Vis-à-vis

Intervista a Renato Ferretti, qui sentito in veste di opinion leader del settore florovivaistico a livello nazionale. Per lui un’aggregazione di imprese compatibile con la natura di vero distretto (di «becattiniana memoria») del vivaismo ornamentale pistoiese è praticabile, purché accompagnata da più specializzazioni produttive e meccanizzazione dei processi. Ma le aziende devono essere disposte a mettere assieme alcune funzioni.

 
Prima i dati positivi dell’export del Distretto vivaistico ornamentale nel I semestre di quest’anno presentati dal presidente della Cassa di risparmio di Pistoia e della Lucchesia Francesco Ciampi, economista dell’Università di Firenze, durante la “Serata del vivaismo”, organizzata a Pistoia il 27 settembre dall’Associazione vivaisti italiani presieduta da Vannino Vannucci. Due giorni dopo il grido d’allarme dei vivaisti di Cia Toscana Centro, prevalentemente piccoli o medi subfornitori delle grandi aziende del comparto, che hanno segnalato cali degli ordini e in generale un andamento negativo conseguente alla crisi creditizia provocata dal fallimento dei Vivai Sandro Bruschi, che hanno lasciato un buco di circa 10 milioni di euro fra decine e decine di medi e piccoli vivaisti del distretto pistoiese. E addirittura hanno manifestato la preoccupazione che qualcosa non stia più funzionando per il verso giusto lungo la catena della filiera distrettuale. 
Floraviva ha cercato di fare il punto della situazione con uno dei maggiori esperti di vivaismo e distretto ornamentale pistoiese, Renato Ferretti, già presidente del Cespevi (Centro di sperimentazione per il vivaismo), dirigente della Provincia impegnato nella pianificazione territoriale e agronomo di recente eletto nel Consiglio dell’ordine nazionale, il Conaf. Ferretti, convinto che non sia ancora possibile fare una valutazione precisa degli effetti permanenti del fallimento Bruschi nel tessuto distrettuale, ha accettato comunque di risponderci a proposito delle dinamiche “strutturali” che stanno attraversando il distretto e sulla possibile direzione di marcia per un suo rilancio, sulla quale, anche nel corso della “Serata del vivaismo”, erano emerse delle valutazioni apparentemente discordanti, in relazione in particolare alla questione della necessità o meno di più aggregazioni di imprese (vedi nostro servizio). 
Dott. Ferretti, a prescindere dal caso Bruschi e dal relativo buco di diversi milioni di euro, i cui effetti non è ancora facile comprendere appieno, come stava prima che scoppiasse il caso, o sta per così dire a livello strutturale, il distretto di Pistoia? 
«Nel corso del 2017 e del 2018 ci sono stati segnali di ripresa sul piano commerciale. Certamente il distretto ha perso diverse aziende in questi anni (Tesi Ubaldo, Matteini, Palandri, Gabellini, ed infine Bruschi) avviando sicuramente un processo di concentrazione produttiva».
Più nello specifico, è ancora un distretto in senso stretto, cioè non solo un’area produttiva genericamente concentrata su un unico comparto, ma caratterizzata da un sistema produttivo costituito da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, tendenti all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva oppure no? In altre parole, queste integrazioni orizzontali fra specializzazioni confinanti e verticale fra segmenti della filiera sono ancora presenti oppure sono state compromesse da delocalizzazioni produttive o altri fenomeni conseguenti alla globalizzazione del mercato?
«E’ ancora un distretto di “becattiniana" memoria» (citazione di Giacomo Becattini, l'economista fiorentino noto per gli studi sui distretti industriali, ndr).
Si stanno comunque verificando cambiamenti significativi negli ultimi anni per effetto della globalizzazione oppure no? E di che tipo eventualmente? Che so, delocalizzazioni o che altro? 
«La cosa più evidente è la riduzione di superfici coltivate. Difficilmente quantificabile, ma ben evidente percorrendo tutta l'area».
Tali cambiamenti, diciamo così, non strutturali e non tali da compromettere la natura distrettuale del vivaismo pistoiese, sono stati nocivi per il distretto oppure sono stati assorbiti al suo interno? 
«Assorbiti, perché non era possibile fare altrimenti».
In questo contesto, che cosa potrebbe significare la ricetta dell’aggregazione fra imprese invocata da alcuni, ad esempio il presidente della Cassa di risparmio di Pistoia? 
«Credo che l'aggregazione sia sicuramente importante, ma occorrerebbe che le aziende fossero interessate a mettere insieme qualche funzione».
Ma, portata alle estreme conseguenze, l’aggregazione delle imprese non può essere in fin dei conti contro la natura stessa di distretto? Oppure la si può fare senza snaturare il distretto?
«Credo che assieme all'aggregazione dovrebbe svilupparsi la specializzazione produttiva. Nel senso che dovrebbe esserci una minore sovrapposizione produttiva, in modo da favorire la meccanizzazione e l'automazione dei vari processi produttivi».
 
