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La Fondazione Slow Food per la Biodiversità e Table for Two firmano un accordo a sostegno del progetto dei 10.000 orti in Africa. La collaborazione permetterà la realizzazione di 111 nuovi orti
Slow Food è lieta di annunciare che la Fondazione Slow Food per la Biodiversità e Table for Two hanno firmato un accordo che contribuirà in modo sostanziale allo sviluppo del progetto dei 10.000 orti in Africa. Table for Two destinerà una somma importante alla realizzazione di 111 nuovi orti, nonché a eventi di educazione alimentare da tenersi nel corso del 2015. Gli orti coinvolgeranno comunità, scuole e famiglie in Kenya, Ruanda, Tanzania.
Table for Two è un progetto nato nel 2007 in Giappone, che si pone come obiettivo una più equa ridistribuzione delle risorse alimentari a livello globale: in un mondo di 7 miliardi di persone, 1 miliardo soffre di malnutrizione, e un altro miliardo di disturbi legati ad abitudini alimentari scorrette (diabete, obesità) dovute, al contrario, a un eccesso di nutrizione. Table for Two cerca di riequilibrare questa situazione secondo un programma che fornisce pasti dal corretto contributo calorico e nutritivo a oltre 600 società, università, ristoranti e organizzazioni in Giappone, Hong Kong, Italia, Taiwan, Canada, Stati Uniti, Norvegia, Francia e Svizzera. Una piccola parte del ricavato di ogni pasto viene devoluta al progetto per fornire la giusta alimentazione nelle scuole dei paesi in via di sviluppo.
Grazie all’accordo tra Table for Two e Slow Food, le due organizzazioni lavoreranno fianco a fianco per aiutare le popolazioni locali a migliorare il sistema alimentare africano. I nuovi orti permetteranno alle comunità autoctone di coltivare e mangiare cibo fresco e genuino, aiutandole a salvaguardare il valore della cucina locale e a promuovere i saperi e le tecniche tradizionali.
Il progetto dei 10.000 orti in Africa è già operativo in 34 paesi africani, per un totale di circa 1500 orti già realizzati. La partnership aumenterà ulteriormente l’impatto del progetto: gli staff di Slow Food e di Table for Two lavoreranno insieme all’organizzazione di alcuni eventi educativi, come ad esempio i laboratori di “community food experience” presso le località dove saranno realizzati gli orti scolastici. Essi consisteranno in attività di preparazione di piatti tradizionali giapponesi (onigiri, Japanese rice balls, ad esempio) e piatti locali africani. Non solo cucina dunque, ma anche condivisione, attraverso il cibo, delle diverse culture alimentari, giapponese e africana, ed educazione all’importanza di mangiare cibo locale e sano. La realizzazione di questi laboratori vedrà il coinvolgimento di un terzo partner, Peace Kitchen, per far sì che questi momenti di formazione risultino utili il più possibile agli studenti africani. Secondo l’accordo infatti, un terzo dei nuovi orti saranno orti scolastici. Grazie alla creazione di 111 orti e dei laboratori didattici, sarà possibile coinvolgere un gran numero di bambini, insegnanti e genitori, promuovendo un sistema di produzione e di consumo più sostenibile e difendendo il loro patrimonio culinario e l’utilizzo delle colture locali.
Redazione Floraviva
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“Intendiamo sostenere l’agricoltura sociale, dedicando una parte delle nostre risorse allo sviluppo di attività a favore di soggetti svantaggiati e per il recupero di imprese confiscate alla criminalità. L’agricoltura è una straordinaria forza terapeutica che non può essere ignorata. Si pensi, ad esempio, agli ottimi risultati ottenuti con l’ippoterapia, la pet-therapy e l’orticoltura-terapia, per chi soffre di deficit comportamentali, come i bambini affetti dalla ‘sindrome di Down’ “. Lo ha detto Stefano Bianchi, presidente di For.Agri il primo, e per ora l’unico, Fondo Interprofessionale che dedica attenzione al terzo settore, investendo risorse per l’agricoltura sociale.
