Alla presentazione del pif di Coldiretti “Extra vergine di oliva: dal vivaio alla tavola” un confronto sui contributi della ricerca (dai substrati di compost verde ad hoc sino alle nanotecnologie per la radicazione delle talee) e sul ruolo delle politiche di filiera, a partire dalla produzione di olivi, per lo sviluppo del settore olivicolo. Scambio di battute fra Del Ministro dei Vivai di Pescia, il direttore di Ivalsi-Cnr e Natali per Coripro sulle piante di olivo certificate virus esenti.
Le più che promettenti prospettive dell’uso su larga scala del compost verde in sostituzione della torba come substrato eco-compatibile ed economico per la coltivazione di ulivi (e non solo), la diffusione e il miglioramento della tecnica di propagazione per talea grazie all’ausilio delle nanotecnologie per favorire la radicazione, le tecniche per un’irrigazione efficiente e quelle per la caratterizzazione del germoplasma. Ma anche le certificazioni ambientali delle produzioni vivaistiche per guadagnare l’accesso a mercati di sbocco dove è necessario averle e i modelli produttivi a cui puntare.
Sono alcuni dei risultati e spunti di discussione affrontati nella giornata di studio del 7 luglio scorso al Centro di ricerca di orticoltura e florovivaismo (Crea-of) di Pescia sul tema “Il vivaismo olivicolo tra norme e qualità: innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola”. Incontro durante il quale, oltre all’illustrazione dello stato di avanzamento del progetto integrato di filiera (pif) “3S ECO-nursery – Smart Specialisation Strategy” coordinato da Coldiretti con capofila l’azienda Marco Romiti Vivai, è stato descritto anche un nuovo progetto integrato di filiera (pif) dedicato specificamente alla filiera olivicola e intitolato “EVO (Extra vergine di oliva: dal vivaio alla tavola”, che Coldiretti intende presentare al prossimo bando regionale sui pif (vedi nostro articolo-intervista sul pif e il modello di olivicoltura a cui si ispira).
A moderare i lavori, Gianluca Burchi, responsabile del Crea-of di Pescia, che ha prima portato il saluto dell’assessore all’agricoltura della Regione Toscana Marco Remaschi e ha poi passato la parola al consigliere regionale Marco Niccolai. «Un progetto sul vivaismo olivicolo che ha il proprio cuore a Pescia, territorio storicamente vocato a tale comparto, spero irradiandosi in tutto il territorio provinciale, è un segnale importante» ha detto Niccolai. Dopo di lui è intervenuto Mauro Centritto, direttore di Ivalsa-Cnr (Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche), che ha ricordato le attività del suo istituto sul fronte dell’olivicoltura (la collezione di più di 1000 genotipi di olivo, con le oltre 80 varietà del germoplasma olivicolo toscano, tutte caratterizzate dal punto di vista genetico; la selezione fra questi ultimi genotipi di 13 cloni superiori dal punto di vista qualitativo sotto il controllo del Servizio fitosanitario regionale; e tanti filoni di ricerca) e ha sostenuto che «dobbiamo fare un salto tecnologico: dobbiamo pensare a nuove tecniche per rendere più economici e veloci i meccanismi di moltiplicazione e recuperare il ritardo di 30 anni rispetto alla Spagna». Michela Nieri, presidente di Coldiretti Pistoia, ha spiegato che il Pif “EVO” «nasce da un’esigenza dei nostri produttori di riqualificare la produzione dandogli più valore aggiunto». «Abbiamo oro, ma i produttori faticano a reggere economicamente - ha dichiarato -. Gli hobbisti si ritirano, troppa burocrazia e costi. E all'orizzonte accordi come il Ceta potrebbero dare il colpo di grazia, prevedendo l'indifferenziazione delle produzioni, annullando la territorialità. È, quindi, ancora più indispensabile fortificare il nostro sistema produttivo: ed è quello che si propone il nostro progetto».
Poi è toccato a Nicola Del Ministro, vice presidente dell’associazione Vivai di Pescia, che ha ringraziato per l’opportunità di questo «incontro fra chi produce conoscenza e gli imprenditori che la trasformano in business. Un’occasione importante di dialogo, anche perché non ce ne sono molte, un po’ per mancanza di tempo un po’ perché esistono dei compartimenti stagni fra ricerca e imprese». Del Ministro ha aggiunto che «sicuramente è importante l’attività di creazione di conoscenza, tuttavia la conoscenza va diffusa in un modo più ampio, anche sul web» e ha sostenuto che la conoscenza scientifica non dovrebbe essere «veicolata in esclusiva» e che tutti dovrebbero «poter accedere in condizioni di uguaglianza alle certificazioni» degli olivi virus esenti (alludendo a quelle del Coripro). Gli ha replicato Burchi affermando che la ricerca pubblica si fa in due modi: tramite bandi oppure «per conto di privati» che fanno richiesta. A sua volta Centritto ha risposto: «le piante commercializzate come virus esenti sono del Coripro; noi le abbiamo in gestione nel campo di premoltiplicazione e si tratta di 13 varietà. Più in generale, noi sviluppiamo attività di ricerca con tutti i soggetti del territorio. Precisato questo, sono d’accordo che la ricerca debba ricadere sul territorio».
