Vis-à-vis

Per l’architetto fiorentino, premiato al Memorial Vannucci Piante 2020, Pistoia è di fronte a un’occasione unica: qui ci sono le fabbriche che producono ossigeno, le piante e il verde, e ora dobbiamo rinaturalizzare le città per contrastare l’avanzare dell’anidride carbonica e delle emissioni inquinanti. La committenza pubblica inizia a capire e svegliarsi, ma a «una velocità che non è paragonabile all’emergenza» e «alla velocità con cui si sciolgono i ghiacci», mentre gli urbanisti sono dal punto di vista scientifico «prontissimi da decenni» alla svolta. L’esempio delle sue cantine per Antinori a Bargino come costruzione dove «artificio e natura si compenetrano». E ai produttori di piante dice: «se io fossi un vivaista, spenderei parte dell’energia per costruire un cambio culturale che permetta a ciò che produco di essere utilizzato».


Uno dei premiati al Memorial Vannucci Piante 2020, sabato scorso al Nursery Campus di Pistoia, era Marco Casamonti, affermatissimo architetto fiorentino con cattedra di professore ordinario di Progettazione architettonica urbana e del paesaggio all’Università di Genova. Nome ultimamente salito alla ribalta, insieme al collega e amico Massimiliano Fuksas, a cui si deve la prima idea, per la lettera inviata lo scorso aprile, verso la fine della fase di lockdown più dura, al presidente della repubblica Sergio Mattarella: sulla necessità di ripensare il patrimonio abitativo italiano e alcune linee guida su come farlo; vale a dire, in estrema sintesi, case con qualche metro quadrato in più, spazi per lo smart working, collegamenti alle strutture sanitarie per la telemedicina, luoghi per la consegna merci di Amazon ecc., insomma case in cui poter abitare e non solo dormire. Argomenti toccati da Casamonti anche sabato scorso nella conversazione con Luca Telese davanti agli ospiti del Memorial Vannucci, subito dopo Cottarelli.
A un certo punto Telese gli ha detto: «il verde fatica a entrare nella testa di chi fa le case e di chi le compra, come se fosse solo un ornamento secondario», come mai accade questo, almeno a livello di massa? «Il limite è culturale – ha risposto Casamonti - siamo abituati a dividere il mondo in campagna e città. Anche se non è più così, perché ormai sono fuse. Basti pensare alla via emiliana da Bologna a Milano». «Dobbiamo portare la campagna nelle città – ha aggiunto – e pensare alle città come luoghi del verde. Io sono geloso di una città come Pistoia, perché qui ci sono le fabbriche che producono ossigeno, producono piante e verde, e si trova in una occasione storica unica. Qui c’è la manifattura più avanzata del mondo».



Floraviva ha intervistato l’architetto Casamonti, al termine dell’incontro, ripartendo proprio da queste affermazioni e cercando di approfondirle anche dal punto di vista degli operatori della filiera del verde.
Lei ha parlato di occasione storica per Pistoia, perché mai come in questo momento c’è bisogno di verde e i vivai di Pistoia lo producono, ecco può spiegare meglio in che senso ritiene il vivaismo la “manifattura del futuro”.
«Ho detto e ritengo che Pistoia è in questo momento la città con la produzione più avanzata al mondo, perché se la Silicon Valley è il luogo del futuro e della tecnologia digitale, beh Pistoia è il luogo della produzione dell’ossigeno, delle piante, del verde e non ha niente da invidiare alla Silicon Valley. Ci sono in questo momento infatti due elementi trainanti nell’economia del mondo: uno è la digitalizzazione del nostro sistema di vita, l’altro è che dobbiamo rinaturalizzare ciò che negli ultimi 100 anni abbiamo distrutto e quindi dobbiamo tornare a produrre ossigeno e a contrastare l’anidride carbonica che avanza e le emissioni inquinanti. E questo lo possiamo fare con un’industria avanzata che lavora nel verde e produce piante. Pistoia si trova storicamente in questa fase all’apice di una produzione di interesse mondiale e se saprà cogliere questa opportunità coinvolgendo i migliori architetti, i politici più attenti, gli imprenditori più avanzati…»
… noto il riferimento alla politica…
«…perché non è che dipende tutto dagli urbanisti e dagli architetti. Gli urbanisti e gli architetti hanno bisogno di committenti. Possono dare idee, però alla fine ci vuole una committenza che culturalmente capisce quanto la green economy non sia una parola vuota, non è soltanto mettere pannelli fotovoltaici sui tetti per produrre energia, ma una nuova visione di vita, una nuova dimensione nella quale artificio e natura si compenetrano a vicenda…»
… ecco a questo proposito, secondo lei, iniziando dai committenti, quindi amministrazioni pubbliche ecc., lo stanno capendo? A me pare che qualcosa si stia muovendo, ma vorrei sentire la sua opinione.
«Qualcosa si sta muovendo, ma con una velocità che non è paragonabile all’emergenza. Se noi pensiamo alla velocità con cui si sciolgono i ghiacci e con cui subiamo gli effetti dei cambiamenti climatici, ecco ci vorrebbe una velocità di azione… e io dico della politica, perché l’imprenditoria privata può fare la sua parte, ma la farà solo se c’è un’azione collettiva e quindi pubblica, delle amministrazioni e dei governi, che vada nella direzione di riuscire a contrastare una tendenza alla distruzione del paesaggio e dell’ambiente. Non lo si fa smettendo di costruire, ma iniziando a costruire in un modo nuovo, entro una prospettiva nuova. Io ho avuto la fortuna di incontrare committenti straordinari, come gli Antinori per esempio. Ho potuto proporre di fare un edificio completamente integrato nella terra e che si fa mangiare dalla natura e dalle vigne…»
…la cantina al Bargino (San Casciano Val di Pesa)?
«Sì, la cantina del Bargino che ha avuto una grande fortuna. Però l’effetto più importante di questo progetto è l’effetto di emulazione e la sensibilità che ha costruito nell’opinione pubblica e anche nella politica, che si è accorta che si può fare una fabbrica, si può fare sviluppo economico, e allo stesso tempo un grande omaggio all’ambiente. Questo è il tema».



