L’intera filiera olivicola in Spoolivi, leader in tracciabilità digitale di piante autoctone certificate per oli di qualità

Il nuovo brand Spoolivi – Società pesciatina d’olivicoltura di Pietro Barachini, la cui azienda familiare Spo ha appena compiuto 100 anni, contestualizza la produzione e vendita dei suoi olivi certificati Xylella free, virus esenti o biologici ai produttori di olio d’oliva extravergine in una rete che abbraccia tutta la filiera oleo-olivicola. Barachini, che è anche assaggiatore professionale, a partire dalla sua pionieristica app iOlive per tracciare il percorso dalla pianta madre all’olio (vincitrice dell’Oscar Green 2015), punta alla blockchain avvalendosi della startup AbcLab, che ha lanciato in questi giorni un crowdfunding per raccogliere i finanziamenti necessari. Inoltre vuole trasferire le sue innovazioni in tutto il rinascente distretto florovivaistico e olivicolo Lucca-Pistoia. Apologia della tecnica dell’innesto pesciatina, che Barachini intende far diventare patrimonio dell’Unesco.

Coltivare piante di olivo, originate dalle piante madri di varietà autoctone italiane e certificate del suo vivaio, su richiesta e secondo le esigenze dei propri clienti olivicoltori, mostrando loro in anticipo anche le proprietà chimiche e organolettiche degli oli che saranno prodotti da quelle piante e garantendo con certezza che ad essere allevate e vendute loro, qualche anno dopo l’ordine, saranno proprio quelle piante lì, le piante figlie di quelle piante madri. Il tutto per mezzo di una originale app vincitrice del premio Oscar Green 2015 di Coldiretti, iOlive, e di chip che sono tuttora in corso di sperimentazione nell’ambito di un Pif (Progetto integrato di filiera) promosso da Coldiretti Pistoia che è stato finanziato dalla Regione Toscana. E dando una risposta a tutte le altre esigenze dei clienti olivicoltori grazie a una rete di partner che intende coprire dalla A alla Z la filiera oleo-olivicola: dai costruttori di macchine per la raccolta di olive ai frantoi, ai produttori di contenitori, ai laboratori d’analisi, fino ad Airo – Associazione internazionale ristoranti dell’olio, che divulga i buoni oli d’oliva extravergine nei ristoranti.
Come sarà più chiaro al termine della presente intervista, è questa la formula alla base di Spoolivi – Società pesciatina d’olivicoltura, nuovo brand creato nel 2017 da una costola dell’azienda familiare Spo – Società pesciatina d’orticoltura da Pietro Barachini, uno dei più completi e appassionati esponenti del distretto vivaistico olivicolo di Pescia, il principale in Italia e ai vertici anche a livello europeo. Un uomo, una filiera, verrebbe da dire pensando alle sue competenze, che superano i confini vivaistici e vanno dalla coltivazione delle piante madri di olivo fino alle tecnologie digitali applicate alla tracciabilità e al marketing nel comparto olivicolo, e persino all’assaggio degli oli, visto che è diventato assaggiatore professionale dell’Anapoo – Associazione nazionale assaggiatori professionisti di olio d’oliva.
A lui abbiamo chiesto di aggiornarci sulla sua azienda, cercando di capire in particolare come sta procedendo Spoolivi, con il suo work in progress sulla rete di collaborazioni lungo l’intera filiera oleo-olivicola, e se ci sono novità di altro genere da dichiarare.
«L’azienda – risponde Barachini - nel 2020 festeggia 100 anni di attività, anche se in realtà è nata molto prima. Ma sono riuscito a trovare un documento, un premio nazionale a mio bisnonno Renato Del Ministro per la capacità di riproduzione delle piante di olivo, che è del 1919».
Allora quest’anno è l’anniversario, non il prossimo.