Marco Romiti ha parlato dell’esperienza del suo pif “3S ECO-Nursery”, che è iniziato nell’aprile del 2016 e terminerà nell’aprile del 2018, il quale prevede un totale di oltre 5 milioni e 300 mila euro di investimenti (di cui 2 milioni e 260 mila euro coperti da contributi a fondo perduto della Regione Toscana) diretti a innovare e rendere più ecosostenibile la produzione e tutta la filiera vivaistica (non olivicola in questo caso). Uno degli aspetti caratterizzanti di questo pif, ha spiegato Romiti, è consentire alle aziende partecipanti di ottenere certificazioni ambientali quali Emas e Mps che consentono di accedere a mercati di sbocco per i quali sono necessarie, come ad esempio quelli olandese, tedesco e svizzero.
Sono poi iniziati gli interventi scientifici. Raffaella Petruccelli, ricercatore dell’Ivalsa-Cnr, presentando alcune sperimentazioni applicate al vivaismo olivicolo (nei tre filoni principali dei substrati, dei sistemi di propagazione e degli stimolanti), si è soffermata sulle buone prospettive del compost come substrato sostitutivo privilegiato, fra i vari possibili, della torba. Quest’ultima infatti non è eco-compatibile e «incide sul costo di produzione delle piante fra il 12% e il 22%». La normativa sui fertilizzanti distingue tre tipi di ammendanti compostati: il compostato verde (da residui organici solo vegetali), il compostato misto (derivante anche dalla frazione organica di residui solidi urbani, rifiuti di origine animale ecc.) e il torboso composto (miscela di torba con compostati verdi o misti). Il compost ha il grande vantaggio di costare pochissimo e di essere facilmente reperibile, ma bisogna essere in grado di determinarne precisamente le caratteristiche chimico-fisiche, che possono differire molto da un prodotto all’altro anche della stessa categoria di ammendante. In ogni caso le verifiche fatte, anche all’interno del pif “3S ECO-Nursery”, sono risultate positive, soprattutto con «compost maturi e stabili, di color scuro e senza cattivi odori». «Per quanto riguarda la propagazione – ha spiegato Raffaella Petruccelli a Floraviva al termine dell’incontro - l’olivo viene propagato per innesto o per talea e c’è anche la micropropagazione, ma in realtà le due tecniche principali sono l’innesto e la talea e la produzione di piante innestate è superiore a quella per talea (circa 60 contro 40 per cento)». Tuttavia «con la talea in un anno hai la piantina, mentre per l’innesto sono necessari 2 anni». La talea, ha aggiunto, «è una tecnica che consente di ottenere materiale in diversi periodi dell’anno e non richiede maestranze specialistiche ed è una tecnica molto più semplice da portare avanti». Soprattutto in alcune regioni, ha proseguito, «si preferiscono le piante innestate, perché dicono che la pianta auto radicata ha un apparato radicale più superficiale, con problemi dove c’è vento, ecc. Però in realtà le piante auto radicate vanno benissimo per l’olivicoltura, anche perché non si vendono più piante alte 2 metri ma piantine di praticamente meno di 1 anno e che non hanno nessun problema al trapianto in campo». Quindi, per Raffaella Petruccelli, «è su quella tecnica che bisogna lavorare e ci stiamo lavorando nel pif utilizzando le nanotecnologie […] con i liposomi per veicolare l’ormone nella base della talea per favorire l’emissione di radici, cioè cerchiamo di vedere come il rilascio controllato dell’ormone influenza l’emissione di radici nella talea». Il riferimento è agli studi presentati in una delle relazioni successive, “Le nanotecnologie come strategia ‘verde’ nella radicazione dell’olivo: tecniche in via di sperimentazione” di Ilaria Clemente (Università di Firenze), dai quali risulta che il trattamento delle talee con i liposomi è molto efficace nell’indurre la formazione di radici.
Daniele Massa, ricercatore del Crea-of di Pescia, ha trattato invece le “Tecniche e tecnologie per aumentare l’efficienza irrigua nel vivaismo olivicolo”. Innanzi tutto ha ricordato che nella coltivazione intensiva in vaso si verificano spesso drenaggi eccessivi di acqua (con conseguenti ripercussioni sui fertilizzanti che possono diventare inquinanti). Poi ha sostenuto che, in base alle sue sperimentazioni, l’approccio migliore all’irrigazione è un sistema integrato che combina l’uso di modelli di simulazione dell’evapotraspirazione in base a vari parametri ambientali e di veri e propri sensori che misurano l’umidità delle piante e del suolo. Tommaso Ganino (Università di Parma), nella sua relazione “Tecniche genetiche per la caratterizzazione del germoplasma”, ha parlato dei vari marcatori molecolari che possono essere utilizzati per determinare l’impronta genetica delle cultivar di olivo, in particolare degli ssr (simple sequence repeats, cioè sequenze ripetute di dna) o microsatelliti. «Purtroppo – ha osservato Ganino - nel germoplasma italiano ci sono molti problemi di identificazione varietale. Però è importante rimettere ordine all’interno del germoplasma italiano, cosa che purtroppo, nonostante innumerevoli progetti, ancora non si è riusciti a fare». Questa la sua conclusione: la certificazione è importante nel campo vivaistico, ma per fare questo ci vogliono schede varietali, uno standard varietale e delle tecniche condivise e poi conservare in un campo-collezione tutte le piante madri ed usare tecnologie Rfid per evitare le confusioni di cartellino. Giorgio Bartolini (Ivalsa-Cnr), nel suo excursus “Olivicoltura tra tradizione e modernità”, ha fra l’altro toccato i seguenti due argomenti: 1) la difficoltà di scegliere la varietà giusta di pianta quando si vogliono fare nuovi impianti di olivi, magari intensivi o super intensivi, considerando anche il fatto che «se prendo una cultivar e la sposto in un altro ambiente ci saranno molti cambiamenti dal punto di vista qualitativo»; 2) una maggiore prudenza nel parlare degli effetti benefici sulla salute dell’olio extravergine, effetti positivi che indubbiamente esistono, ma che non sarebbe corretto gonfiare a dismisura.
