Un albero, fiore, pianta per...

Si chiameranno “Un albero per…” e “Una pianta per…” e sono le due nuove rubriche gemelle di “Un fiore per…”, nata da un’idea di colui che scrive nell’ormai lontano ottobre del 2011, quando la rivista Floraviva di Andrea Vitali, editore residente in Valdinievole, era più centrata sulla floricoltura e tutta la filiera del fiore (senza mai trascurare però il contesto in cui si inserisce: dall’agricoltura e l’ambiente sino alla cultura).
Come descritto nel primo articolo, “Un fiore per… scrivilo tu” (vedi), a contraddistinguere la rubrica dovevano essere tre aspetti: a) sul piano del contenuto, la focalizzazione sulle funzioni dei fiori – in senso lato, a includere tutti gli usi, persino le semplici dediche - e quindi la sua natura molto, infinitamente varia quanto ad argomenti e approcci; b) dal punto di vista produttivo o, per usare un termine più ampio e nobile, “generativo”, l’assenza di un autore fisso con l’apertura a contributi di esterni (secondo il regolamentino tracciato nel primo articolo sopra citato); c) dal punto di vista stilistico, una potenziale eterogeneità assoluta di registri, grazie anche ma non solo all’ipotizzata pluralità di autori.
Le cose non sono andate esattamente come prefigurato dallo scrivente, perché i contributi di autori esterni occasionali, seri o giocosi, profondi o leggeri, sono stati pochissimi, nettamente inferiori alle attese (ma l’invito rimane valido: mandate testi e li pubblicheremo nei limiti del regolamentino del primo articolo della rubrica sopra citato). Però, nonostante ciò, gli articoli della rubrica, per quanto scritti in gran parte dalle medesime due o tre persone, sono stati ugualmente piuttosto eterogenei, adattandosi, secondo la logica implicita della rubrica, alle differenti funzioni e occasioni ispiratrici.
Ma non sono state considerazioni sull’andamento delle rubrica, che il suo egregio numero di visualizzazioni le ha pur (quasi) sempre progressivamente ottenute, a spingere l’editore Andrea Vitali a dare spazio alle due varianti o rubriche gemelle proposte: “Un albero per…” e “Una pianta per…”. Quanto invece due circostanze così riassumibili. Innanzi tutto, le due rubriche, nel corso del tempo, erano di fatto già nate, anche se non battezzate ufficialmente. Infatti, in più di un’occasione, anche sulla spinta della sempre maggiore attenzione riservata da Floraviva al vivaismo ornamentale e alla produzione di piante da esterno, è capitato di scrivere degli articoli intitolati “Una pianta per…” quando l’oggetto non erano piante da fiore, ma alberi o altri tipi di piante verdi. L’altra circostanza è stata l’imporsi e diffondersi, nella comunicazione aziendale di settore estera e italiana - ci piace pensare anche grazie al nostro piccolissimo contributo - e poi nell’editoria specializzata e non solo, di questo approccio al mondo delle piante in chiave funzionale, cioè dal punto di vista dei loro scopi e usi e benefici, in una parola, delle loro funzioni appunto. A queste due circostanze va aggiunto il trend più recente - che in passato era riservato prevalentemente alle nuove cultivar di piante da fiore - delle dediche, spesso collegate alle donazioni. Si fanno sempre più donazioni e dediche di alberi, di piante e persino di giardini e parchi e foreste.