Lei però rappresenta un’eccellenza dell’architettura, ma gli architetti in generale e gli urbanisti sono pronti a questa sfida, a pensare di più al verde? Ad esempio circolano proposte come quella di anticipare i piani del verde rispetto alle edificazioni. Ecco di fronte a simili innovazioni il mondo dell’urbanistica è pronto?
«Secondo me per cultura scientifica architetti e urbanisti sono non pronti, sono prontissimi da decenni. Certo c’è ancora tanto da fare. Però si sviluppa un’offerta quando c’è una domanda. Il problema è la scarsità della domanda. Il problema è che si concepisce ancora il verde come un tema decorativo o di arredo urbano. Non si concepisce il verde come struttura integrante del nostro sistema di vita. Facciamo ancora il paragone con il digitale: dobbiamo pensare che la digitalizzazione del mondo ha cambiato i nostri usi e costumi. Ce ne rendiamo conto perché è cambiata un’epoca: non esistono più i telefoni a gettoni, esiste un apparecchio che ci portiamo dietro che ha cambiato il nostro modo di vivere. Ecco dobbiamo far sì che il verde e il rapporto fra natura e architettura cambi il nostro modo di vivere. Quando arriveremo a quel livello, potremo dire che la battaglia è vinta. Però purtroppo mentre di alcune cose non possiamo fare a meno, vedi digitalizzazione, del verde, con poca visione, si pensa di poter fare a meno. Mentre l’emergenza di oggi ci dimostra che è assolutamente impossibile farne a meno».
Ultimissima: che cosa può essere utile da parte dei vivaisti per rapportarsi a voi che progettate giardini, spazi o infrastrutture verdi?
«Posso dirlo con una battuta: non serve produrre ghiaccio per venderlo agli eschimesi, bisogna produrre ghiaccio per venderlo a chi ne ha bisogno. Direi ai vivaisti che - oltre che a piantare e fare questa operazione straordinaria di nursery, di far crescere le piante - devono veramente lavorare per un cambio culturale, collettivo e soprattutto, ripeto, di chi ha la responsabilità del governo del territorio. Quindi se io fossi un vivaista, spenderei parte dell’energia per produrre piante, parte dell’energia per costruire un cambio culturale che permetta a ciò che produco di essere utilizzato. E’ questo che deve essere fatto. Nella digitalizzazione è venuto giocoforza, da sé, è stata un’escalation virale e oggi non ne possiamo più fare a meno. Allo stesso tempo dobbiamo sensibilizzare l’opinione pubblica per farle capire che abbiamo costruito tanto su un modello veramente vecchio, quello della contrapposizione fra città e campagna e abbiamo costruito nelle campagne e ovunque. Adesso bisogna tornare a naturalizzare le città. Questo è il compito per il futuro».

Lorenzo Sandiford

Valerio Barberis al Pecci

Intervista all’assessore all’urbanistica di Prato Valerio Barberis, in occasione della presentazione del 14 luglio al Centro Pecci, sull’approccio al verde urbano implicito nel Piano operativo della città e in particolare nel progetto “Urban Jungle” a cura di Boeri e Mancuso. L’assessore illustra le 6 azioni previste nel Piano per aumentare la resilienza urbana al cambiamento climatico, il metodo adottato per la selezione delle piante (in collaborazione anche con Associazione vivaisti italiani) e le specificità del progetto delle Giungle urbane, «che porta a una fase più avanzata il principio della forestazione urbana». L’inizio dei cantieri e delle messe a dimora delle piante è previsto verso la primavera 2021.    


