Un albero, fiore, pianta per...

Se si è intenzionati a donare una pianta verde, e non i classici fiori o gli alberi, come va di moda ultimamente per buone ragioni ambientali, anche grazie a iniziative e piattaforme ad hoc che lo facilitano, un regalo da prendere in considerazione a questo San Valentino 2022 potrebbe essere una pianta di Croton o Codiaeum variegatum, per usare il nome botanico della specie.
Questo vale soprattutto se il vostro partner o oggetto del desiderio è un po’ capriccioso e la relazione alquanto litigarella. Come informano infatti Tuttogreen.it e Casaegiardino.it, nel linguaggio dei fiori e delle piante Croton significa capriccio, con riferimento al fogliame variopinto. Per cui donare una pianta di Codiaeum variegatum al coniuge o fidanzato/a equivarrebbe a una manifestazione d’amore abbinata alla sottolineatura del suo carattere capriccioso. Un regalo un po’ rischioso dunque, anche se in certi casi giustificato, quando non addirittura necessario :-).
Questa pianta arbustiva della famiglia delle Euphorbiaceae, originaria della Malaysia e delle Isole del Pacifico, è l'unica coltivata come pianta ornamentale tra le varie specie di arbusti con fogliame persistente del genere Codiaeum, specifica Wikipedia Italia. Sono centinaia le cultivar di Codiaeum variegatum selezionate e allevate per la commercializzazione, in primis per la bellezza delle foglie, ma anche in relazione alle proprietà depurative che vengono riconosciute ad esse: in particolare la capacità di assorbimento di sostanze tossiche come benzene e formaldeide, secondo Tuttogreen.it. Tra le varie cultivar, che differiscono per le forme e i colori delle foglie, sono molto popolari, precisa Wikipedia Inglese, Codiaeum variegatum ‘Spirale’, che ha foglie rosse e verdi attorcigliate a spirale, Codiaeum variegatum ‘Andreanum’, dalle foglie ovali e con venature e margini dorati, e Codiaeum variegatum ‘Majesticum’, che ha rami penduli con foglie lunghe fino a 25 cm con nervature centrali di color giallo tendente al rosso.
Va ricordato comunque che non è una pianta delle più facili da gestire, almeno nel nostro clima. Esige infatti ambienti caldo-umidi a temperatura costante ben soleggiati e deve essere seguita con annaffiature regolari. Mentre patisce il freddo e le correnti d'aria, oltre che, come già detto, un clima troppo secco. Necessita anche di concimazioni e di piccole potature. Nel complesso quindi è una pianta delicata.
Va ricordato infine che il Croton produce un lattice bianco tossico sia per l’uomo che per gli animali domestici per la presenza di alcaloidi. Per cui è meglio indossare sempre i guanti quando si maneggiano le foglie e quando si effettuano particolari operazioni come la potatura.

L.S.

Una pianta di cui vuoi scrivere perché è la tua preferita o perché è stata dedicata a qualcuno/a o qualcosa. Basta che non sia un albero o una pianta da fiore, per i quali abbiamo due rubriche ad hoc: “Un albero per…” e “Un fiore per…” (vedi la home page di Floraviva e la parte finale di questo articolo introduttivo).
Un arbusto o un’altra pianta verde di cui conosci le proprietà benefiche (o venefiche) per la salute umana o dell’ambiente, secondo criteri scientifici oppure leggende del nostro territorio o di Paesi lontani, e che vuoi divulgare.
Ma ci possono essere tanti altri motivi per completare l’incipit e svelare che cosa si nasconde dopo “Una pianta per…”.

Usa le tue competenze, se scegli l’approccio serio o scientifico.
Libera la fantasia, se invece preferisci un taglio d’invenzione e artistico o umoristico.
L’importante è che tu parli di una pianta indicandone una funzione, oggettiva o soggettiva, realistica o fantastica.

Invia il tuo testo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. chiedendo la pubblicazione nella rubrica “Una pianta per…”
 e abbi un po’ di pazienza, perché i testi accettati non saranno pubblicati all'istante.
E ricordati che non si tratta di una rubrica solo per articoli dei lettori, ma che alterna contributi esterni a testi della redazione e dei suoi collaboratori e dei registri stilistici i più disparati.

Leggi prima però le brevi istruzioni qua sotto.

