Filiera della canapa

Cobraf - Chimica Verde Bionet - Federcanapa

Su questo tema il 21 ottobre mattina ad Eima 2021 convegno organizzato da Chimica Verde Bionet, capofila del progetto Cobraf finanziato nel Psr della Regione Toscana, in collaborazione con Federcanapa. Il pomeriggio un convegno su “Tecniche di estrazione di oli e principi attivi delle piante” con riferimento alle colture innovative di Cobraf: camelina, canapa, cartamo e lino. Il programma completo della giornata.


La canapa in primo piano in due convegni in programma giovedì 21 ottobre nel contesto di Eima International 2021 a Bologna. Li organizza, in collaborazione con Federcanapa, Chimica Verde Bionet, l’associazione capofila del progetto Cobraf (Coprodotti da Bioraffinerie): un progetto finanziato dalla misura 16.2 del Programma di Sviluppo Rurale della Regione Toscana 2014-2020 per lo sviluppo di filiere agroindustriali da quattro colture oleaginose: canapa, camelina, cartamo e lino. Con l’obiettivo di arrivare a «un sistema articolato di bioraffinerie che permetta la massima valorizzazione della biomassa di colture oleaginose utilizzabili in rotazione, e di conseguenza il miglior reddito per le aziende agricole e per le imprese utilizzatrici e un’ampia flessibilità nelle destinazioni di mercato». Ciò attraverso «l’utilizzo di varie parti della biomassa e residui di produzione per lo sviluppo di bioprodotti innovativi e più sostenibili per almeno 6 settori dell’industria toscana: alimentare, cosmesi, farmaceutica, edilizia, legno, automotive (camper)».
La mattina, dalle ore 10 alle 13, sarà dedicata al convegno “Meccanizzazione della raccolta e della prima trasformazione della canapa”, coordinato da Beppe Croce, presidente di Federcanapa e direttore di Chimica Verde Bionet. Come viene illustrato nell’introduzione al programma dell’evento, «un nuovo impianto per la produzione di fibra di qualità sta sorgendo in Toscana e sono in corso diversi progetti sulla canapa industriale in altre Regioni italiane». Federcanapa, in collaborazione col Gruppo Operativo del progetto Cobraf, con questo appuntamento vuole presentare «una panoramica delle attuali soluzioni per la raccolta congiunta di steli e cime di canapa e per le successive fasi di stigliatura e macerazione della fibra».
Nel pomeriggio, dalle ore 15 alle 17,30, si svolgerà il secondo convegno “Tecniche di estrazione di oli e principi attivi dalle piante”. L’argomento dell’evento è così introdotto: «le colture innovative del progetto Cobraf - camelina, canapa, cartamo e lino - sono una fonte di acidi grassi Omega3 e Omega6 e di molti altri princìpi attivi, che trovano crescente interesse di mercato in nutraceutica, cosmesi e mangimistica». Nell’incontro saranno passate in rassegna le principali tecnologie di estrazione e i rispettivi costi e benefici economici e salutistici, con l’illustrazione di alcune esperienze italiane.
                                                                   
Programma 

1) “Meccanizzazione della raccolta e della prima trasformazione della canapa” (ore 10-13)
• 10.00 Introduzione ai lavori
• 10.10 Panoramica europea sulla meccanizzazione della canapa industriale - Stefano Amaducci, Università
Cattolica del Sacro Cuore Piacenza
• 10.30 Tecnologie innovative per la raccolta - Vincenzo Alfano, CREA Ingegneria e Trasformazioni
Agroalimentari
• 10.45 Raccolta e stigliatura: un quadro delle soluzioni esistenti - Cesare Tofani, Naturfibre
• 11.00 Macchine e metodi per la lavorazione della canapa - Valerio Zucchini
• 11.15 Le macchine di Assocanapa per la raccolta combinata e la prima lavorazione degli steli - Cesare
Quaglia, Assocanapa
• 11.30 Il progetto CATERPILLAR in Emilia Romagna - Marco Errani, Azienda Sperimentale Stuard di Parma
• 11.45 Il progetto RETE CANAPA nella Marche - Antonio Trionfi Honorati
• 12.00 Un nuovo impianto in Toscana per la produzione di fibra di qualità - Domenico e Giuseppe Vitiello,
Canapafiliera
• 12.30 Dibattito

2) “Tecniche di estrazione di oli e principi attivi dalle piante” (ore 15-17,30)
• 15.00 Acidi grassi e altri princìpi attivi delle colture Cobraf - Beppe Croce, Chimica Verde Bionet
• 15.20 Strumenti e norme per gli oli spremuti a freddo - Tullia Gallina Toschi, Università di Bologna
• 15.40 Vantaggi e criticità dell’estrazione meccanica a freddo - Peppe Sammartino, Molino
• Crisafulli
• 16.00 Estrazione di princìpi attivi con solvente: il caso dei cannabinoidi - Luana Vagnoli
• 16.15 Esperienze di impiego della CO2 supercritica - Alvaro Garro, Canapalife
• 16.30 Una soluzione innovativa ed ecologica per l’estrazione di princìpi attivi - Giovanni Venturini
• del Greco, Herbolea
• 16.45 L’impiego industriale di ultrasuoni, solventi e altre tecnologie - Eusphera Nutraceuticals
• 17.00 Dibattito.

Per ulteriori informazioni consultare il sito web dell’Associazione Chimica Verde Bionet.

