Vis-à-vis

Il presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani Luca Magazzini, a margine dell’incontro della Regione a Firenze per l’avvio del percorso dell’Agenda 2030 verso una Toscana Sostenibile a cui sono intervenuti Enrico Rossi e l’assessore Federica Fratoni, ha sottolineato che i produttori del verde sono in prima fila: «sì, c’è bisogno di ridurre l’uso dei combustibili fossili, ma c’è anche bisogno di polmoni verdi che riducano la CO2 e l’inquinamento dell’aria nelle aree urbane».

 
«Tutto questo processo verso la sostenibilità ambientale ha senso solo se è impostato per lo sviluppo, nella cornice di uno sviluppo sostenibile, perché pensando solo alla tutela dell’ambiente senza sviluppo l’umanità non sopravvivrà lo stesso».  
E’ l’idea espressa a Floraviva dal presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani Luca Magazzini concludendo una breve intervista dopo l’incontro “Agenda 2030: verso una Toscana sostenibile” organizzato ieri a Firenze a palazzo Strozzi Sacrati dall’assessorato all’ambiente della Regione Toscana. 
Un concetto in linea con quanto dichiarato dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, che nel suo intervento di chiusura ha affermato che la questione della tutela ambientale non deve tradursi in ideologia anti-sviluppo: dobbiamo avere fiducia nel fatto che il buon governo e le tecnologie possano risolvere le ferite inferte alla natura e «credere nel progresso». Anche perché «fermare qualcosa non è una risposta: se non intervieni, non rimargini la ferita». Rossi si è detto convinto che potremo produrre proposte valide per il futuro dell'ambiente, utili a imprimere un cambiamento ancora più convinto di quanto non sia avvenuto finora, sia nelle politiche a livello regionale, sia a livello nazionale che europeo. La Toscana, all’avanguardia sul controllo del consumo del suolo, grazie alla legge 65 sul governo del territorio che sta contribuendo a salvare il paesaggio toscano per le generazioni future, a suo avviso deve ambire a fare altrettanto nell’economia circolare, dove ancora si può migliorare, ad esempio sul fronte della gestione dei rifiuti. Riguardo poi l'energia, Rossi ha ribadito che la geotermia è l'energia principe della Toscana, quella su cui può puntare per diventare una regione “carbon neutral” entro il 2050.
Come aveva dichiarato l'assessore regionale all'ambiente Federica Fratoni in apertura, la strategia della Toscana sull'ambiente è già chiara, sia su rifiuti che sulla qualità dell'aria, così come per le azioni da intraprendere per raggiungere quel traguardo nel 2050. Quello che ha preso avvio oggi, ha spiegato, è un percorso partecipativo, che prevede tra l’altro l’istituzione di un “Forum della Sostenibilità”, da lei presieduto, che consentirà di costruire tutti insieme una strategia complessiva di sostenibilità che faccia patrimonio comune di tutti quei contributi, quelle buone pratiche, quegli spunti che possano arrivare dalla società civile. Una strategia che si può costruire nell'alveo di una strategia nazionale, che si compone dei vari tasselli regionali ma che poi potrà contare sul contributo del mondo accademico e delle varie articolazioni della società. Con l’attivazione di forum sia virtuali che territoriali e l’utilizzo dei social media.
