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- Scritto da Andrea Vitali
La Confederazione italiana agricoltori ha celebrato il 40° anniversario della nascita all’Accademia dei Georgofili di Firenze con un incontro sul presente e le prospettive dell’agricoltura. Per Dino Scanavino va agevolato l’urgente ricambio generazionale slegando l’imprenditorialità agricola all’acquisto di terre e aprendo le porte a un’agricoltura multietnica. Luca Brunelli spera che l’innovazione renda più ecosostenibili le coltivazioni e dice che la globalizzazione richiede un’immagine unitaria dell’economia Toscana. Per il prof. Piccarolo l’elemento chiave è l’innovazione, dalla microirrigazione al “genome editing” (che non significa ogm). Il prof. Boatto suggerisce di calcolare il costo ad ettaro del rispetto delle normative dell’Ue, a cui chiede fondi per tutelarsi dal cambiamento climatico. Per Giordano Pascucci le sfide sono clima ed export, e va promosso un paniere dei prodotti toscani. Anche Sandro Orlandini si sofferma sugli effetti del clima, oltre a suggerire una più chiara distinzione nei contributi fra le aziende agricole professionali e quelle con un ruolo di mero presidio, entrambe indispensabili.
Una Sau (superficie agricola utilizzata) molto diminuita, ma anche una produzione media ad ettaro assai accresciuta; una superficie irrigata pari al 22% che vale il 42% della produzione complessiva, ma solo il 16% di essa tramite l’efficiente irrigazione a goccia; un parco macchine con un’età media di 25/30 anni e un troppo lento ricambio dei mezzi, con ad esempio solo 18 mila immatricolazioni di trattori all’anno; una bassa percentuale, intorno al 5/6%, di imprese agricole con titolari under 35; un reddito per unità di lavoro pari a 27 mila euro all’anno, contro i quasi 68 mila euro dell’Olanda; contributi comunitari alla produzione pari al 16% del valore aggiunto lordo, contro il 49% della Germania e il 40% del Regno Unito e una media Ue del 32,6%; un’alta incidenza fiscale (benché inferiore a quella della Francia) pari a imposte alla produzione al 4% del valore aggiunto, contro una media Ue del 3,3%. Ma poi anche il fortissimo export agroalimentare, che ci colloca nella top 10 mondiale; e i primati in Europa nell’agricoltura biologica (con circa 60 mila produttori bio italiani) e nei prodotti alimentari a denominazione di origine.
Sono alcune delle tessere del complesso puzzle dell’agricoltura italiana messe in luce all’incontro con cui l’11 dicembre scorso, a Firenze, nella prestigiosa sede dell’Accademia dei Georgofili, la Confederazione italiana agricoltori ha celebrato, con leggero anticipo, il quarantennale della propria nascita, avvenuta il 20 dicembre 1977. Un anniversario in cui sono stati sottolineati i grandi cambiamenti avvenuti nel settore primario rispetto a 40 anni fa, a cominciare dal fatto che l’agricoltura italiana ha perso in tale arco di tempo il 33% della Sau (e la Toscana addirittura il 40%); e durante il quale è stato evidenziato che ci troviamo in un periodo contraddistinto da uno stridente paradosso, come ha osservato il presidente di Cia Toscana Luca Brunelli: «allora il contadino era visto come l’ultimo nella scala sociale, praticamente emarginato. Oggi essere agricoltore è di tendenza […]. Ma a questo status non corrisponde un valore economico adeguato», e mentre prima, pur snobbato, aveva i mezzi per garantire un futuro migliore ai propri figli, adesso fa spesso fatica ad andare avanti.Tutte le relazioni dell’incontro non si sono limitate, però, all’analisi della situazione passata e presente, cercando piuttosto di gettare uno sguardo sul futuro e di interrogarsi su come si evolverà l’agricoltura. Floraviva ha sentito al termine dell’incontro ciascuno degli esponenti di Cia Agricoltori Italiani che hanno preso la parola, oltre al presidente di Cia Agricoltori Italiani del nostro territorio provinciale, e i due docenti universitari intervenuti su quest’ultimo aspetto. La domanda è stata per tutti la stessa: quali saranno i principali cambiamenti dell’agricoltura in futuro (due o tre al massimo), fra quelli trattati nelle loro relazioni, e come impatteranno in particolare sull’agricoltura toscana?
Il presidente di Cia Toscana Luca Brunelli, che aveva aperto i lavori, ha risposto dicendo che abbiamo davanti innanzi tutto il rischio di un tipo di agricoltura «in cui gli agricoltori non saranno protagonisti o addirittura saranno messi in discussione [e] la permanenza di un’imprenditoria agricola potrebbe essere sostituita totalmente da una realtà imprenditoriale più elevata dove l’agricoltore sarà solo colui che mette la mano d’opera e il cervello sarà in un centro diverso e quindi distaccato da quelle che sono le vere esigenze del territorio rurale». «L’agricoltura che mi aspetto dal punto di vista dell’innovazione – ha aggiunto Brunelli - sarà un’agricoltura che terrà il passo dell’innovazione tecnologica che abbiamo oggi. Fino a ieri parlare di droni o di agricoltura intelligente era una cosa distante dai nostri agricoltori. Oggi molti agricoltori anche in Toscana, grazie ad apposite misure, stanno ragionando su agricoltura di qualità, da una parte, ma soprattutto di agricoltura di precisione e del raggiungimento di indici di sostenibilità più elevati proprio utilizzando questi nuovi tipi di tecnologie». E ciò sarà utile anche a diffondere ulteriormente la sostenibilità delle coltivazioni e a «superare elementi di criticità dal punto di vista fitosanitario con nuovi approcci». Però, ha rimarcato Brunelli, «noi abbiamo bisogno che l’agricoltura, oltre a questo sviluppo tecnico, realizzi uno sviluppo commerciale che la renda protagonista nella globalizzazione», perché «dalla globalizzazione non si torna indietro» e i nostri agricoltori devono imparare a muoversi meglio in tale contesto, sapendo che «il mondo ha sempre più bisogno di cibo e l’agricoltura sarà ciò che garantisce questo bisogno e trarrà da questo ruolo il proprio reddito». Le innovazioni avvantaggeranno o penalizzeranno l’agricoltura toscana rispetto ad altre aree? «Gioveranno se avremo l’intelligenza di mantenere un equilibrio nel rapporto con la nostra tipicità» e nello sposare «la nostra specializzazione nel produrre prodotti di qualità elevatissima con un processo innovativo nelle idee», e se sapremo promuoverla presentando l’immagine di «una Toscana unita, in tutte le sue categorie produttive»: dall’agricoltura all’industria fino ai singoli professionisti, «questa è la sfida».
