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Soddisfazione della Cia regionale per bocca di Pascucci e Del Carlo. Positivo ma con qualche elemento di critica il parere del vice presidente di Coldiretti Toscana, nonché presidente di Cia Pistoia, Andreini, che punta il dito contro «alcuni vincoli che ostacolano la possibilità di investire», fra cui «l’obbligo di abbattere gli annessi rustici» se cessa l’attività.

Nessuna sorpresa nella seduta dell’11 luglio del Consiglio regionale della Toscana: la legge a sostegno del vivaismo e del verde urbano è stata approvata all’unanimità (vedi articolo). E all’unanimità è stata approvata anche la risoluzione che l’accompagnava, in cui si chiede alla Giunta di «inserire nei prossimi avvisi per le manifestazioni d’interesse al cofinanziamento dei piani legati allo sviluppo urbano sostenibile priorità e criteri di valutazione, per perseguire gli obbiettivi fissati dalla legge regionale sul vivaismo». Adesso la Toscana è la prima regione ad avere una legge di questo genere: in cui si interviene a sostegno sia delle attività vivaistiche che del verde urbano.
«Da oggi il settore è tutelato e si può dare una strategia più definita di sviluppo e di crescita», è il commento della Cia Toscana alla notizia dell’approvazione. «E’ una buona legge che ha avuto un lungo iter di discussionedichiara Giordano Pascucci, presidente della Cia Toscana -; ma che ha permesso anche alle associazioni, la Cia in particolare, di fare osservazioni e proposte in corso d’opera che poi si sono ritrovate nel testo approvato». Lo sviluppo e l’estensione produttiva, spiega il comunicato di Cia regionale, saranno governati da regole condivise da applicare in maniera omogenea, garantendo equilibrio territoriale e ambientale. «Per il settore – dice Alessandro Del Carlo, responsabile attività produttive della Cia Toscana - si può aprire una stagione importante di sviluppo e di crescita soprattutto di qualità, anche grazie alle previsioni in materia urbanistica per la realizzazione degli spazi verdi con funzioni ambientali e di miglioramento della qualità dell’aria. Il quadro normativoaggiunge - dovrà trovare il suo completamento nel regolamento d’attuazione, al quale la Cia Toscana darà il massimo contributo di proposte, in particolare sui temi della semplificazione burocratica, del recupero e valorizzazione a fini energetici o agronomici degli scarti verdi, e per dare chiarezza normativa ai temi legati all’urbanistica relativamente alle strutture serricole e agli annessi».  
Secondo Coldiretti Toscana, il vivaismo regge nel tempo sul mercato internazionale, anche se comincia a vedere processi di delocalizzazione produttiva all'interno della stessa regione, ma anche fuori. Per proseguire ad essere eccellenza toscana, nazionale ed europea deve poter continuare ad innovare ed investire, a strutturarsi «come da sempre facciamo - dichiara Riccardo Andreini, vice presidente di Coldiretti Toscana e presidente provinciale di Pistoia - investendo nelle nostre aziende. Purtroppo la nuova legge accanto a tanti riconoscimenti (importante quello dell’attività vivaistica come agricola a tutti gli effetti) e buone intenzioni ed alcune deroghe molto importanti per quanto riguarda le superfici e l’altezza dei capannoni, mantiene alcuni vincoli che ostacolano la possibilità di investire: ad esempio, l'obbligo di abbattere, proprio abbattere, gli annessi rustici in caso di eventuale cessazione dell’attività». Lo prevede, dice il comunicato di Coldiretti, «il combinato disposto tra le leggi regionali urbanistica e sul vivaismo». Ma «c'è un'opportunità immediata per riaggiustare il tiro - osserva Andreini -. È infatti iniziato l'iter per modificare proprio la legge regionale urbanistica, auspichiamo che in questa sede venga rimosso un ostacolo allo sviluppo futuro ed ulteriore del vivaismo e di tutta l'agricoltura toscana». Approvata la legge sul vivaismo, «occorre immediatamente partire per emanare e stimolare i necessari atti affinché i buoni principi si concretizzino - conclude Andreini-. Come Coldiretti poniamo sin da subito l'accento sul recepimento delle indicazioni della legge regionale nei regolamenti e nell'opera quotidiana delle amministrazioni comunali. A cominciare dalla qualificazione e cura degli spazi verdi e arredi urbani».

