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rose rosse

Royal FloraHolland ha pubblicato i risultati di un sondaggio sulla soddisfazione dei consumatori europei di rose: sono emersi dati interessanti. La rosa resta per il pubblico generalista il fiore d’eccellenza da regalare in ogni occasione, specialmente per dichiarare il proprio amore. Per il 70% degli intervistati, soprattutto per tedeschi ed olandesi, l’acquisto dei fiori viene fatto ad impulso, mentre un 50% è condizionato dalle offerte speciali (tranne in Francia).

La maggior parte dei consumatori, intervistati da Royal FloraHolland in Germania, Olanda, Francia e Inghilterra, si è dichiarata soddisfatta del proprio ultimo acquisto; solo il 49% dei tedeschi invece ha espresso insoddisfazione. 
All'indagine hanno preso parte 4.740 consumatori, quindi almeno 1.100 persone per Paese. La maggior parte degli intervistati ha dichiarato che i fiori recisi sono spesso un acquisto spontaneo, soprattutto in Olanda e Germania (circa il 70%). La maggior parte dei consumatori (dal 65% all'80% per Paese) è affascinata dalla crescita e dal mutamento dei fiori poiché c'è sempre qualcosa di diverso da scoprire. In tre dei quattro Paesi partecipanti all'indagine circa il 50% ha dichiarato di acquistare in risposta a offerte speciali, tranne in Francia dove questo dato è meno evidente. 
10rose490Per ciò che riguarda invece la soddisfazione nell'acquisto: solo il 49% dei tedeschi ha dichiarato di essere soddisfatto o molto soddisfatto, negli altri Paesi, invece, circa i tre quarti sono soddisfatti o molto soddisfatti del loro acquisto. Per l'indagine in questo ambito si è utilizzato l'NPS (Net Promotor Score), uno strumento che calcola la fidelizzazione misurando l'intenzione a raccomandare un certo prodotto. Chi raccomanda con facilità il prodotto è chiamato promoter, chi non lo raccomanda con facilità è chiamato invece detrattore. Sottraendo la quota dei detrattori da quella dei promotori si ottiene il punteggio NPS: questo risulta poco più basso in Germania rispetto agli altri Paesi, ma resta ancora da indagarne il motivo.
Le rose incontrano le aspettative di molti clienti e rappresentano il regalo ideale per tutte le età, tranne che per i giovani under 30 (più è anziano chi le riceve, più le apprezzerà). Le motivazioni per non acquistare rose includono un prezzo troppo alto e/o la mancanza di denaro, e infine la sensazione che la vita del fiore in vaso sia troppo breve (soprattutto in Germania e in Francia). La maggior parte dei consumatori si ricorda dell'ultima volta in cui ha comprato fiori da un fiorista: si preferisce quest'ultimo per la qualità migliore e perché egli rappresenta uno specialista del mercato. Solo per risparmiare e per la facilità d'acquisto si va al supermercato. 
Quando i consumatori acquistano le rose il colore, il prezzo, lo sviluppo e la grandezza del fiore sono gli aspetti più importanti. La rosa è un regalo particolarmente desiderato per le occasioni associate all'amore e alle relazioni come matrimoni, anniversari, il giorno di San Valentino o la Festa della Mamma.
Chi compra le rose è generalmente poco informato su come prendersi cura di questi fiori, non c'è infatti familiarità con alcuni suggerimenti pratici che estendono la vita in vaso delle rose. Ad esempio non si sa che tagliando il fondo del gambo dopo alcuni giorni la rosa può vivere più a lungo (solo in Germania e in Francia circa il 70% lo fa), o che si dovrebbe lasciare almeno 5 cm di acqua nel vaso e tagliare le foglie, ma lasciare le spine. In Germania e Francia si è meno consapevoli che i nutrienti per fiori allungano la vita di questi in vaso (circa il 50% lo sa a fronte del 70% e 80% in Inghilterra e Olanda). In tutti e quattro i Paesi si sostiene che la rosa rimanga gradevole per circa una settimana di vita in vaso. 
 
