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La Commissione Europea ha adottato il 22 giugno una proposta legislativa per ripristinare gli habitat danneggiati e (ri)portare natura in tutti gli ambienti, anche urbani, per contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. Budget 100 miliardi di euro. Previsti vincoli per gli Stati UE e misure quali rinaturalizzazione, reimpianto di alberi, rinverdimento delle città, eliminazione dell'inquinamento. Tra gli obiettivi, 0 perdite di spazi verdi urbani entro il 2030 e poi aumento del 5% entro il 2050, copertura arborea minima del 10% in ogni città e guadagno di verde integrato in edifici e infrastrutture; stop al declino degli impollinatori entro il 2030.
Una proposta legislativa «pionieristica» per «ripristinare gli ecosistemi danneggiati e riportare la natura in tutta Europa, dai terreni agricoli e i mari alla foreste e agli ambienti urbani» entro il 2050. Ciò al fine di «evitare il collasso degli ecosistemi e prevenire i peggiori impatti dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità».
È stata sintetizzata così nel comunicato stampa ufficiale della Commissione Europea (CE) una delle due proposte adottate mercoledì 22 giugno scorso per attuare le strategie cardine del Green deal europeo. (Dell’altra proposta legislativa, riguardante la riduzione dei fitofarmaci, abbiamo già scritto qua).
Questa proposta di ripristino della natura in Europa è particolarmente urgente, fa sapere la CE, dal momento che nel territorio europeo «oltre l'80% degli habitat [sono] in cattive condizioni» e «tra il 1997 e il 2011 la perdita di biodiversità ha rappresentato una perdita annua stimata tra 3.500 e 18.500 miliardi di €». E la valutazione d'impatto della normativa sul ripristino della natura ha dimostrato che i benefici del ripristino superano di gran lunga i costi: «si stima che i benefici economici del ripristino di torbiere, paludi, foreste, brughiere e sottobosco, prati, fiumi, laghi, habitat marini e alluvionali e zone umide costiere siano otto volte superiori ai costi».
Si tratta del primo atto legislativo della Commissione Europea, specifica il comunicato della CE, che «mira esplicitamente a ripristinare la natura in Europa, a riparare l'80% degli habitat europei che versano in cattive condizioni e a riportare la natura in tutti gli ecosistemi, dalle foreste e dai terreni agricoli agli ecosistemi marini, di acqua dolce e urbani. In base alla presente proposta sul ripristino della natura, saranno assegnati a tutti gli Stati membri obiettivi giuridicamente vincolanti per il ripristino della natura in vari ecosistemi, a integrazione delle normative esistenti. L'obiettivo è far sì che le misure di ripristino coprano almeno il 20% delle superfici terrestri e marine dell'UE entro il 2030 e si estendano infine a tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050».
«La normativa – si legge nel comunicato - porterà ad un livello superiore le esperienze maturate in materia di misure di ripristino della natura, quali la rinaturalizzazione, il reimpianto di alberi, il rinverdimento delle città o l'eliminazione dell'inquinamento per consentire il recupero della natura». E «il ripristino della natura – viene spiegato - non equivale alla protezione della natura e non comporta automaticamente un aumento delle aree protette. Il ripristino della natura è necessario anche nelle zone protette a causa delle loro condizioni sempre più precarie, ma non tutte le aree ripristinate devono diventare zone protette. La maggior parte di esse non lo diventerà, in quanto il ripristino non preclude l'attività economica. Il ripristino consiste nel vivere e produrre insieme alla natura, riportando una maggiore biodiversità ovunque, anche nelle zone in cui si svolge un'attività economica, come ad esempio le foreste gestite, i terreni agricoli e le città».
Il ripristino deve essere realizzato attraverso un processo inclusivo e «avrà un impatto particolarmente positivo su coloro che dipendono direttamente da una natura sana per il proprio sostentamento, compresi gli agricoltori, i silvicoltori e i pescatori». «Gli investimenti per il ripristino della natura – specifica il testo della CE - apportano un valore economico compreso tra 8 e 38 € per ogni 1 € speso, grazie ai servizi ecosistemici che favoriscono la sicurezza alimentare, la resilienza degli ecosistemi e l'attenuazione dei cambiamenti climatici, nonché la salute umana. Aumenta inoltre la presenza della natura nei nostri paesaggi e nella nostra vita quotidiana, con benefici dimostrabili per la salute e il benessere nonché un valore culturale e ricreativo».
Verranno fissati obiettivi e obblighi di ripristino in un'ampia gamma di ecosistemi terrestri e marini. La massima priorità va agli «ecosistemi con il maggiore potenziale di rimozione e stoccaggio del carbonio e di prevenzione o riduzione dell'impatto delle catastrofi naturali (come le inondazioni) rivestono la massima priorità». E «la nuova normativa – precisa il comunicato - si basa sulla legislazione esistente, ma riguarda tutti gli ecosistemi senza limitarsi alle zone protette della direttiva Habitat e di Natura 2000, con l'obiettivo di avviare il percorso di recupero di tutti gli ecosistemi naturali e semi naturali entro il 2030. Beneficerà di ingenti finanziamenti dell'UE: nell'ambito del quadro finanziario pluriennale circa 100 miliardi di € sono destinati alla biodiversità e al ripristino».
Gli obiettivi proposti includono:
- l'inversione del declino delle popolazioni di impollinatori entro il 2030 e, successivamente, l'aumento di queste popolazioni;
- nessuna perdita netta di spazi verdi urbani entro il 2030, un aumento del 5% entro il 2050, una copertura arborea minima del 10% in ogni città, piccola città e periferia europea e un guadagno netto di spazi verdi integrati negli edifici e nelle infrastrutture;
- negli ecosistemi agricoli, l'aumento complessivo della biodiversità e una tendenza positiva per le farfalle comuni, per l'avifauna nelle aree agricole, per il carbonio organico nei suoli minerali coltivati e per gli elementi caratteristici del paesaggio ad alta diversità sui terreni agricoli;
- il ripristino e la riumidificazione delle torbiere drenate a uso agricolo e nei siti di estrazione della torba;
- negli ecosistemi forestali, l'aumento complessivo della biodiversità e una tendenza positiva per quanto riguarda la connettività delle foreste, il legno morto, la percentuale di foreste disetanee, l'avifauna forestale e le riserve di carbonio organico;
- il ripristino degli habitat marini quali le colture marine o i fondali di sedimenti e il ripristino degli habitat di specie marine emblematiche quali delfini e focene, squali e uccelli marini;
- l'eliminazione delle barriere fluviali in modo che almeno 25.000 km di fiumi siano trasformati in fiumi a flusso libero entro il 2030.
Per contribuire al conseguimento degli obiettivi, mantenendo nel contempo una certa flessibilità in funzione delle circostanze nazionali, la normativa imporrebbe agli Stati membri di elaborare piani nazionali di ripristino, in stretta collaborazione con i ricercatori, i portatori di interessi e i cittadini. Esistono norme specifiche in materia di governance (monitoraggio, valutazione, pianificazione, rendicontazione e applicazione), che migliorerebbero anche l'elaborazione delle politiche a livello nazionale ed europeo, garantendo che le autorità considerino congiuntamente le questioni connesse della biodiversità, del clima e dei mezzi di sussistenza.
La proposta concretizza un elemento chiave del Green Deal europeo: l'impegno dell'Europa, assunto nell'ambito della strategia sulla biodiversità per il 2030, di dare l'esempio per invertire la perdita di biodiversità e ripristinare la natura. Si tratta del contributo fondamentale dell'UE ai negoziati in corso su un quadro globale per la biodiversità post-2020 che sarà adottato nell'ambito della Convenzione sulla diversità biologica COP15 di Montreal (dal 7 al 15 dicembre di quest'anno).
Come dichiarato da Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l'Ambiente, gli oceani e la pesca, alla conferenza stampa del 22 giugno scorso, «i cittadini europei sono stati chiari: esigono che l'UE agisca a favore della tutela della natura e la riportino nella loro vita. Gli scienziati sono stati chiari: non c'è tempo da perdere. Altrettanto chiara è la motivazione economica: ogni euro speso per il ripristino frutterà un utile di almeno otto euro. Questa proposta storica riguarda il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, in modo da poter vivere e prosperare insieme alla natura. Si tratta di una normativa per tutti i cittadini europei e per le generazioni future, per un pianeta sano e per un'economia sana. È un atto normativo senza precedenti a livello mondiale e ci auguriamo che possa ispirare un forte impegno internazionale per la protezione della biodiversità nella prossima COP15».
La proposta sarà esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, nell'ambito della procedura legislativa ordinaria. Dopo l’adozione, l'impatto sul terreno sarà graduale: le misure di ripristino della natura dovranno essere attuate entro il 2030.
L.S.
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Adottata dalla Commissione Europea una proposta legislativa per sostituire la Direttiva 128 del 2009 per l’uso sostenibile dei pesticidi con un regolamento con obiettivi vincolanti: ridurre del 50% l'uso e i rischi dei pesticidi chimici entro il 2030 e divieto assoluto di tutti i pesticidi nei parchi e giardini. Le reazioni critiche di alcune associazioni di agricoltori europee e italiane come Copa-Cogeca, Confagricoltura e Cia-Agricoltori Italiani. Le prossime tappe dell’iter di approvazione.
Sulla stessa linea d’onda, il comunicato stampa del 23 giugno di Cia – Agricoltori Italiani, in cui si parla di tagli degli agrofarmaci «poco realistici» e di «mancanza di alternative efficaci» e di «transizione troppo veloce» che «mette a rischio la sostenibilità economica delle aziende». Per cui si chiede di «accelerare gli iter autorizzativi dei prodotti alternativi agli agrofarmaci, che ancora scontano eccessive lentezze burocratiche».
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
Il presidente della Regione Toscana Giani: con questo contributo straordinario «veniamo incontro alla richiesta di aiuto del commissario prefettizio di Pescia De Cristofaro, perché è un’attività economica importante», ma non è proprietà regionale e «in futuro alla manutenzione dell’immobile dovrà pensarci il Comune». De Cristofaro: «i soldi della Regione indispensabili per avviare la messa in sicurezza ed evitare il possibile sequestro», un altro milione lo metterà il Comune. Il consigliere regionale Niccolai, membro della Commissione Agricoltura, «il Mefit sembrava spacciato, in soli 2 mesi grazie al progetto credibile di De Cristofaro e all’impegno di Giani ha una seconda possibilità» e sul futuro del Mefit dice: è necessario definire un piano «con impegni precisi» e che sia «credibile».
L.S.
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- Scritto da Andrea Vitali
Il 24 marzo in un convegno presso l’Accademia dei Georgofili di Firenze il bilancio del progetto “Autofitoviv”, che ha avuto come capofila l’Associazione Vivaisti Italiani. Sono stati sperimentati, sotto la guida di ricercatori di Cnr, Crea e Università di Firenze e di Pisa, nei vivai di due aziende leader del distretto vivaistico di Pistoia i migliori metodi di autocontrollo fitosanitario per identificare tempestivamente organismi nocivi e le più aggiornate strategie di difesa fitosanitaria alternative all’uso di prodotti chimici di sintesi. Fra i risultati alcuni spiragli per la lotta alle infestanti senza erbicidi anche nelle coltivazioni in pieno campo tramite colture di copertura fra i filari analoghe a quelle spesso adottate in olivicoltura e viticoltura. Il presidente di AVI Magazzini: «un percorso avviato molto importante e le soluzioni sperimentate saranno affinate e riproposte, ma c’è bisogno di ulteriori verifiche e adattamenti al quotidiano aziendale». La sintesi di tutte le relazioni dei ricercatori protagonisti del progetto e l’elenco delle attività svolte nei vivai di Vannucci Piante e Innocenti e Mangoni Piante. [Nella foto in alto visita aziendale: tappa davanti a una trappola Cross-vane]
L’impiego di trappole posizionate nei piazzali di carico per il rilevamento tempestivo di insetti - da cui non sono emerse presenze di organismi nocivi da quarantena - quale metodo di autocontrollo per rispondere al problema del possibile arrivo di organismi nocivi alieni nei vivai pistoiesi attraverso gli scambi commerciali. Il metodo della confusione sessuale (mating disruption) contro la tignola orientale del pesco (Grapholita molesta) che ha consentito di ridurre da 7 a 1 i trattamenti chimici per evitarne i danni.