Non si poteva più rimandare quindi l’apertura di questi due nuovi contenitori, la cui suddivisione terminologica e articolazione semantica è comunque, ovviamente, non priva di elementi critici e discutibili o, se preferite, da vari punti di vista banalmente arbitraria. Ma l’arbitrarietà, come sa chiunque abbia studiato un po’ di linguistica, è insita nelle lingue naturali stesse, nel linguaggio... Insomma, siamo ovviamente, pienamente, consapevoli che sono tutte piante… Però ci lasceremo guidare pragmaticamente e semplicisticamente, da un lato, dalla distinzione fra albero e il resto delle piante e, dall’altro, fra pianta da fiore (in cui il centro dell’interesse, almeno in quel determinato articolo, è il fiore) e il resto delle piante che non sono alberi. Così nella rubrica “Un fiore per…” da ora in poi scriveremo di fiori recisi ma anche di piante da fiore, nella rubrica “Un albero per…” di alberi e nella rubrica “Una pianta per…” di tutto il resto: arbusti, piante coltivate per recidere le fronde e piante fiorite in cui il fiore è secondario nelle prassi prevalenti. E potrà accadere, ad esempio, che una pianta da fiore di cui si è già parlato nella rubrica “Un fiore per…” in relazione a certi usi venga in seguito trattata come pianta tout court, e senza considerare la fioritura, con riferimento ad altre funzioni nella rubrica “Una pianta per…”. Perché, appunto, queste tre rubriche non hanno lo scopo di distinguere specie vegetali ma di raccontare usi di quelle cose che comunemente chiamiamo fiori, alberi e piante. E dunque, concludendo, sarà la funzione in primo piano nell’articolo a determinarne la collocazione in una delle tre rubriche. In altri termini, anche qualora i contenuti di certi articoli fossero di alto livello scientifico e botanico, magari in quanto scritti di pugno proprio da scienziati ed esperti, si inserirebbero in una cornice editoriale (le tre rubriche) basata su criteri prima di tutto comunicativi, non botanici o agronomici. Sta proprio in questa formula la nostra scommessa divulgativa.               

Lorenzo Sandiford

gelso di Vannucci Piante alla Fondazione Collodi
Alla vigilia della Giornata nazionale degli alberi e della concomitante Festa dell’albero di Legambiente, anzi due giorni prima, nell’area in cui la Fondazione Nazionale Carlo Collodi sta allestendo la fattoria didattica di Pinocchio è stato piantato un albero di gelso donato da Vannucci Piante, l’azienda leader del distretto vivaistico pistoiese.
Alla cerimonia per la messa a dimora di questo esemplare di Morus alba, che è solo il primo di un piccolo gelseto che sarà creato lì a Collodi accanto alla statua di Pinocchio più alta del mondo e non ha quindi un significato simbolico generale legato alla celebrazione del ruolo degli alberi ma uno più specifico riguardante la sericoltura, hanno partecipato, oltre al presidente della Fondazione Collodi Pier Francesco Bernacchi, Vannino Vannucci, titolare dell’azienda donatrice, il responsabile marketing della stessa azienda Andrea Massaini e una classe dell’Istituto Sismondi-Pacinotti di Pescia (Collodi è una frazione del Comune di Pescia, in provincia di Pistoia) con le docenti Sonia Capecchi ed Emilia Marcori. L’obiettivo dell’iniziativa è inserire e valorizzare Collodi, che ha una tradizione importante di gelsibachicoltura risalente al 1300 e durata fino a circa la metà del secolo scorso, nel progetto della Via Europea della Seta a cui stanno lavorando anche otto provincie italiane fra cui quella di Lucca (ma non nell’odierna dimensione: il riferimento è alla Lucca del XIX secolo che abbracciava anche Collodi e il territorio pistoiese). Come è stato spiegato, a Collodi si trovava infatti la più grande delle tre filande storiche lucchesi dell’epoca e la Fondazione Collodi ha sede in una villetta che era appartenuta alla famiglia Arcangeli, titolare di quella filanda, che sorge qui vicino. 
Dunque la pianta al centro della nostra attenzione è stavolta il gelso o più precisamente la specie gelso bianco o Morus alba, delle cui foglie si nutrono i bachi da seta. Una specie originaria della Cina e della Corea caratterizzata dall’accrescimento piuttosto rapido che raggiunge fra i 15 e i 20 metri di altezza e i cui frutti, chiamati sorosi, sono commestibili, anche se meno gustosi di quelli del gelso nero o Morus nigra, tant’è che l’impiego del Morus alba come albero da frutto è sempre stato di scarsa rilevanza, pur esistendo diverse varietà selezionate a questo scopo con frutti migliorati e più pregiati. Alcune varietà dal fogliame particolare sono utilizzate come piante da giardino. A rendere interessante il gelso bianco come pianta ornamentale, sostiene Wikipedia italiana, sono sia il portamento sia il colore dorato del fogliame in autunno e a tale scopo ne sono state selezionate alcune varietà pendule, come ad esempio la popolare Morus alba v. ‘Pendula’, con chioma espansa e rami ricadenti. In Emilia-Romagna il legno di questa pianta è impiegato nella produzione dell’aceto balsamico tradizionale di Modena, utilizzato per la costruzione di botti che conferiscono un particolare aroma al prodotto. Il gelso bianco è una pianta rustica e resistente che si ammala di rado, ad eccezione dei vecchi esemplari nei quali la carie del legno è piuttosto comune. Come sottolineato da Wikiepdia americana, Morus alba è ampiamente coltivato in tanti paesi fra cui Stati Uniti, Messico, Australia, Argentina, Turchia, Iran e India per l’allevamento dei bachi da seta (attività che nell’originaria Cina risale a ben 4700 anni fa) e si contraddistingue per il rapido rilascio del suo polline, che viene lanciato a più della metà della velocità del suono, il movimento più veloce nel regno vegetale. Gli alberi di Morus alba ‘Pendula’ sono stati ampiamente utilizzati come arredi urbani in alcune aree degli Stati Uniti, sia per l’ombra che per l’estetica, ma il loro polline ha creato problemi in alcune città dove è stato incolpato dell’aumento delle allergie. Alcuni estratti sono stati suggeriti per i potenziali effetti benefici medici, ma mancano ancora sufficienti sperimentazioni cliniche per confermarlo. 