L’agricoltura sociale è molto diffusa in Italia, anche se ancora poco nota. In Parlamento è in dirittura d’arrivo la legge per regolarla. Nell’ambito di quella che viene ampiamente definita agricoltura sociale, un ruolo predominante, ricorda For.Agri, è svolto dalle cooperative sociali, organizzazioni che, secondo la definizione giuridica data dalla L. 381/1991, hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità all’integrazione sociale dei cittadini, attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi o lo svolgimento di attività diverse – incluse quelle agricole - finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
“Abbiamo riservato – continua Bianchi - risorse specifiche a progetti presentati da queste particolari imprese, che continuano a crescere di numero. Il nostro Fondo Interprofessionale ritiene indispensabile promuovere, e desideriamo continuare a farlo anche in futuro, la formazione e sviluppare capacità e competenze di chi è direttamente coinvolto nella gestione e nell’attività di queste imprese che, oltre a produrre beni agro-alimentari, promuovono l’inclusione sociale, l’inserimento terapeutico e lavorativo di soggetti deboli e svantaggiati, l’organizzazione di servizi per minori e per anziani”.
La cooperazione sociale si inquadra nel più largo aspetto del ruolo multifunzionale dell’agricoltura, che va declinato non solo sul versante delle varie opportunità di reddito per l’azienda agricola, ma anche su quello delle diverse funzioni che l’agricoltura riesce e può ulteriormente esprimere all’interno della società e del sistema Paese. La multifunzionalità dell’agricoltura, conclude For.Agri, spiana la strada a nuovi obiettivi sociali e ambientali.
I NUMERI DEL SOCIALE
In Italia si contano ormai circa 14.000 cooperative sociali e il loro impatto in termini occupazionali è molto elevato, con circa 320.000 lavoratori dipendenti, per una media di 23 lavoratori a cooperativa e l’impiego in media di 530 soggetti ogni 100mila abitanti a livello nazionale.
La cooperazione sociale agricola in Italia conta ormai circa 400 cooperative sociali, impegnate in attività produttive lungo tutta la filiera legata al settore agricolo: dalla coltivazione, all’industria alimentare, al commercio. Sono impiegati circa 4.000 lavoratori dipendenti su tutto il territorio nazionale, per un valore della produzione di 200 milioni di euro.
Oltre il 90% di queste imprese si occupa di attività agricole in senso stretto. In particolare, il 40% di coltivazione di colture agricole non permanenti, l’8% di colture agricole permanenti, l’11% di allevamento di animali e coltivazioni agricole connesse, mentre il 10% si occupa di silvicoltura e utilizzo di aree forestali. Inoltre, un 20% delle imprese è impegnato in attività di supporto all’agricoltura e successive alla raccolta.
ALCUNE ‘CASE HISTORY’
NATURALMENTE è una società cooperativa agricola della provincia di Cuneo che si occupa dell’inserimento sociale e lavorativo di disabili psichici, attraverso il lavoro agricolo. Costituita nel maggio 2009, la cooperativa ha acquisito un cascinale a Murazzano (Comunità Montana Alta Langa), che ha ristrutturato e che ospita l’attività di allevamento di pecore e di trasformazione dei formaggi. Il progetto, con attività in campo, in stalla e in laboratorio, ha finanziato la formazione tecnica di settore, integrata con opportune attività di sostegno, per portare i dipendenti disabili a saper gestire le greggi di pecore.
OIKOS ONLUS di Jesi è un’associazione di volontariato nata nel 1990, su iniziativa di Don Giuliano Fiorentini, con lo scopo di offrire una risposta immediata e diretta al problema della tossicodipendenza. Oikos svolge attività di prevenzione e di cura della tossicodipendenza e di dipendenze patologiche; attività di sostegno e cura di minori vittime di violenza e abusi fisici e psicologici e delle loro mamme. Realizza progetti di prevenzione e promozione del benessere nelle scuole e nel territorio e offre un globale sostegno alle famiglie.
