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L'iniziativa punta su tre prodotti: olio extravergine d'oliva, formaggi e vino da esportare nei mercati di Usa e Canada, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Svezia. Ammonta così a 70 miliardi il potenziale che secondo Cia si potrebbe raggiungere attivando nuove strategie commerciali su questi mercati esteri. Si deve lavorare ancora molto, dato che il 95% delle specialità italiane è sconosciuto.

L'offerta italiana è davvero ricca, quasi 6.000 prodotti tra tradizionali e a denominazione d'origine, ma non ha ancora capacità di affermarsi sui grandi mercati esteri. Le eccellenze della produzione che sono riuscite in questo intento non superano la quota di duecento. Se nel 2015 si è registrato il record dell'export alimentare (+7%) con 37 miliardi, c'è ancora molto da fare secondo Cia.
Il potenziale inespresso favorisce inoltre il proliferare dei falsi, ricorda Cia. Il 95% della produzione italiana è sconosciuta ai consumatori esteri: ad esempio, a fronte di 523 vini a denominazione d'origine, all'estero ne arrivano solo una dozzina. A denunciare i limiti dell'internazionalizzazione dell'agroalimentare italiano è Dino Scanavino, presidente nazionale Cia. Continuando a parlare di km zero si rischia di relegare le produzioni di eccellenza alla vendita dei mercati rionali, ricorda Scanavino, bloccando così un potenziale di 70 miliardi in export. 
Diventa necessaria allora una strategia italiana di lungo respiro delle politiche agroalimentari connesse al commercio: Cia allora propone un suo piano 2016-2017 per la promozione internazionale delle imprese associate che punta su formazione, promozione e partecipazione a grandi fiere. In partnership con Enti fieristici, Ice, Valdani&Vicari, Centro studi Anticontraffazione (Csa), Gambero Rosso e Bevology si partirà con tre prodotti chiave: olio extravergine d'oliva, vino e formaggi. Il target di riferimento sono i consumi di fascia medio alta e i canali di distribuzione Ho.re.ca e la rete della distribuzione specializzata. 
Il prossimo passo è il coinvolgimento di cento aziende, ma al piano potranno aderire anche altri soggetti come i Gal. Si cercano poi risorse nei Piani di sviluppo rurale sulla misura per lo sviluppo della rete commerciale, si punta anche su condizioni bancarie favorevoli grazie agli accordi siglati da Cia con Intesa Sanpaolo.
 
Redazione

agricoltura

Le aziende agricole italiane sono ancora lontane dai mercati esteri: l'analisi Ismea parla chiaro. Su un panel di mille imprese, solo il 4% della produzione agricola viene esportata; il 20% è destinato alla vendita diretta (più del 40% nel caso delle olivicole). Si privilegiano i Paesi europei e i contratti scritti di durata inferiore o uguale ai 12 mesi.

Lo studio Ismea evidenzia anche l'estrema eterogeneità da settore a settore per ciò che riguarda il mercato. Per le aziende con allevamenti da carne il canale preferenziale è direttamente l'industria di prima trasformazione, a cui destinano il 43% dei capi allevati. Per le aziende della zootecnia da latte invece è più rilevante la quota di produzione (46%) destinata agli organismi associativi, quali cooperative, consorzi, associazioni. Lo stesso per i viticoltori, che destinano il 39% a questi organismi, e anche per gli operatori specializzati in seminativi (38%) e legnose (31%). 
La vendita diretta è molto diffusa tra le aziende olivicole e riguarda il 44% degli intervistati da Ismea. Nel 4% destinato all'esportazione, il 3% è indirizzato verso Paesi europei, mentre l'1% verso quelli extracomunitari. Qui le percentuali sono analoghe per tutti i comparti, tranne che per le aziende olivicole e vitivinicole: la loro quota estera, sul totale commercializzato, ha un'incidenza rispettivamente del 7% e del 13%. 
La destinazione geografica principale resta la provincia stessa di localizzazione dell'azienda, si parla del 74% del totale commercializzato. 
Per ciò che riguarda invece i contratti emerge una maggior diffusione del contratto scritto di durata uguale o inferiore ai 12 mesi: molti praticano ancora l'accordo verbale, o perché in fase preliminare a quello scritto, o perché attinente a cessioni di prodotti realizzate in un organismo associativo.
I prezzi vengono fissati sulla base di quelli praticati dai principali mercati di riferimento al momento della stipula del contratto, con gli aggiustamenti dovuti in base alla qualità. Le aziende che aderiscono a una cooperativa, invece, fissano il prezzo su quello di liquidazione fissato da questa.
 