Infine Roberto Natali, consulente di Coripro, ha ripercorso la storia del consorzio, che è nato nel 1993 per garantire la moltiplicazione del materiale vegetale sotto il controllo del Servizio fitosanitario, e ha ricordato che dal 2000 è iniziata una terza fase focalizzata sul «compito di portare avanti i progetti di certificazione delle piante». Il Coripro, ha detto Natali, partecipa a vari progetti: sui substrati, per il miglioramento delle tecniche di riproduzione e sulla «tracciabilità mediante microchip dal campo fino alla vendita». «Siamo disposti – ha aggiunto - a lavorare con tutti i vivaisti pesciatini». Più in generale, Natali ha sostenuto che «l’olio toscano può mantenere dei prezzi elevati. Noi abbiamo business plan basati su costi di produzione da 4,5 euro al kg di olio prodotto, perché adesso si vende a un prezzo da 10 euro fino a 20: c’è mercato, in tutto il mondo, per l’olio toscano». La ricerca, per Natali, può dare una mano a identificare anche olivi autoctoni adatti a sistemi più intensivi di coltivazione.
A concludere l’incontro è stato il direttore di Coldiretti Pistoia Simone Ciampoli (vedi nostro articolo-intervista) che ha sottolineato alcuni dati: «nonostante olio toscano e varietà toscane di piante di olivi siano molto richieste dal mercato, calano vistosamente gli ettari di uliveto in Toscana: rispetto al 2000, la superficie nel 2010 era calata del 4,1%, percentuale più che quadruplicata nel 2015 (meno 17,7%). La frammentazione della proprietà degli uliveti condotti da persone anziane e gli elevati costi di mantenimento ne sono la causa. Di contro aumentano le superfici certificate Igp». «Certamente – ha commentato Gianluca Burchi dopo la fine dell’incontro - aver riunito in una sola mattinata e in una sola sala le eccellenze del settore della ricerca, le associazioni principali del vivaismo olivicolo e le principali aziende che producono piante di olivo qui a Pescia e in tutto il comprensorio di Pistoia è stato un grosso risultato. Quindi l’interesse è stato elevato. Un po’ è mancata forse nel dibattito finale qualche proposta da parte delle aziende, ma speriamo che comunque gli elementi forniti dai ricercatori, che hanno presentato diversi aspetti, e dalla Coldiretti che ha proposto il progetto, siano serviti per rielaborare le loro esigenze nei prossimi giorni e presentare qualche loro proposta». Al fine anche di «definire ulteriormente il progetto di Pif».
Il direttore di Coldiretti Pistoia Ciampoli, al Crea-of di Pescia per illustrare un pif sull’olivicoltura, ha detto che «se si perde l’identità anche culturale e territoriale, si è perso tutto». Il piano, che intende aumentare il valore aggiunto dell’olio ma anche i livelli produttivi, è aperto a tutte le imprese della filiera. Si potrà partecipare anche con un investimento minimo ad azienda di 12 mila 500 euro, di cui 5 mila erogati dalla Regione.
Si intitola “EVO (Extra Vergine di Oliva): dal vivaio alla tavola” ed è un piano integrato di filiera (pif) con i seguenti obiettivi: mantenere le aziende olivicole sulle nostre colline, in funzione anche di tutela del paesaggio e idrogeologica; ristrutturare i vecchi oliveti e realizzarne di nuovi; introdurre nuove tecniche di coltivazione nel rispetto dell’ambiente e tracciabilità; aumentare il valore aggiunto dell’olio legato alla tracciabilità a partire dalla giovane pianta; migliorare gli standard di trasformazione.
Coldiretti Pistoia, che lo promuove in collaborazione con centri di ricerca quali Crea-of, Ivalsa-Cnr e le università di Firenze e della Tuscia, lo ha presentato oggi al Centro di ricerca di orticoltura e florovivaismo (Crea-of) di Pescia durante un incontro sul tema “Il vivaismo olivicolo tra norme e qualità: innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola”. Questo «progetto monofiliera» parte dalla constatazione, da un lato, che l’olivicoltura toscana, spesso ubicata «in aree collinari e pedecollinari con elevate pendenze e presenza di ciglioni/terrazze» e dai costi di gestione elevati «sia per la coltivazione che per la raccolta», ha visto ridurre considerevolmente gli ettari coltivati dal 2000 al 2015. Ma, dall’altro, fa leva pure sulla consapevolezza della disponibilità del «maggior centro di produzione di giovani piante di olivo» (a Pescia), di un’ampia gamma varietale autoctona (oltre 80 varietà), di varietà certificate virus esenti e di un sistema di certificazione dell’olio Igp.
