Vis-à-vis
- Dettagli
- Scritto da Lorenzo Sandiford
In visita al padiglione toscano di Vinitaly, La Pietra si è detto fiducioso su 2 sfide cruciali per il settore: sostenibilità e stop ad etichette allarmistiche.
Lorenzo Sandiford
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Intervista a Roberto Scalacci, capo della Direz. Agricoltura e sviluppo rurale della Toscana, sui bandi appetibili per i vivaisti e le nuove politiche agricole.
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Breve intervista a margine del convegno dei Georgofili sull’olivicoltura al prof. Riccardo Gucci, presidente dell’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio.
Molti esponenti di spicco nel panorama nazionale degli studi sull’olivicoltura all’incontro del 29 settembre scorso organizzato dall’Accademia dei Georgofili e dal Collegio nazionale dei periti agrari sul tema “Olivicoltura oggi e domani: tradizionale, intensiva, superintensiva. Opportunità e criticità a confronto nei vari contesti” (vedi). Fra questi il prof. Riccardo Gucci, georgofilo, ordinario di Coltivazioni arboree dell’Università di Pisa e presidente dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio. Lo abbiamo intervistato al volo, subito dopo il termine del convegno.
Un bilancio dell’incontro, professore?
«Il tema era sicuramente di interesse. Gli interventi con gli specifici ambiti di approfondimento sugli aspetti della ricerca, sugli aspetti della professione, mi sembra che siano venuti fuori. Le domande di tanti partecipanti a distanza e anche la buona presenza in sala ci sono state. Io penso che sull’olivicoltura ci sia molto interesse, e anche molte prospettive, nonostante che la situazione che si è vista non sia rose e fiori, anzi».
Secondo lei quali sono, se sono emerse, le divergenze maggiori fra gli studiosi ed esperti sulle prospettive dell’olivicoltura italiana, al di là del consenso su un approccio pluralistico e teso a migliorare la produzione?
«Io vedo che rispetto al passato c’è una forte convergenza di opinioni. Questo non vuol dire che tutti diciamo le stesse cose. Ma il motivo è intrinseco nel sistema colturale. Cioè quando diciamo che se guardiamo a livello provinciale, regionale, nazionale, dobbiamo cercare di valorizzare le nostre varietà è guardando non di qui ai prossimi tre anni, ma fra 10/15 anni: il nostro olio così apprezzato lo vogliamo livellare su un paio di varietà coltivate in tutto il mondo? Chiunque capisca un po’ di marketing del prodotto dice: state attenti, voi avete un prodotto che è molto apprezzato e che spunta dei prezzi migliori, se vi livellate in basso i rischi sono grossi. Allo stesso tempo però, questo discorso qui non vuol dire precludere a un’azienda che magari vede le condizioni opportune anche con la varietà straniera di raggiungere i suoi obiettivi di mercato: non è né illegale, né immorale, non dobbiamo avere pregiudizi. La politica aziendale può essere tale da giustificarlo pienamente. So di iniziative per esempio di gruppi grossi che puntando sulle varietà straniere col superintensivo, vogliono produrre oli di buona qualità in Italia biologici a prezzi contenuti, cioè da essere disponibili per dei consumatori…»
…dove?
«Ci sono in Toscana, nel Lazio, in Umbria, ce ne sono tante. E io questo lo condivido, perché l’idea che noi dobbiamo fare un prodotto di eccellenza e di nicchia, che anche in Italia solo il 10% della popolazione può permettersi, secondo me non è l’idea giusta. Noi il buon prodotto alimentare dobbiamo cercare di produrlo e renderlo accessibile alla più ampia fetta di popolazione e quindi il prezzo non può essere fuori della portata della gran parte delle famiglie».
Ma a livello di politiche, ferma restando la libertà imprenditoriale, è importante continuare nella ricerca di cultivar, e alcune sono già emerse, adatte anche al superintensivo italiano? È meglio questo, se possibile?
«Fare nuovi impianti è obbligatorio se vogliamo rilanciare la produzione. Non è detto che li dobbiamo fare tutti con il superintensivo. Già oggi con 500 o 400 piante possiamo raggiungere degli ottimi obiettivi produttivi, fare tutta la qualità che vogliamo, usare qualsiasi varietà ci piaccia. E lo dobbiamo fare perché con i vecchi tradizionali non riusciremo. Poi teniamo conto che questi nuovi oliveti fra 30 anni saranno ancora in piedi, produttivi, ma con tutt’altra capacità produttiva, migliore situazione fitosanitaria. Cioè non sempre l’albero secolare è il meglio che ci possa essere, anzi molto spesso, come tutte le cose molto vecchie, ha subito le ingiurie degli anni».