Redazione

Il presidente di Piante e Fiori d’Italia Genovali approva l’istanza del sindaco di Pescia Giurlani di un sostegno ministeriale al coordinamento dei mercati di fiori, purché si utilizzi il tavolo tecnico della sua associazione. Apertura all’ingresso di altri soggetti della commercializzazione. Il problema vero? «Il piano del florovivaismo non ha ricevuto un euro, a differenza dei piani di altre filiere agricole».

«La strada di Giurlani può essere positiva». Pieno appoggio alla sua richiesta di un maggior supporto ministeriale per un migliore coordinamento dei mercati di fiori italiani, in modo che esso sia davvero continuo e permanente. Ma solo se questo avverrà senza la creazione di doppioni e attraverso invece il tavolo già esistente in seno a Piante e Fiori d’Italia, che non si è più riunito dopo l’inizio promettente solo per mancanza di risorse economiche. Nulla da eccepire poi all’idea di Giurlani di aprire il coordinamento dei mercati di fiori ad altri soggetti impegnati nella commercializzazione di fiori e piante.
Questo, a pochi giorni dalla notizia della lettera dal sindaco di Pescia Oreste Giurlani al vice ministro delle politiche agricole Andrea Olivero, il messaggio lanciato a Giurlani e ai deputati che appoggiano la sua iniziativa da Cristiano Genovali, presidente dell’Associazione nazionale Piante e Fiori d’Italia: l’unico soggetto pubblico, in quanto espressione delle camere di commercio italiane, impegnato nella promozione e tutela di tutta la filiera florovivaistica italiana.
floraviva«Se l’obiettivo del sindacoafferma Genovali - è andare a rafforzare i tavoli già esistenti, sposo pienamente la sua iniziativa e me ne farò portavoce a mia volta al Ministero. Purché non ci si dimentichi che di tavoli ne esistono già. Il tavolo di filiera presso il ministero delle politiche agricole, dove tutti i soggetti e le realtà della filiera sono o possono essere rappresentati. Mentre l’altro tavolo, specifico dei mercati di fiori e pubblico, è quello esistente all'interno dell’Associazione nazionale Piante e Fiori d’Italia».
Questo tavolo tecnico pensato per la decina di mercati di fiori italiani, ricorda Genovali, fu creato nel 2014, su impulso del coordinatore degli assessori regionali all’agricoltura nella Conferenza Stato-Regioni Fausto Nardoni (assessore della Puglia) (vedi nostro articolo), e «si riunì tre volte a Roma nella fase di preparazione del piano di settore florovivaistico 2014-2017 proprio per discutere il piano e trovare una posizione comune, che presentammo al tavolo di filiera». E all’obiezione che poi non pare essersi più riunito, così risponde Genovali: «finito il compito, non si è più riunito. Ma questo perché questi mercati non hanno denari per investire su queste cose. E già solo riunirsi costa, anche una sola riunione al mese in trasferta sono circa 6 mila euro all’anno e se queste strutture non vengono finanziate non ce la fanno. Il problema vero è che al piano 2014-2017 per la filiera florovivaistica non è stato dato un solo euro, a differenza di quanto successo per altre filiere agricole».
Dunque, dice Genovali, «anch’io credo che dobbiamo creare sinergie e mi faccio promotore, e coinvolgerò esponenti politici del territorio lucchese, della richiesta di finanziamenti per questi tavoli, sia quello specifico dei mercati sia quello di filiera, ma soprattutto per il prossimo piano di filiera 2017-2019», perché se no i progetti rimarranno lettera morta. Ma tutto ciò «senza creare doppioni e partendo dal tavolo già esistente», che «ha solo bisogno di essere adeguatamente finanziato».
Riguardo infine all’apertura di questo coordinamento permanente ad altri soggetti impegnati nella promozione e sostegno alla commercializzazione di piante e fiori, Genovali afferma che «va bene che il tavolo sia aperto anche ad altri soggetti, perché i problemi sono comuni, a parte la questione delle strutture, che è specifica dei mercati. E in realtà il nostro tavolo è sempre stato aperto a chi si fosse fatto avanti. L’importante è che si comincino ad affrontare problemi concreti come ad esempio, tanto per citarne uno, il fatto che si continua a produrre il lilium, anche se va meno e in pochi lo vogliono». Insomma ci vuole più comunicazione fra il lato produttivo e il lato finale della filiera.
 