Regolamento:
- il testo non deve costituire una prestazione professionale a pagamento, ma viene ceduto a titolo gratuito;
- colui che scrive può scegliere se mantenere l’anonimato o veder comparire la propria firma in fondo al testo, che non sarà ritoccato se non su esplicita richiesta dell’autore, eccetto che di fronte a evidenti refusi o sviste ortografiche che saranno corrette;
- colui che invia un testo può inviare anche una (o più) foto della pianta di cui si parla in esso, purché da lui scattate e di sua proprietà, e purché disposto a cederne l’utilizzo a tempo indeterminato a Floraviva (che scriverà nel testo il nome e cognome di chi ha scattato la foto e altre brevi note informative su di essa, dal titolo alla data);
- Floraviva si riserva di scegliere a suo insindacabile (e non necessariamente azzeccato) giudizio quali tra i testi ricevuti saranno pubblicati;
- Floraviva si riserva di scegliere a suo insindacabile (e non necessariamente azzeccato) giudizio quali fra le foto ricevute saranno pubblicate, indipendentemente dalla sorte che toccherà al testo a cui si accompagnano.

L.S.

un albero per Enrica Calabresi - Ginkgo biloba
E’ un albero donato alla città del giglio dal Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Firenze quello su cui accendiamo i riflettori oggi. Si tratta di un Ginkgo biloba ed è stato piantato l’anno scorso in una piazza fiorentina, piazza d’Azeglio, per ricordare Enrica Calabresi, scienziata naturalista di origine ebraica che nel 1938, a causa delle leggi razziali fasciste, fu allontanata dall’insegnamento universitario perché «appartenente alla razza ebraica».
Giovedì 27 gennaio scorso, Giorno della Memoria 2022, si è tenuta una cerimonia di commemorazione della scienziata. «L’albero donato lo scorso anno – hanno detto gli assessori Cecilia Del Re (Ambiente) e Alessandro Martini (Cultura della memoria) - è qui a testimoniare la necessità di portare avanti con caparbietà la cultura della memoria, perché quella immane tragedia non si ripeta più. È un albero d’inciampo che sta crescendo in questo giardino così vissuto dai cittadini e dai bambini, che ci auguriamo cresca insieme alla memoria della storia di Enrica Calabresi». 
Sulla targa apposta in corrispondenza dell’albero si legge: «questo albero è dedicato ad Enrica Calabresi (Ferrara 1891-Firenze 1944), scienziata naturalista, docente universitaria, ebrea, vittima delle leggi razziali. Perché il ricordo della sua vita coraggiosa metta radici profonde, resti per sempre nella memoria di Firenze e sia di insegnamento alle giovani generazioni. Il Comitato Pari Opportunità delle Avvocate e degli Avvocati di Firenze nel marzo 2020».
Questa iniziativa, ha ricordato il Cpo dell’Ordine degli avvocati, mira a «perpetuare il ricordo della nostra concittadina, la cui brillante vita e carriera di scienziata, eccezionale in quell’epoca per una donna, è stata brutalmente interrotta a seguito della discriminazione razziale». Il Cpo ritiene molto appropriato dedicare ad Enrica Calabresi un albero, «sia per la sua esperienza di scienziata naturalista, zoologa ed entomologa, sia per la sua appartenenza alla cultura ebraica, per la quale piantare un albero è simbolo di pace, fratellanza ed amore verso la terra, rappresenta la continuità della vita ed è segno di ricordo verso i defunti».
Enrica Calabresi è vissuta a lungo a Firenze, dove è deceduta il 20 gennaio 1944. La sua biografia è particolarmente significativa: si è laureata giovanissima all’Università di Firenze in Scienze naturali, ha lavorato alla Specola, è stata docente sia all’Università di Firenze che all’Università di Pisa e segretaria della Società Entomologica Italiana. Dal 1939 al 1943 ha insegnato scienze nella Scuola ebraica di via Farini. Nel gennaio del 1944 è stata arrestata dai fascisti come ebrea nella sua abitazione fiorentina e portata nel carcere femminile di Santa Verdiana. Sapendo che da lì sarebbe stata deportata al lager di sterminio di Auschwitz, si è sottratta a questo tremendo destino con un veleno, che da tempo portava sempre con sé. A lei è stato intitolato il reparto di entomologia del Museo la Specola di Firenze. La sua coraggiosa e travagliata vita è stata raccontata nel libro Un nome di Paolo Ciampi, nello spettacolo teatrale Un nome nel vento e nel film documentario di Ornella Grassi Una donna. Poco più di un nome (Italia, 2019) che è stato insignito del premio Gilda, nell’ambito del Festival Internazionale di Cinema e Donne.