«In realtà ho voluto concludere l’anno e festeggiare l’anniversario nel 2020: sto organizzando un evento per celebrare la nascita dell’olivicoltura italiana a Pescia. Vorrei fare il punto sull’olivicoltura italiana oggi e sul futuro dell’olio extravergine italiano».
Quindi tutta l’olivicoltura, non solo il vivaismo olivicolo?
«Il vivaismo olivicolo è la parte fondamentale dell’olivicoltura..»
.. sì, sì, ma vorrei capire se l’intento è coprire tutta la filiera.
«Sì, perché nel 2017 è nato il progetto di Spoolivi, che non si limita più alla filiera vivaistico-olivicola ma si proietta sull’olio extravergine d’oliva..»
..ecco può spiegare meglio il progetto di Spoolivi?
«Grazie alle attività all’estero che avevamo sviluppato in paesi come Giappone, Emirati Arabi, Francia, Croazia e Spagna - perché gli olivi italiani e pesciatini venivano richiesti in questi paesi -, grazie ad essi, ho girato un po’ il mondo e al ritorno mi sono accorto che per recuperare il mercato italiano, cioè per vendere le piante in Italia, dovevo studiare meglio il mio cliente. Quale modo migliore che mettersi nei suoi panni? Così ho fatto finta di diventare, o meglio in parte lo sono diventato davvero, un olivicoltore, cioè colui che produce l’olio, per capire meglio di che cosa ha bisogno il mio cliente».
Questo da quando?
«Dal 2015 ho iniziato un percorso formativo, grazie a persone che mi hanno insegnato tanto, come se dovessi aprire un’azienda che produce olio. E sono diventato assaggiatore professionista, ho fatto dei corsi sulla trasformazione dell’olio, sulla gestione degli oliveti, insomma su tutta la filiera a 360 gradi. Questo mi ha fatto capire che poteva avere una chance ciò che finora non era stato preso in considerazione dai vivaisti olivicoli: fornire al cliente una totalità del servizio, ma non tutta io direttamente bensì creando una rete, che è appunto Spoolivi».
Come funziona il progetto aziendale?
«Da un lato ho piantato varietà autoctone che producono l’olio tutti gli anni. La scelta di puntare su piante di olivo autoctone dipende dal fatto che il mondo sta cercando proprio quelle, le varietà autoctone regionali italiane. E questo è il futuro per Pescia. L’olio che viene più pagato al mondo è quello prodotto dalle varietà autoctone regionali italiane, perché ha un potere salutistico che è il migliore. E questo è un primato che noi non possiamo perdere. Lo metto in evidenza perché in questo anno si sta discutendo sull’olivicoltura italiana: se farla diventare industriale con varietà brevettate ad hoc oppure puntare sulle varietà autoctone. Siccome si sta dividendo l’Italia su questo. Basti pensare alla FS17 che stanno piantando in Puglia. Ma non perché sia di cattiva qualità, ma perché è un’altra cosa, come paragonare la Panda alle Ferrari».
Diceva che con le sue piante autoctone produce olio..
«.. sì, quindi io sono in grado di mostrare che olio fanno le mie piante, perché produco dei monovarietali. E questa è una nostra peculiarità: che facciamo degli oli monovarietali con le piante madri, ma non per vendere l’olio, bensì per analizzarlo. E faccio fare le analisi chimiche per poi darle ai clienti. Dall’altro lato, ho selezionato come partner alcune delle migliori aziende toscane del settore oleo-olivicolo. Ad esempio il fornitore di macchine per la raccolta di olive, i frantoi, il laboratorio di analisi ecc. Tutta questa filiera io l’ho messa e sto continuando a metterla in rete, come si può in parte vedere nel sito web: www.spoolivi.com. Ciò ha creato un meccanismo virtuoso per cui le persone si rivolgono a me dopo aver comprato le piante e Spoolivi è una sorta di centro dove gli olivicoltori possono trovare molte risposte».
Del resto, Barachini, lei ormai è esperto di tutta la filiera: dalla pianta madre fino all’assaggio dell’olio, non è da tutti.
