Filiera della canapa
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Intervista a Beppe Croce, presidente di Federcanapa, a poche ore dal tavolo di filiera della canapa industriale, dopo che nei giorni scorsi la bozza del decreto interministeriale sulle piante officinali trasmesso dal Mipaaf alla Conferenza Stato Regioni ha sollevato le contestazioni di tanti soggetti protagonisti del comparto.
«Ribadisco il messaggio lanciato in una recente audizione alla commissione Agricoltura del Senato. Per tagliare alla radice il problema sollevato dallo schema di decreto interministeriale sulle piante officinali dell’1 giugno che il Ministero delle politiche agricole ha trasmesso alla Conferenza Stato Regioni, basterebbe una piccola specificazione aggiuntiva nella legge n. 242 del 2016 sulla filiera agroindustriale della canapa in cui si espliciti che sono utilizzabili tutte le parti della pianta, anche i fiori e le foglie, per le destinazioni d’uso consentite dalla medesima legge. Concetto su cui peraltro si era espressa favorevolmente già nel novembre 2019 la Commissione Agricoltura della Camera con una risoluzione unitaria».
E’ quanto ci ha risposto ieri sera il presidente di Federcanapa Beppe Croce, alla vigilia della seduta del tavolo tecnico di filiera di oggi in cui non potrà non essere affrontata la questione del decreto con l’elenco delle piante officinali che avrebbe dovuto essere approvato nell’ultima Conferenza Stato Regioni, ma che poi è stato rinviato perché ha sollevato le proteste di gran parte dei soggetti che fanno parte della filiera della canapa industriale. In particolare per il passo in cui, come ha scritto Federcanapa nel comunicato stampa del 15 giugno scorso, «in maniera del tutto arbitraria, fa riferimento alla canapa con una pretesa distinzione tra semi e derivati (leciti, in quanto rientrerebbero nelle previsioni della L. n. 242/2016) e fiori e foglie, che secondo lo schema di decreto rientrerebbero tout court nelle previsioni del DPR 309/1990 in materia di stupefacenti, e la cui coltivazione pertanto “eÌ vietata senza l’autorizzazione del Ministero della Salute”».
«Al Ministero delle politiche agricole – aggiunge ora Beppe Croce - direi di adeguarsi alla risoluzione della Camera del 2019, perché non è più possibile continuare con questi impedimenti che ostacolano la competitività delle nostre aziende del settore senza alcun valido motivo. Una simile integrazione significherebbe soltanto riconoscere la possibilità di usare la canapa sativa, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 242 e con il Thc sotto le soglie stabilite dalla normativa (0,2%), come pianta officinale quale è, ossia per tutte le destinazioni d’uso delle piante officinali senza la spada di damocle dell’autorizzazione del Ministero della salute».
Infatti, spiega Croce riprendendo i punti esplicitati nel comunicato del 15 giugno, il testo interministeriale sulle piante officinali, «se fosse adottato in via definitiva, sancirebbe una ingiustificata ed anacronistica limitazione per gli agricoltori che si vedrebbero costretti – con riferimento alla destinazione officinale – a dover “selezionare” una pianta rinunciando alle parti con le maggiori proprietaÌ medicali».
Una limitazione che in «evidente contrasto con il diritto comunitario, soprattutto alla luce delle interpretazioni fornite dalla recente sentenza della Corte di Giustizia Europea nel cd. caso “Kanavape” che ha condannato la Francia proprio per le limitazioni legislative all’uso dell’intera pianta di canapa sativa, e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi (art.78 della sentenza)». Tant’è che Federcanapa è pronta a «impugnare il provvedimento nelle sedi competenti, non potendo accettare una simile restrizione che determinerebbe un grave ed ingiustificato pregiudizio per gli agricoltori italiani rispetto a quelli degli altri Paesi europei».