Lorenzo Sandiford

carta di barga

Concluso sabato 8 ottobre a Barga (Lu) il XVIII Congresso nazionale dei Periti Agrari e Periti Agrari Laureati con l’approvazione delle linee guida per la categoria redatte nella “Carta di Barga”, documento che sarà trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi. Il presidente nazionale Benanti: «Da questo congresso, orientato al futuro, usciamo rafforzati. La professione è in grado di rispondere in modo consapevole agli stimoli che provengono dalla società quali nuovi e corretti stili di vita, salute e benessere».

«Da questo congresso, orientato al futuro, i Periti agrari italiani escono rafforzati e consapevoli delle loro reali possibilità. Sanno di poter operare nell’ambito delle filiere agricole con le necessarie conoscenze legate all’innovazione e alle necessità di cui il settore ha bisogno». Con queste parole Lorenzo Benanti, presidente del Collegio nazionale dei Periti Agrari e Periti Agrari Laureati, ha presentato la Carta di Barga manifesto delle filiere agroalimentari italiane a chiusura del 18esimo Congresso nazionale. Il documento, sintesi dei lavori congressuali che fissa le linee guida per il futuro professionale della categoria, sarà trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, considerata la multidisciplinarietà degli argomenti interessati: agricoltura, ambiente, formazione, sanità. Alla giornata conclusiva, condotta da Patrizio Roversi, sono intervenuti, tra gli altri, il Senatore Andrea Marcucci, presidente della settima commissione permanente istruzione pubblica e beni culturali, la Senatrice Leana Pignedoli, vice presidente Commissione agricoltura, e Marco Remaschi, assessore all’agricoltura della Regione Toscana.
Il documento è il primo nella storia categoria: da un lato fissa una «visione della professione in grado di rispondere in modo consapevole agli stimoli che provengono dalla società quali nuovi e corretti stili di vita, salute e benessere attraverso l’impegno quotidiano nei vari e molteplici settori in cui operano da sempre i Periti Agrari». Dall’altro si rivolge alle istituzioni chiedendo un intervento rispetto alla creazione di «adeguate politiche in grado di sostenere e difendere le produzioni agroalimentari di eccellenza oltre alla salvaguardia di percorsi formativi per i futuri tecnici della filiera agricola sin dalla scuola secondaria di secondo grado nella quale la riforma ha prodotto un notevole impoverimento del piano di studi».
In particolare la Carta impegna i Periti agrari in un decalogo di best practices quali: operare nel rispetto delle risorse naturali limitandone al massimo l’impoverimento, valorizzare la biodiversità delle specie animali e vegetali, la biodiversità agro-ambientale e la valenza culturale dei territori agricoli; difendere e promuovere le produzioni della filiera agricola secondo criteri di sicurezza alimentare; rappresentare l’elemento di unione tra produttori agricoli, cittadini, istituzioni nell’ambito delle normative e delle politiche agricole; rafforzare, attraverso le conoscenze tecniche, la propria autorevolezza verso produttori e consumatori ottenendo così la loro partecipazione alle pratiche di sostenibilità; operare, attraverso le conoscenze e la formazione continua, come soggetto in grado di trasferire innovazione e conoscenza; favorire la competitività e l’internazionalizzazione delle aziende agricole; promuovere la sinergia culturale tra consumatore e produttore con l’obiettivo di sviluppare anche una qualità dell’informazione lungo la filiera agro-alimentare; sviluppare una visione della professione sempre più improntata all’internazionalizzazione in una logica di interscambio e di trasferimento delle conoscenze e competenze sia a livello europeo che mondiale; implementare il percorso di crescita della propria professionalità portandola dall’obiettivo originario del sostegno all’impresa agricola, a quello più ampio di costruzione di un rapporto di garanzia e fiducia tra produttore agricolo, istituzioni, consumatori.