Mi pare di aver notato qualche lieve differenza fra gli studiosi intervenuti nel modo di demarcare i confini fra intensivo, superintensivo ecc.?
«Allora, c’è un po’ di confusione nella terminologia, ma quella è la cosa meno importante. Cioè non è importante se le brave persone di buona volontà si chiamano in un certo modo o nell’altro, l’importante è che vi siano [sorridendo, ndr]. Come li chiamiamo non ha importanza…»
… quindi perdonerete anche noi giornalisti se sbagliamo (sorridendo, ndr)?
«Ma noi vi perdoniamo sempre quando siete in buona fede (ancora sorridendo, ndr)».
Il suo messaggio mi pare orientato a più quantità di oli di qualità: perché ci vogliono oli certificati?
«La parola d’ordine oggi è rilanciare la produzione. Senza la produzione io posso fare in qualsiasi settore il miglior prodotto del mondo, la convinco, tutti lo chiedono e poi se non ce l’ho in quantità soddisfacente? L’Italia ha il problema oggi che non ha olio. Se parla con i responsabili dell’Igp toscano…»
La prima cosa è la quantità allora?
«No, nel momento storico attuale dobbiamo rilanciare la produzione. È possibile che l’Igp toscano abbia il mercato, abbia gli acquirenti e non abbia abbastanza prodotto per venderlo? Questa è la stortura oggi, ma non vuol dire che dobbiamo rinunciare alla qualità».
Ma lei punterebbe più su questo olio certificato?
«In questo momento dobbiamo fare gli uliveti».
È secondario se si fa Igp ecc.?
«No, no, è importante fare uliveti che possono alimentare la filiera italiana con la loro produttività. Se decidiamo oggi, fra 5/10 anni cominciamo a vedere i frutti. Se continuiamo a non farli, poi è inutile che ci lamentiamo se fra 10 anni invece di essere terzi o quarti saremo settimi o ottavi».
Ma è meglio puntare su quelli che mi consentono di avere un Igp o un Dop oppure no, per una regione come la Toscana?
«Io penso di sì, per le regioni i cui marchi sono bene affermati, sì».
Il motivo è perché ci sono parti del mondo dove anche se noi meccanizzeremo e abbatteremo i costi comunque avranno costi minori dei nostri?
«Sì, ma noi dobbiamo meccanizzare in ogni caso, perché in campo lei non la trova più la gente, anche se è disposta a pagare, questa è la realtà. Trova magari persone di passaggio che fanno questo lavoro temporaneamente e che magari le dicono che vengono domani da lei, lei li aspetta e non si presentano».
Lorenzo Sandiford
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Al 23° Memorial Vannucci intervista al presidente di UIV Lamberto Frescobaldi, che ha fatto il punto su vendemmia e mercato del vino e un’analogia col vivaismo.
Aristocrazia del vino in primo piano sabato scorso presso il Pistoia Nursery Campus al 23° Memorial Vannucci, in ricordo di Franca e Moreno Vannucci, i genitori del titolare della maggiore azienda del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia.
L’ospite d’onore di quest’anno era Albiera Antinori, presidente di Marchesi Antinori, che ha tenuto una sorta di lectio brevis in forma d’intervista con il giornalista Luca Telese, e ha ricevuto il premio principale dell’edizione 2022 del Memorial Vannucci.
Ma fra gli intervenuti c’era anche il marchese Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini (UIV) e dell’omonima azienda vitivinicola, nonché accademico dei Georgofili e membro della giunta esecutiva nazionale di Confagricoltura. Floraviva ha colto l’occasione per intervistarlo e cercare di fare il punto con lui sulla situazione del comparto del vino in questa difficile fase economica, segnata dalla guerra in Ucraina.
Domanda d’obbligo: come sta andando questa vendemmia?
«C’è stata la grande paura prima, della siccità, e poi dal 15 di agosto, l’Assunta, abbiamo avuto delle piogge importanti, che in alcuni posti hanno fatto dei danni, però l’acqua è arrivata e la vendemmia veramente ha cambiato prospettive. Poi ci sono state altre giornate di pioggia, quindi oggi si inizia a trovare sia la quantità che la qualità. Quindi come ho detto, è stata una vendemmia molto siccitosa, con pochissimi trattamenti, praticamente un’uva mai vista così sana. Penso pertanto che possiamo essere ottimisti sul risultato finale».
Questa era una valutazione di livello nazionale o regionale?