«Il mio debito di riconoscenza principale è verso Valerio Barberis e il suo staff: l’ufficio Europa e l’ufficio Urbanistica. Quando parliamo di forestazione urbana intendiamo un cambio di paradigma, con città più verdi in cui si aggredisce il cambiamento climatico. E all’interno di tutto ciò si colloca "Prato Urban Jungle", che è un progetto straordinario che è stato finanziato con fondi europei perché può diventare un paradigma: all’avanguardia rispetto a tanti modelli in Europa. Siamo nel luogo del contemporaneo e Prato è all’avanguardia grazie all’intuito di Valerio e all'apporto di Stefano e Stefano».
Sono le parole con cui il sindaco di Prato Matteo Biffoni ha introdotto martedì 14 luglio presso l’anfiteatro del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci la presentazione del progetto Prato Urban Jungle (vedi) da parte dell’assessore comunale all’urbanistica Valerio Barberis, del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso e dell’architetto Stefano Boeri (in collegamento a distanza), moderati da Cristiana Perrella, direttrice del Pecci.  
Abbiamo intervistato l’assessore Barberis al termine dell’incontro per cercare di capire meglio alcuni aspetti del modo di affrontare la progettazione del verde urbano e più precisamente la forestazione urbana adottato da lui e dalla sua équipe con il supporto degli illustri curatori Mancuso e Boeri, ormai due punti di riferimento di livello internazionale in questo campo. Tutto ciò con un occhio anche al punto di vista dei vivaisti.
Innanzi tutto, assessore, quello che mi pare emergere dalla presentazione appena fatta del progetto Prato Urban Jungle, che è inserito in un Piano operativo che si occupa del verde a 360 gradi, è una ricchezza del vostro approccio al verde, con grande varietà di tipologie di interventi e di piante che saranno utilizzate. Ecco, mi può spiegare questo approccio al verde?
«Diciamo che l’elaborazione del piano operativo, che è il piano regolatore della città, è stato un momento molto importante perché è venuto fuori, tra il 2015 e il 2019, tutto il tema della forestazione urbana. All’interno del piano operativo, una delle grandi scelte, per non dire la più importante, è stata quella di come affrontare i temi della resilienza urbana, cioè di come contrastare i cambiamenti climatici e tutto quello che ne consegue, attraverso la natura. Questo ci ha portati a coinvolgere personalità come Stefano Mancuso e Stefano Boeri per fare un piano di forestazione urbana e decidere come sviluppare in primis il patrimonio arboreo della città attraverso una serie di azioni. Sono 6 azioni pensate nella logica di aumentare la resilienza urbana e quindi di migliorare la qualità ambientale della città».
Queste 6 azioni coincidono con il Prato Urban Jungle?
«No, le 6 azioni sono delle azioni alla scala territoriale di tutta la città, che vanno dalla definizione di strategie sulle linee blu, vale a dire le linee d’acqua, il Bisenzio e le Gore (1. Parco fluviale e delle Gore, ndr), alle strategie di mitigazione ambientale sulle arterie di traffico più importanti (2. Verde di mitigazione delle infrastrutture), alla valorizzazione dei giardini piccoli all’interno della città (3. Verde capillare), alla creazione di grandi parchi urbani e agro-urbani che mettano insieme la parte agricola della città e la parte più densa (4. Golfi agricoli periurbani e grandi parchi), sino alla strategia di demineralizzazione (5. Demineralizzazione urbana) e poi chiaramente tutta la parte agricola a sud della città (6. Parco agricolo di cintura)».
Già a questo livello di piano operativo è dunque variegata la gamma di interventi di forestazione urbana?
«In questo piano è prevista la piantumazione di 190 mila nuovi alberi che verranno distribuiti rispetto a queste 6 azioni e rispetto alle quali si parla di forestazione, cioè messa a dimora di piante alla quota della città, quindi a terra…»