La cooperativa sociale “MADONITA”, di Castelbuono (PA), si occupa del recupero e integrazione di soggetti svantaggiati; dell’inserimento nel mondo del lavoro di emarginati sociali, tossicodipendenti, disabili psichici e non, attraverso attività di formazione e di orientamento professionale, di gestione di centri di lavoro. Le attività finanziate da For.Agri vanno dall’introduzione della permacoltura a quella dell’agricoltura sinergica, dalla qualificazione dell’operatore di fattoria sociale a quella di operatore di attività assistita con asino.
TERRE DI PUGLIA - LIBERATERRA è la cooperativa sociale di Mesagne in provincia di Brindisi, fondata per il riutilizzo dei beni confiscati alla malavita organizzata pugliese. Si tratta di circa venti ettari di terreno coltivati a grano biologico – grazie al quale già nel 2007 sono stati prodotti i primi tarallini pugliesi con marchio Libera Terra– e di circa trenta ettari di vigneto tipico, recuperati dopo anni di abbandono. I progetti finanziati da For.Agri aiuteranno la qualificazione professionale dei dipendenti.
FATTORIE SOCIALI. L’intervento di For.Agri coinvolge 25 imprese di tutto il territorio nazionale e l’attività finanziata intende fornire strumenti utili per avviare percorsi di agricoltura sociale, che ha lo scopo di supportare persone svantaggiate nel loro inserimento lavorativo e sociale e nei loro percorsi terapeutici attraverso l’attività agricola. Gli interventi saranno localizzati in quattro aree diverse del Paese: Piemonte, Toscana, Lazio e Sicilia.
Redazione Floraviva
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Quattro anni fa la loro impresa veniva selezionata per rilevare lo stabilimento Fiat di Termini Imerese e costruire serre fotovoltaiche. Ma quel colosso costruito anche grazie ad amicizie eccellenti, appoggi politici e soldi pubblici è a un passo dalla fine
Non fiori né opere di bene. Solo un miracolo potrebbe salvare i fratelli Ciccolella, re dei vivai, delle rose, degli anthurium e produttori di energie alternative.
Il crollo è stato tanto rapido quanto è stata lenta la costruzione dell’impresa pugliese che, solo quattro anni fa, era stata selezionata da Invitalia fra i candidati a rilevare lo stabilimento Fiat di Termini Imerese con l’obiettivo di riconvertire la catena di montaggio in serre fotovoltaiche. È stato il punto più alto di un’ascesa partita negli anni Sessanta, con il padre fondatore Paolo, passata per la quotazione in Borsa nel 2006 e per una campagna di acquisizioni in Olanda, patria del mercato florovivaistico.
Il 12 febbraio, la Ciccolella Spa è fallita per 700 mila euro su istanza dello studio Segre di Torino, che ha curato la quotazione in Borsa di Ciccolella nel 2006. Fino a giugno del 2014 lo studio Segre ha anche ospitato nella sua sede di via Valeggio le quattro società in cima alla catena di controllo chiamate Vincenzo, Corrado, Antonio e Francesco, come i quattro fratelli di Molfetta.
È stata l’ultima goccia in un vaso pieno di debiti. L’esposizione consolidata complessiva della holding non quotata (Gruppo Ciccolella Srl) è di 225 milioni di euro. La sezione fallimentare del tribunale di Trani ha trasmesso gli atti al sostituto procuratore Antonio Savasta, che aveva già in corso un’indagine sulle società del gruppo.
Quattro giorni dopo il fallimento, il 16 febbraio, la Consob ha comunicato la sospensione dalle contrattazioni della Ciccolella, per quel poco di flottante lasciato sul mercato dai due azionisti principali: il Gruppo Ciccolella (90 per cento) e la Bim (4,7 per cento), oggi controllata da Veneto Banca ma fondata dalla famiglia Segre.