Lorenzo Sandiford
 
 

Intervista al senatore La Pietra (Commissione Agricoltura): «ho consegnato il piano nazionale del florovivaismo 2014-2016 al presidente della mia Commissione, Vallardi, ed entro metà ottobre inizieranno le audizioni delle associazioni dei florovivaisti, incluso qualche esponente del Distretto di Pistoia. L’obiettivo è un nostro disegno di legge». Riguardo alla Pac, il parlamentare pistoiese stima una riduzione di risorse del 15% a livello europeo e del 22% per l’Italia.

 
Fra i partecipanti alla “Serata del vivaismo” organizzata ieri al palazzo comunale di Pistoia dall’Associazione vivaisti italiani c’era anche il senatore Patrizio Giacomo La Pietra, membro della 9^ Commissione del Senato: “Agricoltura e produzione agroalimentare”. La Pietra, pistoiese, nel suo intervento durante l’incontro sulla situazione attuale e le prospettive del vivaismo, ha dato due notizie: 1) la sua commissione parlamentare ha preso in mano il vecchio piano triennale del florovivaismo ormai scaduto (il piano 2014-2016) e ha deciso di farsene carico avviando un confronto con gli esponenti del comparto; 2) dopo un incontro di circa due settimane fa con funzionari della Commissione europea, la stima più probabile sull’annunciata riduzione delle risorse disponibili per la prossima Pac, in seguito a Brexit, pare essere una diminuzione totale del 15%. 
Lo abbiamo sentito a margine dell’incontro per capire meglio queste due notizie che destano la massima attenzione dei florovivaisti pistoiesi e di tutto il Paese.   
Senatore mi può spiegare meglio la notizia che avete preso in mano il piano di settore? A che punto siete?
«Grazie al distretto di Pistoia, che mi aveva sollecitato sulla questione, abbiamo ritrovato il piano nazionale del florovivaismo 2014-2016, che era letteralmente in un cassetto del Ministero delle politiche agricole e del turismo (e questo testimonia anche un po’ l’interesse che il Ministero aveva fino a ieri nel comparto florovivaistico, era lì in un cassetto e nessuno l’aveva attuato di fatto). L’ho consegnato una decina di giorni fa al presidente della Commissione agricoltura del Senato, il senatore Gianpaolo Vallardi, per dargli corpo. Quindi stiamo iniziando a verificare insieme al presidente e con l’ufficio legislativo che cosa effettivamente possiamo fare partendo da quel piano, che sicuramente è un piano che per alcuni aspetti andrà rivisto, ma è un punto di partenza».
Quindi verrà affrontato per prima cosa in Parlamento, senza nessun passaggio ministeriale?
«Nelle prossime settimane credo siano già in programma le audizioni del comparto vivaistico grazie alle mie sollecitazioni».
Solo con gli esponenti del settore o anche con il Ministero?
«No, no, noi come Commissione, è un’iniziativa parlamentare. A questo punto partiamo noi».
A prescindere da quello che poi farà il Governo?
«Il nostro è anche un modo per sollecitare il Governo. Però noi come commissione parlamentare abbiamo iniziato questo percorso. Credo che già entro la metà di ottobre le massime associazioni e soggetti del vivaismo, fra cui, penso, anche qualche rappresentante del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia, saranno ascoltati dalla nostra Commissione. Da qui partiremo. Quindi avremo la base del piano 2014-16, le audizioni che faremo, per poi vedere se riusciamo come Commissione a sviluppare un disegno di legge o addirittura una legge quadro del comparto».
Proprio recentemente, durante Flormart, il responsabile del tavolo tecnico del florovivaismo Manzo aveva detto che gli obiettivi giusti ci sono nel vecchio piano, ma il problema è che è stato attuato solo in parte (vedi). Vedremo se in questa occasione riuscirete a portare novità concrete.
«Non so se questa mia iniziativa servirà. Sicuramente sta portando il comparto all’attenzione della politica, perché fino a oggi era tutto fermo».
Nel suo intervento ha fatto cenno anche ad alcune stime non incoraggianti sulla nuova Pac
«Noi abbiamo fatto un’audizione con alcuni funzionari della Commissione europea che ci hanno portato i dati per la nuova Pac che partirà nel 2021».
Quando si è svolta questa audizione esattamente?
«Circa quindici giorni fa. E innanzi tutto ci hanno confermato che sicuramente ci sarà una diminuzione degli investimenti per l’agricoltura da parte della Commissione europea».
Di quanto in generale?
«Loro stimano una diminuzione del 5%, però calcolato solo sull’ultimo anno, il 2020. Quindi noi abbiamo contestato questo dato, perché abbiamo detto che volevamo sapere quant’è la diminuzione rispetto all’intera ultima Pac. E loro a questa contestazione sono rimasti un po’ indecisi sulla risposta, ma noi avevamo già dei dati che ci portano a stimare una diminuzione intorno al 15%. Su questo bisogna che ci sia un’azione incisiva del Governo perché noi non possiamo permetterci un’ulteriore penalizzazione sui fondi europei, che poi andranno a ricadere sui Psr regionali».
Nel suo intervento ha aggiunto che probabilmente in Italia la riduzione delle risorse Pac sarà maggiore del 15%, vero?
«Sì».
Come mai e di quanto si tratta?
«E’ ancora un 6/7% in più rispetto al 15%».
Quindi per l’Italia si arriva a una riduzione del 22%?
«Esatto. Ma c’è un altro aspetto che è importante sottolineare. La Commissione europea fa un ragionamento di riduzione lineare, che concettualmente io contesto. Perché, al di là della percentuale, se questa stessa percentuale viene tolta alla Romania, alla Polonia e all’Ungheria, è chiaro che per noi è penalizzante perché i costi che noi abbiamo per la produzione dei prodotti sono molto maggiori che in quelle nazioni».
 