Redazione

Cannabis sativa ‘Tiborszallasi’

L’associazione Canapa Sativa Italia (CSI) e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici (IZSM) hanno avviato a luglio il più vasto studio comparativo nazionale sulla stabilità del contenuto di cannabinoidi su gruppi di piante di Cannabis sativa ‘Tiborszallasi’ da seme o da talea (provenienti dalla stessa pianta madre certificata) coltivati in differenti condizioni pedoclimatiche: 12 aziende distribuite fra nord, centro e sud Italia. Il presidente di CSI Massimo Cossu: «un’ipotesi teorica da verificare è che le piante di canapa da talea permettano di avere dei valori di cannabinoidi (e quindi anche del THC) più stabili»; «è fondamentale che ogni singolo fiore abbia un valore di THC al di sotto dell’0,5%» (e non sia pertanto drogante). Il responsabile progetto dell’IZSM Augusto Siciliano: «la particolarità di questo studio è il numero considerevole di repliche e la vasta territorialità: ci consentirà di avere un gran numero di dati specifici su circa 800 piante. E il confronto fra seme e talea darà risultati interessanti sia per il mondo scientifico che per quello produttivo». [In foto le piante in vaso oggetto di sperimentazione presso l'azienda della socia di CSI Lisa Bonelli]


La valutazione, tramite analisi effettuate su campioni a fine fioritura, di «come l’ambiente incida sulla produzione di cannabinoidi» di piante di Cannabis sativa non solo della stessa varietà (per la precisione della varietà ungherese ‘Tiborszallasi’) ma derivanti proprio dalla stessa pianta madre certificata e, allo stesso tempo, della «stabilità produttiva di cannabinoidi, sia in piante germinate (quindi provenienti da semi) che in piante derivanti da replicazioni agamiche (cloni di varietà certificate)».
Questo è il doppio obiettivo del progetto di cui è stato annunciato l’avvio nei giorni scorsi da Canapa Sativa Italia (CSI) - associazione che raggruppa un centinaio di soci, fra produttori, trasformatori e ricercatori della filiera canapicola italiana e siede al Tavolo tecnico di filiera presso il Ministero delle Politiche Agricole - insieme al partner Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici (Napoli) (IZSM), che è stato il primo laboratorio pubblico in Italia ad essere accreditato nella rete IZS per la determinazione dei cannabinoidi nei prodotti derivanti dalla canapa ed è ad oggi l’unico ad avere l’autorizzazione del Ministero della salute alla coltivazione indoor di Cannabis con tenore di THC non noto a fini sperimentali.
Un progetto, intitolato “Evaluation of cannabinoid stability: comparison between seed plants and clone plants in different Italian regions”, che deve colmare, come spiega il comunicato, un gap gravissimo: la ridotta presenza di dati e pubblicazioni scientifiche italiane riguardanti la ricerca e l’agronomia sulla intera pianta di Cannabis light. Come? Coltivando 400 piante ottenute da seme e 400 da talee, derivanti dalla stessa pianta madre di una varietà certificata e ammessa alla coltivazione secondo le leggi ed i regolamenti vigenti in materia, che sono state distribuite con terriccio, concimi specifici e vasi di tessuto ad hoc a 12 aziende situate in parti eguali al nord, centro e sud del nostro Paese. Un numero di piante e una distribuzione geografica che garantiscono «uno studio esaustivo del comportamento delle stesse piante per areale e condizione, permettendo un’analisi ecotipica oltre che di stabilità varietale».
Per capire qualcosa di più sulle ragioni, le finalità e le modalità organizzative di tale progetto, Floraviva ha intervistato il presidente di CSI Massimo Cossu, che ha risposto alle nostre domande insieme a Francesco Scopelliti, socio di CSI sin dagli esordi che ha avuto un ruolo molto importante in questa iniziativa. E ha posto poi qualche domanda di ulteriore chiarimento anche al responsabile del progetto in seno all’IZSM, Augusto Siciliano.
 