Redazione

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Al Sial, Salon International de l'Alimentation di Parigi, l’ICE partecipa, dal 16 al 20 ottobre, con oltre 200 aziende per offrire una panoramica completa della produzione alimentare italiana: pasta, carni preparate, condimenti, conserve, vini e prodotti tipici regionali. Ammonta a quasi 4 milioni il valore delle esportazioni verso la Francia nel 2015 con un + 2,3% e un +2,8% nel primo semestre del 2016.

La Francia si pone al secondo posto, dopo la Germania, tra i paesi importatori di prodotti dell'agroalimentare italiano nell’Unione Europea, arrivando a quasi 4 milioni di euro (+2,3%) nel 2015 e oltre 1,7 milioni di euro (+2,8%) nei primi sei mesi del 2016. La Francia, di cui l’Italia è il quinto fornitore di prodotti agroalimentari con una quota di mercato del 7,4%, acquista principalmente da noi pasta, conserve e lavorati del pomodoro, formaggi e bevande.
Al Sial, Salon International de l'Alimentation di Parigi, l’evento fieristico biennale che, insieme all’Anuga di Colonia, rappresenta la principale manifestazione del settore, l’ICE -Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane- partecipa, dal 16 al 20 ottobre, con oltre 200 aziende per offrire una panoramica completa della produzione alimentare italiana: pasta, carni preparate, condimenti, conserve, vini e prodotti tipici regionali esposti su una superficie di 2.800 mq.
In quest’edizione l’ICE, proseguendo nella sua attività di promozione degli scambi commerciali, ha organizzato diverse attività volte a far conoscere le eccellenze italiane, prima tra tutte uno “Show Cooking”, con dimostrazioni giornaliere, per valorizzare, nell’ambito del Piano Export Sud, le tipicità agroalimentari delle quattro Regioni della Convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e il loro legame con il territorio. Le ricette presentate costituiranno un ricettario, in inglese e francese, che verrà distribuito in fiera e ai partecipanti allo "Show Cooking" per promuovere la cultura gastronomica Made in Italy. Inoltre l’Agenzia ICE ha già attuato un’azione mirata di comunicazione con inserzioni pubblicitarie su alcune riviste francesi di settore e sul catalogo della manifestazione. Il Sial, vetrina prestigiosa che nell’ultima edizione ha accolto oltre 150.000 visitatori provenienti da più di 200 paesi, è l’occasione perfetta per assicurarsi una crescita costante nelle esportazioni alimentari su scala globale.  
 
Redazione

L'iniziativa punta su tre prodotti: olio extravergine d'oliva, formaggi e vino da esportare nei mercati di Usa e Canada, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Svezia. Ammonta così a 70 miliardi il potenziale che secondo Cia si potrebbe raggiungere attivando nuove strategie commerciali su questi mercati esteri. Si deve lavorare ancora molto, dato che il 95% delle specialità italiane è sconosciuto.