Sono soltanto due esempi delle varie sperimentazioni e dei risultati del progetto del Gruppo Operativo Autofitoviv sulle “Buone pratiche per l’autocontrollo e la gestione fitosanitaria sostenibile nel vivaismo ornamentale” presentati ieri all’Accademia dei Georgofili di Firenze nel convegno conclusivo dell’iniziativa. Un progetto, avviato nel 2019 e giunto a conclusione ora, che è stato finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito del PSR 2014-2020 e che ha visto come capofila l’Associazione Vivaisti Italiani (AVI), come partner aziendali due imprese leader del distretto vivaistico pistoiese socie di AVI quali Vannucci Piante e Innocenti e Mangoni Piante, come partner scientifici l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (CNR-IPSP), il CREA Difesa e Certificazione, il CREA Orticoltura e Florovivaismo, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università di Firenze e il Dipartimento in Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, con il Lab Center for Generative Communication del PIN - Polo Universitario Città di Prato impegnato nella formazione e comunicazione e l’Accademia dei Georgofili nell’attività convegnistica e d’informazione.«Il progetto – ha spiegato aprendo i lavori Riccardo Russu, già direttore del Servizio Fitosanitario Regionale - ha avuto origine da un'intuizione maturata negli anni 2014-2015, in cui si avvertiva la necessità di un coinvolgimento diretto delle imprese vivaistiche nelle azioni di monitoraggio, controllo e sorveglianza delle loro produzioni, al fine di evitare o limitare la diffusione di organismi nocivi sul territorio del distretto vivaistico pistoiese. Nel 2015 veniva siglato un protocollo d’intesa tra la Regione Toscana ed il Distretto vivaistico pistoiese con la partecipazione dell'Associazione Vivaisti Italiani, allo scopo di avviare un processo di partecipazione delle imprese vivaistiche all'attività di autocontrollo fitosanitario sia nelle fasi di coltivazione, che di importazione di vegetali da ricoltivare in azienda. Tenuto conto dell'esperienza di autocontrollo, avviata nell'anno 2015 in fase sperimentale ed autogestita dai vivaisti, il progetto Autofitoviv ha permesso il coinvolgimento sia delle imprese già consapevoli degli effetti positivi di questa attività, che del mondo scientifico toscano, per collaudare nuove metodologie e verificarne i risultati».
Come ricordato dalla coordinatrice di Autofitoviv Francesca Giurranna e poi illustrato da Ilaria Marchionne del Lab Center diretto dal Prof. Luca Toschi, il progetto prevedeva tra l’altro 2 corsi di formazione tecnici e 1 di comunicazione, oltre ad alcune visite nelle aziende coinvolte nella sperimentazione, per fare conoscere ad altri vivaisti i metodi e le tecniche applicati. In tutto 42 ore per 52 partecipanti nelle tre edizioni di ciascuno dei due corsi tecnici e 24 ore per 23 partecipanti nelle due edizioni di quello di comunicazione, mentre i partecipanti alle 4 visite sono stati 38 per 12 ore di attività.
A tirare le somme del progetto e del convegno di ieri, dopo le relazioni di tutti i ricercatori coinvolti nel progetto [vedi sotto una sintesi delle relazioni], è stato il Dott. Emilio Resta, responsabile scientifico di Autofitoviv per AVI. Resta ha innanzi tutto ricordato che il progetto aveva due finalità principali: A) contenere e gestire il problema della «introduzione inconsapevole di organismi alloctoni con lo scambio commerciale di materiale vivaistico», che significa «ridurre l’impatto ecologico sull’ecosistema, economico a carico della comunità, ma anche sanitario visto che generalmente questo comporta una maggiore necessità dell’utilizzo del mezzo chimico»; B) proporre «metodi alternativi di provata efficacia scientifica» alla gestione fitosanitaria dei vivai basata su «strategie di difesa con formulati di sintesi», in modo da ridurre l’impatto sull’ambiente.Emilio Resta ha poi riferito alcuni risultati delle sperimentazioni effettuate, che si aggiungono ai due citati all’inizio di questo testo. A proposito del problema nematodi, ha sottolineato che nell’analisi effettuata sui substrati più utilizzati nelle coltivazioni in contenitore del distretto vivaistico pistoiese non sono stati rilevati nematodi fitoparassiti (dannosi), ma nematodi saprofiti (innocui) in abbondanza e predatori utili a controllare i nematodi fitoparassiti; mentre invece dall’analisi del suolo nelle coltivazioni in pieno campo è risultata una discreta incidenza di nematodi fitoparassiti. Un altro risultato riferito da Resta riguarda i metodi di monitoraggio adottati per oidi e ruggini, che hanno consentito di identificare i relativi picchi: per l’oidio a maggio e giugno, per le ruggini nei mesi di luglio, settembre e marzo. «Queste indicazioni – ha detto – sono utili per collocare in modo corretto i trattamenti fitoterapici preventivi tesi a contrastare l’infezione primaria». Infine, riguardo a quella che è la problematica maggiore del vivaismo ornamentale, cioè la presenza di piante infestanti che richiedono l’uso di erbicidi come il glifosate, sono stati innanzi tutto studiati metodi e prodotti naturali in grado di rendere ancora più efficaci i pacciamanti legnosi già utilizzati nelle coltivazioni in vaso. Inoltre si è capito che una strada per risolvere il problema dell’eliminazione delle infestanti nelle coltivazioni in pieno campo potrebbe essere quella dell’utilizzo di colture di copertura (cover crops) «in grado di limitare lo sviluppo delle infestazioni», che possono essere utili «anche come casa per gli impollinatori e per tanti antagonisti di parassiti delle piante».
«Il percorso avviato con Autofitoviv – ha commentato il presidente di AVI Luca Magazzini - è molto importante dal punto di vista tecnico e le sperimentazioni e le soluzioni che sono emerse avranno modo di essere affinate e riproposte all’interno delle aziende, ma non è una cosa che si possa fare dall’oggi al domani. C’è bisogno di riflettere sui metodi, ottimizzarli, farli stare in piedi sia dal punto di vista dei risultati che della sostenibilità economica. Quindi un giudizio positivo, ma c’è bisogno di un ulteriore percorso di verifica e ottimizzazione nel quotidiano aziendale».
Al convegno era presente anche il Prof. Francesco Ferrini, attuale presidente del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia, che ha evidenziato «l’importanza di questi progetti, perché se l’imprenditoria è supportata dal sistema pubblico e dalla ricerca allora diventa davvero vincente».
Per ulteriori informazioni sul progetto visitare il sito web autofitoviv.eu.
Sintesi delle relazioni dei ricercatori protagonisti di AutofitovivElisabetta Gargani (CREA DC) nella sua relazione “Ottimizzazione gestione fitosanitaria: Alien Pest”, dopo aver ricordato che il precoce ritrovamento di insetti esotici è una priorità assoluta, ha illustrato le trappole installate nei piazzali di carico e scarico dei vivai delle aziende partner per il monitoraggio: «Theysohn, Multi-funnel e Cross-vane, innescate con attrattivi generici (alfa pinene e alcool) e specifici (feromoni per Ips) e controllate una volta al mese». Le sue conclusioni sono che i sistemi di monitoraggio impiegati, tramite l’uso della tecnica del multi-lure trapping (combinazione di differenti attrattivi generici e feromoni specifici), hanno consentito di intercettare tempestivamente fitofagi (di 18 identità tassonomiche) presenti anche solo sporadicamente. Ma nessuna specie aliena è stata rinvenuta. Infine ha ricordato che sono state elaborate per i vivaisti delle schede puntuali per identificare e gestire gli organismi esotici, con particolare riguardo per gli insetti dannosi.
Nella successiva relazione, su “Ottimizzazione gestione fitosanitaria: Acari”, Sauro Simoni (CREA DC) ha spiegato di essersi concentrato, fra gli acari che possono creare problemi ai vivai, sugli eriofidi, che «hanno sviluppato un’alta specificità e complesse relazioni con le piante ospiti: le conifere, il cipresso in particolare»; e nello specifico soprattutto su Trisetacus juniperinus, che ha gravemente colpito cipressi in vivaio in varie parti del Paese. Tra i risultati, la conferma che la varietà di cipresso Cupressus sempervirens ‘Totem’ è meno suscettibile agli eriofidi rispetto a Cupressus sempervirens ‘Pyramidalis’ e, come indicazione sullo status dei vivai studiati, il riscontro di una positiva presenza di gruppi di acari diversi (biodiversità). Poi Silvia Landi, che ha lavorato con Beatrice Carletti, (CREA DC), ha trattato la “Definizione di protocolli adeguati di campionamento di suolo e terricci per l’individuazione dei nematodi fitoparassiti e la messa a punto di metodi di controllo con prodotti a basso impatto ambientale”. Riguardo al monitoraggio dei terricci e del suolo, è risultato che i terricci più utilizzati nei vivai pistoiesi non costituiscono un fattore di rischio di introduzione di nematodi fitoparassiti (dannosi) e che le piante coltivate per l’intero ciclo produttivo nei substrati hanno mostrato una bassa infestazione. Però l’incidenza di nematodi fitoparassiti è risultata più alta nelle piante coltivate in terreno e ancor più quando le stesse, una volta zollate, sono state trasferite per la definitiva coltivazione in contenitore. Ha raccomandato, pertanto, riguardo ai metodi di difesa (cioè contenimento) in vaso dei nematodi fitoparassiti su piante provenienti da zolla, di campionare sempre i suoli prima dell’impianto e in caso di alta presenza di nematodi fitoparassiti di ricorrere alla biofumigazione con brassicacee (sovescio o interramento delle loro farine). «I prodotti naturali ad oggi sul mercato – ha detto - sono risultati poco efficaci» e fra di essi l’unico con qualche prospettiva pare l’Azadiractina.
Nella relazione su “La gestione fitosanitaria in vivaio: rilevamento di Phytophthora spp. nel suolo e nelle acque di irrigazione” Anita Haegi (CREA DC) ha prima spiegato che la «prevenzione di marciumi radicali e del colletto causati da Phytophthora spp. deve partire dall’utilizzo di materiali esenti da questo patogeno» e poi ha reso noto che nei vivai analizzati «i terricci a base di torba sono risultati esenti da Phytophthora spp., quelli di cocco in un caso ne hanno manifestato presenza. Tuttavia, è da verificare se la contaminazione possa essere avvenuta con l’acqua utilizzata per reidratare i panetti di cocco disidratati». Rispetto all’analisi delle acque irrigue, il fatto che la presenza sia stata riscontrata all’interno del circuito idrico di un vivaio solo in alcuni punti dovrebbe stimolare le aziende a fare prevenzione.