Presidente Cossu, in che cosa consiste esattamente questo progetto lanciato in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno (IZSM)?
Massimo Cossu: «Abbiamo ideato questo progetto con l’IZSM con la finalità di avviare un rapporto di collaborazione di ricerca scientifica con un ente che potesse darci gli strumenti per portare alla ricerca italiana risultati significativi per il nostro settore. Nello specifico il progetto ha la finalità di valutare la stabilità dei cannabinoidi nelle differenti regioni italiane con condizioni pedoclimatiche differenti. Il confronto, al di là delle condizioni differenti, include anche la valutazione comparativa della coltivazione di canapa da seme rispetto alla coltivazione da clone (partendo da un’unica pianta madre certificata di partenza)».
Come mai?
Francesco Scopelliti: «Ad oggi il settore ha un vincolo normativo che impone la coltivazione ai fini produttivi partendo da semi di varietà certificate, condizione diversa si presenta per la coltivazione di piante ornamentali non destinate ad un’ulteriore finalità produttiva. La riproduzione per via agamica è ben nota in agronomia come tecnica di riproduzione per poter replicare accuratamente la pianta d’origine ed ecco che il progetto ideato ha questa finalità: studiare la stabilità dei cannabinoidi, delle due modalità di riproduzione di Cannabis sativa L. su differenti areali, con l’obiettivo di portare questo dato e poterlo usare in sede istituzionale per proporre modifiche normative con fondamento scientifico».
Quali soggetti sono coinvolti nel progetto, oltre a voi di Canapa Sativa Italia (CSI) e all’IZSM, e come è strutturata la sperimentazione?
Massimo Cossu: «Sono state coinvolte 12 aziende associate a Canapa Sativa Italia per la realizzazione del progetto - oltre ad avere a disposizione uno spazio outdoor, il know how e la disponibilità dei ricercatori dell’IZSM - per coprire una porzione di territorio che fosse più ampia possibile, considerando le differenze pedologiche. Ogni azienda ha ricevuto un pacchetto di semi certificati e 40 talee, poi vasi, terriccio specifico e fertilizzanti. Il progetto, grazie allo sponsor Advanced Nutrients, ha potuto aggiungere un ulteriore grado di complessità: i due gruppi di piante vengono infatti fertilizzati con 3 linee distinte di concimazione a parametri controllati, permettendo così di raccogliere i dati relativi ai cannabinoidi anche in funzione della nutrizione delle piante. Per questo motivo si è scelto di coltivare in vasi e non direttamente in suolo, così da valutare l’incidenza della concimazione sui cannabinoidi, partendo tutti dallo stesso substrato di coltivazione. La coltivazione delle piante avrà termine con il taglio della parte apicale dell’infiorescenza, che verrà codificata tramite codice alfanumerico specifico per ogni singola pianta e spedito all’IZSM, che si occuperà della gestione ed essiccazione dei campioni in un luogo adibito appositamente al progetto. Dopo l’essiccazione ogni campione verrà analizzato singolarmente e ne verranno calcolati i contenuti di cannabinoidi; a seguito degli esiti analitici i ricercatori dell’IZSM successivamente provvederanno all’elaborazione dei dati emersi che verranno pubblicati e resi disponibili».
Che cosa si vuole sapere dalle ricerche precisamente? Ad esempio in relazione alla questione dell’efficacia drogante a seconda del contenuto di THC della varietà?
Massimo Cossu: «L’analisi che ci si propone di fare non è tanto a livello tossicologico. Quindi non interessa direttamente l’efficacia drogante del THC, quanto piuttosto uno studio sulla produzione dei valori dei cannabinoidi nei gruppi di piante riprodotti distintamente su diversi areali nazionali».
E che cosa si intende esattamente nel comunicato per «valutazione della “stabilità produttiva di cannabinoidi”»?
Massimo Cossu: «La teoria che ci ha spinti a realizzare questo progetto è che le piante di canapa coltivate da seme hanno una notevole variabilità nell’espressione di cannabinoidi, a differenza delle talee, che ci permettono di avere dei valori di cannabinoidi potenzialmente più stabili e quindi di conseguenza anche del THC, in virtù delle diverse condizioni ambientali. Con l’esplosione del reparto florovivaistico nel settore canapa, è fondamentale che non sia solo la media della campionatura sulla biomassa a rispettare il limite imposto dalle normative vigenti, bensì ogni singolo fiore dovrà avere un valore di THC al di sotto dello 0,5%. Quindi cosa succede con le genetiche certificate? Una popolazione di semi sarà, per intenderci, come una cucciolata di un cane o un gatto, per cui avremo dei fratelli che sono tutti diversi fra loro, e non avremo garanzie del colore del loro pelo e le loro dimensioni. Una popolazione di semi può contenere al suo interno una variabilità che può costare cara all’agricoltore che vuole vendere i fiori al dettaglio oppure procedere alla vendita per estrazione. Potrà infatti trovare dei valori di THC ben oltre quelli previsti dalla normativa e rischiare quindi di mettere in commercio (o anche solo conservare in magazzino) della sostanza vegetale con capacità drogante. Non sarebbe pensabile per l’agricoltore analizzare ogni singola pianta del suo campo, in quanto non risulterebbe economicamente sostenibile. Nella fase conclusiva di questo progetto verranno analizzate singolarmente tutte le parti apicali di ogni pianta, per mettere in luce questa problematica e avere fra le mani un risultato che ci permetta di apportare informazioni utili al settore canapicolo».
Qual è la tempistica del progetto? Quando è iniziato e quando terminerà?
Massimo Cossu: «Abbiamo proposto all’IZSM questa collaborazione all’inizio del 2021, da lì è stato necessario definire il progetto: in prima battuta da parte del direttore del Comitato Tecnico Scientifico di CSI Samuele Paganelli, e in seconda da parte di Augusto Siciliano, ricercatore dell’IZSM, e di Francesco Scopelliti, tecnico biologo specializzato in produzione di cannabis terapeutica e cannabusiness e, in Oregon, in coltivazione organica e ripresa di suoli poveri, che ho avuto il piacere di coordinare in questa occasione. È stato fondamentale selezionare le aziende in base alla posizione sul territorio nazionale, alle loro capacità di coltivazione, di strumentazione e ovviamente alla loro disponibilità. Coordinare la logistica per le attrezzature e le piantine è stato senz’altro la parte più complessa da gestire per la nostra associazione, che riesce ad andare avanti prevalentemente grazie al lavoro di soci volontari. (siamo tutti operatori del settore e dedicare tanto tempo a un progetto gratuito in piena stagione agricola è un impegno oneroso). In questa corsa contro il tempo siamo riusciti a mettere a dimora le piantine i primi giorni di luglio, coordinando tempestivamente il trapianto per le talee e la semina in plateau per i semi. Da poco le piante stanno iniziando la fase di pre-fioritura. Ci aspettiamo di raccogliere nella prima decade di ottobre, valuteremo la data precisa in base alla maturazione delle infiorescenze per ogni singola azienda».
Dove si trovano esattamente le 12 aziende coinvolte nelle coltivazioni sperimentali?
Massimo Cossu: «Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna per il nord, Toscana, Lazio e Abruzzo per il centro, Campania, Puglia e Calabria per il sud e Sardegna, che nel panorama della canapa italiana rappresenta un caso paradossale: incredibile eccellenza produttiva (in qualità e quantità di ettari coltivati a fiore) ma allo stesso tempo di grandissima incertezza normativa a causa di interpretazioni delle norme in materia dalle Procure locali a sfavore dell’agricoltore». 
Quanto è stato messo sul piatto per finanziare il progetto? 
Francesco Scopelliti: «Il progetto è ambizioso e i costi sono ingenti: sono destinate ad esso diverse decine di migliaia di euro ma potremo essere più precisi alla fine del lavoro».
 