L'offerta italiana è davvero ricca, quasi 6.000 prodotti tra tradizionali e a denominazione d'origine, ma non ha ancora capacità di affermarsi sui grandi mercati esteri. Le eccellenze della produzione che sono riuscite in questo intento non superano la quota di duecento. Se nel 2015 si è registrato il record dell'export alimentare (+7%) con 37 miliardi, c'è ancora molto da fare secondo Cia.
Il potenziale inespresso favorisce inoltre il proliferare dei falsi, ricorda Cia. Il 95% della produzione italiana è sconosciuta ai consumatori esteri: ad esempio, a fronte di 523 vini a denominazione d'origine, all'estero ne arrivano solo una dozzina. A denunciare i limiti dell'internazionalizzazione dell'agroalimentare italiano è Dino Scanavino, presidente nazionale Cia. Continuando a parlare di km zero si rischia di relegare le produzioni di eccellenza alla vendita dei mercati rionali, ricorda Scanavino, bloccando così un potenziale di 70 miliardi in export. 
Diventa necessaria allora una strategia italiana di lungo respiro delle politiche agroalimentari connesse al commercio: Cia allora propone un suo piano 2016-2017 per la promozione internazionale delle imprese associate che punta su formazione, promozione e partecipazione a grandi fiere. In partnership con Enti fieristici, Ice, Valdani&Vicari, Centro studi Anticontraffazione (Csa), Gambero Rosso e Bevology si partirà con tre prodotti chiave: olio extravergine d'oliva, vino e formaggi. Il target di riferimento sono i consumi di fascia medio alta e i canali di distribuzione Ho.re.ca e la rete della distribuzione specializzata. 
Il prossimo passo è il coinvolgimento di cento aziende, ma al piano potranno aderire anche altri soggetti come i Gal. Si cercano poi risorse nei Piani di sviluppo rurale sulla misura per lo sviluppo della rete commerciale, si punta anche su condizioni bancarie favorevoli grazie agli accordi siglati da Cia con Intesa Sanpaolo.
 
Redazione

agricoltura

Le aziende agricole italiane sono ancora lontane dai mercati esteri: l'analisi Ismea parla chiaro. Su un panel di mille imprese, solo il 4% della produzione agricola viene esportata; il 20% è destinato alla vendita diretta (più del 40% nel caso delle olivicole). Si privilegiano i Paesi europei e i contratti scritti di durata inferiore o uguale ai 12 mesi.

Lo studio Ismea evidenzia anche l'estrema eterogeneità da settore a settore per ciò che riguarda il mercato. Per le aziende con allevamenti da carne il canale preferenziale è direttamente l'industria di prima trasformazione, a cui destinano il 43% dei capi allevati. Per le aziende della zootecnia da latte invece è più rilevante la quota di produzione (46%) destinata agli organismi associativi, quali cooperative, consorzi, associazioni. Lo stesso per i viticoltori, che destinano il 39% a questi organismi, e anche per gli operatori specializzati in seminativi (38%) e legnose (31%). 
La vendita diretta è molto diffusa tra le aziende olivicole e riguarda il 44% degli intervistati da Ismea. Nel 4% destinato all'esportazione, il 3% è indirizzato verso Paesi europei, mentre l'1% verso quelli extracomunitari. Qui le percentuali sono analoghe per tutti i comparti, tranne che per le aziende olivicole e vitivinicole: la loro quota estera, sul totale commercializzato, ha un'incidenza rispettivamente del 7% e del 13%. 
La destinazione geografica principale resta la provincia stessa di localizzazione dell'azienda, si parla del 74% del totale commercializzato. 
Per ciò che riguarda invece i contratti emerge una maggior diffusione del contratto scritto di durata uguale o inferiore ai 12 mesi: molti praticano ancora l'accordo verbale, o perché in fase preliminare a quello scritto, o perché attinente a cessioni di prodotti realizzate in un organismo associativo.
I prezzi vengono fissati sulla base di quelli praticati dai principali mercati di riferimento al momento della stipula del contratto, con gli aggiustamenti dovuti in base alla qualità. Le aziende che aderiscono a una cooperativa, invece, fissano il prezzo su quello di liquidazione fissato da questa.
 
Redazione

Il presidente di Piante e Fiori d’Italia Genovali approva l’istanza del sindaco di Pescia Giurlani di un sostegno ministeriale al coordinamento dei mercati di fiori, purché si utilizzi il tavolo tecnico della sua associazione. Apertura all’ingresso di altri soggetti della commercializzazione. Il problema vero? «Il piano del florovivaismo non ha ricevuto un euro, a differenza dei piani di altre filiere agricole».

