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Il regolamento, che sarà ora pubblicato sul Burt, chiarisce quando un'area può essere considerata vocata all'attività vivaistica. Le zone vocate, in base al regolamento, dovranno coinvolgere almeno 80 ettari e dovrà essere considerata anche l'importanza economica del settore e la presenza di strade e collegamenti adeguati. Il regolamento di attuazione della legge 41 del 2012 di sostegno al vivaismo è stato definitivamente approvato quindi dalla giunta regionale dopo l'acquisizione dei pareri della Commissione Consiliare competente e del Consiglio delle Autonomie Locali.

Una risposta molto importante e attesa dal mondo del vivaismo, secondo l'assessore regionale all'agricoltura e foreste, che fissa norme più chiare per un settore economico di grande rilevanza e semplifica alcune procedure, garantendo anche maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.

Si chiarisce inoltre l'altezza consentita per gli annessi (fino a nove metri), mitigandone se necessario l'impatto sul paesaggio anche con l'impiego di verde, e fissando una volta per tutte criteri unici e chiari validi in qualsiasi comune. Vengono inoltre stabilite le condizioni per le coltivazioni in vaso a cielo aperto, e vengono specificati quali materiali si potranno stendere sul terreno.

Nel regolamento che porta la firma, insieme a quella dell'assessore all'agricoltura e foreste, anche dell'assessore all'urbanistica, pianificazione del territorio e paesaggio, vengono elencati anche i primi criteri a cui si dovrà ispirare per riqualificare il verde pubblico delle città.

La Regione suggerisce ai Comuni la creazione di boschi urbani e barriere verdi lungo le strade più trafficate. Consiglia anche la realizzazione di tetti verdi e giardini verticali, che migliorano il microclima delle città, ma aiutano a tenere sotto controllo anche i consumi energetici degli edifici.

Certo sono auspicabili alcune accortezze: come la scelta di piante adatte all'habitat originario e che non costringano d'estate ad un eccessivo dispendio di acqua, oppure di piante che non fioriscano tutte nelle stesso periodo, in modo da tenere sotto controllo il livello dei pollini nell'aria. Poche norme generali, di buon senso in alcuni casi, che saranno integrate dalla nuova legge regionale sul governo del territorio.

Redazione Floraviva

“Non si può applicare la Pac utilizzandola come il bancomat per finanziare settori produttivi che non sono in crisi o che non subiscano la crisi almeno quanto il settore dell’olio di oliva”.
Lo afferma Massimo Gargano presidente di Unaprol che aggiunge “così com’è stata formulata la proposta nella Conferenza Stato Regioni non è accettabile perché drena risorse a favore di chi, in alcuni casi ne ha meno bisogno, e in tutti gli altri ne può fare sicuramente a meno”. Per Unaprol occorre evitare che venga ridotto il pagamento di base a tutti i produttori per favorire o finanziare settori che non hanno problemi di mercato.

La crisi dell’olivicoltura italiana, schiacciata da una forte concorrenza sleale di prezzi al ribasso e da un sistema di normative comunitarie e del commercio internazionale che non aiutano a distinguere la qualità italiana sullo scaffale, ha già prodotto i suoi effetti. Secondo i dati Istat la produzione della campagna 2013/2014, è stimata a circa 477.000 tonnellate di olio di pressione. Il dato di fonte Agea, proveniente dai registri gestiti dal Sin indica, invece, per la campagna 2013/2014 (al 14/03/2014) un livello produttivo pari a 322.000 tonnellate.
I primi dati esprimono la potenzialità produttiva derivante dalla distribuzione territoriale delle superfici (1.123.330 ha dati Istat 2010), dalla considerazione delle rese medie, dalle tipologie di sesto di impianto, dal numero di piante. I secondi dati, invece, derivanti dai registri, a pieno regime dalla prossima campagna produttiva, rimandano volumi di produzione inferiori, in quanto mancano alcune rilevazioni (campagna olearia non ancora conclusa), “ed essendo dichiarativi - afferma Gargano - evidenziano le problematiche della non raccolta e dell’abbandono, che è rilevabile in alcune zone della penisola”.
Ridurre i sostegni al settore olivicolo significa penalizzare fortemente l’olio extra vergine di oliva italiano che il simbolo del made in in Italy agroalimentare più apprezzato  dai consumatori di tutto il mondo;   rischia, inoltre,  di innescare a catena un disastro ambientale con conseguente dissesto idrogeologico per centinaia di migliaia di ettari nel nostro Paese soprattutto in zone che non sono pianeggianti. Vi è poi una preoccupazione di carattere politico che va evidenziata e messa in relazione alla territorialità delle richieste. Sembra che a parlare di Pac siano solo le regioni del Nord: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che non chiedono certamente di drenare risorse verso il settore olivicolo. Manca ancora una voce forte da parte delle regioni del Centro e del Sud dove l’olivicoltura significa reddito per le imprese, occupazione con circa 60 milioni di giornate di lavoro di manodopera agricola, ricchezza per l’indotto collegato ed il sistema della trasformazione con oltre 4mila e 500 frantoi operativi. “Non vorrei ha concluso Gargano che l’olivicoltura sia barattata con altri settori produttivi, come è già accaduto in passato e che disattenzioni e insensibilità diffuse finiscano col mettere in crisi un settore che vale oltre 3 miliardi di euro di fatturato, cui si aggiungono 2 miliardi euro di valore alla pianta e oltre un 1 miliardo e trecento milioni di euro di export all’anno in tutto il mondo”.