Dott. Siciliano, questo con CSI è il primo progetto di ricerca pubblica sull’intera pianta Canapa sativa tout court o è il primo così approfondito e sistematico?
Augusto Siciliano: «Al momento ci sono differenti progetti in corso sul territorio nazionale in merito alla pianta di Cannabis nei suoi differenti settori di appartenenza. Anche in passato altri enti pubblici come il CREA-CIN di Rovigo hanno svolto importanti attività di ricerca sulla Cannabis. Ma la particolarità di questo progetto è il numero considerevole di repliche e la vasta territorialità che ricopre. Questo ci consentirà di avere un gran numero di dati relativamente all’attività analitica specifica su circa 800 piante e in particolare questo tipo di confronto fra seme e talea potrà contribuire ad un risultato interessante sia per il mondo scientifico che per quello produttivo apportando un valore aggiunto a tutta la filiera canapicola».
Nel comunicato si specifica che l’IZSM di Portici è l’unico ente pubblico del Ssn a detenere l'autorizzazione per la coltivazione di Cannabis a THC non noto ai fini sperimentali: siete la punta di diamante fra i dieci istituti zooprofilattici italiani?
Augusto Siciliano: «Il nostro è stato il primo laboratorio pubblico accreditato nella rete IZS per la determinazione dei cannabinoidi nei prodotti derivanti dalla canapa. L’esperienza dell’IZSM maturata negli anni nasce da un interesse iniziale di conoscenze legate allo sviluppo di nuove filiere agroalimentari di prodotti a base di semi di canapa, a seguito dell'emanazione della Circolare del 22 maggio 2009 del Ministero della Salute che ammette gli usi alimentari del seme di canapa e derivati sulla base delle indicazioni dell’Istituto Superiore della Sanità. L'IZSM ha subito intuito lo sviluppo di questo nuovo settore agricolo, avviando una serie di attività di studio e di progetti sperimentali. A seguito dell'emanazione della legge 242/16, il settore della canapa industriale ha visto una crescita esponenziale in brevissimo tempo, inoltre un “vizio interpretativo” della norma ha dato un ulteriore slancio di crescita esponenziale al settore data dalla produzione e commercializzazione della cannabis light. Nell’autunno 2016 l’IZSM ha supportato, tramite l’attività analitica, le Forze dell’Ordine per il controllo e la verifica di conformità su infiorescenze e prodotti alimentari, inoltre il Ministero della Salute ha istituito un Gruppo di Lavoro in cui ha coinvolto l’IZSM nella definizione dei limiti sul Delta-9-tetraidrocannabinolo negli alimenti».
Quale è stato l’effetto del boom produttivo di cannabis light?
Augusto Siciliano: «Con la crescente presenza sul territorio nazionale di prodotti cannabis light, gli organi di controllo hanno inviato ai nostri laboratori innumerevoli campioni di infiorescenze e di prodotti alimentari a base di canapa, sequestrati presso punti vendita, per verificare il contenuto di cannabinoidi. Il boom legato alla vendita di cannabis light, ha interessato prevalentemente attività legate alla produzione di infiorescenze, in questo ultimi anni, infatti, l’IZSM ha stipulato numerose convenzioni con aziende private, effettuando innumerevoli determinazioni analitiche, per la gran parte su infiorescenze. Inoltre ha supportato le Forze dell’Ordine nelle attività di sopralluogo e campionamento. Oggi, l'IZSM vanta una notevole expertise analitica e di conoscenza del settore e, oltre alla determinazione dei cannabinoidi, ha implementato attività di ricerca utili all’approfondimento dei differenti settori e a rappresentare un supporto istituzionale per un più chiaro orientamento normativo e legislativo. Nell’ambito delle attività svolte e nell’ottica di ampliare le attività di ricerca del settore Cannabis, sono stati allestiti dei locali adibiti alla coltivazione sperimentale indoor di Cannabis con tenore di THC non noto, autorizzata in data 01/08/2019 dal Ministero della Salute, e ad oggi siamo l’unico ente del SSN ad avere questa autorizzazione».


L.S.