L.S.

Hibiscus syriacus
Per il National Garden Bureau, organizzazione non-profit statunitense che promuove la diffusione delle piante nelle case, nei giardini e nei luoghi di lavoro, questo è l’anno dell’«Hardy Hibiscus», l’ibisco resistente al freddo: «piante favolose a crescita rapida che esplodono con fiori simili a girandole delle dimensioni di piatti nella tarda estate» e che, anche se spesso confuse con le loro cugine tropicali, sono in grado di sopravvivere a diversi gradi sotto zero. Appartenenti al genere di piante fiorite Hibiscus, gli Hardy Hibiscus, come ricorda il National Garden Bureau, sono «ibridi riconducibili principalmente alla specie Hibiscus moscheutos», specie che «può essere trovata in crescita naturale nelle zone umide e lungo le rive dei fiumi in tutto il Midwest e la costa orientale, estendendosi fino al Texas e alla Florida». Un insieme di piante che include dunque specie native del Nord America (oltre a Hibiscus moscheutos anche Hibiscus laevis) e ibridi derivati da tali specie. 
Ma Floraviva vuole considerare come “Un fiore per… l’anno 2021” tutto il genere Hibiscus, non solo il sottoinsieme selezionato dal Garden Bureau. Questo sia perché da noi in Italia le specie più diffuse come piante ornamentali sono in primis l’Hibiscus syriacus (nella foto) e secondariamente l’Hibiscus rosa-sinensis, non gli Hardy Hibiscus, e poi perché altre notizie che lo rendono attuale quest’anno non hanno a che fare nello specifico con quest’ultima classe di ibischi diffusi in Nord America. 
Riguardo al genere Hibiscus, va ricordato innanzi tutto che comprende alcune centinaia di specie, 240 per Wikipedia italiana. E molteplici sono i significati e le simbologie a seconda della dell’area geografica, della cultura, della specie o del colore. Nelle sintesi di giardinaggio.net e giardinaggio.org, mentre in Europa è considerato il simbolo di una bellezza fugace, fragile e delicata da preservare, in America è associato alla fecondità e devozione e viene regalato alle spose. Dal 1923 il fiore dell'ibisco è il simbolo ufficiale dello stato delle Hawaii, dove esprime il buon auspicio e viene intrecciato in ghirlande colorate donate ai turisti. Nella tradizione, le donne hawaiane ne portano uno appuntato dietro all'orecchio: il sinistro se sono single, il destro se impegnate. In Cina, invece, l’albero e il fiore hanno due significati diversi: il primo incarna fama e ricchezza e viene regalato al compimento di un percorso di studi o una promozione sul lavoro; il secondo ha un valore propiziatorio di future nozze. Nella religione indù, invece, è il fiore sacro offerto a Kali e a Ganesha.