Pietro Piccarolo, professore dell’Università di Torino nonché vicepresidente dell’Accademia dei Georgofili, che aveva parlato di “Evoluzione dei processi produttivi e innovazione nell’agricoltura e nell’agroindustria”, ha risposto che «l’elemento fondamentale è l’innovazione […] in tutti i settori che fanno crescere la produzione: innovazione nella genetica con i nuovi sistemi di miglioramento genetico; innovazione nei sistemi colturali, con l’agricoltura di precisione, e l’agricoltura biologica; e soprattutto innovazione di quelli che sono gli strumenti che vengono impiegati in agricoltura e qui mi riferisco in particolare alla meccanizzazione e ai sistemi di irrigazione. La micro-irrigazione è ancora poco praticata nel nostro territorio, ma l’acqua diventerà un elemento sempre più scarseggiante e quindi è importante pensare a nuovi sistemi di irrigazione che facciano riferimento alla micro-irrigazione che ha la massima efficienza idrica». E che cosa si aspetta sul fronte genetico? «Io penso che il cosiddetto “genome editing” possa veramente dare dei grandi risultati e mi auguro che su questo aspetto non si crei un conflitto ideologico fra chi è a favore e chi è contrario, perché in questo caso si tratta di accelerare in modo esponenziale quelli che sono i processi di miglioramento genetico che con tanta selezione avvengono in modo naturale». Di che si tratta? «Oggi si conosce la sequenza genomica delle principali colture di interesse agrario. Si conosce il genoma del frumento, del riso, del mais, della patata, della vite, del melo, del carciofo. E questo è molto importante. La conoscenza di questi genomi consente di fare interventi precisi per portare un determinato miglioramento, che può essere la resistenza allo stress idrico oppure la resistenza a uno stress biotico come un certo attacco parassitario. E questo mi auguro non venga ostacolato. Mi sembra che si siano fatti dei passi in avanti rispetto alle posizioni sugli organismi transgenici, cioè gli ogm. Qui ci troviamo di fronte a tutto un altro discorso perché sono dei processi che avvengono anche in natura però in tempi molto lunghi, quindi non ci sono pericoli». Per lui, infine, le innovazioni ci «avvantaggiano, perché noi abbiamo anche dei tipi di produzione (mi riferisco alle colture orticole e alle colture di nicchia) sulle quali abbiamo delle eccellenze e grazie a queste tecniche possiamo ancor più esaltarle e renderle più produttive».
Il prof. Vasco Boatto (Università di Padova), che era intervenuto con una relazione sul tema “Lo sviluppo dell’agricoltura italiana tra vecchie e nuove sfide”, ha così risposto a Floraviva: «la nostra agricoltura si trova di fronte a una fase un po’ delicata. Molte cose positive sono state ottenute e una di queste, importantissima, è la dimensione del nostro made in Italy, il riconoscimento e quindi la forza dell’agroalimentare italiano, che è ricercato. […] siamo in questo momento al centro dell’interesse dei mercati soprattutto dei mercati più ricchi, ma anche dei mercati emergenti come può essere la Cina. Tuttavia la nostra agricoltura ha degli elementi di sofferenza. Sofferenze che sono legate al sistema Paese, che rende più costoso fare agricoltura in Italia rispetto a tanti altri Paesi, soprattutto europei; rende più difficile fare innovazione, che oggi è fondamentale per stare sul mercato ed essere competitivi; e ci sono anche delle difficoltà ambientali, cioè il fatto che abbiamo un clima che negli ultimi anni non ci sta favorendo e che richiede degli interventi molto importanti, rispetto ai quali è necessario un apporto della Comunità europea. La soluzione al problema del cambiamento climatico deve essere al centro degli interessi più generali della Comunità europea». «Su questi temi - ha proseguito Boatto - così come su quelli legati alla variabilità dei mercati, cioè alle oscillazioni dei prezzi e le incertezze, che sono forse una delle cause che tengono lontani i giovani, che non vogliono rischiare senza prospettiva, la politica deve dare delle risposte. […] E sarà importantissimo il passaggio che faremo con la nuova programmazione, la Pac», che dovrà «contribuire ad attenuare questi problemi». Più nello specifico, Boatto ha ricordato che «abbiamo una fiscalità che ci penalizza rispetto, per esempio, alla Germania (tre punti in più di fiscalità); sulla Pac siamo contribuenti netti (diamo più soldi di quanti ne riceviamo) e riceviamo oltre il 10% di contribuzione in meno rispetto ai francesi e ai tedeschi». In altri termini, riceviamo meno di altri Paesi e quanto ricevuto è minore di quanto spendiamo. Boatto ha infine segnalato che in Germania «hanno fatto il conto di quanto costa all’agricoltore rispettare gli obblighi dovuti alle famose esternalità», cioè al rispetto delle normative ambientali, sul benessere animale, la sicurezza alimentare ecc.: «il costo è di 262 euro ad ettaro», e quindi l’agricoltore tedesco riceve mediamente poco di più di quanto ottiene con i contributi Ue sul primo pilastro della Pac. E con la probabile riduzione delle risorse nella prossima Pac il rischio è che il contributo diventi minore di tali costi. «Io non vedo attenzione per questo aspetto – ha detto Boatto -. I tedeschi hanno fatto i calcoli riferiti alle loro realtà, suggerisco di fare altrettanto da noi e sto cercando di convincere dei colleghi a farlo».
Al presidente nazionale di Cia, Dino Scanavino, erano affidate le conclusioni, nelle quali ha spiegato quanto sia doveroso «nel cambiamento innovare la rappresentanza agricola», favorire il ricambio generazionale slegando l’esercizio dell’attività imprenditoriale agricola al possesso di terreni, «perché oggi, per un giovane, acquistare la terra, un mandria o un parco macchine, non è oggettivamente possibile», e migliorare il trasferimento della conoscenza «dalle università e dai centri di ricerca agli agricoltori ». A Floraviva Scanavino ha poi ribadito che «il tema della rappresentanza degli agricoltori e dell’agricoltura è legato allo sviluppo dell’agricoltura e alle ipotesi che noi possiamo fare sul suo futuro [e] che l’agricoltura ha un grande futuro perché è alla base dell’alimentazione delle persone, ma anche della tenuta ambientale, idrogeologica e paesaggistica. Il paesaggio [è] disegnato quotidianamente dagli agricoltori, quindi deve passare dalla rappresentanza dell’agricoltura tout court alla rappresentanza degli agricoltori, del loro saper fare, del loro ruolo all’interno della società. Un’agricoltura sostenibile, un’agricoltura innovativa, un’agricoltura fatta da agricoltori non da capitali. Questo è un altro degli elementi che noi crediamo debba continuare ad esistere ed essere fortemente radicato affinché l’agricoltura sia una attività che dà reddito ma che è di servizio ai cittadini, altrimenti si scaverebbe un fosso fra gli utilizzatori dei prodotti dell’agricoltura e i produttori». «Purtroppo – ha aggiunto Scanavino - le dinamiche che siamo costretti a registrare ci dicono che gli agricoltori invecchiano, che i titolari di impresa agricola under 35 sono circa il 5/6% degli agricoltori in Italia, troppo pochi. Noi abbiamo bisogno di ringiovanire l’agricoltura, secondo me in due modi: mettendo in piedi dei sistemi di incentivo a sostituire gli anziani agricoltori che andranno in pensione attraverso forme che consentano ai giovani agricoltori di fare impresa senza dover acquistare la terra, che è un bene troppo caro; e poi c’è l’altro aspetto, dei nuovi cittadini italiani che sono giovani, che lavorano nelle nostre aziende, che sono macedoni, indiani, rumeni e che potrebbero diventare anche i nostri alleati per ringiovanire il tessuto sociale delle aree rurali del nostro Paese. Quindi una prospettiva anche multietnica dell’agricoltura, perché di questo non possiamo fare a meno di ragionare alla luce dell’evoluzione demografica della nostra società».
