Un albero, fiore, pianta per...
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Se le stelle di Natale sono pronte, sappiamo che il Natale si avvicina! Abbiamo cercato per voi le più belle ispirazioni per decorazioni creative e uniche.














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- Scritto da Andrea Vitali
Ritmo serrato, stress e poche ore di sonno: ecco alcune piante medicinali che ci aiutano a recuperare energia e a combattere la stanchezza passeggera.
1. Ginseng
Il ginseng è una radice preziosa nella medicina asiatica tradizionale, nota per le sue proprietà tonificanti e adattogene, capaci di stimolare l’organismo e combattere la fatica fisica e mentale. Le sue radici, che si raccolgono a partire dal quarto anno di crescita, sono utilizzate sotto forma di infusi o decotti per fornire una spinta mattutina. Consigliata per ritrovare vitalità durante convalescenze o periodi di stress, questa pianta si coltiva in ombra parziale su terreni ben drenati.
2. Eleuterococco
3. Rodiola (Rhodiola rosea)
4. Caffè (Coffea arabica)
Il caffè è una delle fonti di energia più popolari per affrontare momenti di stanchezza. Grazie alla caffeina, aiuta a migliorare l’attenzione e a combattere la fatica. Tuttavia, va consumato con moderazione, poiché può provocare acidità gastrica e influire sulla pressione sanguigna. Il caffè viene coltivato come pianta ornamentale nei climi temperati, ma richiede protezione dalle basse temperature.
5. Rosa canina
Queste piante medicinali sono preziose alleate per affrontare la stanchezza passeggera e ritrovare energia in modo naturale.
Anne Claire Budin
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Shyam Sunder Paliwal celebra ogni bambina nata a Piplantri piantando 111 alberi. Questa iniziativa promuove uguaglianza di genere e sostenibilità, ispirando comunità in tutta l’India.
Shyam Sunder Paliwal è un ex capo del villaggio di Piplantri, Rajasthan, che ha trasformato una tragedia personale in una missione per il bene comune. La morte prematura della figlia Kiran, avvenuta nel 2006, ha spinto Paliwal a riflettere sulla vulnerabilità delle bambine nella società e sull’impatto che la mancanza di risorse naturali aveva sul suo villaggio. Questo dolore si è presto trasformato in una determinazione: onorare la memoria della figlia promuovendo un’iniziativa che proteggesse e valorizzasse le bambine, creando al contempo un futuro sostenibile per la comunità.
Nacque così l’idea di piantare 111 alberi per ogni bambina nata nel villaggio, un numero che in India simboleggia prosperità e successo. Paliwal ha sostenuto questa pratica con un sistema di protezione economica e sociale, ispirato dalla sua visione per un villaggio più inclusivo e prospero. Il programma, unico nel suo genere, prevede che le famiglie aprano un fondo fiduciario per le neonate, con l’obbligo di impegnarsi a non costringerle al matrimonio precoce e a garantire loro un’istruzione completa. Questa clausola serve a spezzare il ciclo di povertà e pregiudizio che affligge molte famiglie, stimolando la valorizzazione della figura femminile.
Paliwal ha anche dato una dimensione ecologica al progetto: piantare alberi non solo celebra la vita delle bambine, ma offre una risposta concreta ai problemi ambientali locali. Grazie alla sua iniziativa, la comunità ha piantato decine di migliaia di alberi, molti dei quali da frutto, come il mango e il neem, le cui proprietà medicinali sono ben note nella medicina ayurvedica. Questi alberi rafforzano la biodiversità, contribuiscono a trattenere il suolo e migliorano le risorse idriche, contrastando l’erosione e la desertificazione, problemi critici nella regione del Rajasthan.
Shyam Sunder Paliwal ha continuato a promuovere il progetto in tutta l’India, sensibilizzando sull’importanza dell’uguaglianza di genere e della sostenibilità ambientale. Il suo operato ha ispirato altre comunità ad adottare pratiche simili, mostrando che un’iniziativa locale può diventare un modello nazionale. Il suo lavoro ha ricevuto numerosi riconoscimenti e Paliwal viene oggi considerato un simbolo di resilienza e leadership orientata al bene comune. La sua visione si estende oltre Piplantri, rappresentando un potente esempio di come un leader motivato possa trasformare una comunità attraverso azioni semplici ma profondamente significative.
Paliwal ha infatti dimostrato che la sostenibilità e l’uguaglianza di genere possono essere promosse simultaneamente attraverso progetti concreti e pratiche locali. La sua storia continua a ispirare movimenti e persone, portando un messaggio forte e chiaro: ogni bambina ha il diritto di crescere in un ambiente che la rispetti e la valorizzi, proprio come ogni albero ha il diritto di crescere e contribuire alla salute della terra.
Anne Claire Budin
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Simbolo d’identità per la Palestina, l’olivo è al centro del libro Anchor in the Landscape di Adam Broomberg e Rafael Gonzalez. Attraverso ritratti in bianco e nero, i fotografi raccontano la distruzione di 800.000 olivi dal 1967, offrendo un potente sguardo su memoria e resistenza di un popolo.
L’olivo è molto più di un semplice albero nel paesaggio palestinese: è un simbolo di identità, cultura e resistenza. Con profonde radici storiche, non solo sostiene le vite di oltre 100.000 famiglie palestinesi, ma rappresenta anche un baluardo di tradizioni millenarie e appartenenza. Tuttavia, sin dal 1967, ben 800.000 olivi palestinesi sono stati distrutti dalle autorità israeliane e dai coloni, un atto che colpisce al cuore non solo la terra, ma anche il popolo che vi è legato. Nel libro Anchor in the Landscape, i fotografi Adam Broomberg e Rafael Gonzalez raccontano la storia di questi alberi, immortalando attraverso la loro macchina fotografica olivi millenari nella Palestina occupata.