“Tavolo tecnico di filiera al Mipaaf – report dai rappresentanti” è il titolo di stasera del “Salotto della Canapa”: l’appuntamento settimanale di divulgazione organizzato da Canapa Sativa Italia (CSI), associazione non profit di produttori agricoli, ricercatori, imprenditori e trasformatori dal seme al prodotto finito nati grazie alla Legge 242/16 che consente la coltivazione della canapa industriale (a basso tenore di THC).
Si tratta di una speciale diretta multicanale Facebook e Telegram che si svolgerà dalle ore 21 alle ore 22 e avrà come protagoniste le associazioni che insieme a CSI sono state elette a partecipare al primo tavolo tecnico sulla filiera della canapa, che ci aggiorneranno sulla situazione del tavolo e anche su come è andata la riunione dell’1 luglio scorso.
Saranno presenti, moderati da Marta Lispi di CSI, Emanuela Nurzia, presidente di “La Canapa ci Unisce”, Piero Manzanares, presidente di Sardinia Cannabis, Francesco Vitabile, presidente di “Resilienza Italia Onlus”.
I Salotti della Canapa sono disponibili in podcast su richiesta.
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Redazione

 

 

Intervista a Beppe Croce, presidente di Federcanapa, a poche ore dal tavolo di filiera della canapa industriale, dopo che nei giorni scorsi la bozza del decreto interministeriale sulle piante officinali trasmesso dal Mipaaf alla Conferenza Stato Regioni ha sollevato le contestazioni di tanti soggetti protagonisti del comparto.

«Ribadisco il messaggio lanciato in una recente audizione alla commissione Agricoltura del Senato. Per tagliare alla radice il problema sollevato dallo schema di decreto interministeriale sulle piante officinali dell’1 giugno che il Ministero delle politiche agricole ha trasmesso alla Conferenza Stato Regioni, basterebbe una piccola specificazione aggiuntiva nella legge n. 242 del 2016 sulla filiera agroindustriale della canapa in cui si espliciti che sono utilizzabili tutte le parti della pianta, anche i fiori e le foglie, per le destinazioni d’uso consentite dalla medesima legge. Concetto su cui peraltro si era espressa favorevolmente già nel novembre 2019 la Commissione Agricoltura della Camera con una risoluzione unitaria».
E’ quanto ci ha risposto ieri sera il presidente di Federcanapa Beppe Croce, alla vigilia della seduta del tavolo tecnico di filiera di oggi in cui non potrà non essere affrontata la questione del decreto con l’elenco delle piante officinali che avrebbe dovuto essere approvato nell’ultima Conferenza Stato Regioni, ma che poi è stato rinviato perché ha sollevato le proteste di gran parte dei soggetti che fanno parte della filiera della canapa industriale. In particolare per il passo in cui, come ha scritto Federcanapa nel comunicato stampa del 15 giugno scorso, «in maniera del tutto arbitraria, fa riferimento alla canapa con una pretesa distinzione tra semi e derivati (leciti, in quanto rientrerebbero nelle previsioni della L. n. 242/2016) e fiori e foglie, che secondo lo schema di decreto rientrerebbero tout court nelle previsioni del DPR 309/1990 in materia di stupefacenti, e la cui coltivazione pertanto “eÌ vietata senza l’autorizzazione del Ministero della Salute”».
«Al Ministero delle politiche agricole – aggiunge ora Beppe Croce - direi di adeguarsi alla risoluzione della Camera del 2019, perché non è più possibile continuare con questi impedimenti che ostacolano la competitività delle nostre aziende del settore senza alcun valido motivo. Una simile integrazione significherebbe soltanto riconoscere la possibilità di usare la canapa sativa, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 242 e con il Thc sotto le soglie stabilite dalla normativa (0,2%), come pianta officinale quale è, ossia per tutte le destinazioni d’uso delle piante officinali senza la spada di damocle dell’autorizzazione del Ministero della salute».
Infatti, spiega Croce riprendendo i punti esplicitati nel comunicato del 15 giugno, il testo interministeriale sulle piante officinali, «se fosse adottato in via definitiva, sancirebbe una ingiustificata ed anacronistica limitazione per gli agricoltori che si vedrebbero costretti – con riferimento alla destinazione officinale – a dover “selezionare” una pianta rinunciando alle parti con le maggiori proprietaÌ medicali».
Una limitazione che in «evidente contrasto con il diritto comunitario, soprattutto alla luce delle interpretazioni fornite dalla recente sentenza della Corte di Giustizia Europea nel cd. caso “Kanavape” che ha condannato la Francia proprio per le limitazioni legislative all’uso dell’intera pianta di canapa sativa, e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi (art.78 della sentenza)». Tant’è che Federcanapa è pronta a «impugnare il provvedimento nelle sedi competenti, non potendo accettare una simile restrizione che determinerebbe un grave ed ingiustificato pregiudizio per gli agricoltori italiani rispetto a quelli degli altri Paesi europei».
Del resto, come ricorda Croce, «proprio nei giorni scorsi la Francia ha annunciato di ritenere lecita la produzione dell’intera pianta di canapa (fiori e foglie comprese) per l’ottenimento di preparazioni industriali» e «l’Europa sta effettuando una puntuale opera di allineamento tra diritto comunitario e la sopra citata sentenza».

L.S.

 

 

I suggerimenti di Canapa Sativa Italia (CSI) ai senatori della IX Commissione durante l’audizione del 26 maggio insieme a Federcanapa e “#lacanapaciunisce”. Il segretario di CSI Cusani: «la Commissione Europea (CE) ha ammesso che il CBD non è uno stupefacente», ne vanno tratte le conseguenze; e CBD e CBG sono inseriti come ingredienti nel registro CosIng (la banca dati europea sui cosmetici). Tra le proposte, inserimento chiaro delle infiorescenze tra le parti della pianta di canapa utilizzabili, l’equiparazione di coltivazione a pieno campo con quella in serra, uniformazione dei controlli delle forze dell’ordine.