Venendo alle specie ornamentali più diffuse in Italia, ricordiamo che l’Hibiscus syriacus, originario della Cina ma raccolto in giardini siriani, come ricorda Wikipedia inglese, è il fiore nazionale della Corea del Sud ed è citato nell’inno nazionale sud-coreano. Si propaga sia tramite semi che tramite talee. Le piante di questa specie, rustiche e resistenti al freddo, dalle fioriture estive bianche, rosa, viola e lilla, sono impiegate quali piante ornamentali nei giardini, come alberelli isolati o come siepi, oppure in vaso nei terrazzi. Da luglio a ottobre producono fiori di 7/8 cm che durano circa un giorno ma vengono continuamente sostituiti. Questa pianta tollera temperature fino a -20 gradi centigradi, ma gradisce climi caldi e temperati. Negli anni sono state sviluppate centinaia di cultivar dai colori più vari, monocromatiche o variegate, a fiore singolo o doppio. 
La specie Hibiscus rosa-sinensis, anch’essa probabilmente originaria della Cina, è il fiore nazionale ufficiale della Malesia, dove viene chiamato “bunga raya” (fiore grande), ma informalmente anche di Haiti, dove viene molto usata nelle promozioni turistiche. Normalmente raggiunge i 3 metri di altezza, ma nei paesi d'origine (la Cina) può arrivare a 10 metri. Trattandosi di una pianta molto versatile, l’Hibiscus rosa sinensis si adatta sia alla coltivazione all’aperto sia a quella in vaso. Ama la luce solare, ma non diretta, per cui d’estate meglio mettere i vasi in luoghi riparati dal sole. D’inverno tenerlo in ambienti a temperature tra i 10° C e i 13° C. Esistono più di 1000 cultivar di questa specie.
Ma, dicevamo, a rendere attuale l’Hibiscus quest’anno contribuiscono anche notizie e articoli da fonti nostrane, non solo made in Usa. Come messo in luce, ad esempio, da un recente articolo su “Cook – racconti di cucina” del Corriere della Sera, l’ibisco, sebbene più famoso come pianta ornamentale che colora tanti giardini e adornava le donne tahitiane dipinte da Gauguin, è un vegetale molto versatile che può essere usato in cucina in tanti modi: per le insalate, i dolci, la granita e i drink. In particolare grazie alle piante della specie Hibiscus sabdariffa, detta “Rosella” o “Karkadè”, probabilmente originaria dell'Africa occidentale, le cui foglie sono una buona fonte di polifenoli. Da esse si ricavano, essiccando i calici dei fiori, delle bevande note come “tè di ibisco” o “Carcadè”. 
L’Informatore della Coop di Firenze, invece, in un recente pezzo su come coltivare l’ibisco sottolinea che «è amato dalle api, che lo visitano sia per il polline sia per il nettare, e pure le farfalle ne sono attratte», per cui «tenerne uno in giardino è favorevole all’ecosistema». Inoltre si sofferma sulla specie Hibiscus palustris, di origine europea, nota in Italia come ibisco palustre, che vive in zone umide e paludose, come stagni e laghetti, ed è diffuso in Italia «prevalentemente in Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio». Essa può crescere fino a 2 metri di altezza e «si adorna di grandi fiori bianco rosati che arrivano a oltre dieci centimetri di diametro».
Infine, quasi a contrassegnarne simbolicamente per quanto casualmente l’attualità, come reso noto da Askanews il 30 luglio, una casa editrice fiorentina, Tessere, è tornata a pubblicare un romanzo di Elena Gianini Belotti intitolato Il fiore dell’ibisco. Sì, forse il 2021 è proprio l’anno dell’Hibiscus, sia oltreoceano che da noi.


L.S.


Gerani per la festa della mamma 2021
Quale dono fiorito scegliere per la festa della mamma di domani, domenica 9 maggio 2021? 
Proponiamo il suggerimento comunicato due giorni fa dal Bureau Horticole Régional Pays de La Loire & Itec, l’Ufficio Regionale per il Florovivaismo di questo territorio francese celebre anche per i suoi parchi e giardini. Regalate a vostra madre dei gerani, ditele quanto le volete bene con piante o fiori del genere Pelargonium.  
«Quando ci si accinge a regalare dei fiori - osservano gli esperti francesi - forse il geranio non è il primo a venire in mente. Eppure questa bella pianta fiorita di facile manutenzione è il regalo floreale perfetto per questa stagione. Simbolo dell’estate, ha colori accesi e fiori di varie forme». Scegliendo i gerani per la festa della mamma, sicuramente le renderemo felici. 