Ginkgo biloba è una specie di albero antichissima: «la sola specie vivente del gruppo delle Ginkgophyta e senza dubbio la pianta a semi più antica - come spiega la scheda dell’Orto Botanico di Padova -. Piante molto simili ad essa erano diffuse su tutte le terre emerse nel Giurassico e nel Cretaceo, ma poi andarono progressivamente scomparendo, tranne questo grande albero che Darwin definì “fossile vivente”». Comunemente chiamato ginco o ginkgo o albero di capelvenere, è originario della Cina e il suo nome di genere “Ginkgo” è probabilmente il frutto di una trascrizione sbagliata del giapponese ginkyō (albicocca d’argento), derivato dal cinese "yin xing" (yín = argento e xìng = albicocca) in quanto i semi a maturazione sembrano albicocche infarinate. Ma ormai Ginkgo è fissato dalle regole di nomenclatura. Il nome della specie (biloba) invece proviene dal latino bis e lobus e si riferisce ai due lobi delle foglie, a forma di ventaglio. 
Si tratta di un albero molto longevo e di grandi dimensioni, che raggiunge normalmente dai 20 ai 35 metri di altezza (ma alcuni arrivano a oltre 50 metri). Ha di solito radici profonde ed è resistente ai danni del vento e della neve. Da giovani sono alberi snelli e poco ramificati, ma la corona si amplia con l’invecchiamento. Sono molto diffusi in parchi e giardini e apprezzati per le foglie che, prima di cadere in autunno, assumono un bel colore dorato, e perché dimostrano una particolare resistenza alle malattie, agli attacchi di funghi e di organismi fitofagi, come pure all'inquinamento atmosferico. Si adattano quindi bene all’ambiente urbano e persino a spazi ristretti del suolo. Anche in città si ammalano raramente e sono attaccati da pochi insetti. Esempi estremi della loro resistenza sono i 6 alberi di Hiroshima, situati a 1/2 km dal punto di esplosione della bomba atomica nel 1945, che sono fra i pochi esseri viventi sopravvissuti ad essa e tuttora vivi. Vengono usati anche per creare cortine frangivento.
Gli alberi Ginkgo biloba sono stati a lungo coltivati in Cina e sono ancora diffusi nella parte meridionale del Paese, con alcuni esemplari di oltre 1500 anni. A causa del suo status nel buddismo e confucianesimo, l’albero Ginkgo biloba fu coltivato pure in Corea e Giappone a partire dal XIV secolo, in particolare nei giardini dei templi e dei luoghi di culto: era «venerato come "albero sacro" perché si riteneva proteggesse dai cattivi spiriti e perché rappresentava il simbolo della coincidenza tra gli opposti e dell'immutabilità delle cose» fa sapere la scheda dell’Orto botanico di Padova. Del resto, il simbolo di Tokyo è una foglia di ginkgo e il ginkgo è l’albero ufficiale della capitale giapponese. In Europa le coltivazioni risalgono a 300 anni fa, mentre negli Stati Uniti a 200 anni orsono. Il primo Ginkgo biloba importato nel Belpaese, nel 1750, pare essere proprio quello che si trova all’Orto Botanico di Padova.
Il Ginkgo biloba è molto studiato in campo medico per le sue proprietà benefiche. Sono «numerosi e scientificamente rilevanti», secondo Wikipedia Italia, «gli studi che attestano le molteplici proprietà terapeutiche e salutari degli estratti di Ginko biloba. Ciò ne ha promosso la riscoperta come integratore alimentare, tra i dieci maggiormente consumati nel mondo occidentale». «Le sue foglie – è illustrato nella scheda dell’Orto Botanico di Padova - contengono infatti numerosi flavonoidi e ginkgolidi (a struttura terpenica): sostanze utili per la prevenzione e la cura di patologie del microcircolo, soprattutto di natura aterosclerotica e sostenute da aumentata aggregabilità piastrinica. È inoltre utile nell'insufficienza cerebrovascolare con deficit cognitivo, oltre che nei disturbi auditivi e dell'equilibrio. Le sue numerose attività terapeutiche ne sconsigliano però l'uso per automedicazione: è indispensabile un controllo da parte del medico. Sono ancora da evitare associazioni con farmaci che modificano l'aggregazione piastrinica (per es. l'aspirina), per la possibilità di pericolose interazioni».
[Foto principale: ritaglio di foto by Famartin da Wikipedia, CC BY-SA 4.0]