Il 26 maggio si è svolta in video conferenza un’audizione di associazioni ed esperti della filiera della canapa presso la IX Commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato della Repubblica. Argomento di discussione la legge di riferimento per questa filiera: la n. 242 del 2 dicembre 2016, “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, di cui sono in discussione tre proposte di legge di modifica d’iniziativa parlamentare (540,1321 e 1324).
Per Canapa Sativa Italia (CSI), associazione non profit che raggruppa produttori, ricercatori, trasformatori dal seme al prodotto finito di tutte le regioni italiane, è intervenuto il segretario generale Mattia Cusani, che siede anche al Tavolo tecnico insediatosi questo febbraio al Ministero delle politica agricole alimentari e forestali (Mipaaf).
«Abbiamo avuto a disposizione 15 minuti in video-conferenza per portare le nostre proposte correttive del comparto, che sono state prima condivise con tutti i nostri soci e con le altre associazioni di settore – ha spiegato Cusani in una successiva nota alla stampa -. La legge 242/2016 si poneva lo scopo di rilanciare la filiera della canapa industriale compromessa da decenni di anacronistiche politiche proibizionistiche. A seguito dell’approvazione della legge, nonostante la vendita delle infiorescenze e dei loro derivati non fosse espressamente prevista, in Italia hanno aperto più di 3.000 partite IVA che includono anche i «canapa shop», negozi che vendono la cosiddetta «cannabis light» ovvero fiori di canapa industriale con percentuale di tetraidrocannabinolo (THC) molto bassa, inferiore allo 0,6 per cento, e quindi del tutto priva di effetto psicoattivo. La nostra associazione si sta impegnando fin dalla sua costituzione per far sì che questo settore riesca a svilupparsi nel rispetto delle regole. Abbiamo bisogno di una normativa che ci consenta di lavorare».
Che cosa ha detto Cusani ai senatori della IX Commissione?
Innanzi tutto ha fatto il punto della situazione ricordando che «durante la pandemia, molti ed importanti nodi legislativi sono stati sciolti: le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente le proprietà medicinali della cannabis in un voto espresso a Vienna dagli Stati Membri nel corso della Commissione Droghe delle Nazioni Unite (CND), l'organo esecutivo per la politica sulle droghe. La cannabis viene quindi tolta dalla Tabella 4, quelle delle sostanze ritenute più pericolose in virtù dei suoi impieghi terapeutici ed inserita nella Tabella 1 (sostanze non dannose)».
Mentre sul tema “novel food” ha fatto presente che «la Commissione europea, il 3.12.20, ha ammesso che il CBD non è uno stupefacente. Una decisione inevitabile dopo che la Corte di Giustizia UE ha statuito l’illegittimità di qualsivoglia divieto a commercializzare il cannabidiolo come previsto dalla sentenza del 19 novembre 2020 nella causa 663/18 della Corte di Giustizia Europea». Per cui «l’eventuale rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza della Corte di Giustizia può implicare l’apertura di una procedura di infrazione e la presentazione da parte della Commissione del ricorso di inadempimento di cui all’art. 258 TFUE». Così l’«EFSA (European Food Safety Authority) può riprendere a valutare le richieste di autorizzazione del CBD come novel food» e svaniscono «gli ostacoli del controllo internazionale, imposti dal 1961 dalla Convenzione Unica sulle sostanze narcotiche, alla produzione della cannabis per fini medico-scientifici».
Inoltre Mattia Cusani ha riferito di aver «sottolineato che il ‘Cannabidiolo (CBD) (Cannabidiolo – derivato da estratto o tintura o resina di cannabis)’ e di recente anche il Cannabigerolo sono le nuove voci introdotte nel registro CosIng. Il CBD naturale e il CBG vengono così definitivamente ammessi quale ingredienti dei cosmetici prodotti o comunque immessi nel mercato unico europeo. La banca dati CosIng non ha un valore legale formale. Essa tuttavia rappresenta un atto di indirizzo dell’Esecutivo europeo, in vista della piena armonizzazione del mercato interno nel settore della cosmetica».
Infine, «sulla coltivazione di piante di canapa da sementi certificate per destinazione farmaceutica - come fatto anche dall’associazione #lacanapaciunisce - ci è parso importante sottolineare che proprio il 24 maggio, sul sito del Ministero della Salute, è stato pubblicato l’iter autorizzativo per la produzione di canapa ai fini del conferimento ad officina farmaceutica, che coinvolge per adesso soltanto 2 o 3 operatori del settore».
«Vorremmo – ha affermato Cusani passando alla fase propositiva - che venisse chiarito in maniera univoca come tale autorizzazione non sia condizione necessaria alla produzione di canapa di per sé, per evitare, inequivocabilmente, il rischio di confondere la necessità di autorizzazione per questa specifica destinazione d’uso con la libera coltivazione prevista dalla legge 242/2016 portando ad ulteriori incertezze, che vanno ad aggiungersi a quelle evidenziate dall’esperienza di questi ultimi 5 anni».
Cusani ha poi sottolineato che «la corretta impostazione di una filiera della canapa per l’Italia costituisce già modello di economia circolare. Grazie alla varietà dei metodi di produzione e la poliedricità propria del prodotto canapa anche nell’utilizzo dei suoi scarti - dando seguito alle sperimentazioni in corso, al lavoro del tavolo tecnico di filiera e sciogliendo i “nodi normativi” ancora presenti - si potrebbe finalmente attuare un processo di sviluppo completo». Per cui «dobbiamo dare la possibilità alle migliaia di lavoratori del settore, età media 25-40, la più vessata dalle recenti crisi, di esprimere appieno le proprie potenzialità attivando un processo che porterebbe benefici per tutte le tipologie di capitale: umano, materiale e finanziario di cui un sistema economico necessità per funzionare».
Canapa Sativa Italia ha quindi sottoscritto una serie di proposte correttive ai progetti di modifica della L. 242/16 in discussione in Commissione. In particolare, insieme alle altre associazioni presenti, «l’inserimento chiaro e letterale delle infiorescenze tra le parti della pianta di canapa utilizzabili, l’equiparazione di coltivazione a pieno campo con quella in ambiente protetto (serra)». Così come è stata rimarcata «l’importanza di uniformare i controlli da parte delle forze di Polizia per evitare duplicazioni e vessazioni sollecitando il Mipaaf ad approvare un decreto Ministeriale che li armonizzi (entro sei mesi) e che contenga anche chiare e specifiche metodiche di campionamento del prodotto in caso di controlli».