«È una valutazione di livello nazionale. Abbiamo al Nord una quantità similare all’anno scorso. Il Centro dell’Italia è stimato un 12% in più e il Sud, che ha delle uve anche un po’ più precoci, che quindi sono già state raccolte, una quantità abbastanza simile all’anno precedente. In totale faremo circa 3/4 milioni in più di ettolitri e supereremo i 50 milioni di ettolitri quest’anno, che ci riporta di nuovo con forza nella posizione di primo produttore del mondo. Però, come piace dire a me, con questa prima posizione ci danno un pochino una medaglia di legno. Perché? Perché noi vogliamo lavorare sulla qualità e non solo sulla quantità. E quando ci confrontiamo con la Francia, che è il 3° produttore al mondo, essa però è a gran distanza al 1° posto come prodotto lordo vendibile [cioè come valore, ndr]».
Su questo fronte che cosa si può fare, cioè per aumentare anche la qualità e la remunerazione?
«Beh, una delle cose importanti da fare è che noi di questi 50 milioni di ettolitri, circa il 40%, quindi una grandissima quantità, oltre 20 milioni di ettolitri, sono di vini generici e i produttori non hanno idea di dove va il prodotto. Come in ogni attività in cui non si conosce il proprio cliente è un po’ come procedere a fari spenti. Bisogna fare in modo che ci siano areali e denominazioni più grandi in modo che i produttori abbiano più chiara la direzione...»
…Ecco una domanda sul mercato: con questa situazione difficilissima fra guerra, inflazione ecc., che cosa vi aspettate sull’andamento delle vendite sia nel mercato nazionale che internazionale?
«Noi siamo una nicchia, diciamocelo francamente. Una nicchia comunque che crea un forte profitto sulla bilancia dei pagamenti italiani, quindi una nicchia importante. Siamo molto polverizzati nel mondo, quindi è vero che ci sono delle zone in crisi, ma altre no. Dobbiamo essere dei bravi scopritori, dobbiamo anche andare a cercarci nuovi mercati. Quindi non sono così negativo sulla situazione in generale dei mercati. Dove invece bisogna mettere i piedi per terra è questo costo dell’energia. Su questo ci siamo un pochino avvitati. Adesso stiamo inseguendo il problema dell’inflazione: in realtà quest’inflazione si può anche discutere fino a che punto sia vera inflazione o speculazione. Perché qui la roba manca e allora tutti un po’ se ne approfittano. Scagli la prima pietra chi è senza peccato, per carità di Dio, però credo che se le cose dovessero ripartire e i magazzini potessero lavorare più come magazzini e meno per la richiesta, la situazione si dovrebbe in parte assestare. E poi bisogna mettere a punto l’agenzia per l’energia, che per un po’ di tempo ha funzionato in Olanda, dal momento che si è visto che non appena è circolato l’annuncio di un tetto al prezzo dell’energia, è subito calato il prezzo. Ecco bisogna svegliarci la mattina e dire: forse ci dobbiamo lavorare».
Questo suo cenno all’energia, che riguarda anche il florovivaismo, e il fatto di essere ospiti di una manifestazione organizzata da un importante vivaista quale Vannucci, mi porta a chiederle: quali analogie e differenze riscontra fra il suo settore e quello vivaistico, entrambi due fiori all’occhiello dell’agricoltura toscana (perché il vino toscano è un po’ più conosciuto nel mondo, ma anche il vivaismo pistoiese lo è, specialmente in Europa)?
«Assolutamente sì. Questo qui è un distretto straordinario che porta tanta ricchezza, attenzione al territorio. Qui tutto viene irrigato, viene recuperata l’acqua, quindi credo che qui abbiamo veramente un’eccellenza e che magari potesse anche allargarsi in altri areali della Toscana per continuare a portare ricchezza, lavoro e stabilità alla famiglie. Quali analogie e differenze? Il vino, è un segreto assoluto [con sorriso, ndr], si fa con l’uva e questa uva si fa con una piccola pianta, una barbatella, che è un piccolo essere che deve essere accudito, ma non solo quando è piccola ma anche quando sarà grande ed entrerà in produzione. Il grande vino lo produciamo facendo una grande uva e questo significa portare su queste barbatelle, proteggerle dalle malerbe, dalle malattie, potarle. Facciamo fare alle barbatelle quello che vogliamo noi, ma c’è un profondo rispetto di queste piante come c’è nel vivaismo. Forse una differenza è che questa pianta noi cerchiamo di accudirla per tanti anni a venire con la convinzione che quando questa pianta sarà più matura e con le radici più profonde riuscirà a fare un’uva con maggior carattere per produrre un vino di maggior carattere e unicità. Però le analogie sono tante».
Lorenzo Sandiford
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Il comandante dei Carabinieri forestali, generale Antonio Pietro Marzo, su recenti iniziative per lo sviluppo del verde e il contrasto al cambiamento climatico.