Il fallimento non incide soltanto sulle aziende dei Ciccolella. Le banche, che si erano rassegnate all’ennesima ristrutturazione del debito e a un nuovo piano industriale firmato da Kpmg con traguardo 2017, sono costrette a tifare per il ricorso contro il provvedimento del tribunale, annunciato da Vincenzo Ciccolella. Il più anziano dei fratelli, nato nel 1953, ha sottolineato che il gruppo capitalizza 40 milioni di euro a Piazza Affari. Può darsi che abbia ragione. Il problema sta al gradino superiore, il Gruppo Ciccolella, di cui Vincenzo stesso è liquidatore dal marzo 2014. La controllante è stata cancellata nello scorso dicembre e il suo patrimonio è totalmente in mano agli istituti di credito.
Su 100 ettari di serre, il gioco delle garanzie ha consegnato i vivai e i terreni di Molfetta a Banca Apulia. Sugli impianti di Terlizzi, la cittadina del governatore Nichi Vendola, c’è la Bim con 22 milioni di euro di crediti. Unicredit ha le mani su Melfi e su Candela, che è l’investimento più recente e anche quello che andava meglio grazie all’accordo sulla cogenerazione con Edison. E poi c’è Banca Marche, che ha già iscritto a sofferenza i suoi 64 milioni di euro di finanziamento contro pegno sulle azioni della capogruppo non quotata.
La famiglia Ciccolella, che ha preferito non rispondere alle domande de “l’Espresso”, ha sempre scelto il basso profilo e la politica delle buone relazioni attraverso gli incarichi in consiglio di amministrazione o nel collegio sindacale. Nella governance dei florovivaisti sono apparsi Alberto Bombassei, patron della Brembo e numero due di Confindustria sconfitto da Giorgio Squinzi nella corsa alla presidenza del marzo 2012. L’industriale lombardo si è dimesso dal consiglio a maggio del 2011, due mesi dopo che Corrado Ciccolella era finito agli arresti per un’inchiesta sui contributi pubblici alla centrale a turbogas di Scandale, nel crotonese.
Un po’ più a lungo di Bombassei, fino al 2012, è rimasto Massimo Tezzon, direttore generale della Consob dal 1999 al 2008 e dall’anno successivo presidente del collegio sindacale di Ciccolella, oltre che sindaco della Sator di Matteo Arpe, della Banca Popolare dell’Etruria e dell’Atac durante la giunta di Gianni Alemanno. Un altro ex Consob ed ex Borsa italiana, Enrico Cervone, è stato prima sindaco e poi consigliere di Ciccolella Spa fino al 2013, quando è stato sostituito dal docente di diritto commerciale Gianvito Giannelli, curatore fallimentare del Bari Calcio ceduto all’ex arbitro Gianluca Paparesta.
A dispetto della storia di successo e dell’enfasi sulla buona imprenditoria privata del Sud, le imprese dei fratelli pugliesi non hanno mai disdegnato i rapporti con la politica, quando politica significava finanziamenti. I Ciccolella hanno ottenuto un primo contributo dal Cipe per 20 milioni nel 2004. Il sostegno, sollecitato dal ministro delle Attività Produttive Antonio Marzano, riguardava il contratto di programma dell’area di Melfi. Nel 2009, ancora con Silvio Berlusconi premier, sono arrivati altri 17 milioni per il contratto di programma di Candela, in provincia di Foggia. Claudio Scajola era il ministro dello sviluppo economico. Nello stesso periodo la Alibio, controllata dalla società Fratelli Ciccolella, ha ricevuto altri 15 milioni di euro di fondi pubblici per la centrale a turbogas di Scandale. Oltre all’arresto di Corrado Ciccolella e al fallimento di Alibio, l’avventura calabrese ha provocato, fra l’altro, un danno erariale quantificato dalla Guardia di Finanza in 13 milioni. Anche contro questa richiesta i Ciccolella hanno presentato ricorso.