Del resto, come ricorda Croce, «proprio nei giorni scorsi la Francia ha annunciato di ritenere lecita la produzione dell’intera pianta di canapa (fiori e foglie comprese) per l’ottenimento di preparazioni industriali» e «l’Europa sta effettuando una puntuale opera di allineamento tra diritto comunitario e la sopra citata sentenza».
L.S.
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I suggerimenti di Canapa Sativa Italia (CSI) ai senatori della IX Commissione durante l’audizione del 26 maggio insieme a Federcanapa e “#lacanapaciunisce”. Il segretario di CSI Cusani: «la Commissione Europea (CE) ha ammesso che il CBD non è uno stupefacente», ne vanno tratte le conseguenze; e CBD e CBG sono inseriti come ingredienti nel registro CosIng (la banca dati europea sui cosmetici). Tra le proposte, inserimento chiaro delle infiorescenze tra le parti della pianta di canapa utilizzabili, l’equiparazione di coltivazione a pieno campo con quella in serra, uniformazione dei controlli delle forze dell’ordine.
Il 26 maggio si è svolta in video conferenza un’audizione di associazioni ed esperti della filiera della canapa presso la IX Commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato della Repubblica. Argomento di discussione la legge di riferimento per questa filiera: la n. 242 del 2 dicembre 2016, “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, di cui sono in discussione tre proposte di legge di modifica d’iniziativa parlamentare (540,1321 e 1324).Per Canapa Sativa Italia (CSI), associazione non profit che raggruppa produttori, ricercatori, trasformatori dal seme al prodotto finito di tutte le regioni italiane, è intervenuto il segretario generale Mattia Cusani, che siede anche al Tavolo tecnico insediatosi questo febbraio al Ministero delle politica agricole alimentari e forestali (Mipaaf).
«Abbiamo avuto a disposizione 15 minuti in video-conferenza per portare le nostre proposte correttive del comparto, che sono state prima condivise con tutti i nostri soci e con le altre associazioni di settore – ha spiegato Cusani in una successiva nota alla stampa -. La legge 242/2016 si poneva lo scopo di rilanciare la filiera della canapa industriale compromessa da decenni di anacronistiche politiche proibizionistiche. A seguito dell’approvazione della legge, nonostante la vendita delle infiorescenze e dei loro derivati non fosse espressamente prevista, in Italia hanno aperto più di 3.000 partite IVA che includono anche i «canapa shop», negozi che vendono la cosiddetta «cannabis light» ovvero fiori di canapa industriale con percentuale di tetraidrocannabinolo (THC) molto bassa, inferiore allo 0,6 per cento, e quindi del tutto priva di effetto psicoattivo. La nostra associazione si sta impegnando fin dalla sua costituzione per far sì che questo settore riesca a svilupparsi nel rispetto delle regole. Abbiamo bisogno di una normativa che ci consenta di lavorare».
Che cosa ha detto Cusani ai senatori della IX Commissione?
Innanzi tutto ha fatto il punto della situazione ricordando che «durante la pandemia, molti ed importanti nodi legislativi sono stati sciolti: le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente le proprietà medicinali della cannabis in un voto espresso a Vienna dagli Stati Membri nel corso della Commissione Droghe delle Nazioni Unite (CND), l'organo esecutivo per la politica sulle droghe. La cannabis viene quindi tolta dalla Tabella 4, quelle delle sostanze ritenute più pericolose in virtù dei suoi impieghi terapeutici ed inserita nella Tabella 1 (sostanze non dannose)».