Il direttore di Cia Toscana Giordano Pascucci ha affermato tra l’altro che «il tema del cambiamento climatico è sicuramente un elemento che condizionerà fortemente (come è successo negli ultimi anni) le produzioni del futuro. Quindi dovremo organizzarci, a fronte di cambiamenti climatici che saranno sempre più repentini e più impattanti, con sistemi di coltivazione ad hoc». «L’altro aspetto – ha continuato - è sicuramente quello di guardare all’export come un punto di riferimento. Abbiamo visto infatti che anche nelle fasi più difficili della crisi economica molte imprese si sono salvate con un reddito dignitoso perché hanno avuto un’attenzione verso l’export. E ciò varrà ancor più nel futuro, perché molte delle nostre produzioni hanno bisogno di essere prodotte anche nell’ottica dell’export, e questo approccio va esteso anche alle produzioni di nicchia, quelle che tradizionalmente non ci sono andate. Credo che in tal senso ci debba essere un lavoro di forte integrazione fra le nostre produzioni: abbiamo una gamma di prodotti ricca e variegata e dovremmo promuovere nel mondo un paniere o cesto della Toscana in cui siano messi insieme l’olio, il formaggio, la carne, il pomodoro, il grano, la pasta ecc.». Compreso il vivaismo? «Assolutamente. Il food è un aspetto importante, ma non ci dobbiamo dimenticare che il no food, a partire dal vivaismo, è oltre 1/4 quasi 1/3 della Plv agricola toscana e quel settore lì è già fortemente proiettato all’export». Riguardo alle innovazioni Pascucci dice che in Toscana ci sono: «a partire dalla precision farming, noi abbiamo già applicazioni molto avanzate, nel vino come in altri settori. Siamo sopra la media. Le caratteristiche della nostra agricoltura (piccole aziende, terreni collinari, poca pianura) sicuramente ci porteranno ancora di più ad affrontare quei temi, della specializzazione e della meccanizzazione; un tipo di meccanizzazione che dovrà essere tenuta in asse con la sostenibilità dei costi, perché abbiamo realtà produttive che non possono spingere molto sulla quantità».
Infine, Floraviva ha sentito Sandro Orlandini, presidente di Cia Pistoia, il quale, come Pascucci, ha sottolineato la sfida del cambiamento climatico, con le produzioni degli agricoltori «sempre più esposte ai danni da eccesso di pioggia, vento, grandine». Orlandini inoltre si aspetta e auspica che in futuro «quando si andrà a trattare di contributi e incentivi, sarà sempre più importante distinguere fra un agricoltore professionale e un’agricoltura estremamente specializzata, come può essere sul nostro territorio pistoiese il vivaismo, la floricoltura ecc., e la piccolissima azienda, magari di montagna, che ha un ruolo molto importante ma prevalentemente come presidio. Si tratta infatti di due realtà diverse, che hanno poco in comune dal punto di vista economico, per quanto entrambe essenziali. Ed è bene quindi prefigurare capitoli di spesa o sostegno distinti per queste due tipologie di impresa agricola. E’ una richiesta, direi quasi di giustizia, che arriva dalle imprese stesse. Va detto, comunque, che il Psr attuale della Toscana in qualche modo ha già tenuto un po’ conto di queste considerazioni».
Lorenzo Sandiford
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Alla presentazione a Pescia del disciplinare del marchio di proprietà dell’Associazione Piante e Fiori d’Italia per la certificazione (volontaria) del made in Italy florovivaistico, il presidente Genovali ha lanciato l’idea di farne nel 2019 il marchio obbligatorio legato alla tracciabilità a fini fitosanitari imposta dall’Ue. Per i produttori il costo del marchio, che richiede periodiche comunicazioni di dati, è 650 euro all’anno. Per le aziende che lo richiedono come “utilizzatori” di piante e fiori made in Italy il costo sale ed è necessaria qualche documentazione in più.
Il disciplinare del marchio con logo tricolore Piante e Fiori d’Italia dell’omonima associazione è stato presentato ieri al Mercato dei fiori della Toscana – città di Pescia. Grazie ad esso il marchio, che è a titolo volontario, è diventato un vero marchio d’origine di prodotto che certifica la provenienza italiana delle piante e dei fiori che potranno fregiarsene e al tempo stesso il rispetto di tutte le norme in vigore nel nostro Paese, in particolare di quelle che disciplinano il settore del florovivaismo. Con la conseguenza di offrire molte più garanzie a confronto di prodotti florovivaistici provenienti da alcuni Paesi extraeuropei in cui vigono leggi meno stringenti sia sul fronte dell’eco-sostenibilità che delle condizioni di lavoro.
Come ha spiegato ieri Cristiano Genovali, presidente dell’Associazione Nazionale Piante e Fiori d’Italia, la sua associazione è un’agenzia speciale delle camere di commercio creata negli anni ’60 con l’intento di costituire un punto di riferimento per l’intero settore florovivaistico, dove i comparti della produzione e del commercio possono incontrarsi per discutere e promuovere tutta la filiera. Il marchio col logo tricolore Piante e Fiori d’Italia, ha spiegato Genovali, risale al 1989 per Italia 90, ma ad esso non era mai seguita l’approvazione del disciplinare che definisce quali aziende e in che modo possono ottenerlo. Questa lacuna è stata colmata lo scorso 31 maggio, quando l’Associazione ha approvato finalmente il disciplinare che lo collega a un sistema di certificazione di prodotto «con l’assenso delle associazioni di categoria agricole Cia, Coldiretti e Confagricoltura». C’è già l’ente terzo certificatore, l’agenzia DQA (Dipartimento Qualità Agroalimentare) di Roma e sono già state registrate le prime adesioni.
Possono ottenere il marchio, in forma singola o associata, sia i produttori florovivaistici sia le aziende che fanno anche o solo confezionamento e commercializzazione di piante e fiori (di ogni comparto: dal fiore reciso alla grande pianta ornamentale da esterno) alle seguenti condizioni: devono avere lo stabilimento produttivo (coltivazione e confezionamento) all’interno del territorio italiano e i prodotti devono essere coltivati, come è scritto nel testo del disciplinare, «in Italia a partire da seme, talea, piantina, astone, pianta madre, ecc. in modo tale che la parte prevalente del ciclo produttivo sia realizzata in Italia, e che tutte le fasi dello stesso ciclo produttivo siano conformi alle disposizioni comunitarie, nazionali e regionali in materia di sanità, sicurezza ed ambiente, oltre a rispettare uno standard qualitativo adeguato all’immagine del prodotto». Chi vuole fregiarsi del marchio deve inoltre, ovviamente, oltre ad essere regolarmente iscritto alla Camera di commercio e avere tutte le autorizzazioni necessarie, fare domanda di adesione al sistema di certificazione. Infine, come specificato da Genovali, c’è la possibilità di certificare non tutta la produzione aziendale, ma anche soltanto alcune linee produttive, perché ci sono molte aziende che fanno anche commercializzazione di prodotti non italiani. L’importante è che nelle linee produttive certificate l’italianità sia al cento per cento. E, ad esempio, se un’azienda non agricola vuole certificare una linea di bouquetteria, tutti i fiori utilizzati in quei bouquet devono essere made in Italy.
Quanto costa ottenere il marchio Piane e Fiori d’Italia? Per i produttori puri 650 euro all’anno, senza distinzioni di dimensioni aziendali. Il costo sale e può variare in base a parametri (non spiegati ieri) per le aziende di produttori/utilizzatori, cioè che fanno produzione ma anche confezionamento o commercializzazione, e anche per gli utilizzatori non produttori. A che tipo di controlli saranno sottoposte dall’ente certificatore le imprese che aderiranno al disciplinare di Piante e Fiori d’Italia? Genovali non è entrato nei dettagli, ma ha spiegato che si tratterà di controlli centrati sulla verifica dell’italianità di tutti i prodotti che si fregiano del marchio. Nel disciplinare è scritto che il produttore «deve predisporre la documentazione per dimostrare: il rispetto dei requisiti di legge; le quantità di prodotto raccolte quotidianamente; le modalità di realizzazione della attività di post raccolta e conservazione/stoccaggio temporaneo e trasporto» e che i produttori «devono comunicare periodicamente i dati relativi ai quantitativi di prodotto agricolo raccolto e commercializzato». Per gli utilizzatori, oltre ad analoga comunicazione periodica, il disciplinare prevede nella documentazione di autocontrollo: l’elenco fornitori (solo se utilizzatori); la registrazione della rintracciabilità della materia prima; e la «documentazione di registrazione di a) dati di produzione giornaliera (identificazione del prodotto in numero di lotti in ingresso, parametri di processo (se effettuate operazioni post raccolta) e di conservazione, prodotto realizzato in numero di confezioni, b) immissione sul mercato delle confezioni realizzate ed etichettate, c) esito delle verifiche di conformità del processo e prodotto ai requisiti stabiliti dal disciplinare e le attività realizzate in caso di esito negativo».