La vera svolta verso il declino dell’epopea di rose e fiori risale all’inizio del 2013, dopo la rottura delle relazioni sindacali dovuta al mancato accordo su 242 licenziamenti negli impianti di Candela, Melfi e Terlizzi-Molfetta. A febbraio di due anni fa il tribunale di Amsterdam ha dichiarato il fallimento di Ciccolella holding international Bv, cassaforte della campagna acquisti estera condotta a ridosso della quotazione. Al momento di chiudere i battenti, la capogruppo olandese aveva 230 milioni di euro di ricavi, 30 milioni di debiti e 300 dipendenti, in seguito tutti licenziati. La svalutazione delle partecipazioni estere si è aggiunta alla crisi generale del mercato dei fiori, che ha portato i fratelli pugliesi a sospendere la produzione delle rose e a limitarsi agli anthurium.
In osservanza della legge di Murphy (“se qualcosa può andare male, andrà male”), il 2013 horribilis dei Ciccolella si è chiuso a dicembre con la sospensione delle ultime rate di contributi ministeriali per i contratti di programma di Candela e di Melfi. La decisione porta la firma dell’allora ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato, e ha provocato l’ennesimo ricorso degli imprenditori, questa volta al Tar del Lazio, che ha girato la questione ai tribunali amministrativi di Puglia e Basilicata.
Alla fine del 2013, il grosso dei ricavi di Ciccolella era rappresentato dai 56 milioni di euro incassati per il contratto sull’energia con Edison e subito messi a disposizione del pool guidato da Unicredit, con cui in passato i Ciccolella sono stati in causa per i prodotti derivati. Dopo il fallimento della società quotata, la Procura di Trani sta passando al setaccio i finanziamenti pubblici legati ai contratti di programma.
Oltre a questi controlli, ci sarà un’analisi delle operazioni della holding (Gruppo Ciccolella) che, a detta dei magistrati, sono tutte da verificare.
Fonte l'Espresso
di Gianfrancesco Turano
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La Fondazione Riccardo Catella, in collaborazione con Fondazione Nicola Trussardi e Confagricoltura, presenta un percorso di agricoltura urbana che inizia da "Wheatfield" (Campo di grano), opera d’arte ambientale di cinque ettari, firmata Agnes Denes. Gli otto mesi di esperienze agricole inizieranno questo sabato, 28 febbraio, con la prima semina di grano e erba medica, a cui sono invitati tutti i cittadini. Grande entusiasmo fra gli organizzatori, fra cui Beatrice Trussardi, presidente della Fondazione Trussardi: "Ora, con il progetto di Agnes Denes, la Fondazione sviluppa ulteriormente la sua vocazione all'urbanistica e all'architettura, invitando il pubblico a reinventare la città insieme all'arte".
Il progetto “MiColtivo. The Green Circle" si presenta perfettamente in linea con il tema di Expo 2015 "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita" riportando all'attenzione dei cittadini alcuni determinanti valori: la condivisione del cibo e dell'energia, la salvaguardia del territorio e dell'ambiente, la crescita sociale ed economica nel rispetto della qualità della vita degli individui e delle comunità. Il percorso rientra nel palinsesto di iniziative civico–culturali dedicate a “Porta Nuova Smart Community”, promosso da Fondazione Riccardo Catella per il 2015. Al centro di Milano si percorreranno quattro tappe, la prima è rappresentata da "Wheatfield" (Campo di Grano), opera d’arte ambientale dell’artista americana Agnes Denes (1931): un campo che si estenderà per 5 ettari all’interno dell’area che ospiterà il futuro parco pubblico la “Biblioteca degli Alberi”. La seconda tappa è segnata da una video mostra didattica, allestita al piano terra della sede della Fondazione Riccardo Catella, che da aprile racconterà l’opera e le tematiche del progetto. Si passerà poi a “Coltiviamo insieme!”: un orto con frutteto di 4.000 m, realizzato dalla Fondazione Riccardo Catella in collaborazione con Confagricoltura, in un’area adiacente al giardino