Il lavoro “Messa a punto di metodi speditivi per il controllo di organismi nocivi in ingresso e monitoraggio per oidi e ruggini” di Nicola Luchi, Alberto Santini e la collaborazione di Giorgio Incrocci (CNR-IPSP) è stato presentato da Luchi. A proposito di metodi molecolari per diagnosticare precocemente la presenza di organismi nocivi sulle piante in ingresso nei vivai, sono stati ottimizzati alcuni protocolli diagnostici basati sull’amplificazione isotermica del DNA (LAMP) attraverso appositi strumenti portatili e sulla PCR quantitativa per alcune specie nocive tra cui Phytophthora ramorum, Xylella fastidiosa e Ceratocystis platani su piante ospiti. Riguardo al monitoraggio di oidi e ruggini, sono state usate trappole captaspore in vari punti dei vivai e poi si sono effettuate analisi del DNA, attraverso nuovi protocolli in grado di quantificare simultaneamente l’oidio (genere Erysiphe) e ruggini (genere Tranzschelia) nello stesso campione (duplex real-time PCR). Questi metodi hanno permesso l’identificazione dei periodi di maggiore sporulazione di tali patogeni, che consentono di limitare l’uso di antiparassitari ai periodi in cui sono davvero necessari.
“Controllo di fitofagi chiave delle colture ornamentali mediante l’impiego di mezzi sostenibili” era il titolo del lavoro svolto da Patrizia Sacchetti con Marzia Cristiana Rosi (Università di Firenze – DAGRI). Come illustrato dalla Prof.ssa Sacchetti, due attività svolte nei vivai partner sono state particolarmente interessanti: 1) L’applicazione sperimentale nei confronti della Grapholita molesta della tecnica del Mating Disruption (confusione sessuale) per la protezione di Prunus laurocerasus e Photinia, accompagnata da un numero di trattamenti insetticidi ridotto al minimo, ha dato ottimi risultati, con una percentuale di piante infestate inferiore rispetto alle aree di controllo trattate nel modo tradizionale coi mezzi chimici di sintesi. 2) L’impiego di nematodi o funghi entomopatogeni contro gli attacchi di Otiorhynchus spp. alle radici di Prunus laurocerasus ha permesso la totale eliminazione dei trattamenti chimici diretti contro quest’insetto.
Sonia Cacini (CREA OF) ha tenuto una relazione sulla “Messa a punto di sistemi di monitoraggio dedicati alla gestione fitosanitaria del vivaio”, lavoro svolto con Beatrice Nesi e Daniele Massa (CREA OF). Due le azioni in cui si è articolata la sua attività: 1) installazione di sensori per la verifica delle condizioni climatiche al fine di correlarle ai picchi di sporulazione per oidi e ruggini, oltre ai cicli di afidi e tignola del pesco; 2) caratterizzazione fisica e chimica dei substrati colturali e dell’acqua irrigua. Grazie all’azione 1 e alle correlazioni ricavate si sono potuti mettere a punto dei sistemi di alert ad hoc per i patogeni fungini da un lato e per gli insetti dall’altro. Come spiegato da Sonia Cacini, queste reti di monitoraggio microclimatico sono un ottimo supporto al controllo fitosanitario del vivaio e consentono una gestione razionale di acqua e fitofarmaci. Tuttavia, soprattutto a fronte della convivenza di sistemi colturali diversi e specie vegetali con esigenze differenti, sono costosi sia per l’acquisto e manutenzione della sensoristica che per la gestione dei servizi di raccolta ed elaborazione dei dati. Forse potrebbero essere adottate a livello di consorzi aziendali a seguito di apposite progettazioni di reti di stazioni meteo condivise.
Infine Stefano Benvenuti (Università di Pisa-DiSAAA-a) è intervenuto sulla “Gestione sostenibile della flora infestante nell’attività vivaistica”. Dopo aver ricordato fra l’altro che contro le malerbe l’erbicida chiave, oggetto di particolari criticità ambientali, è ancora il glifosate, ha spiegato che «le prospettive di valorizzazione agronomica del fenomeno dell’allelopatia [la competizione chimica o antagonismo radicale fra piante tramite il rilascio nel terreno di sostanze che inibiscono la crescita delle piante concorrenti vicine, ndr] hanno ispirato alcune sperimentazioni dedicate al contesto vivaistico. L’idea di utilizzare un materiale pacciamante con tale attitudine è stata intrapresa con diversificate sostanze allelopatiche. Risultati promettenti sono stati inoltre ottenuti con acido acetico e/o oli essenziali utilizzati come erbicidi naturali».
Per ulteriori approfondimenti, le relazioni delle attività di Autofitoviv si trovano in un opuscolo scaricabile pubblicato nella pagina dedicata ad Autofitoviv del sito dei Georgofili qua. E un report di presentazione delle linee di ricerca all’inzio del progetto era stato pubblicato qua.
L.S.
Elenco delle prove condotte presso le due aziende partner:
Vannucci Piante
- prove per la caratterizzazione fisica dei terricci prelevati nella sede operativa di Piuvica (Quarrata), ma comuni a tutti i vivai esterni della stessa azienda;
- prove tese a indagare la presenza di nematodi fitoparassiti nei terricci di invasatura;
- prove tese a indagare la presenza di nematodi fitoparassiti nel pacciamante, a base di scaglie di legno di latifoglie, utilizzato a copertura della superficie dei vasi per il contenimento delle infestanti;- installazione nei piazzali di carico, presso la sede operativa di Piuvica, di trappole “Multifunnel” [nella foto accanto], “Theysohn” e “Cross-vane” per l’individuazione di insetti alieni;
- installazione, presso la sede operativa di Piuvica, di n° 3 captaspore per il monitoraggio dell’evoluzione di spore di oidio e ruggini durante l’anno;
- verifiche floristiche, tese a verificare la tipologia delle infestanti presenti nei contenitori e nelle aiuole di coltivazione, presso la sede operativa di Piuvica e il vivaio di Valenzatico (Quarrata);
- prove di monitoraggio di acari, condotte dal partner CREA DC, su conifere presso i vivai di Valenzatico (Quarrata) e Pontelungo (Pistoia);
- prove sperimentali sulla lotta a Grapholita molesta con la tecnica della mating disruption nei vivai di San Biagio (Pistoia), Ferruccia (Agliana) e S. Pantaleo (Pistoia);
- prove sperimentali sull’adozione della mating disruption contro Zeuzera pyrina, nel vivaio di San Pantaleo (Pistoia);
- prove sperimentali di formulati con effetto nematocida nei vivai di Bonelle (Pistoia) e Ponte Stella (Serravalle Pistoiese);
- prove sperimentali tese a individuare l’efficacia di formulati a base di nematodi entomopatogeni per la lotta a Otiorhynchus, su piante in contenitore nei vivai di San Biagio (Pistoia) e Piuvica (Quarrata);
- prove sperimentali nel vivaio di Piuvica (Quarrata), su piante di palme, tese al monitoraggio dello sfarfallamento di Paysandisia archon attraverso trappole adesive, formate da strisce colorate che simulano la struttura cromatica delle ali dell’altro sesso.
Innocenti e Mangoni Piante
- prove per la caratterizzazione fisica dei terricci utilizzati nel vivaio di Pistoia per la propagazione e successiva invasatura delle giovani piante e presso la sede di Chiazzano per la coltivazione della tipologia standard;
- prove tese a indagare la presenza di nematodi fitoparassiti nei vari terricci di invasatura;
- prove tese a indagare la presenza di Phytophthora spp. nei terricci di radicazione delle talee presso il vivaio di Pistoia;
- prove tese a indagare la presenza di Phytophthora spp. nell’acqua utilizzata per la radicazione delle talee che per quella destinata all’intera irrigazione del vivaio di Pistoia e presente nel lago di stoccaggio;
- prove tese a indagare la presenza di Phytophthora spp. nell’acqua proveniente dai pozzi che in quella proveniente dal torrente Brana, entrambe destinate al riempimento del lago di stoccaggio nel vivaio di Pistoia;
- prove sperimentali applicando la tecnica del mating disruption su Zeuzera pyrina, nel vivaio di piena terra, in località Oste, nel comune di Montemurlo;- installazione nei piazzali di carico di trappole “Multifunnel” e “Theysohn” [in foto] per l’individuazione di insetti alieni presso la sede di Chiazzano;
- installazione di n° 2 captaspore, per il monitoraggio dell’evoluzione delle spore di oidio durante l’anno, presso il vivaio di piena terra in località Oste, nel comune di Montemurlo;
- prove sperimentali di impiego di olii essenziali per il contenimento delle malerbe su strato pacciamante, distribuito sulla superficie dei contenitori, destinati alla coltivazione di giovani piante, presso il vivaio di Pistoia;
- prove di monitoraggio sull’eriofide del cipresso, condotte dal partner CREA DC nel vivaio di Pistoia e nel vivaio di Chiazzano.
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Il Servizio Fitosanitario Regionale, con il sostegno scientifico del CREA e in collaborazione con l’Associazione Vivaisti Italiani, ha definitivamente eradicato il focolaio dell’Anoplophora chinensis identificato nel 2017 in 10 vivai e 40 giardini privati dell’area distrettuale pistoiese. Successo convalidato dagli ispettori della Commissione Europea a gennaio. Circa 15 mila piante distrutte e danni per 1 milione di euro indennizzati dalla Regione. La storia e l’aiuto degli Sniffer Dog svizzeri.

«In un primo momento – ha aggiunto Magazzini - c’è stato un danno d’immagine. E a livello europeo c’erano stati dei dubbi sulla nostra capacità dal punto di vista qualitativo delle produzioni. Però è stato un primo periodo, poi alla prova dei fatti, vedendo che noi facevamo i controlli quotidiani sulle nostre produzioni grazie anche al Servizio Fitosanitario che sistematicamente certifica ogni singola pianta prima che lasci le nostre aziende è andata discretamente bene. Tra l’altro l’Associazione Vivaisti Italiani si è fatta carico anche di integrare i giardini dei privati interessati dal problema: i privati non si rendevano conto di avere il problema, noi invece vedendolo abbiamo eradicato le piante e le abbiamo sostituite. C’è stato anche questo impegno non da poco nel corso del tempo».
L.S.
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Inaugurata il 12 ottobre a Pistoia presso Gea la sede ampliata e completamente rinnovata del «Laboratorio ufficiale fitosanitario della Regione Toscana». L’assessora all’agroalimentare Saccardi: «una scelta convinta per fronteggiare in modo tempestivo ogni evenienza». I numeri dei quattro laboratori del Servizio Fitosanitario Regionale (SFR) dal 2013 a oggi. Le dichiarazioni e spiegazioni degli intervenuti all’inaugurazione: la consigliera regionale Federica Fratoni, il direttore della Direzione Agricoltura della Toscana Roberto Scalacci, il responsabile del SFR Lorenzo Drosera, il responsabile dei laboratori fitosanitari Domenico Rizzo, l’assessora Saccardi rivolta al personale del SFR e Luca Magazzini, presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani, soggetto referente del Distretto vivaistico di Pistoia. [Nella foto in alto da sinistra Drosera, il presidente di Gea Giovanni Palchetti, Saccardi, Fratoni, Scalacci, Rizzo]
«Con l’avvio dell’attività del nuovo laboratorio di Pistoia la Regione Toscana si dota di una struttura altamente funzionale, in grado di soddisfare, fra i primi in Italia, tutti i requisiti per il riconoscimento di ‘Laboratorio ufficiale’ del Servizio fitosanitario nazionale ai sensi delle norme UE. Abbiamo fatto la scelta impegnativa ma convinta di dotarsi di nostri laboratori e di non ricorrere a laboratori esterni, come fanno altre Regioni, perché crediamo nella necessità di avere “in casa” competenze e strutture in grado di affrontare tutte le evenienze e le emergenze in modo tempestivo. Siamo consapevoli che un laboratorio comporti anche la formazione di tecnici in possesso delle competenze necessarie ed è questo un patrimonio che siamo stati in grado di sviluppare e di cui siamo orgogliosi».