«La strada di Giurlani può essere positiva». Pieno appoggio alla sua richiesta di un maggior supporto ministeriale per un migliore coordinamento dei mercati di fiori italiani, in modo che esso sia davvero continuo e permanente. Ma solo se questo avverrà senza la creazione di doppioni e attraverso invece il tavolo già esistente in seno a Piante e Fiori d’Italia, che non si è più riunito dopo l’inizio promettente solo per mancanza di risorse economiche. Nulla da eccepire poi all’idea di Giurlani di aprire il coordinamento dei mercati di fiori ad altri soggetti impegnati nella commercializzazione di fiori e piante.
Questo, a pochi giorni dalla notizia della lettera dal sindaco di Pescia Oreste Giurlani al vice ministro delle politiche agricole Andrea Olivero, il messaggio lanciato a Giurlani e ai deputati che appoggiano la sua iniziativa da Cristiano Genovali, presidente dell’Associazione nazionale Piante e Fiori d’Italia: l’unico soggetto pubblico, in quanto espressione delle camere di commercio italiane, impegnato nella promozione e tutela di tutta la filiera florovivaistica italiana.
floraviva«Se l’obiettivo del sindacoafferma Genovali - è andare a rafforzare i tavoli già esistenti, sposo pienamente la sua iniziativa e me ne farò portavoce a mia volta al Ministero. Purché non ci si dimentichi che di tavoli ne esistono già. Il tavolo di filiera presso il ministero delle politiche agricole, dove tutti i soggetti e le realtà della filiera sono o possono essere rappresentati. Mentre l’altro tavolo, specifico dei mercati di fiori e pubblico, è quello esistente all'interno dell’Associazione nazionale Piante e Fiori d’Italia».
Questo tavolo tecnico pensato per la decina di mercati di fiori italiani, ricorda Genovali, fu creato nel 2014, su impulso del coordinatore degli assessori regionali all’agricoltura nella Conferenza Stato-Regioni Fausto Nardoni (assessore della Puglia) (vedi nostro articolo), e «si riunì tre volte a Roma nella fase di preparazione del piano di settore florovivaistico 2014-2017 proprio per discutere il piano e trovare una posizione comune, che presentammo al tavolo di filiera». E all’obiezione che poi non pare essersi più riunito, così risponde Genovali: «finito il compito, non si è più riunito. Ma questo perché questi mercati non hanno denari per investire su queste cose. E già solo riunirsi costa, anche una sola riunione al mese in trasferta sono circa 6 mila euro all’anno e se queste strutture non vengono finanziate non ce la fanno. Il problema vero è che al piano 2014-2017 per la filiera florovivaistica non è stato dato un solo euro, a differenza di quanto successo per altre filiere agricole».
Dunque, dice Genovali, «anch’io credo che dobbiamo creare sinergie e mi faccio promotore, e coinvolgerò esponenti politici del territorio lucchese, della richiesta di finanziamenti per questi tavoli, sia quello specifico dei mercati sia quello di filiera, ma soprattutto per il prossimo piano di filiera 2017-2019», perché se no i progetti rimarranno lettera morta. Ma tutto ciò «senza creare doppioni e partendo dal tavolo già esistente», che «ha solo bisogno di essere adeguatamente finanziato».
Riguardo infine all’apertura di questo coordinamento permanente ad altri soggetti impegnati nella promozione e sostegno alla commercializzazione di piante e fiori, Genovali afferma che «va bene che il tavolo sia aperto anche ad altri soggetti, perché i problemi sono comuni, a parte la questione delle strutture, che è specifica dei mercati. E in realtà il nostro tavolo è sempre stato aperto a chi si fosse fatto avanti. L’importante è che si comincino ad affrontare problemi concreti come ad esempio, tanto per citarne uno, il fatto che si continua a produrre il lilium, anche se va meno e in pochi lo vogliono». Insomma ci vuole più comunicazione fra il lato produttivo e il lato finale della filiera.
 
Lorenzo Sandiford