Vi potranno partecipare aziende vivaistiche, aziende agricole produttrici, impianti di trasformazione (frantoi), associazioni e reti aggregative, soggetti specializzati nel marketing e la comunicazione del prodotto. Insomma, come ha detto il direttore di Coldiretti Pistoia Simone Ciampoli durante l’incontro, «è un vero e proprio progetto integrato di filiera». Il bando non è ancora uscito, ma il contributo del pif, è stato spiegato, sarà tra un minimo di 150 mila euro e un massimo di 2 milioni e 250 mila euro. Dal punto di vista della singola impresa partecipante, come ci ha detto Michele Bellandi, il contributo minimo regionale sarà di 5 mila euro e pari al 40% dell’investimento, per cui quest’ultimo dovrà ammontare ad almeno 12 mila 500 euro. Si tratta di vedere adesso come risponderanno all’appello le imprese della filiera olivicolo-olearia del territorio pesciatino e più in generale pistoiese.
«E’ un piano integrato di filiera che Coldiretti propone – ha detto a Floraviva il direttore di Coldiretti Pistoia Ciampoli al termine dell’incontro - sulla scorta anche di una collaborazione ormai consolidata con gli enti di ricerca, Crea, Cnr, Università di Firenze ma anche della Tuscia: un gruppo di lavoro che si è già costituito in precedenza con l’esperienza di altri pif vivaistici e che ha dato buone risposte. Oggi per raccogliere un’esigenza che nasce principalmente dagli olivicoltori, proprio dai produttori di olive e di olio, si rende necessario creare questo pif, che ovviamente, parlando di filiera, inizia dalla parte vivaistica, dalla qualità della piantina di olivo, perché, come hanno detto anche i relatori nel convegno di questa mattina, è proprio dal vivaio che parte la qualità della produzione dell’olio. Per cui si educa in vivaio la pianta che poi sarà una buona produttrice di olive e conseguentemente di olio. Il pif è aperto a tutti gli olivicoltori interessati, Coldiretti e non solo…».
…avete già un capofila o ancora è presto?
«Lo stiamo discutendo. Saremo noi che seguiremo questo progetto, ma è solo un tecnicismo che poi valuteremo».
Ecco, prendendo spunto da questo progetto, ci può illustrare un po’ l’idea di olivicoltura che avete in mente?
«La nostra olivicoltura si basa esclusivamente sulla distintività. L’olivicoltura toscana non può essere altro che ancorata certamente a una base tradizionale, legata ai territori, al nostro ambiente, alle nostre colline, a quella che è l’immagine del made in Tuscany, che chiaramente dovrà essere qualificata anche con il supporto del miglioramento delle tecniche di coltivazione che la scienza ci offre, ma che comunque si dovrà porre come obiettivo un alto standard qualitativo. E questo si ottiene lavorando bene con le varietà autoctone ben tenute. Bisogna anche pensare ad aumentare la produzione, perché uno dei grossi problemi che noi abbiamo è quello di crescere in termini di livelli produttivi. La Toscana ha una grande richiesta di olio, di olio toscano, che però spesso e volentieri non riesce a soddisfare. E allora si innescano tutte quelle vicende che possono essere legate alle imitazioni, all’Italian sounding o alle piraterie, se non di peggio».
Dunque mi par di capire che la qualità per voi non sia scontata e vada perseguita, ma questo si può fare anche con impianti un po’ più intensivi oppure no? Quale è la vostra posizione nel merito?
«Noi siamo per un’olivicoltura tendenzialmente tradizionale, perché comunque olio toscano vuol dire anche salvaguardia di un territorio e di un paesaggio toscano. Se noi si perde l’identità anche culturale e territoriale, si è perso tutto».
Quindi volete che si produca anche a costi magari un po’ più alti vendendo però a prezzi maggiori, questo è il vostro modello?
«Sicuramente è quello. Anche perché la sfida dei costi di produzione per l’Italia è perdente in ogni caso, quindi bisogna unire questo valore della qualità dell’olio - che per l’amor di Dio allo stato attuale c’è, ma è sempre migliorabile e incrementabile - a una qualità che è data anche dai territori che lo esprimono. Non a caso si ricerca l’olio toscano dop o igp, perché non è che si vende esclusivamente il sapore di quell’olio, ma si vende anche il territorio che c’è dietro, l’immagine per il cliente-consumatore che vuole olio toscano perché pensa all’immagine della Toscana. Noi questo dobbiamo salvaguardarlo, perché c’è anche un valore ambientale e di tutela dei territori in questo percorso».
Una giornata di studio dedicata a innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola: questo venerdì 7 luglio al CREA-OF di Pescia. Un'occasione di incontro tra il mondo della ricerca e il settore del vivaismo olivicolo per stimolare un dibattito sulle problematiche di settore e cercare possibili soluzioni.
Il settore vivaistico è il punto di partenza per una olivicoltura di qualità. La competitività delle produzioni è strettamente collegata alle scelte operate in pre-impianto, tenendo presente l’ambiente di coltivazione e la selezione di materiale vivaistico di qualità. Partire da piante qualificate è il passaggio fondamentale per creare una filiera produttiva in linea con la qualità, con la sostenibilità ambientale e con la sicurezza alimentare.
L’adozione di tecniche e tecnologie innovative per la gestione degli impianti di coltivazione è determinante per garantire una elevata sostenibilità ambientale ed economica nell’olivicoltura moderna.
La giornata di studio vuole essere occasione per un incontro fra il mondo della ricerca e il settore del vivaismo olivicolo al fine di stimolare un dibattito sulle complesse problematiche del settore, confrontarsi e approfondire le possibili soluzioni.
Il programma dettagliato della giornata:
8.30 Iscrizione.
9.00 Saluti: Assessore Regionale all’Agricoltura Marco Remaschi; Direttore IVALSA-CNR Mauro Centritto; Responsabile CREA-OF Pescia Gianluca Burchi; Presidente Coldiretti Pistoia Michela Nieri; Presidente Consorzio Olio Toscano IGP Fabrizio Filippi.