Presentate da Mario Catania e da Paolo De Castro le novità, favorevoli al Made in Italy, del testo approvato il 25 giugno dal Comitato speciale agricoltura, che differisce dalla proposta iniziale di Ciolos e tutela di più i prodotti a denominazione protetta. Soddisfatte Cia e Confagricoltura con una riserva per l’assenza di strumenti di gestione dell’offerta fuori dal settore lattiero-caseario.

L’obbligo per gli Stati europei di adottare misure concrete di tutela delle indicazioni geografiche affidate ad autorità responsabili e imparziali, con la protezione ex officio – cioè senza bisogno di una denuncia di parte - dei prodotti agroalimentari riconosciuti a livello comunitario. Attribuzione del compito di contribuire alla protezione delle Dop e Igp a gruppi e in particolare ai consorzi di tutela. Possibilità di mettere nelle etichette sia rappresentazioni grafiche della zona d’origine sia testi o simboli riferiti alla stato membro e/o alla regione in cui avviene la produzione. Possibilità di inserire in etichetta i marchi collettivi geografici insieme alle denominazioni di origine. E, infine, l’introduzione nel regolamento di un nuovo termine facoltativo di qualità: il “prodotto di montagna”.
Sono alcune delle novità contenute nella nuova versione del “pacchetto qualità” o regolamento sui sistemi di qualità concordato nel trilogo (Parlamento, Commissione e Consiglio dei ministri europei) informale del 21 giugno scorso e poi approvato il 25 giugno dal Comitato speciale agricoltura. E sono state presentate ieri in una conferenza stampa del ministro delle politiche agricole Mario Catania e del presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro (vedi anche quanto anticipato dagli stessi protagonisti il 24 maggio a Firenze durante un incontro dell’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche). Se tutto va come da programma, ha fatto sapere De Castro, al massimo entro novembre il nuovo testo, che è notevolmente diverso dalla proposta iniziale del Commissario Dacian Ciolos, sarà diventato regolamento.
«Questo risultato – ha detto il ministro Catania - assume ancora maggiore rilievo se consideriamo anche la posizione di minoranza che l'Italia ha avuto nel corso delle trattative. Tra le novità del Pacchetto, quella che ritengo forse la più importante è la misura relativa alla protezione ex officio, grazie alla quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie a tutelare le indicazioni geografiche. In questo modo non potranno più verificarsi casi come quello del famigerato 'Parmesan' e le nostre eccellenze agroalimentari potranno essere protette nel modo adeguato».
«Dall’introduzione della protezione “ex officio” per la tutela di un prodotto riconosciuto a livello comunitario al rafforzamento del ruolo dei consorzi nella protezione e promozione dei prodotti certificati – ha commentato la Confederazione italiana agricoltori - si tratta di misure che aiutano a difendere meglio la nostra agricoltura e a favorirne l’ulteriore sviluppo sui mercati esteri», visto anche che «il sistema agroalimentare italiano […] può contare su un’agricoltura tipica e diversificata» e «vanta ben 243 prodotti certificati tra Dop, Igp e Stg, più di qualsiasi altro competitor in Europa». «L’unico nostro rammarico – conclude Cia - è la mancata estensione a tutte le filiere della programmazione produttiva, che per adesso è acquisita solo per il settore lattiero-caseario».
Sulla stessa linea d’onda Confagricoltura, che ha dichiarato: «Vengono rafforzati anche gli strumenti per combattere l’agropirateria. La definizione di “prodotti di montagna”, inoltre, può aiutare a promuovere le tradizioni alimentari delle aree marginali, mentre il nuovo marchio “prodotto di fattoria” rischia, invece, di creare solamente confusione nei consumatori sulla genuinità e sulla provenienza». «Bene la lotta alla contraffazione», afferma Confagricoltura, ma il pacchetto «non si conquista ancora la promozione piena», perché «pesa sulla valutazione il mancato inserimento degli strumenti di gestione dell’offerta».