… e come saranno selezionate le piante? Secondo le linee guida di Mancuso e Boeri?
«Noi su questa parte abbiamo lavorato con Boeri e Mancuso e ora stiamo continuando a lavorare con il Dipartimento di agraria del Politecnico di Milano alla definizione esatta di quali essenze mettere da un punto di vista paesaggistico, di piante autoctone e anche in funzione dei temi ambientali come l’assorbimento di CO2 e quant’altro. Già in questo ambito di riflessioni sulla forestazione urbana stiamo già collaborando per esempio con l’Associazione vivaisti italiani (Avi) e con il mondo del vivaismo di Pistoia soprattutto, che è vicino a noi, per capire quali strategie si possono mettere in atto anche dal punto di vista della produzione, perché la quantità di alberi di cui stiamo parlando è ingente e quindi è importante capire da subito, anche prima che si inizino a sviluppare i progetti, quali sono le piante in produzione e anche capire quali piante è giusto mettere. Nell’ambito di questo grande piano abbiamo presentato un ulteriore progetto che è…»
…Prato Urban Jungle, che lei ha definito come una sorta di ciliegina sulla torta o punta di diamante…
«… esatto… perché sostanzialmente porta a una fase ancora più avanzata il principio della forestazione urbana. E quindi a “forestare” gli edifici, non solo la città a terra, ma gli edifici stessi. Dove? Fondamentalmente negli spazi antistanti agli edifici, nelle facciate e sui tetti, con l’utilizzazione delle cosiddette “nature-based solutions”. E anche in questo caso si sta collaborando con tanti vivaisti, in particolare di Avi, e lo stanno facendo proprio i progettisti Stefano Boeri Architetti e Pnat (lo spin off dell’Università di Firenze fondato da Mancuso, ndr), per la definizione delle essenze più giuste, delle caratteristiche anche tecniche per la messa a dimora in alcuni vasi, perché si tratta di piante che magari vanno a 6, 7 metri di altezza. Quindi diciamo per tutti quegli aspetti tecnici che potranno determinare anche nuovi modelli di business, nuove tecnologie e nuovi sbocchi anche per il settore del vivaismo, che oltre a offrire alberi e siepi e arbusti da mettere nei parchi, nei giardini e ai lati delle strade, a questo punto potranno offrire piante anche per le facciate…»
… e anche per gli interni, come ha detto Mancuso, vero?
«Anche, sì perché poi, soprattutto Pnat per la sperimentazione che sta facendo al Macrolotto 0, si sta sperimentando come migliorare la qualità dell’aria negli interni degli edifici attraverso l’utilizzo delle piante. Quindi diciamo che Prato Urban Jungle è una sperimentazione che prende gli edifici e cerca di trasformarli il più possibile in organismi vegetali, sia attraverso la messa a dimora di piante negli esterni, che anche negli interni ad esempio per depurare l’aria».
Da questo punto di vista siete all’avanguardia? Non ci sono modelli così avanzati, diceva pure Mancuso, a livello di politiche urbanistiche del verde, o sbaglio?
«Che noi sappiamo no. Poi ci sono città come Milano, Parigi, Barcellona e New York che stanno lavorando su temi di forestazione urbana. Oppure Singapore. Ci sono realtà che stanno lavorando in questa direzione. Ma a livello di città costruite, esistenti ed edificate, effettivamente Prato Urban Jungle rappresenta come progetto un po’ l’avanguardia di questi temi».
Ultima cosa: a che punto siete, in che fase, di questo progetto? 
«Ora è in fase di approvazione il progetto preliminare. In questi mesi andranno avanti le progettazioni fino all’esecutivo. Le opere e i cantieri devono partire a marzo/aprile dell’anno prossimo, il 2021, per completarsi dopo un anno, nel 2022».
Quindi già dal 2021 incomincerete anche a mettere a dimora le piante selezionate?
«Esatto».