E’ quanto dichiarato martedì 12 ottobre scorso dall’assessora all’agroalimentare della Regione Toscana Stefania Saccardi dopo essere intervenuta in mattinata a Pistoia, presso il centro GEA – Green Economy and Agriculture di via Ciliegiole, all’inaugurazione del «nuovo laboratorio ufficiale Fitosanitario della Regione Toscana».
Un laboratorio che è situato in una localizzazione ideale perché nel cuore del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia e «baricentrica e vicina a tutte le vie di comunicazione» e che è perfettamente in linea con la nuova normativa UE: in possesso dei requisiti necessari per produrre referti ufficiali utili all’emissione di misure fitosanitarie; quelle misure che possono determinare, se ritenuto necessario, il blocco o la distruzione di piante e prodotti vegetali infetti. Questo investimento, che comprende attrezzature robotizzate per l’effettuazione di più analisi contemporaneamente, consente di operare con maggiore precisione ed affidabilità, evitando il rischio di produrre falsi negativi estremamente pericolosi per il rischio di diffusione di nuove malattie delle piante.
Accanto al nuovo Laboratorio fitosanitario ufficiale di Pistoia, operano altri 3 laboratori: il laboratorio di Firenze, per il trattamento di tutti i campioni vegetali provenienti da territori esterni al distretto vivaistico pistoiese; il laboratorio di Livorno Guasticce, per le analisi sui campioni vegetali prelevati presso il porto di Livorno e l’Aeroporto di Pisa; il Laboratorio di Orbetello, per i campioni vegetali provenienti dall’area delimitata per Xylella fastidiosa.
I numeri dei laboratori fitosanitari della Regione Toscana
Nel 2020 i laboratori del Servizio Fitosanitario Regionale hanno effettuato circa 39.000 analisi su campioni prelevati sul territorio toscano, nei vivai e sulle merci vegetali in arrivo al porto di Livorno e all’Aeroporto di Pisa.
Le dichiarazioni e spiegazioni degli intervenuti all’inaugurazione
Ad aprire le dichiarazioni alla stampa, dopo il taglio del nastro del nuovo laboratorio ad opera dell’assessora Saccardi, per volontà di quest’ultima è stata la consigliera regionale pistoiese Federica Fratoni, ex assessora all’ambiente della Toscana e adesso in Commissione Sanità in Consiglio regionale. Sul significato del nuovo laboratorio si è espressa così: «intanto si tratta di un laboratorio molto innovativo, ben attrezzato, grazie anche al lavoro che Gea, la società che è proprietaria di questo bellissimo sito ha messo in campo per ospitare al meglio il Servizio fitosanitario. Ma poi avere qui il Servizio fitosanitario regionale è un elemento di estremo valore per il comparto vivaistico, oltre che una realtà di grande utilità. Testimonianza di una collaborazione profonda affinché le produzioni vivaistiche di Pistoia siano nel segno della sostenibilità, della correttezza e possano presidiare adeguatamente le fette di mercato sulle quali ormai sono conosciute da tempo, ma che devono mantenere, vista anche la concorrenza internazionale alla quale sono sottoposte quotidianamente». Inoltre, riguardo al fatto che il laboratorio espleterà non solo diagnosi ma anche ricerca e sviluppo, Fratoni ha affermato che: «Gea si è caratterizzata fin dalla sua presentazione come un sito dedito alla ricerca, alla formazione e alla divulgazione. Quindi il Servizio fitosanitario regionale ospitato in questa realtà credo sia perfettamente assonante con quelle che sono le finalità di questa nuova società all’interno della Fondazione Cassa di Risparmio. Per cui penso che sia una collaborazione molto utile, un elemento di grande valore e anche molto proiettato sulle sfide che il futuro ci pone davanti».
«Si tratta di un lavoro importante – ha spiegato al Vivaista Roberto Scalacci, direttore della Direzione ‘Agricoltura e sviluppo rurale’ della Regione Toscana - che rafforza un’attività già in essere da parte del Servizio Fitosanitario Regionale, che già è un’eccellenza per la qualità del lavoro svolto, ma che sicuramente può migliorare ancora con un ambiente ancora più performante relativamente ad attività molto delicate e molto significative per l’economia di questa zona e della nostra Regione». E alla domanda se in questo laboratorio si effettueranno anche analisi per altri comparti ha precisato: «certo, con i limiti relativi alla sicurezza della circolazione del materiale vegetale infetto, che chiaramente deve essere gestito con accuratezza. Ma sarà possibile avere analisi anche per altre zone. Il salto di qualità che è stato fatto è che abbiamo un ambiente più ampio rispetto a quello in cui lavoravamo prima. E abbiamo potuto mettere ancora più in sicurezza tutte le attività che vengono svolte e anche potenziare con gli strumenti che abbiamo a disposizione le tipologie di analisi che sarà possibile fare per il rilevamento delle varie infezioni che dovessero presentarsi nel normale svolgimento dell’attività di campionamento che il Servizio fitosanitario garantisce per le attività vivaistiche regionali».
Mentre Lorenzo Drosera, dirigente responsabile del Servizio Fitosanitario Regionale (SFR), ci ha così risposto sul significato del nuovo laboratorio sul sistema complessivo del SFR: «significa lavorare meglio e anche lavorare a norme europee perché da aprile del 2022 noi dovremo essere agli standard massimi secondo le norme europee. Per cui noi dobbiamo essere così. Dobbiamo avere questa qualità di laboratorio per poter continuare ad essere riconosciuti laboratorio ufficiale del Servizio fitosanitario e garantire referti ufficiali. Questo è fondamentale: quello che esce di qui è un referto ufficiale e utilizzabile anche a fini legali». E quali sono in sintesi gli elementi che lo rendono a norma europea? «Sono due – ci ha spiegato -. Uno è la tracciabilità totale, dal campione al referto. Quindi si può risalire a tutto quello che è stato fatto prima del referto. Il secondo, molto importante, è l’accreditamento. Cioè un soggetto esterno che accredita che questo laboratorio confermando che lavora secondo gli standard massimi di sicurezza». E tale soggetto esterno, ci ha detto Drosera, sarà Accredia.
Con Domenico Rizzo, il responsabile dei laboratori fitosanitari regionali, si è entrati più nei dettagli. Innanzi tutto ha spiegato come si caratterizzano e distinguono gli altri 3 laboratori fitosanitari regionali: «il Laboratorio di Firenze, il Laboratorio di Livorno Guasticce, il Laboratorio di Orbetello in provincia di Grosseto». «Il laboratorio di Firenze – ha detto - è un laboratorio che ha la funzione di raccordo dei campioni prelevati durante le indagini territoriali nelle aree interne ed effettua indagini di diagnostica fitopatologica classica ma anche alcune attività di biologia molecolare. Il laboratorio di Livorno è peculiare per i campioni prelevati nei punti d’ingresso all’importazione e quindi ha delle specificità che sono legate agli organismi nocivi ricercati all’import e anche alle matrici: qui si parla molto di frutta, verdura e sementi. Cosa ben diversa ad esempio da Pistoia». Mentre su quest’ultimo, il laboratorio di Pistoia, ha affermato che: «è il laboratorio principale, dove vengono effettuate la maggior parte delle analisi».
Come può essere sintetizzata l’attività complessiva del laboratorio sull’intero territorio regionale? «La funzione – ha spiegato Rizzo - è quella di fare dei controlli sulle principali colture agrarie. Quindi vite e olivo nei confronti dei principali organismi nocivi che la Comunità Europea ci dice che dobbiamo controllare a livello territoriale. E quindi si vanno a cercare le aziende viticole, gli impianti olivicoli. Diciamo che si fanno delle indagini a livello del territorio. Poi un’altra faccenda riguarda i vivai viticoli, ad esempio, per la certificazione vivaistica, oppure la parte dei vivai di piante ornamentali. E per quanto riguarda le indagini territoriali, spesso si parte da organismi nocivi che sono regolamentati, che obbligano gli stati membri a effettuare delle indagini. Ad esempio, sui Prunus noi siamo obbligati a fare delle verifiche su alcuni organismi nocivi e le facciamo sia a livello “selvatico”, territoriale, ma anche a livello di impianti produttivi». In sintesi, a livello territoriale il compito è «il controllo analitico delle principali colture agrarie che hanno un interesse economico». Mentre «poi, per quanto riguarda invece i vivai e gli operatori professionali iscritti e così via, - ha continuato Rizzo - quello è un altro discorso perché c’è un altro [regolamento di base] che prevede un altro tipo di indagini. Quindi sono due settori sostanzialmente disgiunti».
E in che cosa consiste l’attività per il vivaismo? «Quest’anno l’80% dei campioni prelevati – ci ha illustrato Rizzo - deriva dal controllo vivai. Sia nell’ambito del controllo sia nell’ambito di norme specifiche, quale la normativa europea sulla Xylella, il regolamento 1201, che prevede il controllo alla movimentazione di alcune specie per la Xylella fastidiosa, che ha avuto un impatto notevole per quanto ci riguarda come numeri. E poi la Comunità Europea prevede una serie di controlli visivi, ispezioni e quant’altro su un considerevole numero di organismi nocivi e molto spesso questi organismi nocivi hanno bisogno anche di un controllo analitico. E questo controllo analitico lo facciamo noi attraverso questo laboratorio». E le fasi dell’attività di controllo quali sono? «Essendo il nostro un laboratorio di biologia molecolare – ci ha risposto Rizzo - le fasi sono essenzialmente di 3 tipologie: c’è una parte di preparazione e di omogeneizzazione del campione, una fase di estrazione di acidi nucleici e una fase di determinazione analitica dell’eventuale organismo nocivo».
Un altro aspetto messo in evidenza da Rizzo ai giornalisti presenti è stato il significato delle collaborazioni con realtà scientifiche esterne, a cominciare dalle università. «Il valore di queste collaborazioni – ha detto - non è di tipo prettamente operativo. Sono collaborazioni che sono volte alle conferme diagnostiche per esempio. Cioè nel senso che io faccio un’indagine molecolare, ho un sospetto positivo e voglio verificare se anche l’aspetto morfologico mi supporta la diagnosi. Quindi ho una doppia metodologia: sia il supporto biomolecolare ma anche il supporto morfologico. Ad esempio un fungo: nel caso del fungo cerco di fare gli isolamenti e li fa il Centro di ricerca afferente, che può essere l’università oppure il Cnr, e mi supporta la diagnosi preventiva che io ho effettuato. Questo non avviene sempre. Avviene nel caso di ritrovamenti di organismi nocivi particolari, nuovi oppure nel caso di organismi ritenuti in introduzione cioè per il rischio di poter avere organismi nocivi nuovi in Toscana. Oltre a questo c’è tutto un aspetto legato allo sviluppo, all’implementazione di metodiche diagnostiche, di collaborazione scientifica a livello di implementazione di metodi esistenti. Gli accordi di collaborazione non sono solo di confronto di tipo operativo, è anche un confronto di crescita scientifica».