9.30 L’esperienza del Progetto Integrato di Filiera “3S Eco-nursery Smart Specialisation Strategy", capofila Marco Romiti Vivai.
9.45 Il progetto Eco-Nursery: Il vivaismo olivicolo. Raffaella Petruccelli, IVALSA-CNR.
10.00 Le nanotecnologie come strategia “verde” nella radicazione dell’olivo: tecniche in via di sperimentazione. Sandra Ristori, Cristina Gonnelli, Ilaria Clemente (Università di Firenze).
10.20 Tecniche e tecnologie per aumentare l’efficienza irrigua nel vivaismo olivicolo. Daniele Massa,CREA-OF.
10.35 – 10.50 Coffee break.
10.50 Certificazione genetico-sanitaria: tecniche genetiche. Tommaso Ganino, Università di Parma
11.05 Certificazione genetico-sanitaria: Le procedure regionali per la certificazione delle piante di olivo. Nella Oggiano, Servizio Fitosanitario Regionale-Regione Toscana.
11.25 Scelte varietali per una nuova olivicoltura. Giorgio Bartolini, IVALSA-CNR.
11.40 Progetto Integrato di Filiera 2017 “Olio Toscano in Filiera”. Michele Bellandi, Coldiretti Pistoia.
11.55 Progetti Integrati di Filiera. Dirigente Regione Toscana, Gennaro Giliberti.
12.00 Dibattito sulle principali problematiche del settore olivicolo. Modera Direttore Coldiretti Pistoia, Simone Ciampoli.
Per il Consiglio Olivicolo Internazionale si profila uno scenario mondiale da scarsità dell'offerta di settore, viste le produzioni e le scorte in calo, complici le flessioni produttive di Spagna e soprattutto Italia. La nuova Interprofessione punta allora ad un maggior impegno di tutta la filiera.
Il Coi, in base alle proprie stime prevede per la campagna 2016-2017 una produzione mondiale «in sofferenza», in particolare nei Paesi con una storica tradizione olivicola.
Il bilancio dell'Italia è infatti negativo: perso quasi il 60% rispetto al 2015 con una produzione attestata sulle 190 mila tonnellate. Anche la Grecia con 180 mila tonnellate subirà un taglio del 43%, mentre il Portogallo con 76 mila tonnellate registrerà una flessione del 32%. Decisamente meno drastico il caso della Spagna, che conta su quasi un milione e 300 mila tonnellate, ma ha comunque riportato un calo dell'8,5%.
La situazione non è migliore sull'altra sponda del mar Mediterraneo, dove Tunisia e Marocco, rispettivamente con 100 mila e 110 mila tonnellate, hanno assistito ad una netta riduzione delle loro produzioni.
Il ridimensionamento della quantità di materia prima ha provocato un generale aumento dei prezzi, deprimendo così anche i consumi (-4,3%). I dati del Coi sul settore rappresentano un campanello d'allarme per Angelo Cremonini, presidente del Gruppo olio d'oliva di Assitol, che sottolinea come l'intera filiera sia chiamata ad un maggiore impegno per rivitalizzare il settore. Il riferimento è innanzitutto alla nuova organizzazione interprofessionale che, costituita da qualche settimana, deve far sentire la propria voce e chiamare a un maggiore impegno tutta la filiera dell'olio made in Italy.
La nuova Interprofessione punta alla costruzione di una strategia comune, capace di dare finalmente voce alle proposte e alle esigenze del mondo olivicolo-oleario. Assitol intende fare la propria parte e si augura che il ministero delle Politiche agricole possa dare il proprio via libera al riconoscimento della struttura. L'Associazione confida inoltre in un rapido ed oculato utilizzo dei fondi del Piano olivicolo nazionale, la cui operatività è frenata dalle complesse procedure burocratiche.
Intervista a Simone Cagnetti, agronomo consulente del Consorzio nazionale degli olivicoltori, sul modello di olivicoltura intensiva (ma non super intensiva) da lui presentato a nome del Cno durante l’assemblea del 21 giugno a Firenze sul tema “La risposta: più olivicoltura italiana”.
Oliveti da circa 400 piante di olivo a ettaro, con raccolta delle olive meccanizzata, cultivar italiane dalle caratteristiche compositive e sensoriali uniche al mondo, sistemi di irrigazione efficienti e costi di produzione tra 2,5 e 3 euro al chilogrammo di olio. Sono alcuni dei tratti distintivi dell’identikit di impianto intensivo tracciato da Simone Cagnetti, agronomo consulente del Consorzio nazionale degli olivicoltori, ieri l'altro a Firenze in occasione dell’assemblea del Cno sul tema “La risposta: più olivicoltura italiana”, a cui hanno partecipato qualificati esponenti del comparto olivicolo-oleario e più in generale della filiera agroalimentare (vedi nostro articolo). Un modello di oliveto intensivo che vuole dare una risposta al trend calante della produzione di olio d’oliva in Italia e alla conseguente perdita di quote di mercato dell’olio extravergine made in Italy nel commercio globale, nonostante che quest’ultimo sia in costante rialzo da diversi anni.