Mentre sul tema “novel food” ha fatto presente che «la Commissione europea, il 3.12.20, ha ammesso che il CBD non è uno stupefacente. Una decisione inevitabile dopo che la Corte di Giustizia UE ha statuito l’illegittimità di qualsivoglia divieto a commercializzare il cannabidiolo come previsto dalla sentenza del 19 novembre 2020 nella causa 663/18 della Corte di Giustizia Europea». Per cui «l’eventuale rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza della Corte di Giustizia può implicare l’apertura di una procedura di infrazione e la presentazione da parte della Commissione del ricorso di inadempimento di cui all’art. 258 TFUE». Così l’«EFSA (European Food Safety Authority) può riprendere a valutare le richieste di autorizzazione del CBD come novel food» e svaniscono «gli ostacoli del controllo internazionale, imposti dal 1961 dalla Convenzione Unica sulle sostanze narcotiche, alla produzione della cannabis per fini medico-scientifici».
Inoltre Mattia Cusani ha riferito di aver «sottolineato che il ‘Cannabidiolo (CBD) (Cannabidiolo – derivato da estratto o tintura o resina di cannabis)’ e di recente anche il Cannabigerolo sono le nuove voci introdotte nel registro CosIng. Il CBD naturale e il CBG vengono così definitivamente ammessi quale ingredienti dei cosmetici prodotti o comunque immessi nel mercato unico europeo. La banca dati CosIng non ha un valore legale formale. Essa tuttavia rappresenta un atto di indirizzo dell’Esecutivo europeo, in vista della piena armonizzazione del mercato interno nel settore della cosmetica».
Infine, «sulla coltivazione di piante di canapa da sementi certificate per destinazione farmaceutica - come fatto anche dall’associazione #lacanapaciunisce - ci è parso importante sottolineare che proprio il 24 maggio, sul sito del Ministero della Salute, è stato pubblicato l’iter autorizzativo per la produzione di canapa ai fini del conferimento ad officina farmaceutica, che coinvolge per adesso soltanto 2 o 3 operatori del settore».«Vorremmo – ha affermato Cusani passando alla fase propositiva - che venisse chiarito in maniera univoca come tale autorizzazione non sia condizione necessaria alla produzione di canapa di per sé, per evitare, inequivocabilmente, il rischio di confondere la necessità di autorizzazione per questa specifica destinazione d’uso con la libera coltivazione prevista dalla legge 242/2016 portando ad ulteriori incertezze, che vanno ad aggiungersi a quelle evidenziate dall’esperienza di questi ultimi 5 anni».
Cusani ha poi sottolineato che «la corretta impostazione di una filiera della canapa per l’Italia costituisce già modello di economia circolare. Grazie alla varietà dei metodi di produzione e la poliedricità propria del prodotto canapa anche nell’utilizzo dei suoi scarti - dando seguito alle sperimentazioni in corso, al lavoro del tavolo tecnico di filiera e sciogliendo i “nodi normativi” ancora presenti - si potrebbe finalmente attuare un processo di sviluppo completo». Per cui «dobbiamo dare la possibilità alle migliaia di lavoratori del settore, età media 25-40, la più vessata dalle recenti crisi, di esprimere appieno le proprie potenzialità attivando un processo che porterebbe benefici per tutte le tipologie di capitale: umano, materiale e finanziario di cui un sistema economico necessità per funzionare».
Canapa Sativa Italia ha quindi sottoscritto una serie di proposte correttive ai progetti di modifica della L. 242/16 in discussione in Commissione. In particolare, insieme alle altre associazioni presenti, «l’inserimento chiaro e letterale delle infiorescenze tra le parti della pianta di canapa utilizzabili, l’equiparazione di coltivazione a pieno campo con quella in ambiente protetto (serra)». Così come è stata rimarcata «l’importanza di uniformare i controlli da parte delle forze di Polizia per evitare duplicazioni e vessazioni sollecitando il Mipaaf ad approvare un decreto Ministeriale che li armonizzi (entro sei mesi) e che contenga anche chiare e specifiche metodiche di campionamento del prodotto in caso di controlli».