E a proposito di ricerca e sviluppo, Rizzo ha aggiunto che «questa è una cosa che a noi interessa moltissimo per un motivo molto semplice. La normativa europea nel corso degli ultimi anni ha implementato molto le richieste di verifiche da parte degli Stati membri. Cioè ha detto: attenzione, voi dovete programmare per più anni una serie di organismi nocivi. E sono tanti, sono centinaia. E’ un elenco considerevole (ci sono un sacco di insetti, di funghi, di batteri e così via). Quindi gli stabilimenti devono essere pronti a fare la diagnosi anche di questi organismi nocivi qui. E nel campo fitosanitario non vi è tutta questa disponibilità di metodologie diagnostiche. Le dobbiamo costruire, validare e implementare. Questa attività noi l’abbiamo iniziata da ormai 4 anni, credo, e da allora stiamo portando avanti tutta una serie di implementazioni, validazioni e sviluppi di metodologie. Ecco perché si parla di sviluppo e ricerca. E lo facciamo perché c’è la possibilità di interagire con interlocutori di natura scientifica grazie ad accordi di collaborazione».
In chiusura dell’inaugurazione, l’assessora regionale Stefania Saccardi si è rivolta al personale del Laboratorio fitosanitario di Pistoia con queste parole: «qui c’è uno dei distretti più importanti d’Europa, vorrei dire del mondo, che rappresenta una parte di Pil non solo di questa città, oltre che naturalmente l’eccellenza che ci consente di ascrivere alla Regione Toscana. E’ particolarmente importante quindi che il servizio che voi svolgete sia qui in stretto contatto con questo distretto e che garantisca l’Europa e il mondo sulla qualità di ciò che noi produciamo ed esportiamo. Questo è fondamentale e quindi noi tutti siamo consapevoli del lavoro prezioso che il Servizio fitosanitario svolge. E’ uno dei servizi meno conosciuti, ma per gli addetti ai lavori è il primo servizio in assoluto della Direzione di cui ho la responsabilità in questo momento». «La qualità e il livello tecnologico delle nostre attrezzature e la competenza dei nostri operatori – ha concluso Saccardi - è sicuramente di un livello assoluto, quindi siamo molto orgogliosi di avere questo servizio. Esso può garantire che la Toscana sia una zona controllata, verificata. Un grazie a Gea che ci ospita e che ha dato una collaborazione decisiva per questa realizzazione che ha un rapporto qualità / prezzo molto positivo. Il posto tra l’altro è dal punto di vista logistico perfetto».
All’evento era presente anche Luca Magazzini, presidente dell’Associazione Vivaisti Italiani (soggetto referente del Distretto vivaistico di Pistoia) che alla nostra domanda sul significato del nuovo laboratorio per il distretto ha risposto così: «è sicuramente strategico per lo sviluppo del nostro settore. Avere il servizio fitosanitario rinnovato nelle strutture e nelle persone, averlo a nostro fianco, ci aiuta sia dal punto di vista della produzione che per garantire a livello commerciale la qualità dei nostri prodotti. Le nostre produzioni sempre più hanno una vocazione globale e quindi avere questa garanzia che ci accompagna quando si va a vendere le nostre piante sicuramente dà loro un valore aggiunto e il brand di qualità della Toscana con questo accompagnamento del lavoro del Servizio fitosanitario si eleva a livelli altissimi». Averlo proprio qui è anche un segno di massima trasparenza? «Ormai si dà per scontato. Siamo noi i primi ad aver bisogno della collaborazione del Servizio fitosanitario. Non è mai percepito come un soggetto ispettivo ma come una struttura che ci aiuta nella soluzione dei problemi. E poi con la globalizzazione le presenze di insetti sconosciuti anche da quarantena sono aumentate negli ultimi anni e quindi diventa proprio vitale la presenza di questo servizio all’interno delle nostre aziende».
Lorenzo Sandiford
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- Scritto da Andrea Vitali
Premiato a Pistoia al Memorial Vannucci, all’indomani dell’inaugurazione di un bosco verticale in social housing in Olanda, l’architetto Stefano Boeri si è raccontato al giornalista Luca Telese e ha lanciato chiari messaggi sul futuro dell’urbanistica: necessario aumentare il green nelle città in tutti modi, con attenzione anche ai tetti verdi, e in Italia sono 4 milioni gli edifici del Dopoguerra da sostituire; cruciale pure la connessione delle grandi aree verdi del territorio.
«Vannucci è un interlocutore necessario perché lavoriamo con i grandi numeri. A Prato ad esempio collaboriamo anche con lui per il rivestimento degli edifici con facciate verdi. Ma pure alla Triennale di Milano lo stiamo facendo. Il fatto è che oggi si va anche dai produttori di piante» così come si va dai produttori di materiale edile.
E’ la risposta dell’architetto Stefano Boeri alla penultima domanda (quale è il suo rapporto con il vivaista Vannucci?) del giornalista Luca Telese che lo ha pubblicamente intervistato sabato 2 ottobre al Nursery Campus di Pistoia in occasione del 22° Memorial Moreno e Franca Vannucci, dove è stato insignito del Premio Micco Città di Pistoia. Una esplicita ammissione della nuova centralità dei vivaisti nella professione dell’architetto tout court e non più solo dell’architetto del paesaggio o del progettista di spazi verdi. Almeno nell’approccio all’attività di architetto di un innovatore quale Boeri, che incalzato da Telese ha raccontato alcuni momenti fondamentali della sua storia professionale, ha passato in rassegna alcuni suoi progetti green degli ultimi anni e si è espresso sulle questioni più attuali dell’urbanistica all’epoca dell’emergenza climatica.
Con alcune dichiarazioni significative già prima dell’incontro ai microfoni dei giornalisti. Come quando ha detto, sollecitato sulle prospettive urbanistiche di Pistoia, che essa avrà un «ruolo non diverso da quello di molte città di media dimensione in Italia, cioè città che hanno un rapporto importante col paesaggio verde e col territorio e quindi hanno un ruolo importante nel senso che oggi la connessione delle grandi aree verdi che abbiamo nel territorio italiano è una delle grandi sfide. Da questo punto di vista credo che Pistoia svolga e svolgerà un ruolo importante, come tante altre città e regioni italiane soprattutto della fascia appenninica». E poi quando ha dato una notizia su cui è ritornato dopo nella conversazione con Telese: «ieri abbiamo inaugurato in Olanda ad Eindhoven un bosco verticale in social housing, cioè con un sistema di appartamenti in affitto per giovani a bassissimo costo. Un edificio con tutte le facciate alberate, verde, ma accessibile a tutti. Questo è per noi un grande grande risultato perché abbiamo dimostrato che si può avere un’architettura verde, un ecosistema verde in tutte le città del mondo accessibile a tutti».
L’incontro è stato aperto da un saluto di Vannino Vannucci in cui il titolare della più grande azienda vivaistica del Distretto vivaistico ornamentale pistoiese, richiamandosi alle questioni climatiche al centro della cronaca di questi giorni a Milano, ha detto: «sentiamo la responsabilità di trattare argomenti fondamentali per il futuro quali tutela dell’ambiente, transizione ecologica e politiche green. Dobbiamo valutare che il nostro settore sta vivendo un momento eccezionale per la richiesta di piante, che ci impone di riflettere, perché abbiamo una responsabilità importante. Riteniamo che Pistoia debba recitare un ruolo di primo piano in questo contesto e vogliamo fare la nostra parte con produzioni di qualità e sostenibili. Il futuro può essere roseo».
La conversazione fra Telese e Boeri si è aperta con una domanda su come è nata l’idea del “bosco verticale”, l’edificio ricoperto di piante costruito a Milano che l’ha reso celebre nel mondo: un modello o «format», come l’ha definito Telese, poi imitato da tanti altri. Boeri ha rievocato, tra le lontane fonti d’ispirazione, la madre architetto, autrice «negli anni ’60 vicino a Varese di una casa nel bosco costruita in modo da non toccare le radici degli alberi», e il romanzo il Barone rampante di Italo Calvino, il cui protagonista decide di vivere sugli alberi. Ma soprattutto ha ricordato, come spunto diretto, di quando si trovò a Dubai nel 2005: «era un’esplosione di volumi nel deserto, con 220 grattacieli che stavano sorgendo, ricoperti di facciate di vetro». Una scelta paradossale e per certi versi assurda che lo spinse a pensare che cosa avrebbero potuto essere invece «edifici con facciate tutte coperte da foglie e piante». E di lì a poco arrivò l’opportunità di sperimentare questa idea a Milano, che si concretizzò solo dopo che con un’équipe di esperti, fra cui anche botanici ed etologi, riuscì a dare risposte precise alle 7 domande tecniche poste da uno dei finanziatori con riferimento alle condizioni di possibilità di costruzioni ricoperte di piante a quel modo.
Conversando con Telese, Boeri ha passato in rassegna alcuni suoi progetti degli ultimi anni, fra cui oltre al già citato bosco verticale di Eindhoven, il Bosconavigli di Milano, una sorta di “grattacielo orizzontale” costruito attorno a un olmo centenario: un edificio con facciate verdi di 7 piani e alto 11 metri, con tutti i tetti coperti di piante e abitabili. E «questa è la vera sfida», ha osservato Boeri, i tetti sono uno spazio che dovremmo ripensare nella nuova prospettiva green: «abitabili e coltivabili», la sfida è introdurre le piante negli spazi alti. Boeri ha citato anche quattro boschi verticali in Cina, che sta investendo sia nella forestazione che nelle nuove coperture verdi degli edifici esistenti. E poi ha ricordato anche il progetto Forestami, già ben avviato, che mira a piantare 3 milioni di alberi entro il 2030 nell’area metropolitana di Milano.
«Oggi l’abbiamo capito tutti – ha poi affermato Boeri – che abbiamo bisogno di aumentare le superfici verdi nelle città: tetti verdi, orti condominiali, boschi urbani, corridoi verdi ecc. Non è più un’idea estetica e neanche ideologica, ma una necessità». Del resto, ha aggiunto, «abbiamo solo un modo di assorbire la CO2 già prodotta e lo offrono le piante che, semplificando, si nutrono di CO2. Città più verdi significano vivere meglio». E alla richiesta di Telese di dare un consiglio ai giovani che si stanno impegnando in questi giorni sul fronte ambientale, ha risposto così: «questi ragazzi hanno un ruolo fondamentale per la vita del pianeta: o saranno i primi a subire le conseguenze dei nostri errori o dovranno cambiare radicalmente il modo di vivere sul pianeta. Una via di uscita che non è solo una difesa, ma anche un’opportunità di miglioramento: energie rinnovabili, forestazione, economia circolare e decarbonizzazione porteranno lavoro, sviluppo e nuove idee a tutti i livelli».
Concludendo, Boeri ha richiamato la possibilità di sostituire tanti edifici obsoleti del nostro Paese senza intaccare le bellezze del nostro patrimonio storico-architettonico. In Italia, ha ricordato, esistono 8 milioni di edifici costruiti dopo il 1945 e di questi 4 milioni sono obsoleti: consumano troppa energia, sono degradati e insicuri dal punto di vista antisismico. «L’operazione più logica sarebbe abbatterli e sostituirli con edifici costruiti con caratteristiche migliori. Ma questa cosa non passa, è un peccato»
L.S.