A Cagnetti abbiamo posto alcune domande, al termine dell’incontro, per capire meglio come è nata questa proposta che si rivolge in primo luogo a quel 37% di produttori di olio italiani che nella sua relazione sono stati definiti come potenzialmente competitivi (26%) o addirittura strutturati e specializzati (11%). E non quindi al restante 63% di olivicoltura dai costi produttivi elevatissimi, spesso operante in luoghi difficili, che va comunque difesa per la sua valenza ambientale e sociale insostituibile, ma che non deve essere confusa con un’olivicoltura che aspira ad innalzare i livelli produttivi e a una maggiore efficienza economica.
Partendo dai dati negativi a breve e lungo termine della produzione d’olio d’oliva extravergine italiano di cui abbiamo parlato oggi (il 21 giugno: vedi nostro articolo), ci ha spiegato Simone Cagnetti, e tenendo conto del «fatto che tutto sommato la nostra superficie olivicola negli ultimi quarant’anni è rimasta immutata, quando invece gli altri Paesi concorrenti già da 25 a 30 anni fa hanno fatto degli investimenti notevoli in aumento delle produzioni (negli ultimi 30 anni in Italia la superficie è diminuita del 7% e negli ultimi 25 è cresciuta del 2%, mentre in Spagna si è avuto negli ultimi 30 anni il +118% e negli ultimi 25 +22%, e in Grecia +49% e +36%, ndr), nasce la necessità di affiancare al modello attuale di olivicoltura tradizionale, che ha un’importanza insostituibile dal punto di vista…»
...quindi è un modello che deve affiancare non sostituire quello tradizionale?
«Certo, da affiancare a un’olivicoltura tradizionale, che ha una valenza straordinariamente importante per l’ambiente e quant’altro, una nuova olivicoltura più specializzata. Da qui l’idea di promuovere un modello di tipo intensivo, che rispetto ai modelli più esasperati tipo il super intensivo ci permette da una parte di utilizzare le varietà italiane e dall’altra, in parole semplici, di proporre un sistema produttivo che dal punto di vista agronomico sia sostenibile rispetto all’ambiente ma anche rispetto al reddito...»
...da quanto ho capito, non si tratta nemmeno, in certi casi, di espiantare, ma di infittire…
«...esatto. Le opzioni potrebbero essere due: da un lato creare un circolo virtuoso intorno a questa olivicoltura intensiva tale per cui tanti altri produttori agricoli che non sono oggi olivicoltori potrebbero essere interessati ad approcciarsi all’olivicoltura e quindi sarebbero nuove superfici che oggi non sono olivicole che diventano olivicole domani; dall’altro invece, dove possibile, se esistono delle casistiche di possibilità di rinfittimento come ha fatto il Portogallo, anche quello potrebbe essere molto interessante: potrebbero essere anche le aziende olivicole di oggi, quel 37 per cento di aziende di cui abbiamo parlato che hanno una competitività migliorabile, ad essere interessate ad ampliare le superfici olivicole oppure, all’interno della loro superficie aziendale, a riconvertire una parte delle superfici a un’olivicoltura diversa».
Quali sono i parametri principali che distinguono questo modello intensivo da voi proposto dal super intensivo?
«Innanzi tutto il numero delle piante. Noi parliamo di 400, 500 piante al massimo per ettaro, mentre nel super intensivo parliamo di 1250 anche 1600…»
...e quanti sono gli olivi per ettaro degli oliveti tradizionali?
«Quelli si aggirano intorno a 150/200 piante… Quindi parliamo di un intensivo ma molto sostenibile dal punto di vista ambientale e della tecnica agronomica».
Si può adottare anche in collina?
«Sì, fino a pendenze intorno al 25%. Purché ci siano delle disponibilità idriche. Perché il fatto di contrastare l’alternanza di produzione tipica dell’olivo lo si ottiene anche attraverso l’irrigazione, degli interventi di potatura fatti in un certo modo, le concimazioni. Quindi il fatto di ridurre l’alternanza e di contrastare un po’ questi fenomeni avversi del clima, ci permette di avere un minimo di reddito e anche una programmazione della produzione...»
...ma cercherete delle cultivar più adatte alla siccità?
«Sì, certo. Ci sono tanti aspetti. Intorno alle cultivar ci sono gli aspetti legati alla migliore risposta allo stress idrico, ma anche il fatto che un oliveto intensivo promuove la meccanizzazione della raccolta: ci sono olive che si staccano facilmente e olive che non si staccano facilmente. Quindi si può anche banalmente pensare a degli appezzamenti che, al di là del rispetto dell’auto sterilità delle singole cultivar, abbiano uniformità di varietà all’interno degli appezzamenti. Perché quello vuol dire che quando vanno in maturazione tutto l’appezzamento è più o meno nelle stesse condizioni… Insomma ci sono diversi aspetti che incidono…».
...questo modello è una proposta ufficiale del Cno?
«E’ una proposta ai nostri associati che probabilmente poi…»
Nella campagna 2016-17 la produzione italiana di extravergine d’oliva è stata superata pure da quella greca, scendendo al 3° posto europeo. In 6 anni -31% e in 25 anni siamo l’unico degli otto maggiori Paesi produttori a calare (-17%). Il presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori Sicolo: necessari 150 milioni di nuovi olivi in produzione con il modello intensivo e la dotazione finanziaria per l’ocm olio va triplicata portandola al livello di quella per il vino (oltre i 300 milioni di euro triennali).