L.S.


Il presidente Giansanti e il direttore generale Postorino spiegano le ragioni per cui Confagricoltura ha proposto al Governo fra le misure fiscali utili a rilanciare l’economia e il settore agroalimentare il taglio del cuneo fiscale e l’abbassamento dell’Iva di certe categorie di prodotti.


Durante l’incontro del 25 giugno con i vertici di Confagricoltura Pistoia il presidente nazionale Massimiliano Giansanti ha dato il suo esplicito via libera all’esonero temporaneo dai contributi previdenziali richiesto dai vivaisti pistoiesi e altri produttori specializzati nell’export delle piante Made in Italy.
Tuttavia il ventaglio di proposte fiscali per il rilancio dell’agroalimentare di Confagricoltura è più ampio e include in particolare due proposte che sono state avanzate da Giansanti ai recenti Stati Generali del premier Conte: il taglio del cuneo fiscale e l’abbassamento dell’Iva di certe categorie di prodotti.



Floraviva ha potuto sentire sull’argomento, in margine all’incontro pistoiese, sia Giansanti che il direttore generale di Confagricoltura Francesco Postorino, che ha così sintetizzato la doppia proposta: «si tratta di due opzioni finalizzate a far ripartire la macchina economica. La prima è l’abbassamento del cuneo fiscale, per rendere possibile a una platea ampia una maggiore disponibilità finanziaria e quindi generare una maggiore domanda. La seconda è abbassare l’Iva, almeno per la parte agricola laddove abbiamo aliquote Iva al 22%, e riguarda anche il settore vivaistico e il settore vitivinicolo, che hanno sofferto. Maggiori risorse nelle tasche dei compratori e minori valori per quanto riguarda i prodotti. Ora si tratta di combinare queste due opzioni con le risorse economiche che mette a disposizione il Governo, però secondo noi se non riparte la macchina dei consumi è piuttosto difficile far ripartire l’Italia».
Gli stessi concetti li ha espressi Massimiliano Giansanti, che su quest’ultimo punto ha aggiunto: «oggi più che mai per rilanciare il sistema dei consumi in Italia è necessario che le persone possano spendere. E quindi bisogna chiedere la possibilità allo Stato di dare ai nostri collaboratori una busta paga più capiente, andando a lavorare sul tema del cuneo fiscale. E’ da tempo che se ne parla e credo che sia arrivato il momento di agire».
Riguardo all’Iva Giansanti ha precisato di aver «proposto un abbattimento per i consumatori dell’aliquota Iva a quella più bassa del 4% per rilanciare i consumi» e che «nel progetto di rilancio dei consumi un aspetto prioritario va dato ovviamente ai generi alimentari». «Abbiamo oggi i comparti dell’economia agricola nazionale – ha affermato il presidente di Confagricoltura - che sono in difficoltà, dal settore del florovivaismo al settore della pesca, al settore del vino, che hanno tutti delle aliquote superiori al 4%. Un abbattimento dell’aliquota certamente rende più appetibile l’acquisto del prodotto perché altrimenti, se non avvenisse questo taglio delle aliquote, la previsione che il nostro Centro studi ci dà è che nel breve periodo e soprattutto in autunno ci potrebbe essere il rischio di un livellamento verso il basso nella dinamica di consumo dei consumatori».



Una proposta che mira dunque a tutelare la produzione agroalimentare di qualità italiana? «In questi giorni – ha risposto Giansanti - ho sentito molto dibattito legato ai costi dei generi alimentari. E’ evidente che con la chiusura delle frontiere da parte di molti stati le catene distributive sono ricorse a prodotto nazionale. E la produzione nazionale, a differenza di altre produzioni che vengono vendute nel territorio nazionale, ha degli standard qualitativi che sono il top a livello mondiale. Noi abbiamo degli standard di controllo sul prodotto e sulla sua salubrità che non hanno eguali in Europa. A questo si aggiunge anche ovviamente un costo di prodotto più alto, perché raccogliere la frutta in Italia ha un costo diverso rispetto a chi la raccoglie oggi in Nord Africa. Per queste ragioni il prodotto italiano garantisce oggi degli standard superiori, è un prodotto premium rispetto a un prodotto generico, ma costa qualcosa di più. Con il taglio dell’Iva andremmo quindi incontro alle esigenze dei consumatori, che lamentano un aumento del costo che è semplicemente dovuto al fatto che non trovano più prodotti qualitativamente inferiori: potranno infatti ottenere prodotti di qualità superiore spendendo più o meno la stessa cifra di quella necessaria per i prodotti di qualità inferiore».

L.S.

Pietro Barachini

Il titolare di Spoolivi Pietro Barachini, esponente di spicco del distretto vivaistico olivicolo pesciatino, dice che il mercato ha subito danni pesantissimi nel comparto garden e gdo, mentre ha retto l’impiantistica, che è programmata. Molte le attività svolte online da Barachini: tutorial su piantumazioni e potature, assaggi guidati ecc. Per lui quasi inesistenti gli aiuti ricevuti: c’è bisogno di liquidità subito e di un Piano nazionale olivicolo con fondi per i produttori di olio e nuovi uliveti, perché il 70% è da sostituire. Tra le ricerche avviate, portainnesti di varietà autoctone toscane probabilmente tolleranti della Xylella, un brevetto di Coripro su una varietà di Leccino autofertile promettente. Strategia: «serve che la produzione vivaistica olivicola certificata confluisca nel settore agroalimentare, quello dell'olio extravergine di qualità» e concepire il distretto pesciatino «come un'azienda vivaistica 4.0» e «Pescia come un giardino all’italiana fatto di oasi verdi produttive»; la produzione deve «diventare bio al 100%».