Luca Magazzini ha precisato a Floraviva innanzi tutto che «con questo nuovo mandato il Consiglio dell’Associazione Vivaisti Italiani scommette sullo sviluppo sostenibile larga parte del futuro del settore. Questo vuol dire innovazione di processo, alternative ai prodotti della chimica di sintesi e in generale meno impatto ambientale. Ci lavoriamo ogni giorno. Nel nostro sistema produttivo è già iniziato il cambiamento: le aziende continuano a fare test sì, ma proprio per arrivare a un cambiamento massiccio: dalle pacciamature fino all’uso degli erbicidi». «Se saremo chiamati a partecipare – ha poi rimarcato il presidente dei Vivaisti Italiani -  lo faremo consapevoli che la risposta del verde è una risposta necessaria per l’abbattimento della CO2. Sì c’è bisogno di ridurre l’uso dei combustibili fossili, ma c’è anche bisogno di polmoni verdi, in particolare nelle aree urbane. In questo contesto, in quanto produttori del verde, siamo in potenza uno dei soggetti più interessati a questo percorso, perché senza chi produce le piante, sarà impossibile arrivare al traguardo. Siamo quindi interessati sia come cittadini che come produttori. Anche se poi all’interno delle nostre produzioni ci sarà da distinguere quelle più adatte a ridurre le varie forme di inquinamento, fra cui anche le polveri sottili».
E sulla circolarità? Ad esempio per quanto concerne la plastica, tema sentitissimo in questi mesi in Olanda, il Paese leader mondiale del commercio di piante e fiori, che cosa pensa?
«Riguardo alla plastica noi già ora ne abbiamo quasi abbandonato l’utilizzo: usiamo teli di juta biologica per contenere le piante in zolla e quando si usano i contenitori in plastica provengono spesso dall’industria del riciclo, sono plastica riciclata. E poi adoperiamo sempre di più contenitori in legno più o meno pregiato, quando non in cotto dell’Impruneta, sia per la maggiore attrattività estetica che per il valore aggiunto sul piano commerciale. Molte di queste innovazioni nascono proprio così nella ricerca di un valore aggiunto per le nostre produzioni e sono sostenibili».
Ma si può migliorare?
«Certo, possiamo fare di più. E in tale prospettiva, in particolare per un’ulteriore riduzione della chimica, c’è bisogno anche di modifiche ad hoc normative, ad esempio rispetto ai regolamenti urbanistici. L’auspicio nostro è che questo indirizzo innovativo sia portato avanti in modo chiaro da soggetti istituzionali, fuori da una mera logica di iniziative facoltative e volontarie. E in effetti lo scopo del processo avviato stamani dalla Regione Toscana mi pare proprio quello di introdurre norme, vincoli obbligatori sulla strada dello sviluppo sostenibile, obbligatori ma condivisi, frutto di processi partecipati».
 