Redazione

barachinicoldiretti

Pietro Barachini della Spo di Pescia presenta al ministro Martina la ricetta per fronteggiare il problema delle frodi nell'olio rilanciando il comparto a partire da qualità e biodiversità autoctone. Se ne è parlato durante l'incontro Coldiretti al Mandela Forum di Firenze lo scorso giovedì 29 settembre, in occasione della Giornata Nazionale dell'extravergine italiano.

Risolvere il problema che coinvolge il comparto dell'olivicoltura non è semplice, ma resta di vitale importanza. Durante la Giornata Nazionale dell'extravergine italiano, Pietro Barachini ha avuto modo di dialogare direttamente col Ministro Martina al quale si è rivolto in cerca di una risposta concreta sulla valorizzazione della biodiversità delle cultivar italiane.
Da produttore di piante di olivo biologiche e certificate della Società Pesciatina d'Orticoltura, che produce 300.000 piante all'anno su un totale produttivo di circa un milione, Barachini esprime così le criticità quotidiane: «Conosco bene il comparto, ogni giorno ho a che fare con aziende agricole che hanno grosse difficoltà, soprattutto dovute all'importazione selvaggia di oli provenienti da altri paesi, qualitativamente peggiori di quelli italiani e senza certificazioni.» Lo svantaggio in cui si trova la produzione italiana per costi, legislazione e burocrazia che frenano, deve essere risolto e secondo Barachini lo si deve fare puntando sulla qualità dell'extravergine italiano.
«Anche con l'aiuto di Coldiretti, che ringrazio, ho avuto la possibilità di creare una piccola start up sulla tracciabilità di filiera che permette ai piccoli olivicoltori con coraggio di tracciare il proprio prodottoEcco la soluzione: una produzione di qualità, tracciabile e che favorisca la biodiversità. «Lei, Ministro, saprà bene che in Italia esiste una biodiversità, unica al mondo, di 533 cultivar, ma di cui ne vengono prodotte e piantate solo cinquanta. Allora io mi chiedo quando l'Italia veramente investirà in questo settore, recuperando e valorizzando queste cultivar e facendole conoscere. Ricordo anche che queste hanno il contenuto di polifenoli più alto nel mondo» conclude Barachini rivolgendosi al Ministro Martina.
I dati parlano chiaro: l'Italia riesce a soddisfare, con la sua produzione, solo il 30% del suo fabbisogno interno.«In questo 30% l'olio extravergine di qualità rappresenta il 10%: si capisce bene che si parla di quantità veramente ridotte. La mia idea è quella di ripartire dalla produzione di qualità unendo gli olivicoltori che già lavorano in questa direzione con quelli più piccoli. In questo modo si possono fronteggiare seriamente gli imbottigliatori italiani di olio estero.»
 
Redazione