Redazione

 

 

Vito Cannillo

Intervista a Vito Cannillo, imprenditore pugliese della filiera canapicola socio di Canapa Sativa Italia, che parla delle sue attività nel settore in America e dice che cosa servirebbe ai canapicoltori italiani. Quali mosse si attende dal Tavolo della canapa del Mipaaf come prioritarie? «Certezze sul fronte dei parametri da rispettare a livello produttivo», soprattutto «per far lavorare in “sicurezza” i medio-piccoli imprenditori», e una certificazione simile alla Global G.A.P. con «passaporto di qualità spendibile sul mercato».


Alla vigilia dell’importante webinar dell’Accademia dei Georgofili – sezione Centro Ovest e della Fondazione Istituto Scienze della Salute sul tema “La canapa: l’attualità di una pianta di grande tradizione colturale”, in cui si farà il punto della situazione del comparto in Italia (vedi), Floraviva ospita l’intervista con un attore della filiera canapicola che è socio di Canapa Sativa Italia (CSI) e conosce molto bene anche quanto succede oltreoceano, in America. Si chiama Vito Cannillo ed è un imprenditore under 40 che lavora a Corato (Bari), che qui ci parla anche della sua esperienza in Forza Vitale, azienda fondata da suo padre, e delle nuove start-up da lui fondate in Giamaica per partecipare all’espansione del mercato nord-americano.
Se abbiamo ben capito, la sua azienda opera nel settore officinale e degli integratori alimentari: nonostante utilizzi ed elabori tantissimi ingredienti naturali e piante, lei considera la canapa l'oro verde di questo millennio. Come mai e non esagera un po’?
«Guardi non sono io a definire la canapa come il nuovo “oro verde” ma fior fior di esperti internazionali: economisti e uomini di finanza che sottolineano l'enorme impatto del “comparto canapa” su un nuovo boom imprenditoriale e occupazionale, sostenibile e duraturo».
E cosa prova a dover operare tra le tante lacune normative e conoscitive italiane sulla canapa?
«Da imprenditore e da cittadino non riesco a capacitarmi di come non si tenga conto di questa opportunità in nome di pregiudizi, ignoranza e, chissà, forse anche di consolidati interessi da tutelare. L'interrogativo sorge spontaneo. Viviamo una fase di depressione economica senza precedenti e ci permettiamo il lusso di non cambiare idea, di non aprirci a un nuovo modo di pensare. Aggiungiamoci i problemi legati allo stallo della giustizia a cui contribuiscono anche certe logiche proibizioniste. Aggiungiamo poi, e lo dico in modo retorico, anche i benefici sul fronte del benessere propri di questo comparto… e lo sgomento, ahimè, aumenta».
Che cosa lo ha spinto a diventare socio di Canapa Sativa Italia (CSI) e che cosa spera che il tavolo di filiera insediato al MIPAAF faccia come prima mossa per sostenere il settore canapicolo industriale italiano?
«Aderire a CSI è ciò che dovrebbe fare chiunque crede nel “comparto canapa” e ha voglia di sfruttarne tutte le opportunità, non tanto come singolo imprenditore ma come parte di una regia più ampia. Il ruolo di CSI è fondamentale infatti per parlare con una voce sola e fare lobby nell'accezione usata negli Stati Uniti, paese in cui sono nato e che si sta dimostrando molto avanti su questo fronte! Bisogna dunque essere capaci di fare lobby in maniera trasparente e autorevole per innescare quella che potrebbe essere una vera rivoluzione “verde”».
La sua esperienza è interessante anche perché ha avviato e sostiene molti progetti oltreoceano (in Giamaica) dove insieme ad università, agricoltori e altri partner di comunità fate produzione e lavorazione estrattiva di infiorescenze di cannabis a basso tenore di THC o CBD. Che cosa manca alle regioni italiane per avviare simili attività?
«Non vorrei passare per campanilista, perché proprio non lo sono, ma mi sento di poter candidare la Puglia come luogo ideale per avviare seriamente la genesi di questo comparto in Italia. Viviamo grazie a Dio nell'epoca della globalizzazione e tutto e tutti siamo interconnessi. Ancora una volta a tale proposito mi chiedo come faccia il nostro Paese ad essere sordo rispetto a quanto stanno facendo nel resto del mondo sul versante delle liberalizzazioni che, si badi bene, lo ribadirò fino alla noia, non vogliono dire “sballo libero” ma molto altro: impresa, ricerca, lavoro, benessere, sostenibilità ambientale, economia».
La vostra joint venture giamaicana CITIVA copre tutti i prodotti che vengono consumati (legalmente) in un mercato maturo come quello nord-americano, utilizzando la tecnica di  estrazione a quattro camere che è una delle frontiere più nuove dell'uso della cannabis perché garantisce bassi sprechi di materia e i risultati più puri. Cosa manca all'Italia per coprire almeno questo comparto, non solo in ambito THC ma soprattutto CBD, sul modello della Giamaica dove producete una linea di oli e creme a base di CBD?