«Le aziende agricole, e quindi anche quelle vivaistiche, durante i due mesi di lockdown non si sono mai fermate. Il ciclo della produzione delle piante non poteva essere interrotto: avrebbe voluto dire distruggere il lavoro dei 3 anni futuri. Però il mercato olivicolo va differenziato in due comparti: quello legato alla grande distribuzione e ai garden center (in Italia e all’estero) si è bloccato e ha provocato dei danni pesantissimi, considerando che questa tipologia di mercato specifico (garden e gdo) anche per noi (non solo nell’ornamentale) ha il picco in marzo-aprile e visto che le piante invendute vanno ricoltivate con dei significativi costi in più; l’altro comparto, legato all’impiantistica per la produzione dell’olio, è un mercato che viene programmato, quindi è andato meglio, con perdite molto minori, dato che i clienti che avevano programmato la piantagione di olivi, hanno piantato e stanno terminando in questi giorni».
Così viene riassunto l’impatto dell’epidemia da Coronavirus sul vivaismo olivicolo da Pietro Barachini, uno degli esponenti di spicco del vivaismo olivicolo di Pescia, titolare di Spoolivi – Società pesciatina d’olivicoltura e membro di Coripro, intervistato oggi da Floraviva per fare il punto della situazione nel settore fra le difficoltà del presente e le politiche di rilancio. Infatti, come da lui spiegato, «negli ultimi 5 anni la programmazione nel nostro distretto vivaistico olivicolo pesciatino è cambiata drasticamente. Produciamo le piante in base alla richiesta pervenuta almeno 2 anni prima. Le crisi degli anni passati dovute alla sovrapproduzione locale di piante di olivo senza alcuna richiesta ci ha insegnato a programmare».
Altre conseguenze dell’epidemia?
«Ci siamo dovuti adeguare velocemente alla normativa anti Covid-19: dpi, igienizzazione locali, procedure di lavoro distanze ecc. Non è stato semplice perché le normative non erano chiare e cambiavano spesso. Il supporto delle associazioni di categoria (nel mio caso Coldiretti) è stato fondamentale per non perdere le produzioni. Personalmente nella mia azienda ho avuto la fortuna di usare la digitalizzazione di filiera già dal 2015. Il Covid-19 è stato un banco di prova per mettere in atto gli strumenti per stare in contatto virtuale costante con i clienti: abbiamo fatto piantumazioni di olivi e potature via Skype, sessioni di assaggio di extravergini guidato online, che come vi ho già illustrato tempo fa (vedi nostro articolo) fanno parte del nostro percorso di vendita al cliente, dirette su Facebook per seguire passo dopo passo in vivaio le piantine. Una bella esperienza che stiamo coltivando sempre di più».
Che tipo di aiuti sono arrivati alle imprese del vostro settore dai vari livelli di governo (nazionale e regionale o anche più locale) e sono bastati o almeno sono serviti in qualche misura?
«Ad oggi 27 maggio come aiuto è arrivato solo il contributo di 600 euro, solo però per i coltivatori diretti. Non è arrivato altro. Non sappiamo nemmeno se ci verranno in qualche misura restituiti i soldi investiti per adeguare le nostre aziende all’emergenza Covid-19 (che per una azienda con dei dipendenti sono tante). È stata proposta una “cambiale agraria” e diversi finanziamenti da istituti bancari, ma come sempre le banche non ti danno i soldi senza garanzie. Dirò di più. Se si va a leggere il tanto decantato Decreto Rilancio, nella prima bozza c'erano specificati 400 milioni di euro per il florovivaismo. Poi nella versione definitiva di pochi giorni fa, all'articolo 222, quando si parla di filiere in crisi è scritto: “500 mln per il ristoro dei danni subiti nelle filiere del settore agricolo, pesca ed acquacoltura”, che secondo il mio modesto parere vuol dire 500 milioni da spartire tra tutte le filiere agricole in crisi. Tradotto: briciole».
Cos’altro vi attendete ora come sostegno dai vari livelli di governo?
«Primo, che arrivino gli aiuti necessari annunciati per continuare a produrre, perché se no c’è il rischio di non farcela più per mancanza di liquidità. Come ossigeno. Secondo, siccome il nostro lavoro è a lungo termine e nel 2021 produco le piante per il 2023 ho bisogno che in questi due anni le politiche agricole regionale e nazionali mettano in atto gli aiuti per chi produce olio. Perché se si aiuta il settore dell’olio, come è stato fatto coi Pif (Progetti integrati di filiera), poi si alza la domanda di piante di olivo. Nel 2021 le uniche risorse a disposizione saranno i fondi residui del precedente Psr. Quindi è essenziale che venga attuato il nuovo Piano olivicolo nazionale, che comprende in particolare la programmazione delle piantumazioni dei nuovi uliveti italiani con dei fondi ad hoc. La superficie olivetata italiana è di 1 milione di ettari e più del 70% è da ripiantare».
