi di controllo di tipo biologico. Tendenza, quest’ultima, avviata nel vivaismo anche al di fuori delle coltivazioni in serra.
Floraviva ha sentito il prof. Alberto Pardossi a margine dell’incontro ponendogli qualche domanda su questa seconda linea evolutiva delle serre verso la riduzione della chimica di sintesi e se ci sono (e di che tipo) differenze nell’applicazione dei principi del controllo biologico nelle colture in serra e nelle coltivazioni fuori dagli ambienti protetti.
Ci sono due ordini di motivi per la tendenza a ridurre i prodotti chimici nelle serre, ha spiegato innanzi tutto Pardossi: il primo è che «soprattutto in Europa, c’è una politica di riduzione dei principi attivi: i pesticidi, insetticidi, fungicidi che possono essere applicati alle colture in senso lato, in tutti i settori, e quindi anche alle serre e nel settore florovivaistico». Quindi da un lato «ci sono meno principi attivi che possono essere utilizzati», dall’altro «c’è una richiesta sempre crescente da parte del pubblico di prodotti, soprattutto alimentari come gli ortaggi ma anche ornamentali, che siano coltivati con criteri di lotta biologica». 
«Questo fa sì – ha continuato Pardossi - che anche non volendo i serricoltori siano costretti a ricorrere a tali tecniche di controllo relativamente nuove di malattie e parassiti, che però richiedono competenze molto elevate, perché l’applicazione di un programma di difesa antiparassitario di tipo chimico è più semplice rispetto invece all’applicazione di un programma che si basa sull’uso di organismi: insetti utili, predatori, parassitoidi». Infatti, nel secondo caso, «si tratta di conoscere i cicli biologici di questi organismi, delle piante, dei loro parassiti e dei parassiti dei parassiti, che rendono il sistema molto molto complesso». D’altra parte, ha ribadito Pardossi, «tutta l’attività di ricerca e di sviluppo tecnologico in questo settore vanno in quella direzione, cioè verso un sistema di produzione che faccia meno ricorso alla chimica di sintesi soprattutto per quanto riguarda i prodotti antiparassitari». 
Ci sono differenze, professore, fra il controllo biologico in serra e fuori serra? 
«Per certi versi può essere più semplice l’applicazione in serra, perché in serra abbiamo uno strumento in più, che è il controllo del clima. Ad esempio alcune malattie si diffondono più facilmente quando la superficie vegetale viene bagnata. Il fatto stesso che in serra non abbiamo l’effetto negativo della pioggia è già un vantaggio. D’altra parte però la serra, soprattutto nella stagione invernale, tende ad essere più umida rispetto alla piena aria. Quindi occorre una gestione del clima attraverso il riscaldamento e la ventilazione che può consentire di gestire meglio alcune malattie».
Dunque esistono delle specificità nel controllo biologico in serra?
«Come no. Basti pensare alle reti antinsetto. Le reti antinsetto fanno sì che i parassiti che sono all’esterno non riescano a entrare nella serra. Quindi l’uso di una zanzariera abbinato a misure di igiene e profilassi può garantire dei risultati in termini di controllo delle malattie che sarebbe più difficile raggiungere in pieno campo».
Quindi ci sono condizioni più favorevoli e vantaggi nella lotta biologica in serra?
«Sì, forse ci sono più vantaggi». 
E a proposito delle differenze fra lotta biologica nel vivaismo rispetto ad altri comparti agricoli che dice?
«Nel settore vivaistico ornamentale c’è un altro aspetto che secondo me rende complicata la difesa antiparassitaria: sono tantissime le specie vegetali coltivate, sono centinaia, sono migliaia, mentre spesso all’interno della serra abbiamo la monocoltura o comunque poche specie. E già questo crea una promiscuità vegetale più bassa rispetto a quella che si crea in un vivaio. Chi si occupa di difesa antiparassitaria di un vivaio deve conoscere centinaia di piante ognuna delle quali ha i suoi specifici parassiti e le sue malattie. Quindi è molto più complicato. Per chi si occupa ad esempio di rose, il lavoro è più semplice ».
Anche l’orticoltura è più semplice del vivaismo ornamentale in questo senso?
«Sì, sono in quantità sicuramente minore. D’altra parte però gli orticoltori si trovano di fronte al problema dei residui».
 

L.S.