«E in effetti molte persone mi identificano con colui che conosce le varietà dal punto di vista vegetale (che non è semplice) ma che sta imparando a conoscere le varietà anche dal punto di vista salutistico e organolettico, quindi a livello culinario, perché questo sto imparando attraverso i concorsi che faccio o le guide, ad esempio quella Slowfood. Credo che questo connubio fra prodotto finito e pianta sia molto potente e ancora non era stato preso in considerazione. I vivai vendono la pianta e stop. Nessuno si è mai preoccupato del dopo».
Dunque su Spoolivi vendete le piante e date (o mettete in contatto con) tutto ciò che serve dopo?
«E’ un’azienda completa che lavora a 360 gradi partendo dalla qualità della pianta, perché ci stiamo investendo tantissimo, che però va oltre, perché abbiamo sviluppato tutti insieme, io, mia moglie e i collaboratori, un sistema per cui il produttore viene da noi e gli facciamo fare un blend degli oli monovarietali in vista dell’impianto..»



..cioè gli fate assaggiare l’olio?
«Mi spiego. Un produttore viene da me per fare un impianto nuovo. Il primo step è capire quali varietà vuole piantare. Io lo aiuto a identificare il mercato a cui punta con la vendita dell’olio, su che marketplace si vuole posizionare e a che prezzo vuole venderlo. So indicargli che una certa varietà in una certa posizione rende tot ecc. Poi da lì poi parte tutto uno studio, fino al livello agronomico. Oggi l’errore che si sta facendo in Italia è che tutti dicono bisogna produrre olio, perché l’olio manca. Sì, ma quale olio manca? Perché se ci mettiamo a fare un olio anche con meccanizzazione estrema (che comunque è sbagliato), cioè si tenta di industrializzare gli oliveti piantando in superintensivo varietà non autoctone per abbassare i costi di produzione, va considerato che questo lo fa già tutto il mondo a costi inarrivabili in Italia: il 30% dell’olio prodotto nel mondo è fatto da 3 varietà. E queste varietà le stanno piantando anche in Italia».
Ah ora anche in Italia?
«Certo l’Arbequina e la Koroneiki e l’Arbosana le stanno piantando in Italia..»



Ma, tornando alla sua azienda, lei è noto anche per la tracciabilità digitale, grazie alla vittoria di un Oscar Green qualche anno fa con la app iOlive: mi può spiegare questo aspetto della sua attività?
«iOlive nasce come progetto che rispondeva a una mia esigenza: avevo bisogno di far vedere che le mie piante venissero effettivamente dal mio vivaio. Noi a Pescia, io e non solo, siamo una delle poche realtà dove le piante madri sono all’interno del vivaio. Tutta la filiera produttiva è all’interno dell’azienda: dal seme, dai noccioli, dalle olive! E ciò vuol dire che il cliente, se vuole, può in qualsiasi momento dell’anno venire a controllare le sue piante, perché ora stiamo lavorando in una maniera “sartoriale”, nel senso che le piante me le prenotano 2 anni prima..».
.. e che cosa fa iOlive?
«Risponde all’esigenza di tracciare la pianta, perché io ti do una pianta con dentro un chip, che ora stiamo testando con il Coripro di Pescia (consorzio per la certificazione volontaria delle piante d’olivo) nell’ambito del Pif “Evo 2.0: dal vivaio alla tavola” che ho avuto l’onore di scrivere con Coldiretti Pistoia. Infatti il grosso limite delle certificazioni attuali è dato dal cartellino, perché basta che io levi il cartellino e la mia certificazione va a farsi friggere. Se invece questa certificazione rimane all’interno della pianta è più difficile da manomettere. Ma mi accorsi subito che questa tracciabilità della pianta poteva essere estesa anche sull’olio..»
..ecco iOlive c’era prima di questo Pif..
«..nel 2015, quando vinsi il premio nazionale dei giovani di Coldiretti Oscar Green».