Lorenzo Sandiford
 
 

Intervista al responsabile del tavolo tecnico del florovivaismo del Ministero delle politiche agricole, che nel convegno di Padova sulle prospettive del settore ha ricordato che ha una plv maggiore dell’agricoltura bio e che in Italia «la qualità non è seconda a nessuno». Ecco le 11 specie di piante più presenti nei vivai identificate attraverso indagini finanziate dal Mipaaft. Alberto Manzo: «ci vuole una più costante unità d’intenti nell’attuazione del piano florovivaistico». Speculazioni anti-italiane sulla Xylella? «Un circo mediatico dei competitor», ma «ad oggi i vivai sono a posto anche in Puglia».


La sottovalutazione del settore florovivaistico in parte è da imputare anche alle associazioni di categoria agricole stesse, che parlano molto di più di agroalimentare rispetto al comparto no-food. E questo è un peccato perché la produzione lorda vendibile (plv) del florovivaismo è maggiore di quella del biologico, che pure ha tanta visibilità, e «la qualità delle piante italiane, dai fiori recisi alle alberature, non è seconda a nessuno in Europa».
E’ con queste parole che Alberto Manzo, responsabile del tavolo tecnico del settore florovivaismo del Mipaaft (Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo), ha concluso i lavori del convegno-tavola rotonda “Le nuove prospettive nazionali e internazionali del florovivaismo italiano oggi - Il contributo dell'Italia all'Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile” con cui è stato inaugurato il 19 settembre alla Fiera di Padova il 69° Flormart, il salone professionale internazionale del florovivaismo dell’architettura del paesaggio e delle infrastrutture verdi.
Un convegno durante il quale era intervenuto in precedenza con una relazione tecnica di aggiornamento sul settore nel corso della quale, oltre a quanto riassunto nel nostro servizio sul convegno a proposito di tavolo e piano triennale di settore (vedi), aveva fornito alcune informazioni interessanti illustrando il «contributo del tavolo florovivaistico al Piano nazionale sul Green public procurement (Pan Gpp)», i cosiddetti appalti a verde. Fra queste informazioni, tratte dai progetti Qualiviva e Quaprover finanziati dal Mipaaft, ad esempio, le «sei fasce climatico-vegetazionali in Italia»: fascia dell’Oleastro e del Carrubo; del Leccio; della Roverella e della Rovere; della Farnia, del Carpino e del Frassino; del Faggio; del Peccio. Ma soprattutto, a partire da un’indagine su 27 cataloghi di aziende vivaistiche nazionali che ha comportato il censimento di 19.388 prodotti diversi, una classificazione statistica delle specie più presenti nei vivai italiani, che ha confermato un’ampia biodiversità, con 3615 taxa o varietà (80,2% del totale) presenti in meno di 3 vivai. E che ha registrato al primo posto come percentuale di presenza nei vivai, con l’81%, l’Albizia julibrissin Durazz., nota anche come “acacia di Costantinopoli” o “gaggìa arborea”, seguita al secondo posto, con il 74%, da una decina di specie: Cercis siliquastrum. (siliquastro o albero di Giuda o Giudea), Ginkgo biloba (albero di capelvenere), il Ligustrum japonicum Thunb., Liriodendron tulipifera (albero dei tulipani), Pittosporum tobira W.T. Aiton, Prunus cerasifera Ehrh (amolo o mirabolano o brombolo o rusticano), Punica granatum (melograno), Quercus ilex (leccio), Styphnolobium japonicum Schott (sofora del Giappone) e Viburnum tinus (viburno tino o laurotino o lentaggine).
Al termine della tavola rotonda, abbiamo sentito Alberto Manzo per alcuni chiarimenti, a partire appunto dai possibili sviluppi riguardanti il tavolo tecnico e il piano di settore del florovivaismo, che stanno particolarmente a cuore agli operatori.
Ha fatto un cenno al fatto che col nuovo Governo sarà un pochino rivisto il tavolo tecnico, quando?