Redazione
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Intervista a Vito Cannillo, imprenditore pugliese della filiera canapicola socio di Canapa Sativa Italia, che parla delle sue attività nel settore in America e dice che cosa servirebbe ai canapicoltori italiani. Quali mosse si attende dal Tavolo della canapa del Mipaaf come prioritarie? «Certezze sul fronte dei parametri da rispettare a livello produttivo», soprattutto «per far lavorare in “sicurezza” i medio-piccoli imprenditori», e una certificazione simile alla Global G.A.P. con «passaporto di qualità spendibile sul mercato».
Alla vigilia dell’importante webinar dell’Accademia dei Georgofili – sezione Centro Ovest e della Fondazione Istituto Scienze della Salute sul tema “La canapa: l’attualità di una pianta di grande tradizione colturale”, in cui si farà il punto della situazione del comparto in Italia (vedi), Floraviva ospita l’intervista con un attore della filiera canapicola che è socio di Canapa Sativa Italia (CSI) e conosce molto bene anche quanto succede oltreoceano, in America. Si chiama Vito Cannillo ed è un imprenditore under 40 che lavora a Corato (Bari), che qui ci parla anche della sua esperienza in Forza Vitale, azienda fondata da suo padre, e delle nuove start-up da lui fondate in Giamaica per partecipare all’espansione del mercato nord-americano.


Redazione
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Il 25 maggio mattina webinar organizzato da Accademia dei Georgofili e Fondazione Istituto Scienze della Salute sul tema “La canapa: l’attualità di una pianta di grande tradizione colturale”. Iscrizioni entro il 23 maggio fino a esaurimento dei 230 posti disponibili.
La canapa è stata oggetto di diversi progetti di ricerca che hanno studiato le principali componenti della sua performance produttiva. Sono stati ottenuti dei risultati interessanti, ma permangono nodi irrisolti della filiera canapicola che vanno affrontati per non trovarsi impreparati alle sfide del futuro e al ruolo che questa pianta può avere anche nel contesto della transizione ecologica.
L’Accademia dei Georgofili - sezione Centro Ovest e la Fondazione Istituto Scienze della Salute organizzano martedì 25 maggio 2021, dalle 9 alle 13, una giornata di studio in versione webinar intitolata “La canapa: l’attualità di una pianta di grande tradizione colturale”, che si chiuderà con una relazione del presidente di Federcanapa Beppe Croce sul tema “I nodi irrisolti delle politiche della canapa in Italia” e una discussione finale tra i dieci intervenuti.
Come ricordato nella presentazione dell’incontro, «la canapa è una risorsa naturale di grande versatilità che si declina in una vasta gamma di applicazioni e usi (fibra, cellulosa, seme, oli). Nonostante le conosciute prerogative agronomiche molto vantaggiose per una agricoltura sostenibile la coltivazione della canapa per uso tessile non è mai decollata ultimamente in Italia. Perché? Per due criticità fondamentali: 1) mancate innovazioni in fasi strategiche della filiera produttiva (meccanizzazione della raccolta e macerazione controllata degli steli); 2) contraddittorietà giurisprudenziale sui cannabinoidi e soglie di tolleranza. Tali difficoltà hanno spostato l’interesse verso altre produzioni ottenibili dalla pianta (fibra tecnica, cellulosa, cime fiorite, farine, oli, cosmetici e composti fitochimici bioattivi con valenza salutistica), nuovi impieghi del canapulo in bioedilizia e usi della pianta nella fitodepurazione dei terreni inquinati».
La partecipazione al webinar potrà avvenire solo dietro compilazione, entro domenica 23 maggio, di questo form. I partecipanti riceveranno le credenziali di accesso alla piattaforma web. Saranno accolte le prime 230 iscrizioni.