Già allora la tracciabilità si estendeva dalle piante all’olio?
«Sì, già lo facevo io».
E quindi è stato avviato come Spoolivi?
«Sì. Trovai dei produttori che hanno voluto utilizzare questo sistema di tracciabilità».
Che comprende anche un’app, vero?
«Sì, c’è un’applicazione sul cellulare dove tu puoi seguire tutto e personalizzare».
Poi è nato il Pif di Coldiretti Pistoia?
«Sì»
Da che anno?
«Dal 2017/2018».
Ed è ancora in corso.
«Sì. Siccome nel Pif c’erano tutte le associazioni, compreso Coripro di cui faccio parte, ho cercato di inserire questo aspetto perché la Regione Toscana ci ha finanziato lo studio sperimentale del chip. E tengo a sottolineare che la sperimentazione va bene, però deve essere collaudata per tot anni. Lo dico perché molti vivai, anche in Toscana, escono con delle nuove varietà come se fossero la panacea, ma in realtà, se non c’è una lunga sperimentazione dietro, rischi un buco nell’acqua. Quindi noi sperimentiamo continuamente all’interno del vivaio, però usciamo soltanto quando abbiamo un tot di anni di prove, per dare una garanzia al cliente».
Bene, e adesso quali sono i nuovi passi avanti sul fronte della tracciabilità digitale?
«Stiamo da un lato avviando il trasferimento della tracciabilità digitale in tutto il rinato distretto florovivaistico e olivicolo pesciatino, ma di questo ne riparlerei in altra occasione. Dall’altro, a livello privato, ho creato una start up che si chiama Abclab – A blockchain lab (www.abclab.site) insieme ad altri esperti di tracciabilità digitale da vari punti di vista, con la quale cerchiamo innovazione per tracciare i prodotti agroalimentari, al servizio degli agricoltori 4.0. Ed è la rotta futura verso cui sto dirigendo Spoolivi, cioè mi voglio specializzare sempre di più a far sì che i miei clienti raggiungano la qualità superiore al mondo. Questo attraverso la produzione di un olio di altissima qualità e tramite la possibilità di identificarlo con certezza. E va rimarcato che tutta la qualità dell’olio extravergine di oliva è data dalle varietà autoctone. Quindi è compito di Spoolivi garantire negli anni i cloni d’identificazione delle varietà autoctone regionali di tutta Italia. Vale a dire che se io ti do il Leccio del corno, ti do quel clone che è unico di Leccio del corno, perché è stato testato per 50 anni in Toscana. E io ti darò sempre quel clone perché le piante madri sono all’interno della mia azienda e vengono monitorate ogni sei mesi».
Questo fa parte di Spoolivi, la startup Abclab che cosa fa in più rispetto ad iOlive?
«La startup è nata dal progetto di iOlive e lo applica a tutta la filiera agroalimentare, non solo quella dell’olio».
Ah, quindi è un’azienda che si occupa di estendere questa metodologia. In pratica vende il servizio?
«Applica la blockchain [“un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall'uso della crittografia” Wikipedia, ndr] nella filiera agroalimentare».
Ma iOlive non era già questo, almeno in parte?
«Ancora non c’era la blockchain».
Quindi iOlive era più o meno sulla stessa strada ma non ancora con la tecnologia blockchain?
«Esatto».
E adesso iOlive sta diventando blockchain?
«Sta diventando, perché applicare una tecnologia blockchain è molto costoso».
E ci sono delle regole per entrarci?
«Esatto. Quindi che cosa ho fatto? Ho creato la startup e ora siamo in fase di crowfunding e stiamo cercando i finanziamenti per attivare la blockchain in iOlive. Perché? Perché tutte le certificazioni, e ritorniamo anche a quella della pianta, sono valide nel momento in cui tu mi vai ad assicurare che quei passaggi di produzione sono certificati. Attualmente c’è un organismo esterno che viene e controlla. Mi spiego. In Spoolivi ho tre certificazioni: quella virus esente, quella biologica e quella Xylella free. Però vengono garantite all’interno dell’azienda attraverso un sistema digitale; non c’è solo il servizio fitosanitario che viene e controlla ogni 6 mesi per verificare se le piante sono idonee dal punto di vista biologico e dal punto di vista fitosanitario».