L.S.

Battezziamo la rubrica “Un albero per…” nel nome di una figura storica del florovivaismo di Pescia, Stefano Papini, che ci ha lasciati sabato 8 gennaio 2022 all’età di 96 anni. Un vero decano del settore, come è stato definito da il Floricultore, e sia del comparto floricolo che vivaistico. Un agricoltore che ha partecipato da protagonista, insieme ad altri e in qualche caso prima degli altri, all’intero percorso evolutivo dell’ortoflorovivaismo della Valdinievole nel secolo scorso e nei primi vent’anni del Duemila.
Sì, perché come hanno raccontato a Floraviva i figli Marco e Stefania, che da tempo hanno in mano le redini dell’azienda di famiglia, la Società Agricola Fratelli Papini di Pescia, Stefano, nell’arco del suo quasi centenario percorso professionale di florovivaista curioso e sempre al passo coi tempi (quando non da vero e proprio precursore), ha iniziato negli anni Venti del ‘900 apprendendo dal padre i segreti dell’olivicoltura e dell’orticoltura, poi è passato negli anni ‘50/60 insieme ai fratelli Giocondo e Piero alla produzione di fiori recisi (in particolare garofani) e successivamente, negli anni ’70, alle piante ornamentali in vaso, sia verdi che da fiore, continuando a venire in vivaio fino all’anno scorso. «Si è distinto come ibridatore di garofani – spiega Stefania – e ha partecipato a tutte le biennali del fiore di Pescia e a tutte le edizioni del Flormart di Padova. E in seguito ha avuto la lungimiranza per primo di passare dai fiori alle produzioni in serra delle piante ornamentali», fra le quali spicca la produzione di mimose, di cui è stato un vero pioniere a Pescia, come sottolinea Marco.
Tuttavia, quale pianta per ricordarlo scegliamo, su suggerimento anche di Stefania e Marco, un albero: l’ulivo. Non per seguire il recente, positivo fenomeno delle donazioni e adozioni di olivi, ma perché l’olivo è stato davvero il filo conduttore della sua carriera di florovivaista. Ha iniziato da bambino imparando dal padre l’arte dell’innesto e ha continuato per tutta la vita a produrre piante di olivo. «Sempre partendo dalla semina – ha precisato Stefania -, per poi fare i selvatici e quindi innestare sui selvatici. E negli anni ’80 abbiamo abbandonato la produzione in terra passando al 100% alla produzione in vaso». Quali cultivar di piante di olivo? «Un po’ tutte le più comuni come Leccio, Frantoio, Pendolino, Moraiolo, Leccio del corno ecc. – rispondono Marco e Stefania -. Ma anche Taggiasco, che è ligure, e Bianchera che è del Friuli Venezia Giulia».
Ma Floraviva, facendo tesoro di un simpatico aneddoto che ben testimonia la curiosità di Stefano Papini, preferisce puntare, quale “Un albero per… Stefano Papini”, su uno a piacimento degli olivastri millenari che si trovano intorno alla chiesa di Santa Maria Navarrese a nord di Arbatax in Sardegna. Come complesso di alberi rappresentano un monumento naturale (fanno parte dell’elenco ufficiale nazionale) e sono considerati fra i più antichi d’Europa. Li scegliamo perché, come riferitoci dalla figlia, Stefano Papini, ebbe modo di recarsi a Santa Maria Navarrese e «fare delle talee dagli olivagnoli millenari che si trovano in quella zona, tant’è che ancora oggi abbiamo una piccola produzione di olivi di Santa Maria Navarrese».
[Foto da Wikipedia, di Mila Urteko, CC BY-SA 4.0. Modificata]

L.S.

Il tuo albero preferito o che per qualsiasi ragione hai donato, attraverso una delle tante iniziative attivate negli ultimi anni per promuovere piantagioni di alberi contro il cambiamento climatico e i suoi effetti, a qualche persona cara, viva o scomparsa, oppure alla tua città o a qualunque altro soggetto pubblico.
Una specie arborea di cui conosci le proprietà benefiche (o venefiche) per la salute umana o l’ambiente, secondo criteri scientifici oppure leggende del nostro territorio o di Paesi lontani, e che vuoi divulgare.
Ma ci possono essere tanti altri motivi per completare l’incipit e svelare che cosa si nasconde dopo “Un albero per…”.

Usa le tue competenze, se scegli l’approccio serio o scientifico.
Libera la fantasia, se invece preferisci un taglio d’invenzione e artistico o umoristico.
L’importante è che tu parli di un albero indicandone una funzione, oggettiva o soggettiva, realistica o fantastica.

Invia il tuo testo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. chiedendo la pubblicazione nella rubrica “Un albero per…” e abbi un po’ di pazienza, perché i testi accettati non saranno pubblicati all'istante.
E ricordati che non si tratta di una rubrica solo per testi dei lettori, ma che alterna contributi esterni ad articoli della redazione e dei suoi collaboratori e registri stilistici i più disparati.

Leggi prima però le brevi istruzioni qua sotto.

Regolamento:
- il testo non deve costituire una prestazione professionale a pagamento, ma viene ceduto a titolo gratuito;
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- colui che invia un testo può inviare anche una (o più) foto dell'albero di cui si parla in esso, purché da lui scattate e di sua proprietà, e purché disposto a cederne l’utilizzo a tempo indeterminato a Floraviva (che scriverà nel testo il nome e cognome di chi ha scattato la foto e altre brevi note informative su di essa, dal titolo alla data);
- Floraviva si riserva di scegliere a suo insindacabile (e non necessariamente azzeccato) giudizio quali tra i testi ricevuti saranno pubblicati;
- Floraviva si riserva di scegliere a suo insindacabile (e non necessariamente azzeccato) giudizio quali fra le foto ricevute saranno pubblicate, indipendentemente dalla sorte che toccherà al testo che accompagnano.

L.S.