«Il tavolo tecnico sarà aggiornato, perché ormai è datato 2012 e ha bisogno di un aggiornamento nell’ambito delle varie sezioni in cui è declinato. Quindi vedremo se le varie associazioni e i vari enti che fanno parte del tavolo invieranno dei sostituti e quant’altro. Anche perché ultimamente ci sono state delle defezioni agli incontri. Ovviamente gli anni passano e c’è bisogno di aggiornarlo, così come è necessario aggiornare il piano di settore, che è scaduto nel 2016 e che ha bisogno, forse, di essere sintetizzato. Le cose ci sono già scritte, magari vanno aggiornate. Minori obiettivi ma che vengano raggiunti».
Ecco, a questo proposito, innanzi tutto quando pensa che possano avvenire questi aggiornamenti?
«L’aggiornamento del tavolo probabilmente entro la fine dell’anno ci riusciamo».
E il piano?
«Il piano di settore penso che lo faremo l’anno prossimo. Però non c’è molto da cambiare, nel senso che le cose sono scritte, vanno aggiornate e forse vanno ridotti gli obiettivi, in modo che siano pochi ma raggiungibili».
Sì, ma negli interventi e suggerimenti di oggi di esponenti delle associazioni di categoria interessate al settore non ha recepito niente di nuovo? Qualche elemento che possa modificare un po’ il piano?
«Ho sentito delle cose che non sono nuove, che sono già scritte nel piano, anche se magari sono state declinate in maniera un po’ differente, perché poi di anno in anno alcuni aspetti cambiano. In ogni caso, mi preme dire che il settore dovrebbe essere più unito. Molto spesso non lo è, e questo fa male. Io faccio sempre il confronto con il settore dell’ortofrutta. Bisogna andare uniti e condividere le situazioni. Probabilmente ci sono all’interno del settore dei non allineamenti e nel tavolo si evidenzia».
Anche se forse sono “non allineamenti” sotterranei, perché oggi ad esempio c’è stata la soddisfazione, espressa in particolare dal presidente di Confartigianato Imprese del Verde, per il fatto che adesso finalmente sono uniti. Insomma c’è qualche segnale di cambiamento in questa direzione?
«Sì, questo è vero. Quando si deve andare a fare risultato l’unità si trova, ad esempio sul problema dei requisiti della figura del manutentore del verde. Il problema è che in generale la tendenza è quella di tirare da una parte e dall’altra. Ma se si condividono gli obiettivi si devono perseguire tutti insieme e non si può pensare poi di andare su altri obiettivi che non siano quelli descritti dal piano e che vanno assolutamente perseguiti a tutti i livelli».
Riguardo ai manutentori del verde, ora sono state fatte le linee guida, le stanno più o meno seguendo nelle Regioni, però lei ha anche detto che sarebbe un ulteriore passo in avanti una legge: mi può spiegare meglio questo passaggio?
«E’ vero. Perché l’articolato, così come è scritto nel “Collegato agricolo” (art. 12, legge n. 154 del 28 luglio 2016, ndr), ha dato vita poi alle linee guida emanate in Conferenza Stato-Regioni (22 febbraio 2018, ndr) e queste sono linee guida che chiariscono i commi della legge, che invece non sono chiari. Ecco, l’idea è semplicemente di inserire ciò che abbiamo scritto nelle linee guida in una legge e quindi renderla più funzionale: una buona legge garantisce poi ovviamente una migliore applicazione».
E per arrivare a scriverla quanto ci vorrà?
«Questa è un’idea che si proporrà a livello di ufficio legislativo, poi può darsi che venga proposto come ddl (disegno di legge, ndr) di modifica di quell’articolo».
Ecco l’altra cosa molto concreta di cui ha parlato è il contributo che voi come Ministero delle politiche agricole state dando al Ministero dell’ambiente sulla legge degli “appalti a verde”: mi può spiegare?