L.S.
 
 

Intervista a Renato Ferretti, qui sentito in veste di opinion leader del settore florovivaistico a livello nazionale. Per lui un’aggregazione di imprese compatibile con la natura di vero distretto (di «becattiniana memoria») del vivaismo ornamentale pistoiese è praticabile, purché accompagnata da più specializzazioni produttive e meccanizzazione dei processi. Ma le aziende devono essere disposte a mettere assieme alcune funzioni.

 
Prima i dati positivi dell’export del Distretto vivaistico ornamentale nel I semestre di quest’anno presentati dal presidente della Cassa di risparmio di Pistoia e della Lucchesia Francesco Ciampi, economista dell’Università di Firenze, durante la “Serata del vivaismo”, organizzata a Pistoia il 27 settembre dall’Associazione vivaisti italiani presieduta da Vannino Vannucci. Due giorni dopo il grido d’allarme dei vivaisti di Cia Toscana Centro, prevalentemente piccoli o medi subfornitori delle grandi aziende del comparto, che hanno segnalato cali degli ordini e in generale un andamento negativo conseguente alla crisi creditizia provocata dal fallimento dei Vivai Sandro Bruschi, che hanno lasciato un buco di circa 10 milioni di euro fra decine e decine di medi e piccoli vivaisti del distretto pistoiese. E addirittura hanno manifestato la preoccupazione che qualcosa non stia più funzionando per il verso giusto lungo la catena della filiera distrettuale. 
Floraviva ha cercato di fare il punto della situazione con uno dei maggiori esperti di vivaismo e distretto ornamentale pistoiese, Renato Ferretti, già presidente del Cespevi (Centro di sperimentazione per il vivaismo), dirigente della Provincia impegnato nella pianificazione territoriale e agronomo di recente eletto nel Consiglio dell’ordine nazionale, il Conaf. Ferretti, convinto che non sia ancora possibile fare una valutazione precisa degli effetti permanenti del fallimento Bruschi nel tessuto distrettuale, ha accettato comunque di risponderci a proposito delle dinamiche “strutturali” che stanno attraversando il distretto e sulla possibile direzione di marcia per un suo rilancio, sulla quale, anche nel corso della “Serata del vivaismo”, erano emerse delle valutazioni apparentemente discordanti, in relazione in particolare alla questione della necessità o meno di più aggregazioni di imprese (vedi nostro servizio). 
Dott. Ferretti, a prescindere dal caso Bruschi e dal relativo buco di diversi milioni di euro, i cui effetti non è ancora facile comprendere appieno, come stava prima che scoppiasse il caso, o sta per così dire a livello strutturale, il distretto di Pistoia? 
«Nel corso del 2017 e del 2018 ci sono stati segnali di ripresa sul piano commerciale. Certamente il distretto ha perso diverse aziende in questi anni (Tesi Ubaldo, Matteini, Palandri, Gabellini, ed infine Bruschi) avviando sicuramente un processo di concentrazione produttiva».
Più nello specifico, è ancora un distretto in senso stretto, cioè non solo un’area produttiva genericamente concentrata su un unico comparto, ma caratterizzata da un sistema produttivo costituito da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, tendenti all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva oppure no? In altre parole, queste integrazioni orizzontali fra specializzazioni confinanti e verticale fra segmenti della filiera sono ancora presenti oppure sono state compromesse da delocalizzazioni produttive o altri fenomeni conseguenti alla globalizzazione del mercato?
«E’ ancora un distretto di “becattiniana" memoria» (citazione di Giacomo Becattini, l'economista fiorentino noto per gli studi sui distretti industriali, ndr).
Si stanno comunque verificando cambiamenti significativi negli ultimi anni per effetto della globalizzazione oppure no? E di che tipo eventualmente? Che so, delocalizzazioni o che altro? 
«La cosa più evidente è la riduzione di superfici coltivate. Difficilmente quantificabile, ma ben evidente percorrendo tutta l'area».
Tali cambiamenti, diciamo così, non strutturali e non tali da compromettere la natura distrettuale del vivaismo pistoiese, sono stati nocivi per il distretto oppure sono stati assorbiti al suo interno? 
«Assorbiti, perché non era possibile fare altrimenti».
In questo contesto, che cosa potrebbe significare la ricetta dell’aggregazione fra imprese invocata da alcuni, ad esempio il presidente della Cassa di risparmio di Pistoia? 
«Credo che l'aggregazione sia sicuramente importante, ma occorrerebbe che le aziende fossero interessate a mettere insieme qualche funzione».
Ma, portata alle estreme conseguenze, l’aggregazione delle imprese non può essere in fin dei conti contro la natura stessa di distretto? Oppure la si può fare senza snaturare il distretto?
«Credo che assieme all'aggregazione dovrebbe svilupparsi la specializzazione produttiva. Nel senso che dovrebbe esserci una minore sovrapposizione produttiva, in modo da favorire la meccanizzazione e l'automazione dei vari processi produttivi».
 
Lorenzo Sandiford
 
 

Intervista al senatore La Pietra (Commissione Agricoltura): «ho consegnato il piano nazionale del florovivaismo 2014-2016 al presidente della mia Commissione, Vallardi, ed entro metà ottobre inizieranno le audizioni delle associazioni dei florovivaisti, incluso qualche esponente del Distretto di Pistoia. L’obiettivo è un nostro disegno di legge». Riguardo alla Pac, il parlamentare pistoiese stima una riduzione di risorse del 15% a livello europeo e del 22% per l’Italia.

