Venti veri e propri gioielli di proprietà della Difesa e dell'Agenzia del Demanio potranno essere recuperati e rivalorizzati in un affidamento in concessione fino a cinquant'anni. Il nuovo bando uscirà a settembre, dopo il successo del primo che ha permesso l'aggiudicazione di nove fari, passati da essere un costo per l'amministrazione pubblica a un nuovo introito.
I fari e le dimore storiche sono posti unici per il panorama in cui si inseriscono e per la loro suggestiva bellezza. Sono dislocati in tutta Italia e tutti da ristrutturare e rimettere a reddito. Grazie al bando, previsto per il prossimo settembre, venti di questi saranno dati in concessione a privati e trasformati in hotel, resort o centri ambientalistici. Si va dal Faro di Spignon, sull'omonima isoletta della Laguna Sud di Venezia, al Faro della Guardia, sull'Isola di Ponza, costruito alla fine dell'800, fino al Padiglione di Punta del Pero, a Siracusa, e allo Stand Florio, a Palermo, utilizzato dalla nobiltà palermitana per sport acquatici e tiro al piccione. Nella lista ci sono anche torri nate nel Sud Italia per difendere le coste dagli attacchi dei Turchi, come la Torre Angellara a Salerno. «Non è vero che basta avere un patrimonio per valorizzarlo - ha sottolineato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan - per utilizzarlo bene servono investimenti e prospettive a lungo termine, serve una nuova filosofia, un nuovo approccio strategico della pubblica amministrazione per valorizzare se stessa. In un periodo di tempo lungo ma non lunghissimo le risorse saranno valorizzate».
Il bando del 2015 dimostra il successo dell'idea: secondo quanto rende noto l'Agenzia del Demanio, l'intera operazione, che si sta attivando, comporterà un investimento di circa 6 milioni di euro per riqualificare le strutture, con una ricaduta economica complessiva di circa 20 milioni di euro e un conseguente risvolto occupazionale diretto di oltre 100 operatori. Lo Stato incasserà oltre 340 mila di euro di canoni annui che, in considerazione della differente durata delle concessioni, ammonterà a oltre 7 milioni di euro per tutto il periodo di affidamento.
«Abbiamo confermato lo stesso modello dello scorso anno che ha soddisfatto tutte le attese» ha dichiarato il sottosegretario con delega alla pesca, Giuseppe Castiglione, dopo aver firmato il provvedimento ministeriale di fermo pesca che interessa 2300 imbarcazioni italiane.
L'arresto temporaneo e obbligatorio dell'attività di cattura riguarda le unità autorizzate all'uso del sistema a strascico (reti a strascico a divergenti, sfogliare, rapidi e reti gemelle). Sono circa 2300 le imbarcazioni interessate dal fermo: ovvero il 18% dell'intera flotta da pesca italiana. Percentuale che sale fino al 47 e al 60%, se l'incidenza viene calcolata rispettivamente sulla potenza motrice e sulla stazza. Le prime a fermarsi sono le unità autorizzate all'uso del sistema a strascico iscritte nei compartimenti marittimi da Trieste a Rimini. Lo stop è partito lo scorso 25 luglio e proseguirà per 43 giorni, fino al 5 settembre. Dal 16 agosto al 26 settembre, per 42 giorni, l'arresto delle attività riguarderà i compartimenti marittimi da Pesaro a Bari. Da Brindisi a Imperia l'interruzione sarà di trenta giorni dal 17 settembre al 16 ottobre. Come negli scorsi anni, il fermo obbligatorio per Sicilia e Sardegna sarà disposto con provvedimenti regionali per una durata che non sarà comunque inferiore a trenta giorni.
La compensazione per il mancato reddito degli armatori sarà erogata attingendo alle risorse del Feamp (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca). Per i marittimi imbarcati è prevista invece l'erogazione del trattamento di Cassa integrazione guadagni in deroga, attivata presso il ministero del Lavoro, per l'intera durata del periodo di fermo.
Soddisfazione dalle associazioni professionali di settore per le scelte operate che ricalcano a grandi linee quelle dello scorso anno, sotto il frutto di un buon compromesso tra le esigenze delle diverse marinerie italiane.
Gli agricoltori lanciano #riprendiamocilterritorio: esasperati, delusi, arrabbiati. Migliaia di agricoltori ed allevatori toscani arriveranno martedì 2 agosto fino nel cuore del centro storico di Firenze, in Piazza Duomo, di fronte alla Regione Toscana, per protestare contro il proliferare incontrollato degli ungulati, cinghiali, daini, caprioli, volatili ma anche predatori, lupi e canidi.
Colpevoli di devastare le coltivazioni, falcidiare i greggi, mettere a rischio la sicurezza del territorio, gli ungulati e i predatori rappresentano sempre più un pericolo per la collettività. Gli agricoltori intendono soprattutto chiedere l’applicazione della legge obiettivo per gli ungulati (L.R. 10/2016), che fin qui ha disatteso tutte le aspettative.