E’ verosimilmente anche alla luce di queste caratteristiche del disciplinare che, durante la conferenza stampa di ieri, Cristiano Genovali ha lanciato l’idea di fare del marchio Piante e Fiori d’Italia nel 2019 il marchio obbligatorio che sarà imposto dall’Unione europea per garantire la tracciabilità di tutti i prodotti florovivaistici a fini fitosanitari. A suo avviso, il marchio di proprietà della sua associazione è una candidatura congeniale a tale ruolo in quanto espressione delle camere di commercio.
Sentito al termine dell’incontro dal cronista di Floraviva, Genovali ha risposto ad alcune domande, fra cui le seguenti.
Il nuovo disciplinare è frutto anche di un accordo o concertazione solo con le associazioni di categoria agricole o anche con quelle di settore come Anve o i Vivaisti Italiani (non che foste tenuti a farlo ovviamente)?
«Siamo un marchio pubblico, espressione delle camere di commercio. Quindi non è che abbiamo bisogno di andare a fare accordi con altre associazioni che sono private. Il marchio è aperto a tutte le attività agricole, a tutte le aziende che vogliano aderire, basta che stiano all’interno del disciplinare. Non ci sono motivazioni per escludere nessuno».
Si tende ad associare, forse erroneamente, Piante e Fiori d’Italia più alla floricoltura che al vivaismo ornamentale…
«Ma no, perché Piante e Fiori d’Italia non ha dentro solo un settore del florovivaismo, ma li ha dentro tutti, è un’associazione interdisciplinare: ci sono dentro anche i fioristi». […]
Voi pensate che un marchio che identifichi e promuova tutte le piante italiane insieme sia il livello giusto di promozione?
«Uno ci crede, poi bisogna vedere. Ripeto si tenta di fare qualcosa che secondo noi manca, poi se non è gradito in primis agli agricoltori perché pensano che non ne hanno un’esigenza vorrà dire che avremo sbagliato mission».
Ma secondo lei sarà più utile con il consumatore italiano o all’estero?
«Sicuramente anche all’estero perché va a identificare delle produzioni. […] [da noi] c’è ancora una tradizionalità dell’approccio alla coltivazione che permette di avere un’estrema qualità. Noi vogliamo evidenziare questa estrema qualità. Se le persone capiranno quale è la mission, allora sicuramente questa iniziativa avrà un successo come ci auguriamo. Se non viene capito, allora vorrà dire che abbiamo sbagliato».
Lorenzo Sandiford
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E’ attivo dal 10 ottobre il crowdfunding da 10 mila euro della cooperativa Boschi Vivi di Genova: 30 giorni per riqualificare a uso commemorativo il primo bosco a Martina-Urbe (Savona) e avviare altri progetti simili. Con donazioni sopra certe soglie si possono acquistare gli “alberi tombe” per le proprie ceneri. La presidente Lovens: no ai fiori o alle piante fiorite, solo piccole targhe perché il bosco deve restare naturale.
Un'alternativa al tradizionale sistema cimiteriale che permette l'interramento delle ceneri in area boschiva, con intitolazione di un albero, scelto in vita dall'interessato.
E’ il core business della cooperativa genovese Boschi Vivi, nata nel 2016 con l’intento di introdurre in Italia il modello di green burials (sepolture verdi) applicato con successo in Germania e nei paesi anglosassoni. Una gestione del bosco a scopo commemorativo «nel rispetto della persona, del territorio e della natura», che consente di rigenerare aree forestali, custodirle e monitorarle, nonché renderle fruibili alle comunità.
Boschi Vivi ha acquistato la sua prima area boschiva nel 2017. Si tratta di un bosco di 11 ettari nell’entroterra di Genova, nel Comune di Urbe, tra Sassello e Tiglieto, precisamente in località Martina d’Olba, con tutte le carte in regola per diventare il primo “Bosco Vivo” gestito dalla cooperativa in funzione cimiteriale. Subito dopo l’acquisto, sono iniziati i lavori di individuazione e tracciamento dei confini e le prime operazioni di selezione degli alberi che saranno destinati ad accogliere le ceneri degli aderenti al progetto e a fungere da memoriale. Il bosco sarà inaugurato nella primavera del 2018.
Adesso, da ieri, è attiva una campagna di crowdfunding, che scade il 10 novembre 2017 e ha l’obiettivo di raccogliere 10.000 € per finanziare i lavori di riqualificazione ambientale del bosco di Urbe e permettere la replicabilità del progetto in altre aree dell’Italia. Nel momento in cui scriviamo sono già arrivate donazioni per 1.326 euro da 11 finanziatori. Le donazioni possono essere di varie entità e, come ci ha spiegato Anselma Lovens, presidente di Boschi Vivi, «chi dona scegliendo il reward (la ricompensa) di un albero o di un posto, questa primavera potrà visitare il bosco e scegliere l’albero tra quelli selezionati. Il prezzo dell'albero è molto scontato (50% o più di sconto) se acquistato tramite campagna, come si può vedere nella colonna a destra nella pagina del sito della piattaforma di crowdfunding scelta. Chi dona scegliendo altro reward potrà in futuro venire a scegliere un albero ed acquistarlo (a prezzo pieno, in questo caso)». Ma a parte la campagna di finanziamento, come funziona esattamente il servizio di Boschi Vivi? «Gli interessati – risponde Anselma Lovens - potranno contattarci per prenotare una visita dedicata presso il bosco. Accompagnata da una guida, la persona potrà scegliere l’albero più adatto alle proprie esigenze, che costituirà il luogo di interramento delle proprie ceneri. Le quote degli utenti serviranno a garantire la continuità nel lungo periodo della manutenzione e del presidio del bosco. Si paga una tantum al momento della scelta dell'albero (prenotabile per alcuni giorni in attesa di bonifico). Si firma un regolare contratto che dura 99 anni dall'inizio del progetto, e si consegna congiuntamente anche la dichiarazione di volontà di dispersione delle ceneri. Solo nel caso della parte per animali c'è un turnover (contratti di 5 anni rinnovabili)».
Infine, curiosità del cronista di Floraviva legata anche al fatto che il servizio di Boschi Vivi nasce in un territorio ad alta vocazione floricola come la Liguria, come può essere legato simbolicamente l’albero ai defunti? «C'è una piccola targa facoltativa di forma, colore e dimensione standard per mantenere il bosco il più possibile simile ad un bosco normale – risponde Anselma Lovens -, non ci sono lapidi né fiori recisi, né orpelli di altro genere». E se uno desidera, anche senza arrivare ai fiori recisi o alle piante in vaso fiorite, almeno piantare in terra vicino al proprio albero una pianta fiorita, è possibile farlo o prevedete che possa esserlo in futuro? «No, perché 1) sarebbe troppo complesso gestire le richieste di tutti (da una piantina fiorita all'albero di natale è un attimo) e 2) ci sono rischi di immettere specie non autoctone e potenzialmente infestanti nel bosco. E poi, soprattutto, chi sposa questa idea si presuppone apprezzi il bosco per come è, nella sua naturalezza. Infatti parliamo sempre di bosco e non di “parco”. Anche all'estero abbiamo visto progetti che sono molto rigidi su questo, perché ogni distorsione rende tutto troppo pacchiano e presto gli orpelli diventano spazzatura da gestire. Però siamo aperti ad altre formule, ad esempio in area lombarda abbiamo in mente anche un progetto di riforestazione (ancora in fase progettuale però)».