 
Fra i partecipanti alla “Serata del vivaismo” organizzata ieri al palazzo comunale di Pistoia dall’Associazione vivaisti italiani c’era anche il senatore Patrizio Giacomo La Pietra, membro della 9^ Commissione del Senato: “Agricoltura e produzione agroalimentare”. La Pietra, pistoiese, nel suo intervento durante l’incontro sulla situazione attuale e le prospettive del vivaismo, ha dato due notizie: 1) la sua commissione parlamentare ha preso in mano il vecchio piano triennale del florovivaismo ormai scaduto (il piano 2014-2016) e ha deciso di farsene carico avviando un confronto con gli esponenti del comparto; 2) dopo un incontro di circa due settimane fa con funzionari della Commissione europea, la stima più probabile sull’annunciata riduzione delle risorse disponibili per la prossima Pac, in seguito a Brexit, pare essere una diminuzione totale del 15%. 
Lo abbiamo sentito a margine dell’incontro per capire meglio queste due notizie che destano la massima attenzione dei florovivaisti pistoiesi e di tutto il Paese.   
Senatore mi può spiegare meglio la notizia che avete preso in mano il piano di settore? A che punto siete?
«Grazie al distretto di Pistoia, che mi aveva sollecitato sulla questione, abbiamo ritrovato il piano nazionale del florovivaismo 2014-2016, che era letteralmente in un cassetto del Ministero delle politiche agricole e del turismo (e questo testimonia anche un po’ l’interesse che il Ministero aveva fino a ieri nel comparto florovivaistico, era lì in un cassetto e nessuno l’aveva attuato di fatto). L’ho consegnato una decina di giorni fa al presidente della Commissione agricoltura del Senato, il senatore Gianpaolo Vallardi, per dargli corpo. Quindi stiamo iniziando a verificare insieme al presidente e con l’ufficio legislativo che cosa effettivamente possiamo fare partendo da quel piano, che sicuramente è un piano che per alcuni aspetti andrà rivisto, ma è un punto di partenza».
Quindi verrà affrontato per prima cosa in Parlamento, senza nessun passaggio ministeriale?
«Nelle prossime settimane credo siano già in programma le audizioni del comparto vivaistico grazie alle mie sollecitazioni».
Solo con gli esponenti del settore o anche con il Ministero?
«No, no, noi come Commissione, è un’iniziativa parlamentare. A questo punto partiamo noi».
A prescindere da quello che poi farà il Governo?
«Il nostro è anche un modo per sollecitare il Governo. Però noi come commissione parlamentare abbiamo iniziato questo percorso. Credo che già entro la metà di ottobre le massime associazioni e soggetti del vivaismo, fra cui, penso, anche qualche rappresentante del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia, saranno ascoltati dalla nostra Commissione. Da qui partiremo. Quindi avremo la base del piano 2014-16, le audizioni che faremo, per poi vedere se riusciamo come Commissione a sviluppare un disegno di legge o addirittura una legge quadro del comparto».
Proprio recentemente, durante Flormart, il responsabile del tavolo tecnico del florovivaismo Manzo aveva detto che gli obiettivi giusti ci sono nel vecchio piano, ma il problema è che è stato attuato solo in parte (vedi). Vedremo se in questa occasione riuscirete a portare novità concrete.
«Non so se questa mia iniziativa servirà. Sicuramente sta portando il comparto all’attenzione della politica, perché fino a oggi era tutto fermo».
Nel suo intervento ha fatto cenno anche ad alcune stime non incoraggianti sulla nuova Pac
«Noi abbiamo fatto un’audizione con alcuni funzionari della Commissione europea che ci hanno portato i dati per la nuova Pac che partirà nel 2021».
Quando si è svolta questa audizione esattamente?
«Circa quindici giorni fa. E innanzi tutto ci hanno confermato che sicuramente ci sarà una diminuzione degli investimenti per l’agricoltura da parte della Commissione europea».
Di quanto in generale?
«Loro stimano una diminuzione del 5%, però calcolato solo sull’ultimo anno, il 2020. Quindi noi abbiamo contestato questo dato, perché abbiamo detto che volevamo sapere quant’è la diminuzione rispetto all’intera ultima Pac. E loro a questa contestazione sono rimasti un po’ indecisi sulla risposta, ma noi avevamo già dei dati che ci portano a stimare una diminuzione intorno al 15%. Su questo bisogna che ci sia un’azione incisiva del Governo perché noi non possiamo permetterci un’ulteriore penalizzazione sui fondi europei, che poi andranno a ricadere sui Psr regionali».
Nel suo intervento ha aggiunto che probabilmente in Italia la riduzione delle risorse Pac sarà maggiore del 15%, vero?
«Sì».
Come mai e di quanto si tratta?
«E’ ancora un 6/7% in più rispetto al 15%».
Quindi per l’Italia si arriva a una riduzione del 22%?
«Esatto. Ma c’è un altro aspetto che è importante sottolineare. La Commissione europea fa un ragionamento di riduzione lineare, che concettualmente io contesto. Perché, al di là della percentuale, se questa stessa percentuale viene tolta alla Romania, alla Polonia e all’Ungheria, è chiaro che per noi è penalizzante perché i costi che noi abbiamo per la produzione dei prodotti sono molto maggiori che in quelle nazioni».
 