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Il 10 settembre in un convegno all’Accademia dei Georgofili curato dal prof. Francesco Ferrini sono stati presentati alcuni filoni di ricerca in corso e i risultati ottenuti: dall’effetto positivo acuto sui depressi di una passeggiata nella natura, all’aerosol dei boschi e le terapie forestali (su cui è stato elaborato un Protocollo d’intesa nazionale), sino ai benefici del verde durante la pandemia. Ferrini: «il verde non è arredo, ma cura: dobbiamo aumentare le aree verdi delle città per passarvi più tempo e piantare alberi secondo le indicazioni della ricerca scientifica dove possono estrinsecare al massimo i loro effetti positivi».
«Scrittori, filosofi e naturalisti hanno elogiato i benefici della natura per la salute umana, la felicità e il benessere per secoli, ma solo in tempi relativamente recenti i ricercatori hanno iniziato a studiare e quantificare la complessa relazione tra salute umana e verde. La natura osservativa di gran parte della ricerca esistente limita la sua utilità nell'influenzare la pratica e la politica: gli studi clinici randomizzati per valutare i risultati sulla salute sono necessari per dimostrare un nesso causale tra la natura e determinati effetti sulla salute. Ma il ritmo della ricerca sui benefici del contatto con la natura si sta espandendo fortemente e l'aumento dei finanziamenti sta sostenendo ulteriori studi e nuovi approcci alla progettazione sperimentale che forniranno prove ancora più tangibili della connessione tra l'ambiente naturale e il benessere umano».
Questo il commento del prof. Francesco Ferrini, docente di arboricoltura dell’Università di Firenze e presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia, sentito dal Vivaista / Floraviva dopo la conclusione del convegno “Foresta urbana e benessere: sinergie e prospettive fra medicina, psicologia e verde urbano” da lui coordinato il 10 settembre all’Accademia dei Georgofili. Un incontro in cui relatori di diverse discipline hanno offerto uno spaccato dei vari tipi di ricerche in corso e dei primi risultati che stanno emergendo anche sul piano quantitativo e persino sui meccanismi causali dietro a certe correlazioni fra verde e benessere psicofisico.
Come ad esempio la prima relatrice, Francesca Cirulli, del Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e per la Salute Mentale dell’Istituto Superiore di Sanità nel suo intervento su “Salute mentale, natura e verde urbano in una prospettiva neurobiologica”. Dopo una premessa sulla nozione di “biophilia” di Edward O. Wilson e sui benefici del contatto con la natura sulla salute fisica e mentale, Francesca Cirulli ha spiegato che nell’approccio neurobiologico si cercano i meccanismi causali alla base delle correlazioni che si riscontrano fra verde e salute, andando a studiare, per esempio, composti organici volatili delle piante con effetti antimicrobici quali i fitoncidi, che riducono la pressione sanguigna e promuovono la risposta immunitaria. Tra le varie ricerche richiamate, una che con l’ausilio della risonanza magnetica funzionale ha dimostrato che essere nati e aver vissuto in una grande città aumenta la sensibilità agli stimoli stressanti, perché «la vita urbana correla con l’attività dell’amigdala, che aumenta gradualmente dai soggetti che vivono negli ambienti rurali a quelli che vivono nelle metropoli». Un altro esempio da lei citato è uno studio dell’Università di Stanford tramite imaging cerebrale sull’effetto positivo acuto di 90 minuti di passeggiata nel verde (rispetto a identico lasso di tempo passato fra i negozi di una città) con forte riduzione della rumination (il rimuginare) sui pensieri negativi e della corrispondente attivazione di una specifica area della corteccia prefrontale tipiche della depressione.
Nel suo intervento su “Foresta e verde urbano e benessere psicofisico” Giuseppe Carrus, del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, ha prima spiegato in che cosa consiste la psicologia ambientale (la cui associazione internazionale terrà un convegno fra un mese a Siracusa): un «approccio multidisciplinare per capire le relazioni tra comportamento umano, benessere e ambiente fisico» che prevede forti interazioni fra psicologia e scienze forestali ed ecologiche. Poi ha specificato che uno dei suoi principali campi di applicazione è il verde, la natura. Uno dei concetti chiave della disciplina, ha detto Carrus, è quello di “ambiente rigenerativo”, cioè che promuove «la rigenerazione delle risorse psicofisiche che si consumano nella vita quotidiana». Fra le ricerche da lui presentate, una del 2015 intitolata “Ambienti rigenerativi, connessione con la natura e educazione ambientale”, condotta da lui insieme a Ylenia Passiatore, Sabine Pirchio e Massimiliano Scopelliti in scuole d’infanzia, da cui è emerso che ad esempio «nei giorni in cui gli stessi bambini vanno in giardino questa attività li protegge contro gli indicatori di stress». Un altro studio a cui ha partecipato Carrus, pubblicato nel 2021 su ‘Urban Forestry & Urban Greening’, ha testato il ruolo del giardinaggio sulla salute psicofisica durante il lockdown nazionale in Italia. L’ipotesi che l’accesso a un giardino avesse protetto la salute è stata confermata a livello di «dati correlazionali», ma sono necessarie «conferme su rapporti di causa-effetto tramite disegni sperimentali più sofisticati».
Poi è stata la volta di Francesco Riccardo Becheri, fondatore e responsabile scientifico della “Stazione di Terapia Forestale” di Pian dei Termini sulla montagna pistoiese (foto di questo servizio dalla sezione Shinrin-yoku - Bagno nella foresta del sito: terapiaforestale.it), che ha parlato di “Terapia forestale: esperienze, limiti e prospettive”. Dopo aver raccontato come è nata questa esperienza, grazie anche alla collaborazione con il prof. Ferrini e il prof. Pagnini ha ricordato che «la terapia forestale rappresenta uno strumento di medicina preventiva» e che «attraverso il metodo scientifico analizza la relazione terapeutica tra uomo e ambiente forestale e i suoi effetti benefici». Il progetto pilota per la ricerca e lo sviluppo della terapia forestale a Pian dei Termini ha fin dall’inizio guardato come partner e modello a cui ispirarsi al Giappone, dove è molto avanzata. Becheri ha poi segnalato come passo in avanti importante il Protocollo d’intesa siglato da Ministero delle Politiche Agricole, Crea e altre Istituzioni e Università «per la caratterizzazione e qualificazione scientifica delle aree verdi quali fattori di prevenzione e promozione della salute, incluso lo sviluppo di Stazioni di Terapia Forestale sul territorio italiano». Inoltre ha fatto cenno a due ricerche svolte alla sua Stazione, fra cui una a maggio del 2020 in cui è stato dimostrato che il solo guardare video di foreste riduceva il livello di ansia. Concludendo l’intervento, Becheri ha sostenuto che è fondamentale chiarire quali professioni possono praticare legalmente la terapia forestale.
Giuseppina Spano, psicologa che lavora nel Dipartimento di Scienze Agro Ambientali e Territoriali dell’Università di Bari “Aldo Moro”, nel suo intervento su “Salute, benessere e verde urbano: un approccio transdiciplinare”, ha affermato che «studi sperimentali ed epidemiologici hanno fornito molteplici evidenze scientifiche a sostegno degli effetti a breve e lungo termine dell’esposizione alle cosiddette “nature-based solutions”», ovvero soluzioni basate sull’introduzione di elementi vegetali negli ambienti urbani. Tra i risultati menzionati, uno studio che ha mostrato l’«effetto proattivo della natura» per cui gli studenti di college che hanno avuto più contatto con la natura nell’infanzia sono meno soggetti ad ansia e stress oppure uno studio americano che ha evidenziato «una relazione inversa tra sviluppo di Alzheimer ed esposizione al verde», anche se ci sono alcune variabili che interferiscono. Sotto la guida del laboratorio gestito dal prof. Sanesi, hanno studiato l’evoluzione della «Human Health – Environment Interaction Science» (la scienza dell’interazione fra salute umana e ambiente) individuando attraverso l’analisi delle keywords di centinaia di pubblicazioni dal 1970 al 2018 quattro fasi: la fase multidisciplinare (1970-2000) in cui ogni disciplina si occupava del suo «anche se iniziavano interessi comuni o convergenti», la fase cross-disciplinare (2001-2006), la fase interdisciplinare (2007-2013) e la fase transdisciplinare (2014-2018), un nuovo paradigma in cui le keywords diventano comuni a scienze umane e scienze ambientali. Giuseppina Spano ha poi citato uno studio a cui ha partecipato, pubblicato nel 2021 sulla rivista ‘Environmental Research’, che dimostra fra l’altro che «il verde urbano predice positivamente la percezione della qualità della vita in 51 città europee». Infine un altro studio di cui è coautrice su “Covid-19, verde e benessere psicologico” in cui si è provato che «le misure restrittive legate al Covid-19 producono effetti negativi sulla salute psicologica percepita» e che «gli elementi verdi sia indoor (piante, luce, solare, vista del verde) sia outdoor (spazio verde privato e grado di naturalità dell’ambiente esterno) sono risultati associati in modo differenziato a 10 sintomi psicologici autoriportati (ansia, rabbia, paura, confusione, umore altalenante, noia, irritabilità, pensieri ricorrenti, scarsa concentrazione e disturbi del sonno)».
Infine Cecilia Brunetti, dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (IPSP) del Cnr, ha tenuto una relazione sul tema “Terpeni emessi dalle foreste mediterranee: dai metodi di rilevazione ai benefici per la salute umana”. «Il bacino Mediterraneo è uno dei principali hotspot in termini di biodiversità vegetale – ha spiegato – e molte specie di piante mediterranee producono e rilasciano terpeni volatili. Questi composti organici volatili hanno un ruolo chiave per garantire la sopravvivenza delle piante in ecosistemi caratterizzati da condizioni ambientali critiche e la loro emissione dipende da molteplici fattori biotici e abiotici. L’emissione di terpeni in seguito a condizioni di stress può essere vista come parte di una complessa risposta della pianta per alleviare le conseguenze negative dello stress e continuare l’attività fotosintetica. Queste molecole svolgono importanti funzioni antiossidanti a livello cellulare, migliorando così la tolleranza alle alte temperature e alla siccità, agendo anche come repellenti per insetti erbivori».
Ma ciò che interessa dei terpeni, ha continuato Cecilia Brunetti, è anche che forniscono diversi benefici per la salute umana. Tali benefici sono stati studiati di recente ed è stato dimostrato che «passeggiare nella foresta è benefico per l’uomo grazie agli aerosol biogenici» e che l’inalazione di terpeni volatili durante la pratica del “forest bathing” può rinforzare il sistema immunitario migliorando l’attività delle cellule Natural Killer che agiscono contro i tumori e può aiutare a ridurre l’ansia. Brunetti ha passato in rassegna alcuni degli strumenti e metodi usati dai fisiologi vegetali per capire la quantità e i tipi di composti organici emessi dalle piante e ha ricordato un recente lavoro di raccolta di dati nel Parco regionale della Maremma. Le metodologie applicate negli studi di ecofisiologia per misurare le concentrazioni di terpeni nell’ambiente forestale «potranno essere applicate in futuri studi multidisciplinari volti a indagare i composti bioattivi più efficaci nel “forest bathing”».