Lorenzo Sandiford
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Nel corso di un viaggio di lavoro, ci siamo fermati per una tappa immancabile per ogni amante dei fiori e dell'atmosfera unica di un mercato. Eccoci al mercato di Cours Saleya: un'esplosione di affascinanti movimenti e colori nel quartiere vecchio di Nizza.


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Luca Griggio, ad di Geo spa che organizza Flormart, e il presidente di Anve Marco Cappellini sottolineano i progressi della 68^ edizione e le ragioni del progetto Giardino Italia. Mati si sofferma sulla nuova cultura del verde implicita nella fiera. Dall’Associazione Vivai di Pescia apprezzamenti per lo sforzo sugli stand commerciali, ma forti riserve sull’assenza di olivi e su Giardino Italia; d’accordo Andrea Vitali, che giudica troppo orientata sul consumatore finale la comunicazione e non ancora credibile il tentativo di ricambio generazionale.
Prima che arrivi un vero e proprio consuntivo ragionato sui dati della 68^ edizione di Flormart, ecco un resoconto degli incontri di Floraviva con esponenti dell’organizzazione e del settore florovivaistico nelle prime due giornate, quelle riservate ai visitatori professionali del salone internazionale del florovivaismo, architettura del paesaggio e infrastrutture verdi di Padova.
A colpo d’occhio, la prima giornata, nonostante l’aumentato numero degli espositori (316 aziende secondo l’ultimo comunicato ricevuto) e un allestimento più completo rispetto all’anno scorso, e nonostante la qualità di alcuni incontri quale “Horticultural Experiences”, che ha registrato la partecipazione dei presidenti dell’Ena e di Aiph, è stata deludente dal punto di vista dei visitatori: pochi operatori fra gli stand e pochissimi al convegno citato. Chiaramente migliore è sembrata invece la seconda giornata, sia per le presenze fra gli stand che per il numero di persone che hanno seguito meeting come ad esempio il forum EchoTechGreen di Paysage. Come siano andati gli affari è presto per dirlo. Non ci sono parsi trascurabili, ad ogni modo, i vuoti legati all’assenza del Flormart Garden Show e delle dimostrazioni sui trend floreali di Master Flower alla maniera delle due edizioni precedenti (eventi sui trend curati da Anne-Clair Budin, art director di Diade adv). Difficile da valutare ancora il ritorno del progetto innovativo di esposizione permanente Giardino Italia e la portata (in particolare sul piano commerciale) di iniziative quali Flormart U35, spazio dedicato ai giovani under 35.
Ma vediamo, in una sorta di canto e controcanto, che cosa ci hanno detto organizzatori e importanti esponenti del florovivaismo durante la prima giornata e tre operatori della filiera provenienti da Pescia nella seconda: due esponenti dell’Associazione Vivai di Pescia quali il presidente Luca Cinelli e la responsabile dell’area Olivi Elena Sonnoli e l’editore di Floraviva, Andrea Vitali, analista del settore nonché consulente di marketing specializzato in questo campo.
In seguito alla dichiarazione di Pietro Gasparri, dirigente del Ministero delle politiche agricole, il quale ha sottolineato che «per il Ministero essere qui a Flormart è una cosa molto importante, perché la nuova edizione della fiera è per noi un rilancio di tutto il settore produttivo», abbiamo sentito Francesco Mati, responsabile nazionale florovivaismo di Confagricoltura e presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia. «Dopo un periodo di grande comunicazione da parte di tutto il settore per aumentare la sensibilizzazione della stampa e dell’opinione pubblica – ha affermato Mati -, vedere che anche una manifestazione come il Flormart si è rinnovata andando incontro a una certa cultura del verde fa molto piacere. Ha interpretato in maniera saggia e spero poi proficua per gli espositori un argomento, quello fieristico, che richiedeva un rinnovamento in maniera forte. Questo sembra essere avvenuto. La stampa, i giornali ne parlano e questo è molto importante perché il verde in Italia ha bisogno di essere allineato con il resto di Europa e noi da questo punto di vista siamo indietro di almeno 20/25 anni». Mati ha poi segnalato l’incontro che ci sarà il 27 di settembre a Montecitorio (vedi nostro articolo) «per cercare di perorare la causa dell’inserimento del verde negli incentivi del pacchetto casa. C’è bisogno di aumentare la qualità e la quantità del verde in Italia, il vivaismo e tutta la filiera che alimenta è pronto per fare questo. Se anche la politica, come sembra adesso, ci pone l’attenzione, c’è la possibilità che nei prossimi anni aumentino i posti di lavoro, l’occupazione quindi e il gettito fiscale, e anche il volume degli affari in Italia, non solo per il vivaismo ma anche per tutto ciò che gravita intorno ad esso»
Per il presidente di Cia di Padova, Roberto Betto, Flormart «aveva perso un po’ di smalto negli ultimi anni, ma ci siamo impegnati col cuore insieme alle istituzioni e ci abbiamo messo partecipazione e la volontà di fare crescere un settore partendo da un nuovo concetto fieristico». A suo avviso, è «un momento in cui c’è la sensibilità delle istituzioni sul fatto che partendo dal florovivaismo e da questa cultura del verde si potrebbe cambiare un sistema ormai opacizzato dai cambiamenti climatici e da problemi di ogni genere dal punto di vista idrogeologico». Concetto confermato dal presidente di Geo spa Andrea Olivi, la società che da circa un anno gestisce l’ente fieristico di Padova e quindi Flormart: «è un’edizione totalmente rinnovata – dice - in uno spirito volto soprattutto a favorire lo sviluppo di questo settore, che è un settore portante non solo dell’economia agricola, ma più in generale in quanto evocativo della qualità italiana e di quello che essa può rendere in termini economici. Su questo lavoreremo moltissimo. Abbiamo incominciato con questo salone un’operazione con questo prototipo di Giardino Italia per dar modo ai nostri fantastici produttori di usufruire di una sorta di show room permanente. Tutto il progetto verrà portato anche fuori del quartiere in ambiti cittadini e non solo. Parleremo di rigenerazione urbana o rigenerazione del paesaggio anche in altre città e luoghi».