Sul fronte Xylella qualcosa è stato fatto in Puglia: come si riverberano tali azioni sull’attività delle aziende del distretto pesciatino?
«Negli ultimi 20 anni grazie al Servizio fitosanitario regionale nella provincia di Pistoia sono stati adottati dei protocolli di controllo delle produzioni vivaistiche che oggi ci hanno permesso di produrre piante di olivo nonostante l’avanzata della Xylella in Puglia. Dall'inizio dell'epidemia (2011) sono attivi dei controlli sulle piante di olivo in Toscana per verificare se la contaminazione può avvenire nelle nostre zone. Sembra che in Toscana fortunatamente le condizioni climatiche siano sfavorevoli allo sviluppo del vettore della Xylella, Philaenus spumarius (sputacchina). Certo è che non bisogna mai abbassare la guardia. Come comparto vivaistico, attraverso le due associazioni di riferimento del nostro territorio (Corirpro e Associazione vivaisti di Pescia) sono stati messi in campo dei progetti sperimentali sull'olivo. Anche qui però servono soldi per la ricerca e serve un progetto d'insieme a livello regionale, che una volta per tutte possa dire che le piante di olivo pesciatine sono sane e migliori al mondo per creare dei grandi extravergini certificati autoctoni Dop-Igp».
Che cosa hanno prodotto sinora le sperimentazioni portate avanti nel distretto?
«La ricerca in campo del vivaismo olivicolo pesciatino non si è mai fermata. Lavoriamo a stretto contatto con i maggiori centri di ricerca ed università d'Italia. Abbiamo in produzione dei portainnesti di varietà autoctone toscane probabilmente tolleranti della Xylella perché hanno dei caratteri genetici in comune con il Leccino. E a proposito di quest’ultimo abbiamo in produzione un brevetto di Coripro (Millennio) di una varietà resistente autofertile (cioè che non ha bisogno di altre piante per produrre) molto promettente. Abbiamo tantissime varietà autoctone regionali italiane in fase di test per capire la loro tolleranza al batterio. Tutto questo a Pescia. Non mi sembra poco.
Infine, al di là degli aiuti, che politiche e strategie per rilanciare il vivaismo olivicolo in generale e il distretto pesciatino in particolare?
«Serve una ristrutturazione a 360 gradi del modello produttivo del vivaismo olivicolo. Cioè serve che la produzione vivaistica olivicola certificata confluisca nel settore agroalimentare, quello dell'olio extravergine di qualità. Perché se produci una pianta di olivo non sana o di un’altra varietà che non è stata chiesta, che ti muore in campo nei primi anni di vita, rallenti il tuo ciclo produttivo di extravergine, anzi molte volte devi ripiantare tutto da capo. Facendoti perdere i soldi nel periodo di start-up in cui la pianta non produce. Il nostro lavoro deve andare ben oltre il "coltivare olivi" ed essere a fianco di chi produce extravergine di altissima qualità».
E al distretto vivaistico olivicolo pesciatino che serve?
«Per quanto riguarda il territorio serve cominciare ad immaginare Pescia e la Valdinievole come un'azienda vivaistica 4.0 se vogliamo sempre che il vivaismo sia ancora la nostra punta di diamante di eccellenze uniche come l'olivo. Purtroppo negli ultimi anni c’è stata una eccessiva urbanizzazione e oggi ci dicono che ci dobbiamo spostare perché i nostri vivai sono in mezzo alla città. In realtà è la città che è cresciuta in mezzo a noi. Io immagino Pescia come un giardino all’italiana fatto di oasi verdi produttive che vivono con la città. Certo è che va cambiato tutto: servono innovazioni per inquinare meno, diventare bio al 100%, usare meno acqua. Servono infrastrutture come potrebbe essere il Mefit, ma 4.0, funzionale al 100%. Produzioni vivaistiche connesse alla rete per essere trasparenti, per far vedere quanto risparmiamo e quanto inquiniamo meno. Invece siamo rimasti a gli anni 80, ancora a capire come far entrare un camion perché c'è un divieto e la soluzione proposta è ad oggi spostare i vivai in altre zone per far posto alle strade e parcheggi».