Tra i relatori istituzionali del convegno “La salute e il verde – il verde e la salute” organizzato il 7 luglio a Firenze presso Villa Bardini da Assoverde e Confagricoltura, in collaborazione con la Società Toscana di Orticultura, c’era il generale Antonio Pietro Marzo, comandante Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri. Nel suo intervento, oltre a illustrare le attività come custodi del verde e amministratori di tanti siti ambientali e riserve naturali dei Carabinieri forestali, una polizia ambientale che può contare su un corpo di circa 7 mila uomini e 1500 operai, ha richiamato alcune recenti iniziative connesse alla tutela e promozione del verde, anche in chiave di contrasto al cambiamento climatico, ricordando la sua presenza sia in seno al Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico che alla cabina di regia del PNRR. Innanzi tutto il progetto “Un albero per il futuro”, che prevede la messa a dimora di 50 mila piantine di alberi provenienti dai vivai dei Carabinieri forestali negli istituti scolastici, poi la fornitura di semi ai vivai che ne facciano richiesta e infine la trasformazione del Centro di Sabaudia in centro di formazione d’eccellenza internazionale di polizia ambientale.
Floraviva ha sentito il generale Antonio Pietro Marzo in margine al convegno di Villa Bardini per sapere qualcosa di più su tali iniziative e sul loro significato nell’ambito dell’attività dei Carabinieri forestali. A cominciare dalla tempistica del progetto “Un albero per il futuro”, avviato nel 2021.
«Lo completeremo nel 2023 – ha risposto il generale Marzo -, siamo già arrivati a mettere a dimora quasi 30 mila piante, soprattutto negli istituti scolastici».
Da dove arrivano esattamente queste piante?
«Dai nostri centri di biodiversità forestale di Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo e di Peri in provincia di Verona». [vedi]
Ah da questi due centri qua?
«Sì perché hanno una valenza anche scientifica. Noi abbiamo i semi delle specie autoctone di alberi del nostro Paese e li conserviamo nelle celle frigorifere: facciamo studi del Dna e sugli ecosistemi. E quindi abbiamo la possibilità di metterci a disposizione anche di chi volesse o avesse bisogno dei nostri semi: lo stiamo prevedendo anche nella cabina di regia del PNRR, per aiutare soprattutto la vivaistica, sia quella regionale che quella privata, per poter realizzare insieme la messa a dimora di queste specie, che hanno bisogno di essere messe nei vivai. Ecco i nostri vivai servono per mantenere le riserve naturali e le foreste demaniali che noi curiamo. Quindi hanno la priorità. Però abbiamo appunto anche la disponibilità di miliardi di semi».
Quindi sono due cose distinte: la messa a dimora delle piantine che avete già iniziato…
«…che fa parte di un progetto che portiamo avanti con le scuole e sul quale c’è il sito web Un albero per il futuro dove si può vedere quante sono le piante che sono state messe a dimora, anche nell’ambito dell’albero per la legalità di Falcone, che ha la stessa finalità: quella di dare simbolicamente un messaggio di legalità anche ambientale».
Mentre i semi sono a disposizione per i vivai…
«…i semi li abbiamo noi e con un progetto della cabina di regia del PNRR vedremo come procedere per dare la disponibilità dei nostri centri a fornire i semi da mettere nei vivai. Perché è importante che quando si mettono a dimora questi alberi siano piante autoctone, così non abbiamo specie invasive che porterebbero anche dei danni ambientali».
Ha parlato di un Centro di formazione internazionale a Sabaudia: di che si tratta e quando inizia?
«C’è già, lo stiamo sviluppando e ci siamo posti come termine tre anni. Quindi per il 2024 probabilmente arriveremo anche a completarlo come infrastruttura, però è già attivo. Abbiamo già attività di formazione per i nostri militari che vanno nei Paesi che sono sotto l’egida Unesco e che chiedono la nostra collaborazione insieme con i tecnici dell’Ispra. In più verrà aperto alle polizie straniere, a chi volesse venire da noi per acquisire le conoscenze e quindi fare polizia ambientale, acquisire le capacità…»
… da quando l’apertura agli stranieri?
«Siamo già pronti, il tempo di adeguare l’infrastruttura a queste esigenze».
Possiamo dire già dal 2023?
«Sì, ma già è partito il progetto, abbiamo fatto delle convenzioni con la FAO, l’Unesco e faremo dei corsi di formazione a Sabaudia, dove ripeto c’è già la scuola»
Quindi un potenziamento di questa scuola in chiave anche internazionale?
«Sì».
L.S.