L.S.

A Firenze il convegno dell’organizzazione agricola sulle strategie per il futuro del settore vitivinicolo regionale. Si contano 27.000 aziende produttrici, il 38% delle imprese agricole, con una media di 2,2 ettari di vigneto. L’assessore Salvadori, contrario alla liberalizzazione dei diritti di reimpianto, annuncia un tavolo di settore dopo agosto.

Favorire la ristrutturazione e il «rinnovamento degli impianti vitati» per superare il problema della loro elevata età produttiva. E poi «investimenti per rafforzare il sistema dell’aggregazione» e «più politiche di filiera»; «promozione e ricerca di nuovi mercati»; valorizzazione del legame con il territorio; maggior peso ai consorzi di tutela. Ma soprattutto una rinnovata «strategia complessiva, d’insieme, non tante azioni a volte slegate o non raccordate tra loro».
Sono queste, in sintesi, le proposte avanzate dalla Cia Toscana, e in particolare dal presidente Giordano Pascucci, durante il convegno che la Confederazione italiana agricoltori ha organizzato oggi a Firenze sul tema “Strategie e azioni a sostegno della viticoltura in Toscana”. Proposte a cui l’assessore regionale all’agricoltura Gianni Salvadori ha replicato dando la sua disponibilità a convocare dopo le ferie di agosto un tavolo per fare il punto della situazione e stilare insieme alle organizzazioni professionali, ai consorzi e alle imprese, l’agenda per il settore del vino. Con un'anteprima riguardante la riduzione della burocrazia: «Se c’è un problema in tal senso – ha detto Salvadorisono disponibile da subito a esaminarlo e a trovare insieme le soluzioni per risolverlo».
Ma Salvadori ha colto l’occasione anche per ricordare quanto fatto sinora dalla Regione Toscana per il settore vitivinicolo e per ribadire il suo no alla liberalizzazione dei diritti di reimpianto. «Per la promozione del vino sui mercati internazionali, dal 2009 ad oggi, la Regione ha investito quasi 20 milioni di euro – è scritto nel suo comunicato stampa -. In tema di reimpianto vigneti e miglioramento della qualità la Toscana ha destinato al settore della vitivinicoltura circa 138 milioni di euro dal 2000 ad oggi e sono stati reimpiantati circa 19 mila ettari di vigneti». La sua «ferma contrarietà» alla liberalizzazione dei diritti di reimpianto si riflette nella bozza di legge presentata al Consiglio Regionale. «Se l’Unione Europea, come pare – ha affermato Salvadoripunta alla massima liberalizzazione, io sono fermamente contrario. Crediamo che una liberalizzazione farebbe solo danno alla Toscana e alla specificità delle sue produzioni, aprendo alla massificazione e alla possibilità di speculazioni». Per quanto riguarda invece i Pif (Progetti integrati di filiera), Salvadori ha reso noto che dal settore del vino sono arrivati progetti e richieste di contributi per 9 milioni di euro.
«La vitivinicolturasi legge nel comunicato di Cia regionale - è un settore trainante dell’agricoltura toscana che pur occupando solo il 7% della Sau (Superficie agricola utilizzata, ndr) produce quasi il 20% della Plv (Produzione lorda vendibile) agricola regionale, è la principale fonte di reddito e di occupazione in vaste aree rurali, prevalentemente  interne e di collina, contribuisce in maniera determinante all’export ed al successo del brand Toscana nel mondo. Si contano 27.000 aziende vitivinicole produttrici, il 38% delle aziende agricole, con una media di circa 2,2 ettari di vigneto; oltre 62.000 ettari di superficie vitata di cui oltre 37.500 ettari ricadenti in aree delle denominazioni di origine Doc e Docg (per oltre 40 denominazioni). Si producono 2,5 milioni di ettolitri di vino di cui oltre 1,6 a denominazione, più del 70% del totale».
«L’agroalimentare italiano – ha detto Dino Scanavino, vicepresidente nazionale Ciaè un settore anticiclico rispetto alla recessione generale e all’interno di questo comparto il vino è una parte importante. I consorzi devono essere alla base di una strategia di rilancio che comprenda tutte le parti della filiera. E – ha  aggiuntoil brand che tutti dobbiamo vendere è il territorio, chiunque vende il proprio vino vende il territorio, è doveroso non dimenticarlo e fare grande attenzione».