Lorenzo Sandiford
 
 

Intervista al responsabile del tavolo tecnico del florovivaismo del Ministero delle politiche agricole, che nel convegno di Padova sulle prospettive del settore ha ricordato che ha una plv maggiore dell’agricoltura bio e che in Italia «la qualità non è seconda a nessuno». Ecco le 11 specie di piante più presenti nei vivai identificate attraverso indagini finanziate dal Mipaaft. Alberto Manzo: «ci vuole una più costante unità d’intenti nell’attuazione del piano florovivaistico». Speculazioni anti-italiane sulla Xylella? «Un circo mediatico dei competitor», ma «ad oggi i vivai sono a posto anche in Puglia».


La sottovalutazione del settore florovivaistico in parte è da imputare anche alle associazioni di categoria agricole stesse, che parlano molto di più di agroalimentare rispetto al comparto no-food. E questo è un peccato perché la produzione lorda vendibile (plv) del florovivaismo è maggiore di quella del biologico, che pure ha tanta visibilità, e «la qualità delle piante italiane, dai fiori recisi alle alberature, non è seconda a nessuno in Europa».
E’ con queste parole che Alberto Manzo, responsabile del tavolo tecnico del settore florovivaismo del Mipaaft (Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo), ha concluso i lavori del convegno-tavola rotonda “Le nuove prospettive nazionali e internazionali del florovivaismo italiano oggi - Il contributo dell'Italia all'Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile” con cui è stato inaugurato il 19 settembre alla Fiera di Padova il 69° Flormart, il salone professionale internazionale del florovivaismo dell’architettura del paesaggio e delle infrastrutture verdi.
Un convegno durante il quale era intervenuto in precedenza con una relazione tecnica di aggiornamento sul settore nel corso della quale, oltre a quanto riassunto nel nostro servizio sul convegno a proposito di tavolo e piano triennale di settore (vedi), aveva fornito alcune informazioni interessanti illustrando il «contributo del tavolo florovivaistico al Piano nazionale sul Green public procurement (Pan Gpp)», i cosiddetti appalti a verde. Fra queste informazioni, tratte dai progetti Qualiviva e Quaprover finanziati dal Mipaaft, ad esempio, le «sei fasce climatico-vegetazionali in Italia»: fascia dell’Oleastro e del Carrubo; del Leccio; della Roverella e della Rovere; della Farnia, del Carpino e del Frassino; del Faggio; del Peccio. Ma soprattutto, a partire da un’indagine su 27 cataloghi di aziende vivaistiche nazionali che ha comportato il censimento di 19.388 prodotti diversi, una classificazione statistica delle specie più presenti nei vivai italiani, che ha confermato un’ampia biodiversità, con 3615 taxa o varietà (80,2% del totale) presenti in meno di 3 vivai. E che ha registrato al primo posto come percentuale di presenza nei vivai, con l’81%, l’Albizia julibrissin Durazz., nota anche come “acacia di Costantinopoli” o “gaggìa arborea”, seguita al secondo posto, con il 74%, da una decina di specie: Cercis siliquastrum. (siliquastro o albero di Giuda o Giudea), Ginkgo biloba (albero di capelvenere), il Ligustrum japonicum Thunb., Liriodendron tulipifera (albero dei tulipani), Pittosporum tobira W.T. Aiton, Prunus cerasifera Ehrh (amolo o mirabolano o brombolo o rusticano), Punica granatum (melograno), Quercus ilex (leccio), Styphnolobium japonicum Schott (sofora del Giappone) e Viburnum tinus (viburno tino o laurotino o lentaggine).
Al termine della tavola rotonda, abbiamo sentito Alberto Manzo per alcuni chiarimenti, a partire appunto dai possibili sviluppi riguardanti il tavolo tecnico e il piano di settore del florovivaismo, che stanno particolarmente a cuore agli operatori.
Ha fatto un cenno al fatto che col nuovo Governo sarà un pochino rivisto il tavolo tecnico, quando?