Programma
9.00 Introduce AMEDEO ALPI, Presidente Sezione Centro-Ovest Accademia dei Georgofili
9.20 “La Canapa: una pianta multifunzionale” PAOLO RANALLI (Fondazione Istituto Scienze della Salute, Bologna)
9.40 “Gli indirizzi colturali in rapporto ai nuovi usi” STEFANO AMADUCCI (Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza)
10.00 “Basi genetiche e molecolari del miglioramento della canapa” GIUSEPPE MANDOLINO (CREA, Bologna)
10.20 “Chimica e farmaceutica dei cannabinoidi e dei terpeni della canapa” GIUSEPPE CANNAZZA, CINZIA CITTI (Università di Modena e Reggio Emilia)
10.40 “L’utilizzo clinico dei derivati della Cannabis” VITTORIO GUARDAMAGNA (Istituto Europeo dei Tumori (IEO), Milano)
11.00 “L’economia dell’infiorescenza di canapa” DAVIDE FORTIN (Università Pantheon-Sorbona di Parigi)
11.20 “Innovazione in Cannabis: acquaponica” DAVIDE MAZZELLA (Inn-Acqua, Marzabotto (BO))
11.40 “La canapa e transizione ecologica” MARCO BENEDETTI (GreenEvo, Prato)
12.00 “I nodi irrisolti delle politiche sulla canapa in Italia” BEPPE CROCE (Federcanapa, Firenze)
12.20 Discussione e conclusione
Redazione
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Il documento è stato presentato l’11 maggio ed è il frutto di un lavoro interdisciplinare di esperti universitari e legali, di agricoltori e trasformatori di canapa da estrazione. L’intento è aiutare gli operatori a districarsi fra le norme poco chiare e anche dal punto di vista tecnico-agronomico per intercettare il trend in forte crescita dei prodotti a base di canapa non stupefacenti, che riguardano non solo il comparto farmaceutico ma anche la cosmesi e tanti altri comparti.
Supportare gli operatori nello sviluppo delle filiere innovative legate alla canapa «in un quadro legislativo ed amministrativo ancora poco chiaro, in cui non è ancora stato definito un confine netto tra infiorescenze di canapa a uso industriale ed infiorescenze di canapa a uso terapeutico o stupefacente».
Questo l’obiettivo delle Linee guida per la canapa da estrazione – dalla semina alla trasformazione presentate l’11 maggio scorso in un incontro online da Agrinsieme (coordinamento di Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari) e Federcanapa (la Federazione italiana canapa). Un documento che è il frutto di un lavoro portato avanti da un gruppo interdisciplinare di esperti universitari e legali, di agricoltori e trasformatori della canapa da estrazione sulla base delle attuali conoscenze ed esperienze in materia. E che nasce nel momento in cui si registra a livello internazionale un trend di crescita dei prodotti a base di canapa (estratti a base di CBD, terpeni, flavonoidi e altri cannabinoidi non stupefacenti) in settori che vanno dall’alimentare al pet food, dalla farmaceutica alla cosmesi. Tutto ciò con la volontà di contribuire alla «promozione di filiere territoriali della canapa, in quanto coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, al miglioramento dei suoli e all’incremento del reddito agricolo».
«Cresce il numero delle aziende del settore della canapa industriale ed in particolare di quelle legate alla filiera dell’estrazione – dichiarano Agrinsieme e la Federazione italiana canapa -. Il mercato mondiale dell’olio di CBD cresce ogni anno di oltre il 30% (1,2 miliardi di dollari nel 2019) e un’accelerazione ancora più forte è prevista nei prossimi 5 anni per il mercato europeo degli estratti di canapa; questi prodotti, infatti, trovano un crescente interesse non solo nel settore farmaceutico, il principale, ma anche nella cosmesi, nell’alimentare, nel pet food e nei succedanei del tabacco. Tra le novità anche il fatto che la Francia (che rappresenta il 37% della coltivazione di canapa industriale in Europa) stia discutendo su una specifica norma sull'infiorescenza per estrazione».