«Chiediamo lo stesso trattamento della viticoltura, perché qui, se non ci sono interventi finanziari, non si va da nessuna parte. Quindi interventi come per l’ocm (organizzazione comune di mercato, ndr) vino anche per l’ocm olio, perché sul vino ogni tre anni ci sono investimenti di 340 milioni di euro, sull’olivicoltura in tre anni ci sono 100 milioni. Bisogna alzare la dotazione finanziaria, lavorare sulla promozione e anche a livello strutturale degli oliveti: fare sistemazione degli impianti già esistenti con rinfittimento e fare nuovi impianti intensivi per aumentare la produzione, con varietà autoctone perché dobbiamo mantenere la nostra specificità di qualità delle nostre varietà e non fare “oli Coca Cola” come fanno gli spagnoli».
E’ quanto dichiarato ieri sera dal presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) Gennaro Sicolo subito dopo il termine dell’assemblea nazionale organizzata per fare il punto sul significativo calo di produzione di olio d’oliva extravergine che stiamo registrando, sia a breve che a lungo termine, in Italia e sulla corrispondente perdita di quote nelle esportazioni globali, in un contesto di forte crescita degli scambi mondiali di olio d’oliva (raddoppiati dal 2000 ad oggi). Un punto della situazione, insieme a esperti di settore come Maurizio Servili, Francesco Paolo Fanizzi e Simone Cagnetti (vedi nostra intervista) e ad esponenti di spicco del mondo agroalimentare e politico fra cui il presidente di Cia Dino Scanavino, l’assessore all’agricoltura regionale Marco Remaschi, il direttore generale di Legacoop agroalimentare Giuseppe Piscopo, il senatore Dario Stefano e il presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, sulla base del quale avanzare alcune proposte concrete dirette a invertire questo trend negativo di uno dei fiori all’occhiello, anche dal punto di vista simbolico e identitario, della nostra agricoltura.
«Anche il piano olivicolo è un fatto importante – ha aggiunto Gennaro Sicolo - però ha una dotazione finanziaria molto risicata. Sono appena 30 milioni di euro. Quindi 30 milioni, con gli istituti di ricerca e fare quello che serve per il monitoraggio e per dare indicazioni alle regioni su quali sono le varietà di impianti da fare, si consumano. Ma per gli investimenti strutturali delle imprese ci vuole ben altro. Quindi io dico: come l’ocm vino l’ocm olio, la stessa dotazione finanziaria per rafforzarci a livello strutturale. Poi fare passare anche il piano olivicolo nazionale. Ci vogliono finanziamenti adeguati per dare un sterzata importante sia a livello di quantità che di qualità. Perché, se si inverte la rotta sia sulla quantità che sulla qualità, i giovani verranno attratti anche da questa coltura, che adesso viene messa all’ultimo posto. C’è un mercato che ci dà possibilità di sbocco del prodotto, specialmente sui prodotti di qualità, e noi siamo presenti in Giappone, in Cina, in Germania, in America. Vogliono l’olio italiano perché ha proprietà salutistiche importanti. Però al tempo stesso bisogna modernizzare strutturalmente il settore».
Ma vediamo in sintesi i dati messi in evidenza da Cno, un consorzio che riunisce su tutto il territorio nazionale 24 organizzazioni di produttori di vario livello e a cui fanno riferimento 135 mila olivicoltori che gestiscono circa 140 mila ettari di oliveti. Come riassunto da Simone Cagnetti dopo l’incontro, «abbiamo visto che, in base ai dati pubblicati dalla Commissione europea su questa ultima campagna olearia (dall’ottobre 2016 al settembre 2017), passiamo al terzo posto fra i Paesi europei maggiori produttori di olio, perché veniamo superati dalla Grecia». I dati, non definitivi, dicono infatti che la Grecia ha prodotto 195 mila tonnellate, mentre l’Italia si è fermata a 183 mila, così adesso siamo al terzo posto, più che doppiati dagli spagnoli e dietro ai Greci. Passando ai trend, Cagnetti ha osservato che «rispetto agli ultimi sei anni delle campagne olivicole, dal punto di vista della variazione percentuale della produzione, siamo calati negli ultimi sei anni di circa 1/3 della produzione (-31%, unici a indietreggiare insieme alla Grecia, -22%, fra i primi sei Paesi produttori mediterranei, ndr) e negli ultimi 25 anni abbiamo avuto un calo di circa il 17% e tra gli otto market leader del mercato dell’olio a livello mondiale siamo stati gli unici a perdere un 17%, tutti gli altri hanno incrementato le produzioni». Lo scarso dinamismo produttivo italiano, come precisato nel comunicato di Cno, si è fatto sentire anche sull’export: dalla tradizionale posizione di maggiore esportatore di olio d’oliva extravergine a livello mondiale l’Italia è stata scalzata dalla Spagna, attuale leader con una quota del 54%. L’Italia dal 1990 al 2015 ha visto la quota di esportazione sul mercato globale scendere dal 46% al 36% e le tendenze evolutive delle performance di esportazione nelle ultime sei campagne vedono l’Italia sì crescente, ma a un ritmo molto più lento di Portogallo, Spagna, Grecia e persino dell’Unione europea nel suo complesso.
Alla base di questi cattivi risultati dell’olivicoltura italiana per il Cno ci sono tre principali ragioni: «il processo di abbandono della coltivazione, la frammentazione della struttura produttiva ed il mancato ammodernamento del settore». È necessario attuare il prima possibile dunque una riconversione, ristrutturazione e ammodernamento della olivicoltura italiana, «anche tramite un processo di razionalizzazione fondiaria – come ha detto Gennaro Sicolo -. Il settore olivicolo oleario italiano per tornare leader mondiale avrà bisogno di più di 150 milioni di nuovi olivi in produzione e almeno 25 mila nuovi addetti che riequilibrino il ricambio generazionale nei campi, ora fermo sotto il 3 per cento».