Accordo firmato ieri dall’assessore all’agricoltura Salvadori, le organizzazioni dei produttori agricoli e delle cooperative, alcuni soggetti della ristorazione. Failoni di Cia Toscana: «un vero salto di qualità», si passa «da un’idea di filiera corta come nicchia di mercato» ad una «sfida concreta per la creazione di una filiera corta strutturata».

Da ora in poi nelle mense pubbliche della Toscana si mangerà il più possibile cibo prodotto dalla filiera agroalimentare regionale. E’ il risultato del protocollo d’intesa firmato ieri dall’assessore regionale all’agricoltura, Gianni Salvadori, insieme alle organizzazioni dei produttori agricoli (Cia, Coldiretti, Confagricoltura) delle cooperative (Legacoop, Confcooperative, Cooperativa agricola di Legnaia, Terre dell’Etruria coop. Agricola) e della ristorazione (Alisea ristorazione e Cir Food Divisione Eudania).
«E’ molto importante – ha sottolineato Salvadori che tutti i protagonisti della filiera […] abbiano sottoscritto questo accordo che ci consentirà di fare un passo avanti fondamentale nella promozione del consumo di prodotti toscani. Grazie a questo accordo si crea infatti una rete virtuosa che permetterà di consumare prodotti agricoli toscani nelle mense pubbliche della Toscana».
Il protocollo farà sentire i suoi effetti in maniera immediata. «Parte subito – ha spiegato Salvadoriuna fase sperimentale che durerà fino al 15 settembre e tutti i firmatari si sono impegnati a sostituire nelle mense pubbliche toscane i prodotti che vengono da altre zone con prodotti coltivati in Toscana. Questo sarà il primo passo per creare la rete che noi vogliamo diventi permanente e che proseguirà l’operatività, ne siamo assolutamente certi, ben oltre il 15 settembre».
«Siamo convinti – ha aggiunto - che le mense pubbliche, basti pensare agli ospedali, alle scuole, a quelle del diritto allo studio universitario, ma anche a quelle dei vari enti pubblici della regione, possano diventare un motore di sviluppo locale se si approvvigionano localmente. Sempre esemplificando, basta pensare che solo le mense del Diritto allo studio universitario erogano in Toscana circa 5 milioni di pasti all’anno, questo dà la misura del valore di questo patto, che ci consentirà di mettere insieme due cose importanti: migliorare la qualità dei pasti e dare una mano all’economia locale».
«Questo protocollo – ha detto Marco Failoni di Cia Toscana -, insieme all'impegno della Regione per promuovere la filiera corta attraverso i PIF – Progetti integrati di filiera, rappresenta un vero salto di qualità nelle strategie di valorizzazione dell'agro-alimentare toscano. Con queste iniziative si passa infatti da un'idea di filiera corta come nicchia di mercato contrapposta al mercato con la emme maiuscola, ad una sfida concreta per la creazione di una filiera corta strutturata ed organizzata, basata sull'aggregazione dei produttori e sull'integrazione tra i segmenti della filiera, in grado finalmente di promuovere un consumo di massa dei prodotti di qualità dell'agricoltura toscana».
Il protocollo firmato ieri rientra nell’ambito del progetto regionale “Filiera Corta” avviato dalla Regione fin dal 2007 all’interno del quale è compresa la specifica misura “Mense più sane”, che ha consentito di inserire nelle mense pubbliche i prodotti biologici, quelli tipici e quelli tradizionali. «Oggi – ha concluso Salvadori – a questo aggiungiamo un valore in più: prodotti toscani».