Redazione Floraviva

Secondo la Cia, aumenta il numero di “under 40” nei campi con un tasso di scolarizzazione molto più alto della media del comparto: non solo agronomi, ma anche “dottori” in economia, marketing e comunicazione che scelgono di investire nel settore primario e reinventarsi agricoltori. Il risultato sono aziende dinamiche, innovative, multifunzionali e con un potenziale economico altissimo: il 40 per cento in più dei colleghi “senior”.

Promuovere l’occupazione giovanile in agricoltura, con strumenti come il progetto “Garanzia per i Giovani” sul lavoro, è fondamentale. Tanto più che in questa fase critica, con la disoccupazione che supera il 42 per cento nella fascia d’età 15-24 anni, sono sempre di più i ragazzi che decidono di tornare alla terra. E non si tratta più solo di figli che rilevano o continuano l’attività dei genitori, ma di diplomati o laureati preparati e determinati che, a causa di una crisi che chiude le porte dei loro settori, scelgono di scommettere sulla vita dei campi. Lo afferma la Confederazione italiana agricoltori, nell’ambito dell’incontro tra l’Agia-Cia e il ministro Giuliano Poletti.
D’altra parte, le opportunità che il settore offre sono tante e stanno risvegliando l’interesse delle nuove generazioni: solo nel 2013 sono nate 11.485 imprese agricole, pari al 10 per cento circa delle aziende neonate in Italia, e oltre il 17 per cento di queste “new entry” ha un titolare di età inferiore ai 30 anni -ricorda la Cia-. In più, oggi il 90 per cento degli agricoltori “under 30” ha una scolarità medio-alta. E non ci sono più solo i laureati in Agraria, facoltà che comunque dall’inizio della crisi ha avuto un picco di immatricolazioni (+40 per cento) a fronte di una flessione generalizzata delle iscrizioni all’Università (-12 per cento in cinque anni). Oggi nel settore cresce il numero di giovani “dottori” che decide di investire sulla campagna, ma partendo da percorsi formativi e familiari completamente estranei all’agricoltura: ci sono educatori e psicologi che si dedicano all’agricoltura sociale e alle fattorie didattiche; esperti della comunicazione che gestiscono il marketing e la promozione dei prodotti sui mercati stranieri; economisti che amministrano l’azienda; erboristi e farmacisti che scommettono sulla fitoterapia e sulla cosmesi naturale; architetti che fanno “bio-edilizia” producendo mattoni artigianali di argilla e paglia completamente eco-sostenibili e riciclabili.
Tutti esempi di una nuova idea di agricoltura, che non è più considerata un settore “vecchio”, ma un business innovativo e redditizio. Per questi giovani agricoltori le parole d’ordine sono diversificazione, creatività e internazionalizzazione -sottolinea la Cia- tanto che il loro potenziale economico è superiore del 40 per cento rispetto ai colleghi “senior”, nonostante le difficoltà ataviche che incontrano, tra alti costi di avviamento, barriere fiscali e burocratiche e scarsa mobilità fondiaria.
Più in generale, già oggi le 161 mila aziende guidate da conduttori di età inferiore ai 40 anni realizzano utili netti maggiori (il 23 per cento del fatturato contro il 7 per cento della classe d’età degli ultra 55) -evidenzia la Cia- grazie anche a una maggiore attitudine al rischio e propensione all’export. Ma anche grazie a una più elevata sensibilità per le tematiche sociali e ambientali. Perché i giovani non si fermano solo agli agriturismi ma creano vere e proprie fattorie didattiche: in Italia le conducono il 4,7 per cento degli “under 40” contro l’1,2 per cento degli “over 40”. E poi non si accontentano solo di produrre coltivazioni certificate, ma le vendono quasi sempre in azienda: la vendita diretta, infatti, è appannaggio del 22,6 per cento degli “under 40” contro il 15 per cento degli “over”. In più -conclude la Cia- scelgono sempre un approccio eco-sostenibile nelle loro attività: i servizi per l’ambiente e la produzione di energia alternativa sono una prerogativa aziendale per il 7,2 per cento degli “under 40” contro il 4 per cento degli “over 40”.