«Il tavolo tecnico sarà aggiornato, perché ormai è datato 2012 e ha bisogno di un aggiornamento nell’ambito delle varie sezioni in cui è declinato. Quindi vedremo se le varie associazioni e i vari enti che fanno parte del tavolo invieranno dei sostituti e quant’altro. Anche perché ultimamente ci sono state delle defezioni agli incontri. Ovviamente gli anni passano e c’è bisogno di aggiornarlo, così come è necessario aggiornare il piano di settore, che è scaduto nel 2016 e che ha bisogno, forse, di essere sintetizzato. Le cose ci sono già scritte, magari vanno aggiornate. Minori obiettivi ma che vengano raggiunti».
Ecco, a questo proposito, innanzi tutto quando pensa che possano avvenire questi aggiornamenti?
«L’aggiornamento del tavolo probabilmente entro la fine dell’anno ci riusciamo».
E il piano?
«Il piano di settore penso che lo faremo l’anno prossimo. Però non c’è molto da cambiare, nel senso che le cose sono scritte, vanno aggiornate e forse vanno ridotti gli obiettivi, in modo che siano pochi ma raggiungibili».
Sì, ma negli interventi e suggerimenti di oggi di esponenti delle associazioni di categoria interessate al settore non ha recepito niente di nuovo? Qualche elemento che possa modificare un po’ il piano?
«Ho sentito delle cose che non sono nuove, che sono già scritte nel piano, anche se magari sono state declinate in maniera un po’ differente, perché poi di anno in anno alcuni aspetti cambiano. In ogni caso, mi preme dire che il settore dovrebbe essere più unito. Molto spesso non lo è, e questo fa male. Io faccio sempre il confronto con il settore dell’ortofrutta. Bisogna andare uniti e condividere le situazioni. Probabilmente ci sono all’interno del settore dei non allineamenti e nel tavolo si evidenzia».
Anche se forse sono “non allineamenti” sotterranei, perché oggi ad esempio c’è stata la soddisfazione, espressa in particolare dal presidente di Confartigianato Imprese del Verde, per il fatto che adesso finalmente sono uniti. Insomma c’è qualche segnale di cambiamento in questa direzione?
«Sì, questo è vero. Quando si deve andare a fare risultato l’unità si trova, ad esempio sul problema dei requisiti della figura del manutentore del verde. Il problema è che in generale la tendenza è quella di tirare da una parte e dall’altra. Ma se si condividono gli obiettivi si devono perseguire tutti insieme e non si può pensare poi di andare su altri obiettivi che non siano quelli descritti dal piano e che vanno assolutamente perseguiti a tutti i livelli».
Riguardo ai manutentori del verde, ora sono state fatte le linee guida, le stanno più o meno seguendo nelle Regioni, però lei ha anche detto che sarebbe un ulteriore passo in avanti una legge: mi può spiegare meglio questo passaggio?
«E’ vero. Perché l’articolato, così come è scritto nel “Collegato agricolo” (art. 12, legge n. 154 del 28 luglio 2016, ndr), ha dato vita poi alle linee guida emanate in Conferenza Stato-Regioni (22 febbraio 2018, ndr) e queste sono linee guida che chiariscono i commi della legge, che invece non sono chiari. Ecco, l’idea è semplicemente di inserire ciò che abbiamo scritto nelle linee guida in una legge e quindi renderla più funzionale: una buona legge garantisce poi ovviamente una migliore applicazione».
E per arrivare a scriverla quanto ci vorrà?
«Questa è un’idea che si proporrà a livello di ufficio legislativo, poi può darsi che venga proposto come ddl (disegno di legge, ndr) di modifica di quell’articolo».
Ecco l’altra cosa molto concreta di cui ha parlato è il contributo che voi come Ministero delle politiche agricole state dando al Ministero dell’ambiente sulla legge degli “appalti a verde”: mi può spiegare?