«Quest’anno Flormart – ha spiegato l’amministratore delegato di Geo spa Luca Griggio - sta consolidando i vettori di indirizzo che avevamo già lanciato l’anno scorso al nostro esordio. Il primo sta nello spostare l’attenzione su ciò che è produzione di florovivaismo e sull’importanza strategica che la produzione di queste aziende può avere nello sviluppo del territorio e nella sua riqualificazione». «Oggi riqualificare il territorio – ha continuato - significa innanzi tutto partire dalla riqualificazione verde e solo successivamente cominciare a pensare a come fare edilizia, che è un’inversione di paradigma ancora non ben compresa. Ad esempio anche noi qui banalmente nel nostro quartiere fieristico, che è un’area che aveva bisogno di urgenti interventi di riqualificazione, siamo partiti dal ripensare all’inserimento del verde, del verde intelligente e di qualità superiore, perché la biodiversità italiana [di Giardino Italia, ndr] consente di fornire non solo una varietà di prodotto percepito eccezionale, ma significa anche una maestria nella coltivazione che è unica. Sono disponibilità che abbiamo sotto mano ma che come al solito qui in Italia non siamo capaci di valorizzare. Quindi in tal senso Flormart ha voluto lanciare una provocazione: […] questa è una fiera che non è una fiera, è un esercizio di stile, di progettualità con il coinvolgimento di tutte le aziende che hanno partecipato attivamente, non solo nella progettualità ma anche nella fornitura, e quindi hanno venduto ancor prima di partecipare alla rassegna. E oggi questo esperimento, questa equipe che è poi diventata una vera e propria rete d’impresa, sta lanciando il know how assimilato a Padova e abbiamo intenzione di estendere questo metodo anche su tavoli di livello nazionale quali il Ministero dell’ambiente e il Ministero delle politiche agricole». «E’ evidente – ha aggiunto Griggio - che poi il mercato non si fa solo con rapporti domestici ma bisogna porre l’attenzione all’estero, motivo per cui Flormart quest’anno ha aperto i propri padiglioni a tante aziende estere, che sono state invitate per ricreare quei link commerciali che sono stati per molto tempo la caratteristica dominante di questa manifestazione». Quali attese per il futuro? «Flormart – risponde Griggio - è stata una manifestazione fieristica che per anni aveva assunto il ruolo di leader europea. Evidentemente questa leadership è stata poi compromessa dalla mancanza di innovazione. Ritengo che qui ci siano tutti i presupposti per ritornare al livello di leadership che sono stati ottenuti per molto tempo. Perché quando un marchio è così forte e noto a livello internazionale ritengo non sia così difficile far comprendere al mondo che Flormart sta ricomponendo i propri indirizzi di sviluppo perché questo è un settore che ha bisogno di riposizionarsi..». Quanto ci vorrà per tornare a livelli buoni? La 68^ edizione, per Griggio, è stata «il banco di prova di un metodo» e già nell’edizione del 2018 si attende un ritorno alla leadership del passato.
«Per quanto riguarda il Flormart – ha detto Marco Cappellini, presidente di Anve, Associazione nazionale vivaisti esportatori - la situazione è completamente cambiata e rinnovata. Si va da un momento purtroppo storicamente negativo sia per il settore del vivaismo sia per quanto riguarda la fiera (che poi le due cose vanno insieme, come giustamente diceva Olivi). Adesso hanno investito sulla fiera, che da due padiglioni scarsi dell’altro anno e dalla gestione dell’azienda francese è passata a un’azienda italiana. Ci sono 7 padiglioni e una fiera completamente rinnovata. Anve è presente con un padiglione intero, mentre l’anno scorso avevamo uno stand di 1000 metri, quest’anno abbiamo voluto scommettere sul padiglione 5», dove espongono «75 aziende di cui 35 associate all’Anve e altre straniere che fanno parte dell’Ena (European nurserystock association) e dell’Aiph (International Association of Horticultural Producers), venute a Flormart su spinta di Anve». Riguardo al progetto di esposizione permanente Giardino Italia, Cappellini spiega che «è formata da 12 realizzazioni differenti di 12 aziende italiane diverse che vanno dal sud al nord. Permanente perché dura 2 anni con la possibilità che si possa rinnovare per altri anni. I contratti che tutte le aziende hanno fatto, la metà sono dell’Anve (che è presente anche con uno spazio suo), sono di 2 anni per cui c’è la fornitura che è stata fatta da queste aziende, la posa in opera che è stata fatta dalle aziende in accordo con la fiera e la manutenzione a carico della fiera. Questo serve perché anche nelle altre fiere organizzate qui durante l’anno sia presente questo percorso interessante in cui si apprezzano le caratteristiche delle piante italiane». Al progetto partecipano Mati1909 e Giorgio Tesi Group per la Toscana.
Vediamo però il parere di voci esterne all’organizzazione di Flormart 2017, sentite verso la fine della due giorni riservata agli operatori del settore (il 23 settembre era aperto anche ai visitatori non professionali), la sera del 22 settembre. Luca Cinelli, presidente dell’Associazione Vivai di Pescia, ha spiegato: «siamo venuti a vedere se questa fiera dopo anni di rilassamento abbia degli sprazzi di ripresa. Abbiamo trovato una fiera carina, in ripresa. A sentire gli altri colleghi che la stanno facendo ci sono anche delle buone prospettive di mercato e ritengo che una fiera di settore come questa nel mese di settembre per il mercato italiano ci voglia, più che una fiera di settore fatta a marzo o aprile». «Stanno facendo degli sforzi per riportarla agli allori di prima – ha proseguito Cinelli -. A livello di allestimento mi sembra di essere ritornati alle vecchie fiere degli anni ’80-90 come impostazione, dove si vedevano le piante, si vedeva magari poco il logo aziendale, ma c’erano tante piante». Sul progetto Giardino Italia invece il suo parere è di segno meno positivo: «mi sembra ben allestito, anche se ritengo più importante in una fiera la parte degli espositori commerciali, e non mi convince come idea, mi piaceva di più la vecchia fiera anni ’90 dove fuori, al posto del Giardino Italia, c’erano tutti gli espositori delle serre, dei macchinari ecc. Perché significava che il mercato tirava». Invece Elena Sonnoli, responsabile “Area olivi” dell’Associazione Vivai di Pescia, salita recentemente alla ribalta per aver dato vita a Uzzano in collaborazione con Cinelli al primo Centro di Moltiplicazione privato di piante di olivo virus esenti in Toscana, si è soffermata sul comparto di sua competenza: «ho visto il settore olivicolo pressoché assente, perché salvo due o tre stand di piante per oliveti, gli olivi mancano completamente rispetto al Flormart di 10/12 anni fa, quando erano presenti tutti i vivaisti della Puglia e quindi l’olivo la giocava quasi alla pari con la parte ornamentale della fiera. Ora non c’è più niente. E questo è singolare in un momento in cui in Italia stanno uscendo tutti i Psr grazie al Piano olivicolo nazionale che è stato emanato. Mi sarei aspettata di vedere la fiera molto più ricca di olivi, sia di olivi di 1 anno che di olivi di 2, e invece purtroppo non è così». La sua opinione sul Giardino Italia è la seguente: «da un punto di vista estetico niente da dire perché è un giardino bello. Anche se a me con quel nome verrebbe in mente un giardino all’italiana […] come nome non mi sembra azzeccato. Come estetica bello, però non ne vedo il fine: per una fiera di buyer sinceramente non mi sembra indicato».Infine Andrea Vitali, editore di Floraviva e consulente di marketing specializzato nel settore florovivaistico e nel comparto del vivaismo olivicolo, ha detto: «si apre domani (il 23 settembre) VicenzaOro all'insegna dei trend ispirati dai giovani e dei gioielli green e sostenibili, proprio quando chiude la 68^ edizione di Flormart, la fiera del florovivaismo che dopo la gestione francese degli ultimi anni torna in mano ai padovani di Geo spa, grazie ad un affitto di ramo d'azienda. Uno sforzo di allestimento apprezzabile ed una crescita indubbia degli espositori rispetto all'ultima edizione, che però a mio parere non è stata premiata dai visitatori. E mi auguro che siano riusciti a trovare la quadra del conto economico con un listino per gli spazi espositivi e gli allestimenti allineato con il sistema espositivo italiano, almeno quello orto florovivaistico». «Di contro, purtroppo, - ha aggiunto Vitali - ho verificato contenuti della manifestazione, comunicazione e pubblicità, molto, troppo consumer. Gli stessi allestimenti in città che rimandavano a Flormart non ho capito a chi si rivolgessero. E poi i mezzi adoperati, vale a dire giornali e tv generalisti, nonché la testata radiofonica più consumer di un importante gruppo editoriale... Insomma come se si volesse piacere più alla signora Maria o alla politica, che però non si è vista quasi alla inaugurazione, invece che a garden center, buyer di gdo/gds, vivaisti, paesaggisti, giardinieri, agenti di commercio. Il mio riferimento ai giovani di VicenzaOro di Marzotto è per sottolineare che a Flormart è mancato lo sprint dei giovani del Flormart Garden Show, annunciato e tagliato all'ultimo momento, e delle dimostrazioni innovative dei fioristi sui trend floreali di Master flower, curato dalla mia Diade e in particolare dall’art director Anne-Claire Budin, rimpiazzato da un area floricola a mio avviso di vecchio stampo a tutti i livelli. La fiera come incubatore innovativo e spazio ai giovani e agli operatori di settore è mancata, nonostante il progetto U35. Ad esempio, sentire annunciare, come mi è capitato alla tavola rotonda sui mercati di fiori italiani, la necessità di ricambio generazionale da parte di alcuni di coloro che sono attori protagonisti del settore da tantissimi anni, non mi pare sia in linea con una fiera che, lo ribadisco, nei suo espositori ha mostrato segnali d'innovazione, ma che a livello di contenuti e visitatori avrà ancora molto lavoro da fare».