Redazione Floraviva

Nell’ambito del Piano nazionale “Garanzia per i giovani”, il ministro Giuliano Poletti e i presidenti Dino Scanavino e Luca Brunelli siglano il Protocollo che attiva tirocini e rapporti di apprendistato con “under 25” che intendono avvicinarsi e operare nelle campagne. Previste anche azioni per l’auto-imprenditorialità.

L’agricoltura apre le porte ai giovani e scommette sul futuro. Nei prossimi mesi nelle campagne italiane si possono creare oltre ventimila nuovi posti di lavoro. A rendere reale questa importante opportunità è il Protocollo d’intesa (firmato oggi a Roma) fra il Ministero del Lavoro, la Cia-Confederazione italiana agricoltori e la sua Associazione giovani imprenditori agricoli (Agia). Si tratta di un significativo atto concreto del Piano nazionale “Garanzia per i giovani” che prevede uno stanziamento complessivo per tutti i settori produttivi di 1,7 miliardi di euro.
Il protocollo -che è stato firmato, presso la sede della Cia, dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, dal presidente della Confederazione Dino Scanavino e dal presidente di Agia Luca Brunelli- consentirà alle imprese agricole associate di attivare tirocini e rapporti di apprendistato con giovani che intendono avvicinarsi all’agricoltura. Nello stesso tempo sono previste anche azioni per l’auto-imprenditorialità.
“Garanzia per i giovani” è il piano lanciato dalla Commissione europea e prevede che “under 25” europei ricevano un’offerta di lavoro, di formazione o di stage entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla perdita del posto di lavoro. Si tratta di un segnale di attenzione verso la disoccupazione giovanile, che resta uno degli aspetti più negativi dell’attuale situazione socio-economica, soprattutto nel nostro Paese.
Il mondo agricolo vuole dare il suo apporto alla soluzione del problema e l’occasione offerta da “Garanzia per i giovani” va sfruttata nella maniera migliore. Così Cia e Agia sono pronte a fare sino in fondo la loro parte e con la firma del protocollo daranno l’opportunità e la possibilità a tanti giovani di trovare un’occupazione in agricoltura, settore che racchiude grandi risorse e potenzialità e che può dare un contributo notevole alla ripresa economica.
D’altra parte, il dramma della disoccupazione giovanile è ormai un fatto acclarato. Gli ultimi dati Istat segnalano la continua crescita di giovani senza lavoro. Siamo davanti a percentuali che superano il 40 per cento. Sono oltre 4 milioni gli “under 35” che non studiano e non lavorano.
Rispetto a questo catastrofico scenario l’occupazione dipendente del settore agricolo continua, però, a rappresentare una quota importante del mercato del lavoro. Malgrado la sfavorevole congiuntura, il comparto ha mostrato una sostanziale tenuta riuscendo a mantenere i livelli occupazionali pre-crisi, ovvero 1 milione circa di lavoratori agricoli. Un risultato estremamente positivo da attribuire non solo alla caratteristica anticiclica dell’agricoltura, ma anche e soprattutto alla sua dinamicità, vitalità e flessibilità che hanno consentito di resistere, meglio di altri comparti produttivi, alle difficoltà.
Del resto, proprio l’agricoltura e l’intero sistema agroalimentare costituiscono oggi l’asset strategico sul quale investire per rivitalizzare l’apparato produttivo ed economico, dando slancio al “made in Italy” sui mercati internazionali, vigore ai consumi interni e favorendo nuova occupazione. Non è, infatti, casuale la scelta di focalizzare Expo 2015, uno degli eventi più rilevanti per il nostro Paese, su tematiche legate all’alimentazione e, di conseguenza, al mondo agricolo (“Nutrire il pianeta, energia per la vita”).
Basta scorrere le cifre dell’Istat per capire l’importanza dell’agricoltura nella lotta alla disoccupazione. Nell’ultimo anno sono stati i giovani a contribuire in modo tangibile alla crescita nei campi del lavoro dipendente, visto che gli occupati con meno di 35 anni sono cresciuti del 5,1 per cento.
“Garanzia per i giovani”, come le indicazioni che vengono dal Job Act del governo Renzi, rappresentano un segnale importante di nuova attenzione nei confronti dell’agricoltura, che esce da una sorta di ghettizzazione e viene finalmente vista come elemento strategico del sistema. Nelle campagne ci sono, insomma, imprese e lavoro. Ci sono opportunità per i giovani che devono essere sostenute da un organico quadro legislativo ispirato alla premialità, alla semplificazione, alla fiducia e dall’azione delle associazioni di categoria.
E la firma del protocollo da parte di Cia e Agia vuole realizzare questa particolare azione: mettere sul tavolo le potenzialità del mondo agricolo e dei giovani imprenditori e vedere quali strumenti, quali risorse, quali investimenti, il governo è realmente disposto a mettere in gioco. Una sfida importante che bisogna affrontare con coraggio e decisione. E’ in ballo il futuro del nostro Paese.