In tale contesto Agrinsieme e Federcanapa hanno deciso di mettere a disposizione degli operatori interessati alla produzione e alla trasformazione della canapa per estrazione uno strumento utile per creare nuove opportunità di mercato e favorire l’occupazione. «A fronte della crescita e delle nuove opportunità che si profilano, - osservano i due organismi - le imprese italiane rischiano di non poter garantire la produzione richiesta dai mercati europei ed internazionali a causa di interpretazioni restrittive da parte delle amministrazioni competenti, a partire dai ministeri delle Politiche agricole e della Salute e per la mancanza di una visione strategica a livello politico che sappia far emergere fino in fondo le potenzialità della canapa industriale».
«Le Linee Guida – viene specificato - sono dedicate alla canapa delle varietà a basso THC (entro lo 0.2%) coltivate nel rispetto dei requisiti della normativa comunitaria e della L. n.242/2016, destinate alla produzione di semilavorati, quali estratti a base di CBD, terpeni, flavonoidi e altri cannabinoidi non stupefacenti, da impiegare in successive lavorazioni industriali e artigianali (come disciplinati dall’articolo 2, c. 2 della L. n. 242/2016)». L’intento è fornire un supporto sia sul piano normativo sia su quello tecnico-agronomico.
«Fortunatamente a livello europeo – osservano Agrinsieme e Federcanapa - le restrizioni verso l’estrazione di CBD e di altri princìpi attivi presenti nel fiore di canapa industriale, si stanno allentando, soprattutto dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea del novembre scorso che ha dichiarato testualmente che il CBD non è una droga e che ha imposto al Governo francese il dissequestro di una partita di sigarette elettroniche al CBD, commercializzate in Francia e legalmente prodotte in un altro Stato europeo».
«Dopo questa presentazione – annunciano le due organizzazioni - incalzeremo il Parlamento perché definisca una volta per tutte quelle regole che consentano, anche agli operatori italiani, di confrontarsi ad armi pari sul mercato internazionale». «La canapa –concludono - è una coltura che si coniuga pienamente con i nuovi concetti di bioeconomia circolare e di alto valore ambientale; è funzionale alla lotta al consumo di suolo ed alla perdita di biodiversità e offre all’agricoltore una valida alternativa produttiva, soprattutto in alcuni territori del nostro Paese».
LINEE GUIDA
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L’associazione Canapa Sativa Italia, membro del nuovo tavolo tecnico di filiera, propone in primis di «chiarire la cornice normativa ed eliminare le zone di rischio per gli imprenditori, disciplinare il consumo umano del fiore e l’estrazione per fini non esclusivamente farmaceutici». Per CSI la commercializzazione del fiore di canapa non va inquadrata come quella del tabacco e bisogna «proteggere il mercato italiano della canapa alimentare e degli edibles in generale e da Big Pharma in particolare».
Che cosa succede al mercato della pianta più antica e più curativa del mondo alle nostre latitudini? E soprattutto che cosa bisogna fare per rendere più competitiva la canapicoltura italiana?
Alcune risposte a tali domande sono contenute in un recente report di Canapa Sativa Italia (CSI), associazione che mette insieme alcuni fra i più rappresentativi esponenti del comparto canapicolo del nostro Paese e che siede al tavolo di filiera costituito all’inizio di quest’anno e insediatosi a febbraio.
Sullo stato dell’arte, CSI ricorda «storiche evoluzioni normative come la sentenza del 19 novembre 2020 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nella causa C-663/18, che tra le altre cose alza il velo (e la sanziona) sulla discriminazione del CBD come nutriente ancora presente nelle legislazioni di vari stati membri e rileva che siffatte legislazioni nazionali impediscono la libera circolazione di questa merce così come dei servizi, dei capitali e della forza lavoro ad essa sottesi». E poi anche la «storica dichiarazione dell’OMS (dicembre 2020) grazie alla quale l’ONU ha potuto stabilire che la cannabis è una sostanza terapeutica, rimuovendola hinc et nunc dalla Tabella 4 nella quale si trovano le sostanze a maggior rischio di abuso e senza alcun valore benefico», pronuncia di cui tutte le legislazioni e i tribunali nazionali «dovranno immediatamente tenere conto».