L.S.
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Eurofleurs 2017, in calendario dal 15 al 18 settembre a Sint-Truiden in Belgio, aprirà le porte al pubblico il 17 e 18 settembre per le gare finali. In gara 10 giovani fioristi di 10 nazioni su 5 temi. L’Italia non c’è. Biglietti 5 euro (2 euro da 13 a 25 anni, gratis sotto i 13).
Si avvicina Eurofleurs 2017, il campionato europeo per giovani fioristi entro i 25 anni, e si conoscono già le nazionalità e i nomi dei dieci concorrenti, così come i temi su cui si dovranno confrontare creativamente attraverso le loro composizioni floreali.
L’appuntamento è dal 15 al 18 settembre in Belgio, nello scenario del monastero del tredicesimo secolo Minderbroedersite, a Sint-Truiden in Belgio (vicino a Alden Biesen – Bilzen, dove dal 22 al 25 settembre si terrà Fleuramour). Ma le porte si apriranno al pubblico degli appassionati di fiori e floral design solo nelle giornate di gara del 17 settembre (dalle 10 alle 22) e 18 settembre (dalle 10 alle 18). Questa edizione del campionato europeo per giovani fioristi è organizzata dalla Royal Union of Belgian Florists (KUFB/URFB), membro dell’associazione internazionale di fioristi Florint. Eurofleurs, come l’Europa Cup dei fioristi senior, intende stimolare l’artigianato floreale e promuovere il comparto del fiore al pubblico. Per chi vi partecipa è l’occasione di fare esperienza internazionale.
La competizione fra i fioristi prevede cinque prove sui seguenti cinque temi: 1) “I peccati di Adamo ed Eva” (la composizione floreale dovrà rappresentare Adamo ed Eva che non ce la fanno a resistere alla tentazione della mela); 2) “Quando i fiori incontrano la frutta” (la composizione dovrà rappresentare una torta che sia il fulcro di un grande buffet di dessert a un matrimonio); 3) “Matrimonio estivo indiano” (il design floreale dovrà incarnare i caldi raggi del sole e la bellezza di tarda estate o inizio autunno); 4) “Regina di frutta” (la composizione sarà una decorazione del corpo fatta di fiori e frutta per mostrare l'importanza del settore frutticolo per la città di Sint-Truiden). 5) “Un pezzo a sorpresa”.
Ecco nome e nazionalità dei giovani fioristi sfidanti: Christina Müglich (Fulda, Germania), Hidde Klink (Raalte, Olanda), Signe Margarete Evertz Forsberg (Skien, Norvegia), Kamil Leszek Lutostański (Rogóźno, Polonia), Brigita Klinar (Recica ob Savinji, Slovenia), Louisa Copper (Staffordshire, Regno Unito), Sören Van Laer (Bornem, Belgio), Iva Bouzková (Decín, Repubblica Ceca), Gábor Nagy (Vásárosnamény, Ungheria), Heli Haapatalo (Ikaalinen, Finlandia).
I biglietti costano 5 euro per gli adulti (da 26 anni in su) e 2 euro per i giovani (da 13 a 25 anni compresi), mentre sono gratuiti per i bambini (da 12 anni in giù).
Per ulteriori informazioni pratiche su come e dove acquistare i biglietti e su come raggiungere Sint-Truiden visitare questa pagina (http://www.eurofleurs2017.com/en/practical-info) del sito web di Eurofleurs 2017.
L.S.
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- Scritto da Andrea Vitali
Cronaca non musicale del concerto del 22 luglio a Firenze, con immagini e inserti divulgativi del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, “Botanica: l’universo vegetale fra scienza e musica”. Mancuso: «dare fuoco alle foreste è un crimine contro l’umanità» e mostrare la complessità e i «diritti» delle piante significa agire per la nostra sopravvivenza.
La scoperta nel 2016 di oltre 2 mila nuove specie di piante nel mondo fra cui un albero mai identificato prima in Gabon; il primo utilizzo emergenziale, dopo l’estate del 2015, del Deposito globale di sementi delle Svalbard (Global Seed Vault) da parte della Siria che ha ritirato una parte dei suoi semi (38 mila in 130 scatole) per far ripartire le coltivazioni distrutte dalla guerra; la denuncia che coloro che appiccano il fuoco alle foreste commettono veri crimini contro l’umanità.
C’è spazio per qualche notizia e richiamo all’attualità della cronaca nello spettacolo “Botanica: l’universo vegetale fra scienza e musica” che si è tenuto sabato 22 luglio sera a Firenze in piazza Ss. Annunziata nel contesto del MusArt festival. Uno show con elementi multimediali e di divulgazione scientifica che ha avuto per protagonisti il gruppo Deproducers (Vittorio Cosma, Riccardo Sinigallia, Gianni Maroccolo e Max Casacci) più il batterista Simone Filippi, il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso nei panni di se stesso come studioso della natura e strenuo difensore dell’ambiente, le proiezioni di immagini sincronizzate di Marino Capitanio e l’azienda di prodotti d’origine vegetale per la salute Aboca.
Botanica, un emozionante viaggio attraverso le proprietà e i comportamenti delle piante letti attraverso le lenti della rappresentazione musicale e dei concetti e le metafore della neurobiologia vegetale, quella disciplina scientifica in ascesa, ma ancora oggetto di qualche controversia nella comunità scientifica sul suo esatto statuto epistemologico, che «studia le piante come esseri cognitivi», per usare le parole di Mancuso, che ne è uno dei massimi esponenti con il suo laboratorio internazionale con base nel polo scientifico di Sesto Fiorentino dell’Università di Firenze: il LINV – International Laboratory of Plant Neurobiology. Un percorso artistico e scientifico contraddistinto da un chiaro e forte messaggio ambientalista: la centralità delle piante nel mondo naturale e della loro salvaguardia per la nostra sopravvivenza nel pianeta terra.
Dopo l’augurio del direttore generale di Aboca Massimo Mercati che attraverso lo spettacolo «si riesca a comprendere meglio come l’uomo in realtà non sia il dominatore del pianeta ma una parte integrante di un sistema molto complesso» e che dalla culla del Rinascimento «possa nascere un nuovo rinascimento dove l’uomo sia sì al centro ma nel rispetto del pianeta e nella prospettiva di uno sviluppo realmente sostenibile», si è aperto il concerto con le voci prima di Mancuso e poi di Sinigallia sopra un sottofondo musicale a elencare alcuni dei numeri e delle proprietà che riassumono il primato del vegetale nella natura.