«Sì, in effetti c’era in vigore un decreto del 2013 e devo dire, grazie anche al lavoro di Flormart, c’è stato un approccio con il responsabile del Ministero dell’ambiente e quindi abbiamo potuto utilizzare i colleghi e un gruppo di lavoro del tavolo di filiera. Ho dato i nominativi al Ministero dell’ambiente, che li ha convocati e abbiamo incominciato a fare un lavoro insieme. E devo dire che è una cosa molto positiva perché non è mai facile…».
… e voi che cosa direte al Ministero dell’ambiente, immagino solo per la parte degli appalti a verde?
«No, noi ci stiamo occupando di tutto il decreto: significa la modifica di un decreto del 2013 del Ministero dell’ambiente. Noi gli abbiamo proposto tutte le modifiche che vanno fatte, con una serie di allegati operativi che ho fatto vedere oggi nella relazione»
Sì, ma da quello che ho capito questa legge non riguarda solo gli appalti a verde, ma voi siete esperti solo sulla parte a verde..
«… ma a noi interessa che ci sia nella scelta delle piante, negli aspetti tecnici e operativi degli appalti pubblici, oltre che gli abbiamo proposto una manutenzione che vada oltre l’anno, ad almeno tre anni sui nuovi lavori. Questa è una legge che interessa non solo le amministrazioni pubbliche locali, ma anche i privati. Quindi diventa un decreto che devono seguire obbligatoriamente tutte le aziende pubbliche e private. E secondo me questo è un cambiamento epocale».
Quindi anche se comprano altri tipi di oggetti?
«No, a noi interessa la parte delle piante, perché la competenza è quella. Però c’è tutto un discorso di scelta oculata, quindi, come ho detto prima, gira molto intorno al professionista. Cioè non bisogna lasciare nulla al caso ed è funzionale l’agronomo o esperto professionista che può sicuramente risolvere e suggerire le soluzioni, l’appalto poi, l’elenco delle piante, la tipologia. Praticamente gli stiamo dando delle indicazioni complete, anche e soprattutto sulla base dei due progetti che sono stati finanziati dal Ministero e che sono dal punto di vista tecnico completi».
Ultimissima: Mati ha fatto un cenno polemico alle speculazioni degli olandesi che comprano a sconto le piante italiane boicottate dagli inglesi per poi rivendergliele (vedi)?
«Il problema grave è che prima ci mandano le piante infette, e non dico chi, e dopo di che loro fanno da tramite per esportarle in Inghilterra e ci impediscono di esportarle a noi. C’è un circo mediatico che non è simpatico a livello commerciale..».
Cioè?
«Allora, da dove è arrivata la Xylella? Dal Nord e Sud America, a seconda della tipologia di pianta, perché ci sono delle linee diverse di Xylella e la linea del batterio che è da noi è diversa da quella francese e da quella tedesca, ad esempio. Ciò significa che sono state piante diverse che hanno veicolato questo batterio. Bisogna pensare, sulla base di una decisione comunitaria, che ci sono 160 piante (erbacee e arboree) ospiti di Xylella. Ciò significa che ce lo siamo portati in casa – gli americani non l’hanno più eradicato – e ci dovremo convivere. Bisogna ragionare seriamente su una ricerca funzionale, perché altrimenti avremo grossi problemi».
Lui ha detto che è inutile tutta questa burocrazia se poi arriva di tutto...
«… andava eradicato l’inoculo che stava fino a 5 anni fa solo nel Salento. Non sono stati eradicati non solo gli alberi portatori del batterio ma anche il vettore, la sputacchina che si sta diffondendo, per cui siamo arrivati a Bari in 5 anni. Che cosa ci dobbiamo aspettare?».
Comunque per ora i vivai non sono stati toccati, vero?
«I vivai non sono stati toccati perché stanno in provincia di Bari e perché c’è un controllo importante. E’ questa la cosa che non passa a livello dei media: nei vivai c’è un controllo massimo, totale. Perché chiaramente il vivaista non vuole avere il batterio. Il problema è che c’è un’informazione negativa da parte dei competitor commerciali, che creano tutta questa situazione».
Quindi è vero quello che dice Anve sui vivai a posto in Puglia?
«Lo dice il servizio fitosanitario».