«Sì, in effetti c’era in vigore un decreto del 2013 e devo dire, grazie anche al lavoro di Flormart, c’è stato un approccio con il responsabile del Ministero dell’ambiente e quindi abbiamo potuto utilizzare i colleghi e un gruppo di lavoro del tavolo di filiera. Ho dato i nominativi al Ministero dell’ambiente, che li ha convocati e abbiamo incominciato a fare un lavoro insieme. E devo dire che è una cosa molto positiva perché non è mai facile…».
… e voi che cosa direte al Ministero dell’ambiente, immagino solo per la parte degli appalti a verde?
«No, noi ci stiamo occupando di tutto il decreto: significa la modifica di un decreto del 2013 del Ministero dell’ambiente. Noi gli abbiamo proposto tutte le modifiche che vanno fatte, con una serie di allegati operativi che ho fatto vedere oggi nella relazione»
Sì, ma da quello che ho capito questa legge non riguarda solo gli appalti a verde, ma voi siete esperti solo sulla parte a verde..
«… ma a noi interessa che ci sia nella scelta delle piante, negli aspetti tecnici e operativi degli appalti pubblici, oltre che gli abbiamo proposto una manutenzione che vada oltre l’anno, ad almeno tre anni sui nuovi lavori. Questa è una legge che interessa non solo le amministrazioni pubbliche locali, ma anche i privati. Quindi diventa un decreto che devono seguire obbligatoriamente tutte le aziende pubbliche e private. E secondo me questo è un cambiamento epocale».
Quindi anche se comprano altri tipi di oggetti?
«No, a noi interessa la parte delle piante, perché la competenza è quella. Però c’è tutto un discorso di scelta oculata, quindi, come ho detto prima, gira molto intorno al professionista. Cioè non bisogna lasciare nulla al caso ed è funzionale l’agronomo o esperto professionista che può sicuramente risolvere e suggerire le soluzioni, l’appalto poi, l’elenco delle piante, la tipologia. Praticamente gli stiamo dando delle indicazioni complete, anche e soprattutto sulla base dei due progetti che sono stati finanziati dal Ministero e che sono dal punto di vista tecnico completi».
Ultimissima: Mati ha fatto un cenno polemico alle speculazioni degli olandesi che comprano a sconto le piante italiane boicottate dagli inglesi per poi rivendergliele (vedi)?
«Il problema grave è che prima ci mandano le piante infette, e non dico chi, e dopo di che loro fanno da tramite per esportarle in Inghilterra e ci impediscono di esportarle a noi. C’è un circo mediatico che non è simpatico a livello commerciale..».
Cioè?
«Allora, da dove è arrivata la Xylella? Dal Nord e Sud America, a seconda della tipologia di pianta, perché ci sono delle linee diverse di Xylella e la linea del batterio che è da noi è diversa da quella francese e da quella tedesca, ad esempio. Ciò significa che sono state piante diverse che hanno veicolato questo batterio. Bisogna pensare, sulla base di una decisione comunitaria, che ci sono 160 piante (erbacee e arboree) ospiti di Xylella. Ciò significa che ce lo siamo portati in casa – gli americani non l’hanno più eradicato – e ci dovremo convivere. Bisogna ragionare seriamente su una ricerca funzionale, perché altrimenti avremo grossi problemi».
Lui ha detto che è inutile tutta questa burocrazia se poi arriva di tutto...
«… andava eradicato l’inoculo che stava fino a 5 anni fa solo nel Salento. Non sono stati eradicati non solo gli alberi portatori del batterio ma anche il vettore, la sputacchina che si sta diffondendo, per cui siamo arrivati a Bari in 5 anni. Che cosa ci dobbiamo aspettare?».
Comunque per ora i vivai non sono stati toccati, vero?
«I vivai non sono stati toccati perché stanno in provincia di Bari e perché c’è un controllo importante. E’ questa la cosa che non passa a livello dei media: nei vivai c’è un controllo massimo, totale. Perché chiaramente il vivaista non vuole avere il batterio. Il problema è che c’è un’informazione negativa da parte dei competitor commerciali, che creano tutta questa situazione».
Quindi è vero quello che dice Anve sui vivai a posto in Puglia?
«Lo dice il servizio fitosanitario».