Riguardo agli effetti benefici delle terapie forestali, in cui si respira aerosol ricco di terpeni, ha ricordato che essi dipendono dalla durata, dalla frequenza e dalla concentrazione dei terpeni, per cui anche dall’orario, perché il picco di terpeni è nelle ore più calde della giornata. Inoltre è determinante anche la struttura chimica dei terpeni presenti nell’aerosol di un bosco. Tra i benefici studiati, gli effetti antipertensivi (osservata una diminuzione della pressione sanguigna) e la riduzione della produzione di cortisolo con diminuzione dei disturbi dell’umore e della depressione. Brunetti ha accennato anche alle basi farmacologiche degli effetti positivi sui disturbi dell’umore: «gli attacchi d’ansia sono spesso associati a una bassa funzionalità del sistema GABAergico e i terpeni sono in grado di modulare i recettori GABA». Ma restano da chiarire alcuni aspetti di questi meccanismi. «Gli alberi delle foreste mediterranee emettono alte quantità di terpeni – ha concluso Brunetti – e ben si prestano alla terapia forestale. Ma l’emissione dipende non solo dallo stato fenologico della pianta, ma anche da condizioni ambientali che vanno a influenzare sia la composizione sia la quantità dei terpeni rilasciati. Per cui, considerando gli effetti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione mediterranea (mortalità diffusa e variazioni nella composizione), ulteriori studi saranno necessari» sulle emissioni di tali composti.
Nel suo commento al termine del convegno, che si è concluso con una relazione su “Il comfort della natura in città fra progettazione e gestione delle foreste urbane e delle soluzioni basate sulla natura” di Fabio Salbitano, del Dagri dell’Università di Firenze (su cui ritorneremo in altra sede), il prof. Ferrini ha tirato le somme su quanto emerso dal convegno e dal confronto fra le diverse discipline: «sostanzialmente è emersa la necessità sempre più forte di incrementare il nostro contatto con la natura e di aumentare il tempo che trascorriamo in essa. Non c’è dubbio che le aree naturali, i boschi, le foreste abbiano un’efficacia molto elevata nel miglioramento della nostra salute e del nostro benessere. Purtroppo, non sempre è possibile avere accesso regolare ad aree naturali ed ecco che appare forte e inderogabile la necessità di ampliare quanto più possibile la percentuale di tessuto urbano occupata da aree verdi, in particolare le aree alberate». «Dobbiamo smettere di pensare al verde urbano come “un arredo” al servizio della città – ha concluso Ferrini - ma dobbiamo pensare a una città al servizio del verde e al verde come una vera e propria cura. E dobbiamo piantare alberi proprio sulla base di ciò che ci dice la ricerca e non tanto per fare numero, piantandoli laddove essi sono più efficaci ed efficienti e dove possono estrinsecare al massimo i loro benefici».
L.S.
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La Commissione europea ha adottato la nuova “Strategia forestale dell’Unione europea per il 2030”. Timmermans: «le foreste europee sono a rischio, vogliamo proteggerle e ripristinarle, migliorare la loro gestione e sostenere i silvicoltori». Ma gli agricoltori (Copa-Cogeca) e i proprietari di foreste (CEPF e ELO) non ci stanno: con questa strategia «non si raggiunge un equilibrio tra le varie funzioni e tra rischi e opportunità, inoltre mancano azioni concrete per sostenere il settore forestale».
«Le foreste ospitano la maggior parte della biodiversità della Terra. Per avere acqua pulita e suoli ricchi abbiamo bisogno di foreste sane; ma le foreste europee sono oggi a rischio. Per questo intendiamo adoperarci per proteggerle e ripristinarle, migliorare la loro gestione e sostenere i silvicoltori e chi se ne prende cura. In fin dei conti, siamo noi stessi parte della natura e lottare contro i cambiamenti climatici e la crisi della biodiversità significa lottare per la nostra salute e per il nostro futuro».
E’ quanto dichiarato il 16 luglio, in occasione dell’adozione da parte della Commissione europea (Ce) della nuova strategia per la protezione e ricostituzione delle foreste dell’Unione europea (Ue) per il 2030, da Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Ce responsabile per il Green Deal. Ma lo stesso giorno, a stretto giro di posta, è arrivata una critica congiunta di Copa-Cogeca, la rappresentanza unita degli agricoltori e delle cooperative agricole europei, e dei proprietari di foreste europei sotto le sigle CEPF (Confederation of European Forest Owners) ed ELO (European Landowners’ Organization): «la strategia mette a rischio l'impegno dei proprietari forestali europei, in quanto non raggiunge un equilibrio tra le varie funzioni delle foreste, tra rischi e opportunità. Inoltre, mancano azioni concrete e globali a sostegno del settore forestale».
Cominciamo col richiamare i punti principali di questa iniziativa fondamentale del Green Deal europeo che rientra nel pacchetto di misure proposto al fine di conseguire una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 e la neutralità climatica nell'UE per il 2050. E che aiuta l’Unione Europea a rispettare l'impegno ad aumentare l'assorbimento del carbonio previsto dalla normativa sul clima e, affrontando contemporaneamente aspetti sociali, economici e ambientali, intende garantire la multifunzionalità delle foreste dell'Ue e sottolineare il ruolo centrale svolto dai silvicoltori. Tutto ciò a partire dalla premessa che «le foreste – come recita il comunicato stampa della Ce - sono un nostro alleato essenziale nella lotta ai cambiamenti climatici: hanno infatti la funzione di pozzi di assorbimento del carbonio e ci aiutano ad attutire gli effetti negativi di tali cambiamenti, ad esempio raffreddando le città, proteggendoci dalla violenza delle inondazioni e riducendo l'impatto della siccità. In Europa, però, esse sono purtroppo oggetto di un gran numero di pressioni diverse, tra cui quelle che derivano proprio dai cambiamenti climatici stessi».
Protezione, ricostituzione e gestione sostenibile delle foreste
La strategia per le foreste stabilisce una prospettiva e azioni concrete per aumentare la quantità e qualità delle foreste nell'Ue e rafforzare la loro protezione, la loro ricostituzione e la loro resilienza. Le azioni proposte aumenteranno il sequestro del carbonio incrementando i pozzi di assorbimento e gli stock di carbonio e in tal modo contribuiranno a mitigare i cambiamenti climatici. La strategia ci impegna a proteggere rigorosamente le foreste primarie ed antiche, a ricostituire quelle in stato di degrado e a garantire una loro gestione sostenibile così da preservare i servizi ecosistemici essenziali che esse ci forniscono e da cui dipende la nostra società.
La strategia promuove le migliori pratiche di gestione delle foreste quanto al rispetto del clima e della biodiversità, sottolinea la necessità di mantenere l'uso della biomassa legnosa entro limiti di sostenibilità e incoraggia un uso efficiente del legno in quanto risorsa, in linea con il principio di utilizzo a cascata.
Garantire la multifunzionalità delle foreste dell'Ue
La strategia prevede anche lo sviluppo di programmi di pagamento ai proprietari e ai gestori di foreste per la fornitura di servizi ecosistemici alternativi, ad esempio nel caso in cui essi decidano di mantenerne intatte alcune parti. Anche la nuova Politica agricola comune (Pac) offrirà l'opportunità di fornire un sostegno più mirato ai nostri silvicoltori e allo sviluppo sostenibile delle foreste. La nuova struttura di governance per le foreste creerà uno spazio più inclusivo affinché gli Stati membri, i proprietari e i gestori di foreste, l'industria, il mondo accademico e la società civile possano discutere del futuro di questo bene prezioso dell'Ue e contribuire a preservarlo per le generazioni future.
Intensificazione del monitoraggio forestale in Ue
La strategia annuncia infine una proposta legislativa mirante ad intensificare nell'Ue il monitoraggio, la rendicontazione e la raccolta di dati sulle foreste. Una raccolta di dati armonizzata a livello dell'Ue, combinata a una pianificazione strategica a livello degli Stati membri, fornirà un quadro completo dello stato, dell'evoluzione e degli sviluppi previsti in futuro per le foreste europee e ciò sarà fondamentale per garantire che le foreste possano svolgere le loro molteplici funzioni per il clima, la biodiversità e l'economia.
Tabella di marcia e obiettivi
La strategia è accompagnata da una tabella di marcia per l'impianto di 3 miliardi di alberi in più in Europa entro il 2030, nel pieno rispetto dei principi ecologici: l'albero giusto al posto giusto e per lo scopo giusto.
Le critiche di agricoltori e proprietari di foreste
I proprietari forestali europei e gli agricoltori, pur riconoscendo qualche miglioramento nel testo adottato dalla Ce e pur apprezzando le affermazioni positive in essa sul ruolo dei proprietari forestali, tuttavia ritengono che la strategia pubblicata dalla Ce non sia equilibrata e ostacoli la multifunzionalità delle foreste dell'Ue e metta in discussione l’attuale gestione forestale sostenibile e di successo dell’Ue.
«La maggior parte delle foreste dell'Ue è di proprietà privata – si legge nel comunicato congiunto di CEPF, ELO e Copa-Cogeca - Pertanto, questa strategia e i suoi obiettivi possono essere attuati solo riconoscendo davvero e rispettando coloro che custodiscono le foreste da generazioni e il loro diritto di proprietà. I proprietari di foreste scelgono l'opzione di gestione forestale più appropriata per i propri terreni, entro i limiti già fissati dalla legislazione nazionale e seguendo principi di sostenibilità e lungimiranza. Come espresso da diversi proprietari diforeste nella campagna "Welcome to my forest" (Benvenuti nella mia foresta), il cambiamento climatico è la sfida più grande che le foreste e i proprietari di foreste devono affrontare e l'unica cosa certa è l'incertezza. Ciò di cui hanno bisogno i proprietari forestali è sostegno politico, sociale ed economico per il loro lavoro e i loro sforzi, non di una strategia che crei ancora più incertezza».
«Un chiaro esempio che illustra il gap tra la strategia e le necessità dei proprietari di foreste – dice il comunicato - è il fatto che non esiste un capitolo specifico sull'adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, né un capitolo sui finanziamenti al di là dei servizi ambientali. Inoltre, le azioni proposte vertono principalmente su un solo aspetto della sostenibilità: quello ambientale». «Alle diversità delle foreste dell'Ue, della loro storia, gestione e proprietà, e alla sfida principale del cambiamento climatico – continua il comunicato - la strategia risponde con un approccio unico e prescrittivo. Prevede un ulteriore sistema di certificazione più vicino alla natura, la promozione del logo Natura 2000 per i prodotti non legnosi, raccomandazioni di evitare pratiche specifiche, un approccio ristretto alla bioeconomia: nessuno di questi principi risponde alle richieste del settore. Al contrario, possono mettere a rischio la gestione sostenibile delle foreste, minare i molteplici servizi per l'ambiente e la società e il contributo delle foreste alla mitigazione dei cambiamenti climatici, con maggiori oneri normativi e minori fonti di reddito nel quadro della gestione forestale».
«Inoltre, - aggiungono agricoltori e proprietari di foreste - aprendo la porta a nuovi indicatori e soglie di gestione forestale dell'Ue, la strategia mette in gioco il processo paneuropeo Forest Europe al quale partecipa l'Ue. Collegato a ciò, la nuova proposta legislativa sull’osservazione, la rendicontazione e la raccolta dei dati delle foreste dell'UE, annunciata nella strategia, non solo sfida la competenza degli Stati membri in materia di silvicoltura, ma solleva anche molti interrogativi da parte dei proprietari di foreste in merito all'obiettivo politico finale e l'attuazione di tale iniziativa».
Pertanto le organizzazioni agricole e dei proprietari forestali «attendono di leggere le reazioni alla nuova strategia del Consiglio europeo e del Parlamento europeo» e dichiarano di essere «fortemente impegnate a svolgere il proprio ruolo nel raggiungimento degli obiettivi del Green Deal, a condizione che si instauri una cornice politica appropriata».
L.S.