Lorenzo Sandiford

Dal salone del florovivaismo di Padova il presidente del Distretto vivaistico di Pistoia Francesco Mati contrattacca le speculazioni estere anti-italiane sulla Xylella («olandesi che acquistano a sconto le nostre piante boicottate dagli inglesi e gliele vendono») e punta il dito sui paradossi delle politiche fitosanitarie europee, fra eccessivo carico burocratico da un lato e inefficacia nel prevenire le fitopatie dall’altro.

 
Il peso ogni giorno più asfissiante della burocrazia di matrice europea per prevenire le nuove fitopatie, ma poi controlli alle dogane che fanno acqua da tutte le parti (in Italia anche per via di un numero spropositato di punti d’accesso commerciali). Come testimoniato dal caso della «presenza di Xylella fastidiosa conclamata in un’azienda spagnola che produce Polygala myrtifolia», con la conseguenza da un lato che la «Spagna non è più Xylella-free» e dall’altro l’emanazione, pochi giorni fa, di una normativa europea che appesantisce ulteriormente gli adempimenti burocratici aziendali: «tutte le piante di Poligala che vengono vendute devono essere accompagnate da un certificato fitosanitario effettuato a campione sul lotto prodotto».
Il più arrabbiato dei relatori al convegno-tavola rotonda d’apertura di Flormart 2018, “Le nuove prospettive nazionali e internazionali del florovivaismo italiano oggi”, ieri alla Fiera di Padova, era Francesco Mati, presidente del Distretto rurale vivaistico ornamentale di Pistoia, ma intervenuto nell’occasione soprattutto in qualità di responsabile nazionale “florovivaismo” di Confagricoltura. Nelle sue parole, sia durante la tavola rotonda che subito dopo al microfono del cronista di Floraviva, non sono mancate le punte polemiche e in più direzioni.
Sempre a proposito di quello che non è poi così eccessivo definire il caos fitosanitario europeo, visto il paradosso di appesantimenti burocratici senza fine che rendono dura la vita soprattutto alle piccole aziende vivaistiche e che però non riescono a impedire il diffondersi delle fitopatie, Mati ha segnalato il fenomeno speculativo generato dalle campagne comunicative contro le piante dei vivai italiani lanciate quest’anno in Gran Bretagna con la scusa della Xylella trovata in una ormai nota zona della Puglia. Ebbene, ha riferito Mati a Floraviva, «alcuni vivaisti associati mi dicono che le piante che erano destinate ai mercati inglesi vengono comprate con forti sconti (anche del 30%) da società olandesi che poi le vendono in Inghilterra come se non fossero piante italiane. Gli olandesi sono commercianti nati, molto molto bravi in questo, ma a volte anche troppo. Perché in momenti di vacche grasse magari può anche far sorridere, ma in un momento come questo, che non è certamente roseo per il settore florovivaistico, queste cose fanno arrabbiare». 
Ma i problemi con cui ha a che fare il vivaismo italiano, per Mati, non riguardano soltanto la concorrenza (più o meno sleale) estera, ma anche «lo scarso ascolto politico». Molti ancora guardano al settore come se si trattasse di attività a fini puramente decorativi: mettere «dei fiorellini sul balcone o qualche pianta in un parco». E invece, come dimostrato da vari studi, fra cui quelli presentati al convegno di Padova dal prof. Francesco Ferrini, presidente della Scuola di Agraria e docente di arboricoltura all’Università di Firenze, i benefici delle piante prodotte dai vivaisti e messe a dimora dagli operatori professionali della filiera del verde, specialmente in ambiente urbano, vanno ben al di là del piano estetico e riguardano la riduzione dell’inquinamento, la mitigazione dei danni dei cambiamenti climatici, il benessere psicofisico e persino certe forme di disagio sociale. E’ anche a causa di una non completa consapevolezza di questi aspetti, afferma Mati, se alcuni politici «snobbano il bonus verde, senza prendere sul serio il fatto che esso è anche una forma di contrasto ad attività lavorative in nero». 
Non solo, per Mati un maggiore ascolto della politica potrebbe in parte evitare «le fake news, tipo quelle per cui siccome usiamo i cosiddetti pesticidi, che in realtà sono agrofarmaci con tanto di marchio Cee, allora siamo gli inquinatori dell’ambiente». Anche se, però, in un territorio come quello pistoiese, dove il distretto ornamentale concentra 1500 aziende vivaistiche «se andiamo a vedere le principali cause di mortalità, si nota che si muore soprattutto di infarto per sovrappeso e cattiva alimentazione», non certo per la presenza di veleni, come invece succede in altre zone industriali d’Italia. «Questo non significa dire – puntualizza Mati – che il distretto pistoiese non sia interessato e non stia lavorando a migliorare la sostenibilità ambientale dei vivai di produzione, tutt’altro».
Infine, una maggiore attenzione da parte del livello politico consentirebbe di evitare, a parere del responsabile florovivaismo di Confagricoltura, di avere per anni un piano di settore dove sono indicate molte delle azioni da intraprendere, ad esempio a proposito del verde urbano, «ma il piano poi resta nel cassetto» (cioè non viene finanziato se non in minima parte, ndr). «Ogni giorno – conclude Mati – cade un albero su un’auto o una persona. E questo succede perché da noi la gran parte delle alberature risalgono ai primi del ‘900, mentre in molti altri paesi europei la sostituzione degli alberi è molto più frequente».
 