Qual è la garanzia in più del digitale?
«Perché il passaggio con cui io vado a prelevare il materiale da quella pianta chi è che me lo dice? Per esempio, per il biologico, io vado a prelevare una pianta che deve essere biologica. Bene, ma chi è che me lo certifica? Quel passaggio lì attualmente veniva scritto su un libro. Noi lo registriamo in digitale e attraverso la blockchain ci sarà un organismo terzo tecnologico che certifica in tempo reale tutti i passaggi, come per i bonifici bancari».
E questi passaggi saranno tutti registrati con dei chip sulle piante?
«Sì potrebbero.. il chip è il mezzo. Basta che tu metta un QR su una pianta. Quando un cliente ordina a Spoolivi una varietà autoctona lui deve essere sicuro che quella varietà sia stata presa da quella pianta madre che ha quelle caratteristiche produttive che tutti gli anni gli dimostro. Però durante i 2 anni del ciclo produttivo io gli devo dare la sicurezza che questa pianta figlia che gli consegnerò deriva davvero da quella pianta madre lì».
La start up Abclab a che punto è?
«E’ su un sito di crowdfunding per 40 giorni alla ricerca di finanziatori (www.starsup.it). Perché, a differenza che in America, dove ho lavorato in California proprio con il progetto iOlive e dove se tu hai un’idea te la finanziano, in Italia questo non succede quasi mai».
Quindi ora siete in fase di raccolta fondi?
«Sì, ma quel che mi interessa ribadire è che Spoolivi produce esclusivamente varietà autoctone e che dietro alla pianta di olivo c’è una competenza agronomica che tuttora vengono a studiare a Pescia per capire come si fanno le piante di olivo, perché alcuni aspetti da noi non sono stati ancora “standardizzati” per fortuna. Faccio un esempio: l’innesto è una tecnica che io spero di far passare come patrimonio dell’Unesco di Pescia e ci voglio riuscire perché non la usa più nessuno. Con la tecnica di innesto tu riesci a fare tutte le varietà del mondo, più che con la talea, e con delle proprietà nell’apparato radicale che sono uniche. Il che consente, ad esempio, di piantare olivi in zone collinari dove non c’è acqua».
E invece che cosa fanno negli altri distretti olivicoli?
«Fanno quasi tutti talea. O addirittura, cosa più pericolosa che si sta diffondendo, lavorano per meristema. E’ vero che con il meristema tu puoi fare tutti gli olivi che ti pare con dei costi inferiori, però – e questo mi è stato insegnato dai ricercatori che ci hanno investito 40 anni della loro vita – tu quando vai a dividere una cellula non sei sicuro che quella cellula è produttiva. Quindi tu fai delle piante che produrranno per lo meno fra 20 anni. E questo non me lo posso permettere. E’ vero che la pianta la vendi lo stesso. Ma io non posso permettermi di vendere una pianta di ulivo a un mio cliente e dirgli: mah forse la pianta produrrà fra 20 anni».



Quindi lei crede nell’innesto?
«Io credo nell’innesto e nella talea, però più nell’innesto perché la talea la fa tutto il mondo. Io credo nell’innesto anche come particolarità storica di Pescia perché è nato a fine 800 e da allora si sta tramandando di generazione in generazione».
Ma nel suo vivaio non c’è solo innesto..
«.. noi facciamo 50% di ulivi da innesto e 50% da talea. Sono 300 mila piante prodotte all’anno in 30 varietà autoctone in produzione, varietà regionali italiane».

Redazione Floraviva
Articolo Publiredazionale