E, venendo allo specifico italiano, per CSI «la più antica, gustosa, terapeutica e nutriente pianta del pianeta - i cui scarti sono altrettanto preziosi quanto la parte nobile della pianta sia in bio-edilizia che nella produzione di carburanti green - trova nelle fertili terre e nei microclimi speciali delle regioni italiane l’habitat migliore». E, «nonostante un ostracismo che dura da oltre un secolo, la canapa industriale italiana continua ad avere appassionati e competenti alfieri in giovani agricoltori, sapienti trasformatori ed imprenditori, scienziati e ricercatori. In una parola i nuovi ‘pionieri’ di un settore antico, la canapicoltura, che ormai copre ogni spettro di una filiera di qualità: dall’agro-alimentare, alla nutraceutica, alla farmacopea».
Ma non sono tutte rose e fiori, soprattutto per le incertezze normative che ancora permangono da noi. Che cosa bisogna fare per superarle e stabilizzare il comparto in Italia rendendolo più competitivo?
CSI propone innanzi tutto di 1) «chiarire la cornice normativa ed eliminare le zone di rischio per gli imprenditori, disciplinare il consumo umano del fiore e l’estrazione per fini non esclusivamente farmaceutici». La legge c’è già, specifica la nota di CSI, è «la 242 del 2016 per la quale è possibile realizzare e mettere in commercio praticamente qualunque derivato della canapa. A non essere chiaramente disciplinata è la vendita dei derivati destinati al consumo umano e su questo c’è da colmare un vuoto legislativo».
Inoltre bisogna 2) «non inquadrare la commercializzazione del fiore di canapa alla stregua di quella del tabacco». Il fiore o il trinciato di canapa inquadrato come tabacco «perderebbe la maggior parte delle possibilità di valorizzazione del prodotto con identità artigianale – secondo CSI -, l'impianto normativo riferito a questo tipo di filiera tende ad avvilire e a spostare l'attenzione dalla maggior parte delle possibilità e utilizzi molto più sani della pianta. Per questo motivo immaginiamo un impianto autonomo, anche sostenuto da licenze e soprattutto procedure di controllo sulla qualità». «Come accade per le filiere del luppolo e del vino – argomenta CSI - il sistema consente di valorizzarne tutti i livelli. La filiera della canapa, a livello agro-alimentare, è più vicina al luppolo e alla vite anche secondo i marketing standard in definizione EU; queste ultime [filiere, ndr] - in quanto destinate alla produzione di un alcolico - sono molto burocratizzate e non sempre necessariamente capaci di garantire una competitività nel mercato europeo per gli operatori di filiera made in Italy». Dunque «gli usi più promettenti della canapa – sostiene CSI - sono quelli alimentari e devoti al wellness, non certo solo un prodotto destinato banalmente o esclusivamente al fumo che come tutti sanno rimane dannoso alla salute di per sé».
«Tabacco, luppolo e vite – aggiunge la nota di CSI - non hanno, tuttavia, neanche lontanamente le potenzialità della canapa, caratterizzata da una multifunzionalità senza precedenti. Per questo oltre che la vendita diretta con la predisposizione di un sistema di controllo e verifica della salubrità di tutti i derivati, attraverso protocolli accessibili e sicuri, sono necessari tanti interventi tesi a valorizzare la coltivazione della canapa di tutti i livelli trovando soluzioni moderne alle criticità e consentendo a questo settore di svilupparsi autonomamente». «Quello del fiore – si legge - è un segmento della filiera capace di portare milioni di fatturato e senza nessun supporto da parte di finanziamenti o di classiche misure tipiche delle produzioni agricole: questo incredibile slancio andrebbe protetto e sostenuto con interventi tesi a valorizzare e a favorire il consolidamento di queste realtà. Uno degli elementi più critici da inserire a livello normativo è il continuo rinnovarsi del pool genetico: i vecchi processi di registrazione varietale non sono più adatti al continuo e frenetico sviluppo di questo settore, la cui incredibile variabilità e la libertà di ricerca sviluppo e innovazione genetica è considerata uno degli aspetti più interessanti dal punto di vista scientifico, come evidenziano decine di illustri ricerche». «Un approccio di libero mercato, coerente con le possibilità tecniche già a disposizione – continua CSI - potrebbe garantire quindi la possibilità di lavorare liberamente per gli agricoltori, facendo nascere un ulteriore aspetto propulsivo del mercato che è quello degli incroci consentendo uno sviluppo creativo per queste piccole realtà d'eccellenza, una necessità per quella categoria che rappresenta di fatto l’ossatura della filiera italiana in questo secolo».