Lorenzo Sandiford
 

Intervista al sindaco di Pescia con delega all’agricoltura Oreste Giurlani su politiche agricole e floricoltura: «nel nostro territorio agricoltura e florovivaismo sono anche paesaggio e turismo, sono favorevole alla scelta governativa di legare i due settori. Inviterò al mercato dei fiori il ministro Centinaio e ci proporremo come laboratorio in tale direzione». Entro novembre iniziati o affidati tutti i lavori del Mefit. Il sindaco chiede incontro con la Regione Toscana per decidere ridefinizione o chiusura del Distretto floricolo Lucca Pistoia. A luglio riunione coi protagonisti del comparto per avviare il percorso verso il Distretto del vivaismo olivicolo pesciatino. 

 
Le politiche agricole di Pescia, a cominciare dai fiori all’occhiello del florovivaismo e del vivaismo olivicolo, ripartono da Oreste Giurlani. Tra le deleghe che il neo sindaco, rieletto al ballottaggio del 24 giugno, ha deciso di tenere per sé vi sono infatti l’agricoltura e il “Progetto Mefit”, dove “Mefit” sta per Mercato dei fiori della Toscana – città di Pescia ed è l’azienda speciale del Comune che gestisce le attività di commercio all’ingrosso di piante e fiori, e ormai anche la struttura mercatale in cui avvengono.
Floraviva lo ha intervistato, alla vigilia del suo primo sopralluogo al Mercato dei fiori nuovamente come sindaco e assessore all’agricoltura, per conoscere i suoi piani per l’agricoltura di Pescia e in particolare per il settore del florovivaismo, che conta molto sul piano di sviluppo del Mefit, avviato nel contesto di un accordo di programma con la Regione Toscana, per rilanciarsi a livello nazionale e possibilmente anche internazionale. 
Come mai, sindaco, la decisione di tenere la delega all’agricoltura?
«L’agricoltura è una delle attività economiche fondamentali di Pescia, sia per la sua storia, sia perché crea occupazione, sia perché grazie all’agricoltura si può sviluppare tutto il territorio. Questa delega è quindi necessaria per avere il controllo generale della situazione. E aggiungo che fra le deleghe mi sono tenuto quella del cosiddetto “Progetto Mefit”, uno dei due principali motori di sviluppo di Pescia, insieme al “Progetto Pinocchio”, perché l’indirizzo del Mefit, nell’ambito della cabina di regia prevista dal protocollo d’intesa e dall’accordo di programma con la Regione Toscana, sarà determinante per lo sviluppo economico del territorio»
Userete ancora il tavolo tecnico per l’agricoltura che aveva creato nel precedente mandato, il cosiddetto Pav (Pescia agricola e verde-floreale)?
«Proprio per l’importanza che hanno le attività agricole nel Comune di Pescia, c’è bisogno di questo “tavolo verde”: uno strumento tecnico-operativo, in cui sono presenti le associazioni di categoria, che aiuti l’amministrazione comunale a fare programmazione in un settore come quello agricolo in cui le competenze sono ormai quasi tutte in capo alla regione, uno strumento quindi di confronto e supporto decisionale alla nostra programmazione».
Mi può fare un esempio di supporto che vi aspettate, per capire meglio?
«In vista del Piano operativo del Comune uno dei lavori del Pav sarà raccogliere in maniera puntuale e organica le esigenze delle imprese agricole e delle associazioni che le rappresentano, così da definire meglio le linee di indirizzo da inserire nel Piano operativo per favorire il loro sviluppo. In ogni caso, ho intenzione di continuare a battere il territorio e incontrare le imprese come ho fatto in campagna elettorale, perché solo parlando direttamente con gli imprenditori si può avere il polso della situazione».