Sono molte le possibilità a disposizione, sia riguardo alle specie che ai “format” di confezionamento del regalo da scegliere. Si va dalla cassetta di legno, alla borsetta di carta o la cesta di paglia, tutti rigorosamente riempiti di gerani, per restare agli esempi illustrati dal Bureau Horticole de La Loire. La prima, magari dipinta a mano e traboccante di gerani in fiore, è l’ideale per le mamme che possiedono, e amano, un balcone o un giardino. E’ importante in questo caso dipingere la cassetta con un colore che ben si accosti alle varietà di fiori scelte. Ma può essere gradito anche a mamme che vivono in appartamenti senza spazi esterni. Infatti i gerani sono stati a lungo coltivati anche come piante da interno e poi alcuni di essi, ad esempio quelli dal profumo di rosa o limone, possono essere utilizzati in cucina. native mammaVerso quali specie indirizzarsi? Il Bureau Horticole non si sbilancia in tal senso per l’occasione della festa della mamma e si limita a ricordare alcune specie fra le più apprezzate nei giardini d’Europa, per l’ampia disponibilità nei vivai e garden center, per la capacità di ricreare un’inconfondibile atmosfera mediterranea, per l’ottimo rapporto prezzo – qualità e per la facile manutenzione. Tra le specie ricordate ne citiamo tre: il Pélargonium zonale, definito «robusto, affidabile, resistente alla siccità e dalla fioritura perenne senza pari, si presenta sotto forma di una pianta diritta e abbondante rinomata per la sua resistenza ai parassiti». Il Pélargonium grandiflorum o geranio reale/imperiale, i cui fiori sbocciano prima di quelli del zonale, «una pianta maestosa e scultorea, apprezzata per i suoi fiori dall'aspetto stropicciato e dalle tonalità molto varie che vanno dal bianco e rosa alle tonalità scure del color malva. La maggior parte delle varietà ha fiori singoli, ma alcune hanno un aspetto bicolore assolutamente sbalorditivo, rosso e bianco per esempio, o fiori più complessi con un petalo marrone e un petalo rosa». E infine il Pélargonium crispum, simile al geranio reale, ma più piccolo: compatto e incantevole è perfetto per gli spazi più piccoli come cesti appesi e piccole fioriere. «Questa varietà – viene sottolineato - si accoppia bene con altre piante e alcuni tipi di Pelargonium crispum presentano anche foglie aromatiche».
 

Lorenzo Sandiford


Per questa prima occorrenza nella nostra rubrica di “Un fiore per… la festa della donna” la scelta del dono floreale è d’obbligo: la mimosa o Acacia dealbata, per usare il nome botanico della specie. Che scegliate i classici rametti e mazzetti oppure le piante in vaso, che preferiate la varietà Turner dal fiore piccolo o la diffusissima Gaulois dal fiore grande, le mimose sono diventate il simbolo della “Giornata internazionale della donna”. Sia perché la fioritura avviene nel periodo giusto, sia perché i fiori della mimosa significano forza e femminilità o, per usare le parole dell’Associazione produttori florovivaisti con base in Piemonte Asproflor, in quanto «il colore giallo stimola la creatività, simboleggia la luce, la voglia di agire; ben rappresenta la forza e la tenacia delle donne» e «con la sua apparente fragilità, è in realtà una pianta resistente e robusta».
Questo vale soprattutto in Italia, dove si concentra gran parte di questa produzione, tanto che c’è chi la considera – ad esempio l’Associazione florovivaisti italiani – «una pianta simbolo del Made in Italy, perché coltivata ormai solo nel nostro Paese» e la consiglia ai giovani florovivaisti quale promettente opportunità di investimento. Benché forse sarebbe più corretto parlare di uno dei simboli del “made in Liguria”, visto che «il 90% delle mimose – come precisa la stessa associazione - è coltivato nell’entroterra del Ponente ligure (provincia d’Imperia)». Stando ai dati dei Florovivaisti Italiani infatti «la mimosa è coltivata in Italia su una superficie di quasi 200 ettari di terreno, che fruttano intorno ai 30mila quintali e 150 milioni di steli» e «ad oggi la Liguria è il maggior produttore di questi fiori con le sue circa 1500 aziende che la coltivano in modo ecocompatibile sui tipici terrazzamenti (la pianta non ha, infatti, bisogno di trattamenti chimici)». Ma potrebbero non essere d’accordo con chi scrive nell’usare l’espressione “made in Liguria” per le mimose ad esempio i floricoltori campani, i quali qualche giorno fa, per bocca del presidente del Consorzio Produttori Florovivaisti Campani Vincenzo Malafronte, hanno messo in evidenza che «nella Campania, regione leader in Italia per la produzione di fiori recisi, la mimosa pian piano sta conquistando sempre più spazio» e «da qualche anno gli ettari di produzione di mimosa sono in aumento» (vedi).