Altra proposta di CSI è 3) «incoraggiare e proteggere il mercato italiano della canapa alimentare e degli edibles in generale e da Big Pharma in particolare». Infatti, viene sostenuto, «per natura la canapa non può essere relegata a un banale, anonimo e standardizzato succedaneo del tabacco: le destinazioni d’uso reali sono ben più variegate e il consumo può avvenire in diversi modi, tutti decisamente più salutari rispetto al fumo, ma neanche rimanere di esclusivo appannaggio delle officine farmaceutiche». La realizzazione di estratti certificati, spiega CSI, «è possibile oggi solo tramite autorizzazione UCS riservata alle officine farmaceutiche che realizzano API (Active Pharmaceutical Ingredients) ai sensi della L. 309/90: si tratta di ingredienti specifici per farmaci, che non sono però utilizzabili dall’industria alimentare e cosmetica». «In relazione al mondo della canapa industriale – continua la nota - il gap legislativo italiano non ci consentirà di produrre per competere nel mercato europeo (dove sono già autorizzati impianti di estrazione per destinazione novel food / cosmesi / semilavorati) e in violazione del principio di mutuo riconoscimento oggi già subiamo l’importazione dall’estero a prezzi molto più competitivi di quanto da noi vietato».
«La legge, inoltre, - prosegue il testo - prevede un esclusivo rapporto tra l’industria farmaceutica e il produttore selezionato svilendo le possibilità che il libero mercato potrebbe offrire. Non c’è competizione sulla qualità del prodotto, il produttore deve avere già un contratto e conferire tutto il suo prodotto all’industria ancora prima di realizzarlo, quindi impedendo di fatto la possibilità di confrontarsi con gli altri players sul mercato, di valutare diverse offerte, di differenziare i propri prodotti, di avere diversi clienti, fornitori, di lavorare il proprio prodotto presso un laboratorio autorizzato e rivenderlo a proprio marchio, impedendo a queste aziende uno sviluppo di un'identità, caratteristica invece di tutte le aziende del Made in Italy presenti sul panorama internazionale, dovendo trovare le modalità di autorizzare degli impianti a questo specifico scopo ed evitando le logiche della L. 309/90, o quantomeno distinguendo i processi farmaceutici da quelli più economici del settore alimentare o cosmetico in larga scala».
Eppure, afferma CSI, «la destinazione alimentare del fiore, ma soprattutto dei diretti derivati detti edibles, rappresenterebbe un volano economico e culturale non indifferente e un aiuto alla filiera con un grado di evoluzione che integrerebbe tutti i suoi comparti a destinazione umana, quale probabile approdo di un consolidamento del novel food». «Nell’ottica di valorizzare la produzione artigianale – aggiunge la nota - purtroppo le procedure relative all'application di un novel food, a causa della dimensione produttiva di molte piccole realtà italiane, sono un ostacolo insuperabile per le stringenti e costose procedure necessarie alla registrazione». E «l’Italia ha un mercato alimentare troppo variegato per poter puntare su pochi prodotti standardizzati».
Redazione