L’apertura del Commissario Ue Ciolos alle richieste del presidente della Confederazione italiana agricoltori e l’intervento del ministro Catania in difesa del sistema Italia dell’agricoltura. Presentati due rapporti di Cia su “spesa in campagna” ed “agroenergie”, e l’accordo con Cno e Legacoop per l’olio extravergine al 100% italiano “Assieme”.

La redditività delle imprese agricole europee e in particolare italiane è stata il filo conduttore della VI Conferenza economica della Confederazione italiana agricoltori che si è tenuta a Lecce ieri ed oggi.
Un incontro che ha messo a fuoco nella prima giornata la questione della Pac post 2013, che è in fase di rielaborazione e affinamento nelle sedi istituzionali europee prima dell’approvazione definitiva, e a cui sono intervenuti i protagonisti del mondo produttivo agricolo italiano e i maggiori rappresentanti istituzionali del settore: dal Commissario europeo all’agricoltura Dacian Ciolos, al presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro, fino al ministro delle politiche agricole Mario Catania. Ai quali il presidente di Cia Giuseppe Politi si è così rivolto: «Chiediamo più equilibrio nella distribuzione delle risorse fra gli Stati membri. Il criterio non può essere solo la superficie, che si traduce necessariamente in un privilegio ai Paesi e alle produzioni continentali a scapito di quelle caratteristiche delle agricolture mediterranee. Noi chiediamo che la proposta di Bruxelles per la ripartizione delle risorse tenga conto delle specificità e del valore delle produzioni, ma anche della disparità del costo della vita nei diversi Stati». Un appello che ha trovato l’appoggio sia di Mario Catania che di Paolo De Castro, ma soprattutto la disponibilità del Commissario Ciolos, che di fronte alla platea riunita nel Chiostro dei Domenicani si è detto «pronto al dialogo con Parlamento e Consiglio per una Pac equa».
«Per costruire la nuova Politica agricola comune – ha detto nel suo intervento il ministro Mario Catania - dobbiamo partire dalle sfide che abbiamo davanti. Siamo in un mercato sempre più globalizzato e competitivo e ci troviamo ad avere una prospettiva di crescita della domanda nei prossimi anni, ma nello stesso tempo il reddito delle imprese si riduce. L'assottigliamento del reddito appare in contraddizione con la crescita della domanda, ma è un dato di fatto dovuto anche al malfunzionamento della filiera. Abbiamo bisogno di un modello di Pac che difenda e tuteli la redditività delle imprese, il valore della produzione e che aiuti la competitività dell'agricoltura europea. Ebbene, tutto questo lo troviamo solo parzialmente nella proposta di riforma della Commissione».
«L'attuale distribuzione degli aiuti diretti – ha aggiunto Catania - si deve snodare in un lasso temporale che impedisca uno strappo repentino che avrebbe conseguenze traumatiche su molte produzioni. Detto questo, voglio comunque ringraziare il Commissario europeo Dacian Ciolos per non aver avuto, in quest'ultimo periodo in cui il negoziato ha cominciato a fare importanti passi avanti, un atteggiamento dogmatico, per esempio sul 'greening'. Siamo stati sin dall'inizio tra i paesi più critici di fronte a questo aspetto della Pac per poi ritrovarci recentemente a dover difendere l'impianto del 'greening' di fronte ad altri paesi che volevano andare contro le stesse ragioni di fondo, che noi invece condividiamo. È importante - ha proseguito il Ministro - ricordare che la miglior politica ambientale è quella che cerca di mantenere gli agricoltori sul territorio. Per questo non possiamo calare sulle imprese soluzioni che hanno un costo difficilmente sostenibile, bisogna trovare misure che siano tecnicamente adeguate. L'esclusione delle piccole aziende, quelle sotto i 10 ettari, dal 'greening' è senz'altro un importante passo in avanti per fare in modo che questa misura sia compatibile con le imprese».