Durante l’assemblea è stato illustrato il modello di impianti olivicoli intensivi su cui Cno consiglia di investire (vedi nostra intervista) e gli intervenuti hanno avanzato idee e proposte per contribuire a rafforzare la produzione olivicola italiana, al momento insufficiente a soddisfare la domanda di olio extravergine crescente a livello mondiale. Tra queste, l’idea di Dino Scanavino, che ha fra le altre cose ricordato che il settore commerciale oleario italiano è molto efficiente e vale circa 3 volte la produzione d’olio italiana, di premiare con le bandiere verdi di Cia anche le aziende di ristorazione che introdurranno una carta degli oli d’oliva con relativi prezzi, allo scopo di trasformare la percezione dell’olio extravergine di oliva «da condimento a vero e proprio alimento». Più in generale Scanavino ha sostenuto che gli olivicoltori sono un esercito di piccoli soggetti che hanno bisogno di organizzarsi in sistemi, ad esempio quelli cooperativi, che funzionano bene anche con aziende piccole da 2 ettari, come dimostra il caso Melinda in Trentino. «Non è un invito a restare piccoli – ha precisato Scanavino -, ma finché ci sono i piccoli dobbiamo aiutarli a stare insieme».
L’assessore Marco Remaschi ha riconosciuto che i 32 milioni di euro del piano olivicolo nazionale rappresentano una cifra ancora troppo scarsa e ha ribadito che la parola d’ordine dell’olivicoltura in Toscana (che «ha il 40% dell’olio certificato nazionale» a fronte di una produzione totale «intorno al 3% della produzione nazionale») resta la qualità, ma ha sostenuto che «dobbiamo comunque creare le condizioni per una spinta agli investimenti in nuovi impianti», con grande attenzione in particolare per gli investimenti nei sistemi di irrigazione, altrimenti c’è il rischio che la siccità si porti via una bella fetta della produzione.
Il senatore Dario Stefano, che è stato assessore all’agricoltura in Puglia e coordinatore della Commissione Politiche agricole della Conferenza Stato-Regioni, ha affermato: «abbiamo un imperativo categorico: dobbiamo produrre più olio d’oliva, altrimenti non avremo più peso in ambito internazionale». Anche Stefano, intervenuto prima di Scanavino, ha sostenuto la necessità per i produttori di olio italiano di farsi sentire con il sistema della ristorazione e anche con il sistema della formazione alberghiera, affinché si parli di più dei contenuti dietro alle etichette degli oli extravergini, di cui molti studenti non sanno quasi niente.
Giuseppe Piscopo, direttore di Legacoop agroalimentare, ha detto che il piano olivicolo nazionale, uscito poco più di un anno fa, fu salutato come positivo nonostante la scarsa dotazione finanziaria. Però nei primi bandi ci sono state note dolenti, a suo avviso, perché troppe piccole e medie imprese, fra cui cooperative, sono rimaste escluse per le condizioni di accesso previste dai bandi, che imponevano in un primo tempo l’appartenenza a op (organizzazioni di produttori) e in un secondo tempo a reti di impresa. «Confidiamo – ha detto – che il Ministero possa rimediare in futuro». Nel settore olivicolo-oleario, ha argomentato Piscopo, esiste un numero altissimo di op, ma questo non impedisce che sia uno dei comparti in cui il livello organizzativo è più carente. Quello che conta, per lui, è come si regolano e si usano certi strumenti organizzativi.
Fra gli interventi tecnici, quello di Francesco Paolo Fanizzi ha prima messo in chiaro che «allo stato attuale non sono previste a livello europeo metodologie di laboratorio in grado di garantire un controllo circa la veridicità dell’informazione sull’origine geografica riportata in etichetta» e che con i test odierni del dna da olio d’oliva si può risalire all’origine varietale ma non all’origine geografica dell’olio stesso. Tuttavia Fanizzi ha spiegato che per stabilire l’origine geografica dell’olio d’oliva si possono usare altre tecniche e ha illustrato i sistemi di banche dati di riferimento che sono stati creati a tal fine.
Mentre Maurizio Servili si è detto d’accordo sull’urgenza di ritornare a coltivare olivi per produrre più olio e anche sulla scelta di puntare sul modello intensivo (da 1,5 a 3 euro di costo produttivo al litro d’olio), invece che super intensivo (meno di 1 euro di costo), e con cultivar italiane. Il fatto è che non possiamo più produrre olio solo a 8 euro di costo: non possiamo più basarci solo su quel modello. Si tratta di fare le scelte giuste agronomiche, con cultivar adeguate e sistemi di irrigazioni ad hoc. Poi ha richiamato una serie di risultati scientifici e innovazioni della ricerca italiana sulle proprietà degli oli extravergini, in relazione non solo alle cultivar ma anche alle modalità di raccolta e conservazione delle olive e alla frangitura, puntualizzando però che non tutti gli oli italiani sono uguali e che bisogna incominciare a distinguere nella comunicazione un olio dall’altro: quelli davvero salubri da quelli che non lo sono. Infine ha ricordato l’importanza del packaging (vedi nostro articolo) e che non siamo all’anno zero nell’uso dei sottoprodotti dell’olivicoltura, che possono servire a generare reddito.