Le immagini in bianco e nero presenti nel libro non sono semplici rappresentazioni botaniche, ma veri e propri ritratti di resistenza, di resilienza e di memoria storica. Ogni scatto, accompagnato dalla precisa localizzazione geografica, diventa un punto fermo in un paesaggio in continuo mutamento, devastato da conflitti e occupazioni. La distruzione di questi alberi non è solo un danno materiale; è una ferita inflitta all'identità e alla dignità di un popolo.
Broomberg e Gonzalez, con il loro lavoro, offrono uno sguardo silenzioso ma potente su queste vite sospese, portando alla luce una realtà che troppo spesso rimane celata nelle ombre. Le fotografie, apparentemente neutre, rivelano invece una violenza sottile, quella dell’occupazione, del furto e della distruzione sistematica di una cultura radicata in queste terre. In un tempo in cui la solidarietà e l'azione concreta sono sempre più necessarie, questo libro ci invita a riflettere sulla distruzione e sul valore simbolico di questi olivi.
Ci ricorda che il silenzio e l’indifferenza non sono più un’opzione. Ogni albero rappresenta un legame profondo tra il popolo palestinese e la propria terra, un legame che, nonostante tutto, resiste. In questo contesto, Anchor in the Landscape diventa non solo un’opera d’arte fotografica, ma anche uno strumento di consapevolezza e sensibilizzazione. Guardare questi olivi secolari è come guardare negli occhi di chi ha vissuto la resistenza, la perdita e la speranza. Un libro che, forse, potrebbe scuotere anche i più indifferenti, aiutandoli a comprendere l’orrore silenzioso che si cela dietro la bellezza e la forza di questi alberi.
Redazione
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Deadvlei, nel deserto della Namibia, ospita antichi alberi morti da secoli ma ancora presenti, che testimoniano la capacità della natura di resistere anche nei luoghi più ostili.
Nel cuore del deserto del Namib-Naukluft, in Namibia, esiste un luogo unico chiamato Deadvlei, o Dead Vlei, che in Afrikaans significa "palude morta". Situato tra le dune di sabbia rossa, vicino alla più famosa salina di Sossusvlei, questo bacino di argilla bianca sembra un paesaggio alieno, popolato da alberi antichi le cui sagome nere emergono contro il cielo, creando un panorama surreale.
Deadvlei si trova all'interno di una depressione argillosa che fu originariamente creata dal fiume Tsauchab. Migliaia di anni fa, le piogge occasionali inondavano l’area, creando piscine temporanee dove la vita poteva prosperare. In questo periodo di abbondanza, crebbero maestosi alberi di acacia, conosciuti come camel thorn, in grado di sopravvivere anche in condizioni difficili. Tuttavia, il cambiamento climatico ha modificato drasticamente la regione, portando un periodo di estrema siccità. Le dune di sabbia si sono spostate progressivamente, bloccando il fiume e interrompendo l’afflusso d’acqua. Le acacie, che non ricevevano più nutrimento dal fiume, finirono per morire. Ma, nonostante la loro morte risalga a 600-700 anni fa, questi alberi sembrano ancora sfidare il tempo. Gli alberi di Deadvlei non si sono decomposti a causa dell’estrema secchezza dell’aria e dell’intenso calore che li ha conservati quasi intatti. I loro tronchi scuri e sbiancati dal sole non sono fossilizzati, ma resistono come scheletri silenziosi, monumenti naturali che testimoniano la resistenza della vita in ambienti estremi.
Le dune che circondano Deadvlei sono tra le più alte al mondo: alcune, come la famosa “Big Daddy” o “Crazy Dune”, raggiungono i 350 metri d’altezza. Queste montagne di sabbia creano un contrasto visivo affascinante con la piana bianca e gli alberi neri. Il paesaggio di Deadvlei non è solo una meraviglia visiva, ma anche una finestra aperta su un mondo in cui la vita si è adattata e poi, a causa di mutamenti naturali, è stata messa a dura prova. Oggi, anche se le antiche acacie sono morte, altre specie vegetali continuano a sopravvivere in questo ambiente inospitale. Tra queste ci sono piante come la salsola e il nara, che hanno sviluppato strategie sorprendenti per adattarsi alle condizioni estreme di Deadvlei. Assorbono l'umidità dalla foschia mattutina e traggono nutrimento dalle sporadiche piogge, dimostrando che la vita trova sempre un modo per resistere.
Questo contrasto tra morte e vita, tra desolazione e adattamento, rende Deadvlei un simbolo della resilienza della natura. L’esistenza di questi alberi, che sembrano sculture astratte piantate su un terreno bruciato dal sole, ispira una riflessione profonda sulla fragilità della vita e sulla potenza della natura. Deadvlei ci ricorda che la natura ha la capacità di adattarsi a condizioni inimmaginabili e di mantenere viva la memoria dei tempi passati, anche in forme inaspettate. Le sagome delle acacie diventano così emblemi della nostra storia naturale, spingendoci a considerare l’importanza dell’equilibrio ecologico e dell’impatto umano sull’ambiente. Deadvlei è un luogo che invita al rispetto e alla contemplazione. Mentre camminiamo tra gli scheletri di questi alberi secolari, percepiamo la forza della natura e la sua capacità di evolversi e trasformarsi. E anche se gli alberi di Deadvlei non possono più crescere, essi rimangono un potente promemoria della vita che un tempo fioriva qui. La loro presenza testimonia la resistenza e l’adattabilità della natura, ricordandoci che il nostro mondo è in continua trasformazione, e che la vita, in qualche forma, trova sempre il modo di persistere.
Redazione