La questione della salvaguardia, o meglio del ripristino, della redditività delle imprese agricole è emersa anche nei report presentati dalla Cia su “la spesa in campagna” e “Le nuove opportunità: le agroenergie”.  Nel caso della vendita diretta, si tratta di un fenomeno che «nei primi sei mesi dell’anno ha già coinvolto più di due milioni di consumatori italiani: un piccolo esercito di consumatori attenti e consapevoli, che opta per la qualità e la tracciabilità degli alimenti, senza dimenticare le esigenze del portafoglio». «Di fronte a questo rinnovato interesse degli italiani per la campagna e per i cibi sani della nostra agricoltura – ha detto la vicepresidente di Cia Cinzia Pagni -, i produttori si stanno dimostrando attenti e propositivi, moltiplicando l’offerta e rendendola sempre più originale e appetibile». Gli aperitivi e i brunch in fattoria, le agro-gelaterie e agro-latterie, i percorsi del gusto, i pranzi a sacco per il trekking sono alcune delle soluzioni inventate dagli imprenditori agricoli più dinamici per sfruttare al massimo il successo della spesa in campagna.
Ma forse ancor più promettente sul piano del miglioramento della redditività delle imprese agricole, oltre che dal punto di vista dei vantaggi ambientali, sembrano le agroenergie. «Biomasse e biogas insieme hanno i numeri e il potenziale per diventare una fonte strategica per la nuova politica energetica nazionale - sostiene la Cia - ma rappresentano anche un’opportunità di reddito integrativa per le aziende agricole, in grado di far crescere il Pil del settore di almeno 5 punti. Ma soprattutto puntare sulle agroenergie vorrebbe dire abbassare i costi della bolletta energetica e dei carburanti e ridurre le emissioni di anidride carbonica. Un aiuto per le imprese, ma anche un vantaggio per tutti». Ma quanto “valgono” le biomasse? «Sono la principale fonte di energia rinnovabile in Europa - sottolinea la Cia - e, solo in Italia, hanno fatto risparmiare all’ambiente 24 milioni di tonnellate di Co2. Si tratta dell’energia termica o elettrica derivante dall’utilizzo delle biomasse legnose, di pellet, cippato e delle potature di colture arboree, più in generale degli scarti di agricoltura e allevamento: un’energia che non solo è a “emissione zero”, ma è anche economicamente competitiva, dal momento che arriva a costare meno della metà dei combustibili fossili, e soprattutto è molto più stabile e indipendente dalle fluttuazioni del mercato. Già oggi oltre 20 milioni di tonnellate di biomasse legnose sono destinate ogni anno alla produzione di energia termica, con un fatturato che supera abbondantemente i 5 miliardi di euro».  «Quanto al biogas – prosegue la Cia -, oggi sta vivendo un momento di grande espansione: solo fra il 2010 e il 2011 gli impianti in Italia sono quasi raddoppiati, passando da 273 a 521, con un aumento del 91 per cento. A dare il contributo più rilevante allo sviluppo del settore è stato finora il Centro-Nord, in particolare la Lombardia (210 impianti). Però c’è ancora molto da fare -ha dichiarato la Cia- poiché solo nel campo del biogas l’Italia ha un obiettivo al 2020 pari a 1,2 gigawatt, e ora siamo a meno di un terzo di questo potenziale (650 megawatt)».
Nella patria degli ulivi, la Puglia, non poteva mancare uno spazio dedicato all’olio extravergine d’oliva. Nell’occasione è stato presentato l’accordo tra Cia, Cno, Legacoop e Coop Italia per realizzare “Assieme”: «un olio 100% italiano dal campo alla tavola, che garantirà non soltanto la completa tracciabilità del prodotto per il consumatore, ma anche l’equa ripartizione del valore aggiunto e della redditività tra tutti i soggetti della filiera».

L.S.