Lo stato di agitazione è stata deciso dal Direttivo Regionale di Coldiretti Toscana. A sostegno dell’iniziativa è stato lanciato anche l’hastag #riprendiamocilterritorio a rafforzare ulteriormente il messaggio della protesta. In Piazza Duomo arriveranno, già dalle prime ore della mattina, agricoltori ed allevatori da tutte le province della Toscana per rivendicare la volontà di produrre per i cittadini-consumatori e non per animali selvatici e predatori. A guidare la protesta sarà il Presidente di Coldiretti Toscana, Tulio Marcelli, insieme ai Presidenti della singole provincie. L’emergenza ungulati è già costata, negli ultimi cinque anni, 100milioni di euro di danni all’agricoltura ed è la causa 3 incidenti stradali al giorno. Secondo Coldiretti Toscana sono 450 mila gli esemplari a “piede libero”, il 70% sono cinghiali colpevoli di contribuire all’impoverimento della fauna e della flora del bosco e del sottobosco.
«Gli strumenti ci sono, e sono la legge obiettivo ed il piano lupi, ma non sono applicati. L’emergenza selvatici è diventata una costante quotidiana dell’agricoltura toscana. E’ inutile investire risorse sul piano di sviluppo rurale per incentivare l’agricoltura di montagna e nelle zone svantaggiate se poi si consente ai selvatici di fare razzie e di depredare gli agricoltori del loro lavoro. Coldiretti, insieme agli agricoltori ed allevatori, scende in piazza nuovamente ». L’ultima volta era stato nel novembre del 2008. «Questa è una prima fase della mobilitazione Coldiretti – conclude Antonio De Concilio, Direttore Coldiretti Toscana - che monitorerà con grande attenzione lo sviluppo di questa problematica cui soluzione non può avere ulteriori ritardi e non può essere rimandata ».
Si stima, per la campagna 2016-2017, un calodellaproduzionediperechesiattestaattorno al -13%: ma nientepaura, Gianni Amidei, presidentedell'Organismointerprofessionale (Oi) Pera, rassicura: «questeproduzionipotrannoesserefacilmenteassorbitedalmercato, vista l'entitàdelladomandadegliultimianni.»
In Emilia Romagna, dove si concentra quasi il 70% della coltivazione dipere italiane, i dati previsionali indicano nel complesso 448 mila tonnellate, ovvero il 13% in meno rispetto allo scorso anno. Molto buona comunque la qualità del frutto, con alcune peredal calibro elevato grazie alle condizioni meteorologiche favorevoli. Le superfici in piena produzione sono comunque valutate stabili rispetto allo scorso anno: un lieve rafforzamento di “Abate Fetel “e della cultivar di più recente introduzione “Carmen”. Stimati invece in diminuzione gli investimenti in piena produzionedi “Decana”, “Conferenze” e “Kaiser”. Risultano invece sostanzialmente costanti le superfici a “William” e “Santa Maria”. In calo rispetto al 2015, a livello produttivo, le “Santa Maria” (-25%), le “Decana” (-17%), le “Kaiser” (-19%), le “Abate Fetel” (-14%) e le “William” (-11%). Durante il Comitato di coordinamento dell'Oi Pera, tenutosi lo scorso 14 luglio a Ferrara, i partecipanti hanno condiviso la necessità di indicare un calibro minimo di raccolta per la varietà “Conference”. Il calibro minimo è stato fissato dunque sopra i 60 millimetri per salvaguardare una offerta di qualità e valore elevato.
Ai 300 milioni del 2015 al Piano irriguo nazionale ne arriveranno altri 500 dal Fondo di coesione (sbloccati entro agosto dal Cipe): dunque per il periodo di programmazione 2014-2020 le risorse disponibili saranno 800 milioni di euro. I cittadini, compresa l'importanza del ruolo svolto dalla bonifica, si dichiarano disposti a pagare anche una bolletta un po'più cara.
Questo quanto è emerso dall'assemblea annuale dell'Anbi, Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e tutela del territorio e acque irrigue, lo scorso 13 luglio a Roma. La Toscana possiede, in particolare, un territorio di 2.299.248 ettari completamente affidato a sei consorzi di bonifica. Unica regione italiana dove tutta la superficie del territorio è affidata ai consorzi, anch'essa sarà monitorata in tempo reale da osservatori per la gestione delle crisi idriche, attivi in ogni autorità di distretto idrografico italiana. Francesco Vincenzi, presidente di Anbi, ricorda a tutti i cittadini che dalla rete di irrigazione dipende l'86% del “Made in Italy” agroalimentare. Nonostante la recente polemica che ha investito il territorio valdinievolino, i consorzi di bonifica sono stati descritti dal presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, come un perno centrale dell'agricoltura, presente e futura.
Uno studio dell'Anbi dimostra poi come l'agricoltura irrigua sia capace di generare un maggior reddito per le aziende agricole: essa esercita infatti un ruolo significativo nel mantenimento dell'occupazione e nel contenimento dell'esodo rurale. Un paesaggio tipico da agricoltura irrigua può portare benefici a 24,6 milioni di famiglie per un valore economico di quasi 192 milioni di euro al mese (secondo la metodologia applicata “ChoiceExperiment” - C.E.). In base a una ricerca nazionale i cittadini sarebbero disposti a pagare 7,80 euro in più al mese nella bolletta per mantenere il paesaggio tipico di un'agricoltura irrigata, 4,66 euro per la presenza della cultura contadina, 1,58 euro per introdurre l'irrigazione in paesaggi dove non è presente e 1,35 euro per il riempimento, anche se solo parziale, delle falde acquifere.