Nella delibera istitutiva del Pav si faceva cenno anche alle sinergie fra agricoltura/florovivaismo e turismo: tema attuale visto che ora il ministro dell’agricoltura avrà anche la delega al turismo. Che ne pensa? 
«Le rispondo subito, ma prima mi lasci segnalare che proporrò che il Pav, presieduto da Franco Baldaccini, possa entrare nella cabina di regia del Mefit, data l’importanza, a cui facevo cenno prima, del “Progetto Mefit” per lo sviluppo economico complessivo del territorio, agricoltura in testa, e vista la necessità quindi di coordinare le sue attività con quelle di tutte le altre imprese agricole di Pescia».
E riguardo alle sinergie agricoltura-turismo adottate dal Governo che cosa pensa?
«Dal punto di vista del territorio di Pescia, l’agricoltura e il florovivaismo sono a 360 gradi: vogliono dire anche paesaggio e turismo. Il Pav sarà con me sempre più un volano di sviluppo complessivo. Riguardo alla scelta governativa di legare agricoltura e turismo, mi trova favorevole perché sono due settori collegati. E anzi colgo l’occasione, alla luce anche delle dichiarazioni pre-elettorali del Ministro dell’Agricoltura Centinaio, per annunciare che lo inviterò presto al Mefit e sul nostro territorio agricolo. Vorremmo che Pescia fosse un laboratorio di buone pratiche in questa direzione».
A proposito di Mefit, a che punto sono i lavori sulla struttura del mercato e quali le prossime tappe?
«I progetti di adeguamento strutturale e messa a norma, con i 3 milioni della Regione Toscana e il mezzo milione del Comune di Pescia, stanno procedendo. Alcuni sono già stati eseguiti, alcuni sono stati affidati e altri in corso di affidamento. Stiamo rispettando la tempistica. L’obiettivo è che entro novembre tutti i lavori siano stati affidati e iniziati. In modo che il mercato sia presto a posto per quanto concerne il core business di commercio all’ingrosso di piante e fiori».
E il necessario progetto di valorizzazione multifunzionale della struttura del Mefit previsto dall’accordo con la Regione Toscana a che punto è?
«Entro luglio convocherò una riunione della cabina di regia per proseguire il percorso di elaborazione del progetto di fattibilità. Nell’occasione sarà messa all’ordine del giorno anche una verifica delle attività di marketing svolte da un anno e mezzo a questa parte dal Mefit».
Non si sente più parlare molto del Distretto floricolo interprovinciale Lucca – Pistoia: che cosa mi può dire in proposito?
«La legge regionale dei distretti è cambiata e quindi il distretto floricolo richiede in ogni caso un ripensamento. Propongo una riunione con i soggetti interessati, a cominciare dalla Regione Toscana e i Comuni e i mercati di fiori di Pescia e Viareggio, per capire se c’è ancora la volontà di tenerlo in piedi oppure no. Se la risposta è affermativa, allora dobbiamo aggiornare lo statuto e farlo funzionare davvero. Altrimenti meglio chiuderlo».
Infine, una domanda sull'altro fiore all’occhiello dell’agricoltura pesciatina, il vivaismo olivicolo: ci crede nel distretto dell’olivo di Pescia?
«Entro luglio vorrei convocare tutti i soggetti del comparto olivicolo del nostro territorio per avviare il percorso diretto alla creazione del distretto del vivaismo olivicolo».
 
Lorenzo Sandiford