Ma come sono andate le cose ai floricoltori che producono mimose in questa festa della donna 2021 (aspettando nei prossimi giorni il responso definitivo di fiorai e altri canali di vendita ai consumatori)? Nei giorni scorsi sono arrivate risposte e analisi un po’ diverse, verosimilmente anche a causa di differenti prospettive d’analisi, dai comunicati di Asproflor e Associazione Florovivaisti Italiani.
Secondo Asproflor, ci sono state quest’anno «difficoltà nella vendita della mimosa» e «problematiche legate alla produzione e alla vendita», con un crollo del mercato della mimosa intorno «al 35-40% del fatturato per aziende, garden e fiorai». Una crisi causata da «restrizioni e fioritura precoce», dice Asproflor, secondo cui: «la diminuzione delle vendite di mimosa, valutata in riferimento al periodo precedente all’emergenza sanitaria in corso, deve essere compresa alla luce di due importanti fattori: la fioritura precoce della pianta stessa e la limitazione alla mobilità delle persone a causa delle restrizioni dettate dai Dpcm». «Il calo delle vendite – spiegano da Asproflor - segue di pari passo la crisi di ristoranti, pizzerie, locali da ballo e altre strutture che sono impossibilitate a lavorare in questo momento». E riguardo alla fioritura precoce della mimosa: «le condizioni climatiche attuali hanno obbligato i produttori a conservare nelle celle frigo il fiore già pronto sin dai primi giorni di febbraio, registrando così una fioritura anomala».
Fotografia diversa è quella scattata da Associazione Florovivaisti Italiani, che parla di «business della festa della donna vivo malgrado il Covid» e di «forte sviluppo del mercato russo (+25%)», con boom di ordinativi, prezzi intorno a 11 euro al chilo alla produzione e stabili sui 5-10 euro al mazzetto al consumo. Secondo l’Associazione infatti «le mimose sono state vendute a 11 euro/Kg, con un giro d’affari da 15 milioni (+20% sul 2020), concentrato, come sempre, nei giorni precedenti la festa della donna». «Si erano diffuse voci di precoce fioritura nel Sud Italia – prosegue la nota - ma gli effetti si sono dimostrati insignificanti a livello nazionale, perché il 90% delle mimose è coltivato nell’entroterra del Ponente ligure (provincia di Imperia), dove il fiore è sbocciato nei tempi attesi. Si segnala solo una leggera contrazione di prodotto dovuta all’incertezza causata dalla crisi pandemica, che ha diminuito del 20% la raccolta». Ma «restano ottime le performance dell’export, che si rafforza in Russia, Polonia e Francia (+25%)»: in Francia le vendite sono aumentate a partire da dicembre, mentre in Russia si concentrano durante la Maslenica, festa tradizionale ortodossa della settimana precedente la Quaresima e corrispondente al nostro Carnevale. Inoltre «al consumo i prezzi sono stabili: i mazzetti vanno dai 5 ai 10 euro, che arrivano a 15 con l’inserimento di una rosa nel bouquet». Nella nota viene ricordato pure che la mimosa può essere acquistata anche come pianta e che il prezzo varia in tal caso in base alla grandezza del vaso, dai 10 euro fino ai 70 euro, e viene pure utilizzata come fronda per rendere più lucenti i bouquet floreali. «La produzione di mimose, tipicamente italiana, rappresenta il 5% della produzione floricola – ha dichiarato Aldo Alberto, presidente dell'Associazione Florovivaisti Italiani – e funge abitualmente da traino ai commerci in primavera. Il trend positivo di questo 8 marzo è un segnale positivo che dà fiducia e ottimismo per la ripartenza che noi tutti auspichiamo».
Il florovivaismo e in particolare la floricoltura è sempre più legato a celebrazioni e ricorrenze: «la festa della donna e San Valentino - ricordano i Florovivaisti Italiani - valgono da soli il 15% del fatturato complessivo».

L.S.