Nel suo primo intervento senza musica Mancuso ha ribadito tale primato e ricordato altri record delle piante: dal fatto che tra il 97 e il 99 per cento, a seconda delle stime, della biomassa del mondo è vegetale (la percentuale restante è per due terzi costituita da insetti e i 7 miliardi di uomini rappresentano circa lo 0,01%) alla longevità delle piante, con il Pinus Longaeva Matusalemme che vive in California e ha oltre 4800 anni (ed è considerato l’albero e l’organismo vivente non clonale più vecchio del mondo, ndr), l’abete rosso scoperto in Svezia qualche anno fa con radici di più di 9500 anni (ma il tronco ne ha 600 perché si tratta di un albero-clone) e infine «la foresta di Populus tremuloides (pioppo tremulo) che è un unico organismo vivente, un organismo clonale che si riproduce sempre lo stesso e ha un’età che oggi è stata stimata essere di 80 mila anni […] 80 mila anni fa l’uomo di Neanderthal era ancora su questo pianeta […] tempi più prossimi alla geologia che alla biologia». Mancuso ha anche messo in evidenza il ruolo delle piante come base della vita: per la fotosintesi, ovviamente, attraverso cui si produce l’ossigeno che respiriamo, ma anche perché «tutto ciò che mangiamo è prodotto dalle piante» e perché «9 principi medicinali su 10 sono prodotti dalle piante».
Il secondo intervento di Mancuso è stato dedicato a una delle differenze fondamentali fra esseri animati e piante, l’impossibilità di spostarsi delle seconde, e a tutto ciò che è collegato a tale condizione. In primis, la capacità di sopravvivere ai predatori che vogliono mangiarle senza poter scappare, in quanto dotate di corpo privo di organi, i quali sono un punto debole da questo punto di vista, perché basta danneggiarli per mettere in crisi l’intero animale. Mentre alle piante «puoi asportare il 90% e continuano a sopravvivere» perché distribuiscono sull’intero corpo le funzioni che gli animali concentrano negli organi. «In altre parole – ha sintetizzato Mancuso - le piante vedono con l’intero corpo, respirano con l’intero corpo, digeriscono, sentono, ragionano, comunicano, memorizzano, imparano utilizzando tutto il corpo». Poi Mancuso ha concluso estendendo il confronto fra forme di organizzazione gerarchiche e piramidali (come gli animali dotati di cervello) e le organizzazioni distribuite in reti di nodi paralleli sul terreno delle tecnologie e nell’intera società.
Dopo un inserto musicale con la voce di Sinigallia a spiegare la struttura modulare delle piante e il fatto che il loro meccanismo di scambio di informazioni (segnali elettrici e sostanze chimiche) è diverso da quello del sistema nervoso animale, anche se ciò non impedisce l’esistenza di comportamenti intelligenti, è intervenuto di nuovo il prof. Mancuso, che ha toccato «una delle grandi scoperte della ricerca degli ultimi anni»: la capacità delle piante di produrre sostanze chimiche in grado di manipolare il cervello degli animali in modo che svolgano funzioni utili alla loro sopravvivenza, dalla protezione dai predatori alla nutrizione e alla riproduzione. Un esempio? «Un meccanismo di manipolazione portato avanti dagli agrumi e dal caffè» scoperto qualche anno fa. Vale a dire la capacità della pianta di arancio di «aumentare la quantità di caffeina nel nettare» o di diminuirla a seconda che l’impollinatore sia bravo o meno. «Le piante – ha commentato Mancuso - sono maestre della chimica. Per le piante le molecole chimiche sono ciò che per noi è il linguaggio. Le piante vivono in effetti in una natura che potremmo definire psicoattiva».
Il successivo tema affrontato è stato il Global Seed Vault, «un luogo di sicurezza e conservazione per i semi di gran parte delle piante esistenti, un hard disk organico, con i codici per ricostruire il patrimonio botanico del pianeta» che si trova «all’interno di una montagna di roccia arenaria nelle isole Svalbard a circa 1200 chilometri dal Polo Nord, 130 metri sopra il livello del mare, così da garantirne la sicurezza anche in caso di scioglimento dei ghiacci artici. La capacità di stoccaggio è 4 milioni e 500 mila semi: nessun personale permanente, tre sale blindate capaci di resistere all’esplosione o un conflitto nucleare. La temperatura è mantenuta tra -20 e -30 gradi centigradi, l’ambiente circostante impedisce comunque alla temperatura di salire oltre i -3,5 gradi centigradi garantendo la sopravvivenza dei semi per almeno 50 anni nel caso dei più deboli, come i girasoli, e fino a 2mila anni nel caso dei più resistenti, come il grano». Illustrata la notizia della recente richiesta della Siria di avere indietro i semi che aveva donato soltanto pochi anni prima, per far ripartire la propria agricoltura distrutta dalla guerra, Mancuso ha definito il GSV «una delle cose più intelligenti che abbia fatto l’umanità negli ultimi anni».
Il penultimo capitolo del percorso divulgativo del prof. Mancuso è stato rivolto ai movimenti delle piante, che non si spostano ma si muovono. E in più modi, come ha dimostrato un filmato del soffione o dente di leone, con i suoi 15 tipi di movimenti. Altro esempio in video una dionea che mangia una lumaca. E poi i girasoli che si muovono e giocano. «E lo so che è strano utilizzare un termine come giocare per le piante – ha osservato il professore - perché tutti i termini che descrivono dei comportamenti sono stati studiati per gli animali e quando poi noi li trasliamo al mondo delle piante un pochettino stridono. Però queste piante giocano perché una delle funzioni del gioco è quella di costruire le relazioni sociali e i girasoli sono piante sociali, che imparano a stare insieme quando sono piccole». E un altro argomento caldo nell’approccio alle piante della neurobiologia vegetale: la consapevolezza dell’ambiente. «Le piante sono consapevoli dell’ambiente che le circonda», basta vedere il «fagiolo Super Marconi studiato nel mio laboratorio – ha detto Mancuso sorridendo - e così chiamato perché è un genio in effetti». Cosa fa? Percepisce la presenza di un palo a cui arrampicarsi e ci si dirige per raggiungerlo. «Come fa a sapere dove è il palo? Non gliel’ho detto io (quella sarebbe stata una scoperta ancora più grossa) lo sa di suo, è consapevole. Questa cosa qua quando noi la vediamo negli animali la chiamiamo consapevolezza».
La conclusione è stata tutta nel segno dell’ambientalismo e dell’ecologia. Prima alcuni dati: ogni giorno nel mondo si estinguono circa 1000 specie vegetali, di cui il 50% ci è sconosciuto; nelle foreste c’è quasi la metà di tutte le specie viventi del pianeta, ma ne distruggiamo ogni anno più di 10 milioni, equiparabili alla superficie dell’Inghilterra ecc. Poi Mancuso ha denunciato i piromani e tutti coloro che stanno dando fuoco a boschi e foreste da alcune settimane in Italia e all’estero come autori di crimini contro l’umanità, visto che «tirare giù le foreste vuol dire tirare giù ciò da cui dipende la nostra vita». Come evitare queste follie? Con la consapevolezza dell’«importanza delle piante», ma anche con qualcosa di un po’ più concreto: incominciare a parlare di «diritti alle piante». «Lo so che sembra una cosa ridicola … Sembrava ridicolo parlare dei diritti degli animali, dei diritti delle donne… Ma i diritti alle piante non sono diritti per le piante … quello che serve è proteggere le piante e dare loro diritti perché sono diritti per noi … e servono per la nostra sopravvivenza».
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
Reportage in Olanda fra alcune delle aziende floricole che hanno aperto le porte agli operatori professionali della filiera florovivaistica dal 13 al 16 giugno 2017 in occasione dei Flower Trials.






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Il ministro delle politiche agricole Martina a Pistoia a un incontro col mondo del vivaismo per la campagna elettorale delle amministrative ha annunciato sui contratti di filiera 60 milioni in conto capitale e 200 in conto interessi che mobiliteranno mezzo miliardo di risorse. Promesso un nuovo percorso per portare a compimento l’operazione “bonus verde”.
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- Scritto da Andrea Vitali