Lorenzo Sandiford

Dal salone del florovivaismo di Padova il presidente del Distretto vivaistico di Pistoia Francesco Mati contrattacca le speculazioni estere anti-italiane sulla Xylella («olandesi che acquistano a sconto le nostre piante boicottate dagli inglesi e gliele vendono») e punta il dito sui paradossi delle politiche fitosanitarie europee, fra eccessivo carico burocratico da un lato e inefficacia nel prevenire le fitopatie dall’altro.

 
Il peso ogni giorno più asfissiante della burocrazia di matrice europea per prevenire le nuove fitopatie, ma poi controlli alle dogane che fanno acqua da tutte le parti (in Italia anche per via di un numero spropositato di punti d’accesso commerciali). Come testimoniato dal caso della «presenza di Xylella fastidiosa conclamata in un’azienda spagnola che produce Polygala myrtifolia», con la conseguenza da un lato che la «Spagna non è più Xylella-free» e dall’altro l’emanazione, pochi giorni fa, di una normativa europea che appesantisce ulteriormente gli adempimenti burocratici aziendali: «tutte le piante di Poligala che vengono vendute devono essere accompagnate da un certificato fitosanitario effettuato a campione sul lotto prodotto».
Il più arrabbiato dei relatori al convegno-tavola rotonda d’apertura di Flormart 2018, “Le nuove prospettive nazionali e internazionali del florovivaismo italiano oggi”, ieri alla Fiera di Padova, era Francesco Mati, presidente del Distretto rurale vivaistico ornamentale di Pistoia, ma intervenuto nell’occasione soprattutto in qualità di responsabile nazionale “florovivaismo” di Confagricoltura. Nelle sue parole, sia durante la tavola rotonda che subito dopo al microfono del cronista di Floraviva, non sono mancate le punte polemiche e in più direzioni.
Sempre a proposito di quello che non è poi così eccessivo definire il caos fitosanitario europeo, visto il paradosso di appesantimenti burocratici senza fine che rendono dura la vita soprattutto alle piccole aziende vivaistiche e che però non riescono a impedire il diffondersi delle fitopatie, Mati ha segnalato il fenomeno speculativo generato dalle campagne comunicative contro le piante dei vivai italiani lanciate quest’anno in Gran Bretagna con la scusa della Xylella trovata in una ormai nota zona della Puglia. Ebbene, ha riferito Mati a Floraviva, «alcuni vivaisti associati mi dicono che le piante che erano destinate ai mercati inglesi vengono comprate con forti sconti (anche del 30%) da società olandesi che poi le vendono in Inghilterra come se non fossero piante italiane. Gli olandesi sono commercianti nati, molto molto bravi in questo, ma a volte anche troppo. Perché in momenti di vacche grasse magari può anche far sorridere, ma in un momento come questo, che non è certamente roseo per il settore florovivaistico, queste cose fanno arrabbiare». 
Ma i problemi con cui ha a che fare il vivaismo italiano, per Mati, non riguardano soltanto la concorrenza (più o meno sleale) estera, ma anche «lo scarso ascolto politico». Molti ancora guardano al settore come se si trattasse di attività a fini puramente decorativi: mettere «dei fiorellini sul balcone o qualche pianta in un parco». E invece, come dimostrato da vari studi, fra cui quelli presentati al convegno di Padova dal prof. Francesco Ferrini, presidente della Scuola di Agraria e docente di arboricoltura all’Università di Firenze, i benefici delle piante prodotte dai vivaisti e messe a dimora dagli operatori professionali della filiera del verde, specialmente in ambiente urbano, vanno ben al di là del piano estetico e riguardano la riduzione dell’inquinamento, la mitigazione dei danni dei cambiamenti climatici, il benessere psicofisico e persino certe forme di disagio sociale. E’ anche a causa di una non completa consapevolezza di questi aspetti, afferma Mati, se alcuni politici «snobbano il bonus verde, senza prendere sul serio il fatto che esso è anche una forma di contrasto ad attività lavorative in nero». 
Non solo, per Mati un maggiore ascolto della politica potrebbe in parte evitare «le fake news, tipo quelle per cui siccome usiamo i cosiddetti pesticidi, che in realtà sono agrofarmaci con tanto di marchio Cee, allora siamo gli inquinatori dell’ambiente». Anche se, però, in un territorio come quello pistoiese, dove il distretto ornamentale concentra 1500 aziende vivaistiche «se andiamo a vedere le principali cause di mortalità, si nota che si muore soprattutto di infarto per sovrappeso e cattiva alimentazione», non certo per la presenza di veleni, come invece succede in altre zone industriali d’Italia. «Questo non significa dire – puntualizza Mati – che il distretto pistoiese non sia interessato e non stia lavorando a migliorare la sostenibilità ambientale dei vivai di produzione, tutt’altro».
Infine, una maggiore attenzione da parte del livello politico consentirebbe di evitare, a parere del responsabile florovivaismo di Confagricoltura, di avere per anni un piano di settore dove sono indicate molte delle azioni da intraprendere, ad esempio a proposito del verde urbano, «ma il piano poi resta nel cassetto» (cioè non viene finanziato se non in minima parte, ndr). «Ogni giorno – conclude Mati – cade un albero su un’auto o una persona. E questo succede perché da noi la gran parte delle alberature risalgono ai primi del ‘900, mentre in molti altri paesi europei la sostituzione degli alberi è molto più frequente».
 
Lorenzo Sandiford