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- Scritto da Andrea Vitali
All’inaugurazione del Giardino dei donatori del nuovo ospedale di Prato presentato anche il kit “Giungla in casa per tutti” a cura dell’Associazione vivaisti italiani insieme a Prato Urban Jungle e Fondazione Ami Prato. Per il presidente di Avi Magazzini l’idea è che «l'inverdimento delle aree urbane non può essere realizzato solo dal soggetto pubblico» e il progetto aiuterà ad avere nuove generazioni più preparate su verde e piante. Il sindaco di Prato: alla nostra forestazione daranno un contributo alcune delle maggiori personalità in questo settore, da Mancuso a Boeri. L’assessore Barberis: non solo più piante e vegetazione nelle aree libere intorno agli edifici, ma anche soluzioni naturali negli interni; il progetto “Verde è salute” è centrale per una nuova visione delle città.
«Abbiamo messo insieme un kit di piante di piccole dimensioni per ragioni di comodità e perché possa essere maneggiato facilmente anche da bambini e persone inesperte. L’idea è che i cittadini non possono solo aspettare che le città diventino più verdi. L'inverdimento delle aree urbane non può essere portato avanti solo dal soggetto pubblico ma anche all’interno delle famiglie. Questo kit mira a stimolare, in particolare i bambini e i ragazzi, a diventare essi stessi protagonisti della forestazione urbana».
Con queste parole Luca Magazzini, presidente dell’Associazione vivaisti italiani (Avi), sabato scorso durante l’inaugurazione del “Giardino dei donatori di sangue” del nuovo ospedale di Prato, ha sintetizzato il significato e le finalità del kit “Giungla in casa per tutti” realizzato in collaborazione con Fondazione Ami Prato e Prato Urban Jungle (Puj). Un kit con l’occorrente per realizzare un angolo verde in casa che può essere acquistato - sia nello shop online di Ami e su Agrito.it che in alcuni punti vendita della città fra cui la libreria Giunti, Conad Maliseti e il Mercato Terra di Prato – a fini benefici con 25 €: il ricavato servirà a realizzare il giardino del Pronto soccorso pediatrico dell’ospedale Santo Stefano. Come già illustrato in maggiore dettaglio in un precedente articolo, il kit è concepito in un’ottica ecosostenibile e comprende, oltre a quattro piantine, 10 litri di terriccio Tor-free_21 proveniente da un sistema di economia circolare che recupera il substrato delle piante non più vitali, 500 gr di concime organico, 4,5 litri di cippato quale pacciamante naturale e le istruzioni per la messa a dimora. Istruzioni che sono state illustrate dal vivo, con una dimostrazione in occasione dell’inaugurazione del Giardino dei donatori, dal giardiniere Johnny Pasquinelli, seguito da vicino dall’interessatissimo sindaco di Prato Matteo Biffoni.
Le quattro giovani piante che compongono il kit sono Nandina, Pittosporum (i pittospori), Lonicera (i caprifogli) e Trachelospermum jasminoides (i rincospermi o falsi gelsomini), coltivate in uno speciale vaso fabbricato mediante stampaggio, compressione, “cottura” di un impasto di fibra vegetale e cellulosa, torba bionda e acqua privo di sostanze chimiche e totalmente biodegradabile. «Nell’utilizzo degli ammendanti abbiamo scelto preparati biologici, di recupero o che rispondono ai nuovi criteri della sostenibilità ambientale – ha spiegato Luca Magazzini -. Tra le quattro piante c’è ad esempio un rampicante come il rincospermo che con il tempo può diventare utile anche a scopi di protezione o riparo da sole e vento oppure anche per finalità di privacy. Ma saranno la fantasia e le necessità delle famiglie a valutare come utilizzarlo. In ogni caso è qualcosa che le famiglie avranno modo di sviluppare in prima persona. E probabilmente contribuirà ad avere nuove generazioni con una preparazione più significativa su questi temi».
All’inaugurazione sono intervenuti, oltre al sindaco di Prato, l’assessore all’urbanistica e all’ambiente Valerio Barberis, a cui fa riferimento tutto il progetto Prato Urban Jungle (vedi nostro articolo e nostra intervista), Daniela Matarrese, direttore sanitario del Presidio ospedaliero Santo Stefano di Prato, i paesaggisti Renato Defant e Luca Ghezzi, che hanno curato la riqualificazione del Giardino dei donatori contraddistinta da cinque begli esemplari di alberi Ginkgo biloba nel contesto del progetto “Green Care”, la consigliera regionale di Prato Ilaria Bugetti, che ha detto che questa iniziativa della sua città è un modello da seguire a livello regionale e ha annunciato che la Regione Toscana sarà comunque fortemente impegnata a realizzare tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030, e Claudio Sarti, presidente della Fondazione Ami, nel ruolo di moderatore dell’evento.
«Oggi inizia a prendere forma il nostro progetto “Verde è salute” – ha affermato Daniela Matarrese riferendosi all’intervento a verde nella hall dell’ospedale Santo Stefano e alla riqualificazione del giardino dei donatori -. Che cosa significa? Fin dall’inizio di questa pandemia ci siamo tutti resi conto di quanto l’ecosistema intorno a noi in realtà influenzi la nostra vita». «La vicinanza alle piante – ha aggiunto - è studiata in letteratura scientifica da molti anni ed è ormai risaputo che avere vicino una pianta, un qualcosa che cresce e si trasforma ogni giorno riduce ad esempio la degenza ospedaliera. Non sappiamo quali siano i meccanismi diretti con cui il verde agisce, ma sicuramente agisce sulla nostra psiche e sul corpo. Pertanto effettueremo degli interventi sul verde. Questo è il primo intervento di un intero sistema verde che sarà intorno all’ospedale, che noi chiamiamo Parco Santo Stefano. Ma oltre a questo noi cercheremo anche di produrre insieme ai nostri specialisti dei progetti specifici che mirino a capire quale è l’interazione fra ogni singola persona e il verde. Quindi vedrete crescere il progetto negli anni, perché è un progetto di medio termine che durerà almeno 5 anni e ci servirà. La crescita di una pianta non avviene immediatamente, ma avviene nel tempo, come la vita di tutti noi. Oggi nasce qualcosa che lasceremo ai nostri figlio».
«Noi siamo fortunati perché abbiamo a pochi metri da qui quelli più bravi di tutti con le piante, che sono i vivaisti di Pistoia che ci danno una mano – ha detto il sindaco Matteo Biffoni -. Negli ultimi mesi siamo venuti qui spesso per altri motivi. Perché qui c’era il delirio per davvero e noi profani eravamo terrorizzati per quello che stava succedendo e le donne e gli uomini, i tanti professionisti che lavorano qua dentro, sono stati capaci nel corso di questo anno di darci sostegno e fiducia. Ancora non è finita e non c’è da mollare un colpo, però indubbiamente stamattina il clima è diverso perché stiamo inaugurando una bella cosa e raccontando una bella storia. E questo è un tassello che si aggiunge a un lavoro di tutta la città». «L’altro giorno ad esempio – ha proseguito Biffoni - abbiamo presentato il bando del carbon neutral: più di 400 alberi da piantare in città, un’intuizione vincente di Valerio [Barberis, ndr]… Con noi lavorano tutti i migliori in questo campo: Stefano Mancuso, Stefano Boeri, Treedom, tutti quelli che hanno raccontato che in una città con più alberi si vive meglio. Figuriamoci in un posto come questo, dove oggettivamente in alcuni casi c’è dolore. C’è anche la maternità, è vero, ma per il resto sono luoghi faticosi per chi ci lavora e chi ci sta. Se in una città il verde rende tutto migliore, cioè più gradevole dal punto di vista estetico ma soprattutto più vivibile, figuriamoci in un luogo come questo. E’ un percorso di coerenza che l’ospedale fa insieme alla città».
«Il futuro dell’umanità dipende dalla capacità di avere città con un valore ambientale diverso rispetto a come le abbiamo progettate fino a oggi – ha sottolineato l’assessore Valerio Barberis -. E quindi interventi come questo di riforestazione delle aree libere intorno agli edifici sono un aspetto fondamentale. La sfida di Prato Urban Jungle è questa: una specie di forestazione 2.0 che prova a dare un significato ambientale a delle aree che oggi sono un problema e che sono le maggiori fonti climalteranti. E’ una sperimentazione europea, finanziata da un Programma europeo che si chiama Urban Innovative Actions, che va a sperimentare se utilizzare le cosiddette tecnologie a base naturale negli edifici (facciate, tetti) e in tutto quello che sta intorno per riempirlo di vegetazione può diventare una risposta. Ciò si interfaccia con la riflessione in corso sul fatto che le città devono essere dei luoghi sani e quindi su come gli interventi di forestazione urbana nelle aree libere e gli interventi di nature based solutions negli edifici, come quelli di Prato Urban Jungle, possano diventare un nuovo paradigma di sviluppo urbano in cui le città, come dice il prof. Mancuso, devono essere letteralmente invase dalla natura».
L’assessore Barberis ha poi illustrato i quattro principali interventi del progetto Prato Urban Jungle:
- nel Quartiere di San Giusto, sugli Edifici Epp di via Turchia, grandi edifici di edilizia residenziale pubblica, ci sarà una forestazione e rivegetalizzazione di 200 alloggi che avranno le facciate completamente rivestite di verde. E lo stesso avverrà negli spazi attorno agli edifici con i giardini che diventeranno dei luoghi in cui la città si apre, non più singoli giardini condominiali (spazi semiprivati) ma luoghi aperti alla città. Ci saranno interventi di demineralizzazione, con i parcheggi trasformati in luoghi di socializzazione, e la realizzazione di orti urbani.
- nel Quartiere Macrolotto Zero, al Mercato Coperto, il più denso della città di Prato, un luogo post industriale dove gli edifici hanno occupato completamente la città e non esistono quasi delle aree libere nelle quali abbia diritto di cittadinanza la natura. In questo caso la sperimentazione è anche sull’interno degli edifici. Un intervento del think tank di designer e scienziati vegetali Pnat, cofondato da Stefano Mancuso, che consisterà nell’allestimento di due “fabbriche dell’aria” che depureranno l’interno del nuovo mercato coperto, che tra l’altro sarà inaugurato nella nuova funzione domani. Un tema decisivo perché se le nostre città sono inquinate un grande problema è quello della qualità dell’aria all’interno degli edifici.
- nel Quartiere del Soccorso, alla sede Consiag Estra, affacciata su un’arteria con passaggi di 50 mila veicoli al giorno, l’intervento è in un edificio per uffici, che verrà completamente avvolto da una nuova architettura con grandi vasi contenenti alberi e siepi. Sarà un edificio che assorbirà i raggi solari e produrrà energia, ha detto l’assessore. A caratterizzare l’intervento anche la copertura piana a verde sul tetto.
- ancora nel Quartiere di San Giusto, nell’area commerciale, si punterà su Urban farming e Food Park, con una serra idroponica in cui saranno coltivate piante e ortaggi, toccando così il tema delle politiche alimentari sostenibili e coinvolgendo i giovani in una riflessione sugli stili di vita sani, sul cibo, sull’alimentazione. Un intervento molto complesso quindi, che prevede un partenariato composto da tantissimi soggetti e personalità.
Tornando all’inaugurazione del giardino dei donatori, l’assessore Barberis ha concluso affermando che la collaborazione fra Comune di Prato, Fondazione Ami e Azienda ospedaliera e Società della salute rappresenta «l’inizio di una nuova visione della città in cui la natura è salute».
Lorenzo Sandiford