Lorenzo Sandiford

Intervista a Oreste Giurlani, sindaco del Comune di Pescia che ha in mano il Mercato dei fiori della Toscana (Mefit) e presidente del soggetto referente del rinato Distretto florovivaistico Lucca Pistoia, che dice: non ho ancora ricevuto il via libera dalla Prefettura alla riapertura delle contrattazioni. Intanto Giurlani pensa di lanciare una piattaforma online sperimentale, se la Regione darà una mano. 


L’annuncio-chiarimento di ieri della ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova sulla riapertura delle porte alla vendita di piante e fiori, attraverso tutti i canali che saranno in grado di farlo rispettando le norme di tutela della salute legate all’emergenza Coronavirus, ha creato entusiasmo in una gran parte degli operatori del florovivaismo. Che sperano così di limitare i danni, nel senso di non compromettere proprio tutto il resto dell’annata produttiva. 
Non sono mancate però alcune reazioni negative, soprattutto da parte di operatori delle regioni del Nord Italia, le più colpite dall’epidemia. E alcune regioni, Veneto in testa, hanno detto che i garden center resteranno chiusi e non si potranno vendere fiori e piante.
E’ in questo clima che abbiamo sentito poco fa il sindaco di Pescia Oreste Giurlani, azionista unico del Mercato dei fiori della Toscana (Mefit) e presidente della nuova associazione temporanea di scopo che sarà il soggetto referente del rinascente distretto florovivaistico Lucca Pistoia (vedi), sull’impatto dell’annuncio del ministro, che faceva seguito a un chiarimento comparso la sera prima sul sito web della presidenza del consiglio. 
Questa informativa e il comunicato della ministra Bellanova sulla possibilità di vendita di piante e fiori che impatto avranno sul Mefit?
«Innanzi tutto vorrei dire che anche se il settore è in estrema difficoltà, anzi nel disastro, però l’attenzione del ministro almeno ridà un po’ di dignità ad esso. E questo è positivo. Ma la situazione è difficilissima perché sono stati distrutti fiori, i cimiteri sono chiusi, le cerimonie eucaristiche bloccate. Insomma in un momento come questo in cui l’Italia è tutta a casa i fiori, come si dice, non sono beni essenziali. E poi, ripeto, sono deperibili, per cui in queste settimane abbiamo visto distruggere piante, fiori, le nostre calle, con frigoriferi pieni».
Ecco, premesso ciò?
«Rispetto alla comunicazione della ministra Bellanova, che ha annunciato che si può commercializzare piante e fiori, noi come mercato dei fiori eravamo stati chiusi quando uscì il Dpcm che bloccava le attività commerciali non essenziali, perché in esso era scritto che i mercati erano tutti sospesi salvo quelli per beni alimentari. Quindi anche il mercato dei fiori è stato sospeso. Questo però non aveva bloccato tutta l’attività logistica e di commercializzazione, perché all’interno del Mefit i magazzini continuavano a funzionare, i commercianti continuavano a lavorare..»
.. cioè che tipo di commercio intende?
«Nel senso che il mercato dei fiori è formato da due sezioni: una parte che è il settore logistico, con i magazzini, i camion che arrivano e partono e gli operatori che hanno lì le loro attività; l’altra è la platea sopra dove si fa la contrattazione. Questa parte sopra era stata sospesa, perché è un mercato. Ma le attività sotto no».
E ora che succede?
«Io ieri ho telefonato in Prefettura per capire un attimo. Mi è stato detto che ancora non avevano ricevuto alcuna circolare, per cui a oggi c’è un comunicato stampa del ministro. Però io ho chiesto lo stesso del Mefit alla Prefettura di Pistoia e mi hanno risposto che se non modificano il decreto, l’indirizzo che ancora le prefetture devono dare è che ancora il mercato, la contrattazione, non si può fare. Quindi, in sintesi, non era tutto chiuso il Mefit, il Mefit era in parte aperto, ma non si può ancora riaprire la parte mercatale vera e propria».
Ecco..
«.. ma vorrei dire che io nell’incontro di martedì prossimo, il tavolo regionale del florovivaismo fatto dagli assessori Remaschi e Fratoni..».
.. di che si tratta?
«Un incontro in videoconferenza dove io sarò presente in duplice veste, come sindaco di Pescia e come presidente dell’Associazione temporanea di scopo del distretto florovivaistico Lucca Pescia. Oltre a dire che qui c’è l’urgenza nel decreto di aprile di determinare i ristori per le aziende florovivaistiche che hanno dovuto distruggere le piante e i fiori, c’è la necessità di dare subito la liquidità a queste aziende, perché se no non riescono a piantare..»
.. cioè ci vuole un decreto d’urgenza per dare liquidità?
«Bisogna dare ristoro alle imprese: io dico tu avevi 3 magazzini di roba distrutta, hai bisogno dei soldi corrispondenti al valore di quel che è stato distrutto. Perché ora, da marzo a settembre, era il momento in cui le nostre aziende iniziavano la produzione locale con le calle ecc. e poi a maggio le talee dei crisantemi...».
.. perché lo vuole chiedere alla Regione questo?
«No, io chiedo un supporto alla Regione per chiederlo al Governo».
Ah, ho capito.
«E poi chiederò una seconda cosa: chiederò alla Regione, visto anche che la parte mercatale è ancora chiusa, di dare la possibilità di sperimentare una piattaforma online per fare il mercato virtuale, come hanno già fatto in Olanda».
Che prospettive ci sono per questa piattaforma o mercato online? Capisco che non potrà compensare tutto, ma più o meno che cosa vi aspettate?
«Una valutazione o stima precisa è prematura. Ma in una situazione di crisi ci sono: a) azioni di emergenza quali il ristoro delle aziende, dare la possibilità di bloccare tutti i pagamenti, liquidità ecc.; b) poi c’è da iniziare a pensare allo sviluppo, al rilancio successivo. Ebbene, le azioni di sviluppo da attivare a fine crisi c’è da parlarne ancora e definirle, però se non si interviene subito…»
.. certo, ma la piattaforma è per lo sviluppo successivo?
«Dato che il decreto ci obbliga per ora alla chiusura della parte mercatale, si potrebbe vedere di dire già da subito, dato che le imprese hanno bisogno di un po’ di mercato, perché non cogliamo l’occasione per sperimentare una piattaforma online? Tanto il futuro del mercato non sarà più l’araba. E la Regione potrebbe aiutarci con un po’ di risorse per costruire una piattaforma o rafforzare una di quelle che già ci sono».
Ma una stima di quale quota di giro d’affari potrebbe passare online è prematura vero?
«Ancora è troppo presto per dirlo. Però siccome questa emergenza continuerà per tutto aprile, se la discussione si sposta sul fatto di tenere il mercato aperto perché serve, allora si può pensare a questa sperimentazione».

L.S.