«L'ho anticipato nelle risposte precedenti: siamo privi di visione, aggiungerei “visione laica e strategica” che è poi propedeutica alla ratio legislativa. Qui siamo ancora fermi a categorie vecchie che tengono di fatto il Paese ingessato. Eppure vorrei essere ottimista perché non ci manca nulla: centri di ricerca, menti eccellenti, capacità imprenditoriale nel nostro DNA! In Italia non ci manca neppure una vasta e significativa esperienza nel comparto erboristico fatta di valenti professionisti. Potremmo benissimo sfruttare questo know how e il quadro normativo che lo accompagna per non perdere altro tempo e disciplinare velocemente alcuni usi consentiti per la canapa snellendo in partenza procedure e meccanismi. CITIVA da questo punto di vista, con l'esperienza tecnico-pratica d'oltreoceano è un grande serbatoio di risorse di cui far tesoro».
In generale che futuro vede per la cosmesi legata alla canapa?
«Le prospettive sono interessanti, anche se parlando dell’Italia come sempre arriviamo per ultimi. Le star di Hollywood, per tornare alla mia amata America, usano da anni prodotti cosmetici a base di CBD e credo che lo facciano perché ben consigliati da gente che ne capisce (medici, farmacisti, cosmetologi). I benefici sono comprovati su tanti piani (contrasto all'ossidazione della cute, proprietà antinfiammatorie, lenitive). Ora bisogna solo essere bravi a comunicare bene e a convincere chi siede nella stanza dei bottoni che questo è un altro settore colmo di opportunità. Alcuni segnali positivi, sempre per non perdere mai la via dell'ottimismo, ci sono già. Penso alla recente possibilità di utilizzare nella formulazione dei cosmetici il cannabidiolo estratto da infiorescenza e non solo quello ottenuto da procedure di sintesi».
Quali altri progetti di ricerca le sue aziende sostengono sia sul fronte nutraceutico che sull'estrattivo e sul fitodepurativo? La Canapa Industriale ha poteri disinquinanti ad ampio spettro, anche rispetto ai metalli pesanti presenti nell’Ex-Ilva di Taranto, non è vero?
«Negli ultimi mesi in azienda abbiamo lavorato molto sulla ricerca legata alle nanotecnologie in ambito nutraceutico. Al nostro interno possiamo vantare un laboratorio indipendente ben equipaggiato che gode dell'apporto quotidiano di tanti studenti universitari validissimi che scendono in Puglia per la tesi in farmacia, biologia o tecniche erboristiche. Nell'ulteriore sviluppo delle nanotecnologie vediamo un vettore insostituibile per l'industria del domani, vincente, competitiva, sostenibile. Se poi mi parla dell'Ex-Ilva e della possibile riconversione dell'area sul fronte canapa, beh, m'invita a nozze, in primis per il motivo che ha citato legato al potere disinquinante di questa pianta e poi per una nuova filiera economica che si potrebbe creare. A volte da giovane imprenditore non ancora quarantenne mi chiedo, lo ridico, come sia possibile nemmeno avviare una discussione seria e ragionata su queste possibilità. Io non smetto di crederci».
Concludendo, una domanda posta all’inizio: tenendo conto anche di tutte queste esperienze internazionali di cui ci ha parlato, quali mosse si aspetta dal tavolo di filiera della canapa italiano? Nei giorni scorsi sono state diffuse le proposte di CSI (vedi) e di Federcanapa (vedi): c'è una o più proposte concrete a cui tiene particolarmente in questo momento per sviluppare il comparto in Italia?
«Tutte le proposte fatte in seno a CSI vanno nella direzione giusta. Io sottolineerei però in particolare quella relativa al chiarimento della cornice normativa e all'eliminazione delle zone di rischio per gli imprenditori. Vedo questo punto come propedeutico a tutto. Il settore della canapa sativa per nascere e svilupparsi ha bisogno di regole certe, chiare e trasparenti. Detta semplice: non facciamo morire di burocrazia anche questo comparto! Il rischio è sottrarlo a chi non ha mezzi e tempo per gestire carte su carte, temendo magari di incorrere in errori e sanzioni. Penso specificatamente ai piccoli agricoltori e produttori. Se impediamo loro di lavorare in tranquillità, il comparto finirà inevitabilmente solo nelle gestioni dei big players che lo monopolizzeranno adattandolo alle loro esclusive necessità. Ne consegue una necessaria semplificazione e certezza sul fronte dei parametri da rispettare a livello produttivo, sempre per far lavorare in “sicurezza” i medio-piccoli imprenditori. Prevedere subito ad esempio per il settore criteri simili o prossimi a quelli richiesti dalla certificazione Global G.A.P. in modo da dare a chi lavora correttamente, un passaporto di qualità certo e spendibile sul mercato. Facciamo in modo insomma che il sacrosanto controllo della parte pubblica, non intralci lavoro, sviluppo ed economia».


Redazione