Redazione Floraviva

Ma è boom per gli acquisti green in cttà per 15 milioni di italiani

L’Italia ha perso negli ultimi venti anni il 15 per cento delle campagne per effetto della cementificazione e dell'abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto di 2,15 milioni di ettari la terra coltivata. E’ l’allarme lanciato dalla Coldiretti in occasione dell’Earth day che si celebra il 22 aprile in tutto il mondo con la partecipazione di oltre un miliardo di persone, che quest’anno affronta il tema delle “green cities”. Ogni giorno viene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) con il risultato che in Italia - sottolinea la Coldiretti - oltre 5 milioni di cittadini si trovano  in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni che riguardano ben il 9,8 per cento dell’intero territorio nazionale. Per proteggere il territorio ed i cittadini che vi vivono l’Italia - sostiene la Coldiretti - deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione nelle città e dall’abbandono nelle aree marginali con un adeguato riconoscimento dell’attività agricola che ha visto chiudere 1,2 milioni di aziende negli ultimi venti anni. Se nella classe dirigente è mancata fino ad ora la cultura del valore dell'agroalimentare, della salvaguardia del territorio e del cibo che è una delle poche leve per tornare a crescere, la sensibilità negli ultimi anni è profondamente cresciuta tra i cittadini che - continua la Coldiretti - sempre piu’ spesso sostengono con le proprie scelte di acquisto e nelle vacanze l’agricoltura ed i prodotti locali del territorio. Nel 2013 sono aumentati del 67 per cento gli acquisti degli italiani nei mercati degli agricoltori, i cosiddetti farmers market diffusi in tutte le principali città, in netta controtendenza con l’andamento negativo dei consumi alimentari, in calo del 4 per cento nel 2013 a causa della crisi, secondo una analisi della Coldiretti. Nei mercati degli agricoltori - sottolinea la Coldiretti - hanno fatto la spesa nel 2013 ben 15 milioni di italiani. Sono oltre 1200 mercati in tutte le regioni grazie alla fondazione Campagna Amica promossa dalla Coldiretti che ha realizzato  la più vasta e capillare rete di vendita realizzata dagli agricoltori del mondo che puo’ contare su fattorie, botteghe e mercati che coinvolgono 28mila agricoltori con prodotti coltivati su circa 280mila ettari. I mercati degli agricoltori promuovono la conoscenza della stagionalità dei prodotti, ma anche la filosofia del km zero, con i cibi in vendita che non devono percorrere lunghe distanze, riducendo le emissioni in atmosfera dovute alla combustione di benzina e gasolio. Gli effetti - conclude la Coldiretti - si fanno sentire anche sugli sprechi che vengono ridotti per la maggiore freschezza della frutta e verdura in vendita che dura anche una settimana in piu’, non dovendo rimanere per tanto tempo in viaggio.

Redazione Floraviva