pubblico di via De Castillia, 28. In parallelo si svilupperà un programma di attività didattiche sulla coltivazione e sull’educazione alimentare, rivolto soprattutto a bambini e famiglie. L'ultima tappa è dedicata alla biodiversità: attraverso un totem digitale che affronterà il tema partendo dall’esperienza del Bosco Verticale, vincitore dell’International Highrise Award 2014. Da fine febbraio a ottobre i cittadini saranno coinvolti nelle varie fasi di coltivazione del grano, dalla semina alla raccolta. Si inizia sabato 28 febbraio, dalle 14.00 alle 16.00, con ritrovo presso il giardino pubblico di via De Castilla 28: come vuole la tradizione agricola lombarda, insieme alla semina del grano, ci sarà anche quella dell’erba medica che darà poi vita a un grande prato costellato di fiori azzurri. Si proseguirà poi sabato 11 aprile con l'apertura ufficiale al pubblico del campo di grano, in occasione di Miart 2015, fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano. Infine, verso metà luglio, il grande appuntamento della mietitura. Nel rispetto della tradizione agricola e dell’idea dell’artista, cittadini e turisti di tutto il mondo saranno chiamati a partecipare alla grande festa del raccolto. "Con la nostra convinta adesione a questo progetto vogliamo confermare che la nostra idea di agricoltura è quella di un'attività profondamente legata al territorio, alla socialità, alla persona. Il legame tra prodotto dell'agricoltura ed individuo è, per sua natura, imprescindibile e quotidiano – ha detto il presidente della Confagricoltura Mario Guidi -.
Redazione Floraviva
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La proposta presentata dall’Autorità per l’energia i primi di febbraio per la riforma delle tariffe elettriche dei clienti domestici non trova in accordo Legambiente. L'associazione ritiene infatti che non sia premiata la riduzione dei consumi e della spesa energetica delle famiglie. "Nonostante gli intenti siano condivisibili, tra cui la volontà di spingere gli usi elettrici diventati oggi competitivi anche da un punto di vista ambientale - commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente - la revisione delle tariffe proposta dall’Autorità non aiuta le famiglie, né risponde alle sfide che l’Italia deve cogliere per ripensare il sistema energetico".
Per Legambiente si vanno a penalizzare i comportamenti virtuosi degli utenti e si aggrava la situazione per la maggior parte di loro, soprattutto per le famiglie poco numerose e gli anziani, come già messo in evidenza dalle associazioni dei consumatori. In attuazione del decreto sull’efficienza energetica (102/2014), la proposta dell’Autorità prevede quattro possibili opzioni per la nuova struttura tariffaria, che porterebbero a superare la progressività rispetto ai consumi, a cancellare la distinzione residenti-non residenti e a riformare il bonus sociale per le famiglie meno abbienti. Rispetto a oggi in proporzione pagherebbe meno chi consuma di più, nota Legambiente, tanto che, secondo alcune simulazioni, l’aggravio medio per le famiglie con consumi bassi si attesterebbe tra il 15 e il 20%. Inoltre, la revisione degli oneri di rete e di sistema, spostati dalla componente variabile a quella fissa, penalizzerebbe l’autoproduzione da fonti rinnovabili. Il risultato che preoccupa Legambiente, se fossero introdotte queste novità, sono gli aggravi certi per larga parte delle famiglie, in particolare quelle a basso reddito, che non possono nemmeno accedere all’Ecobonus per gli interventi di efficienza energetica in quanto in possesso di limitati o nulli redditi da detrarre. Secondo Zanchini occorre: "ripensare le tariffe per premiare gli interventi di riduzione dei consumi da parte degli utenti, attraverso l’efficienza e l’autoproduzione. Chiediamo all’Autorità di aprire un confronto sulle proposte più efficaci in questa direzione, anche guardando all’esperienza di altri Paesi”. Il Decreto Concorrenza, approvato il 20 febbraio dal governo, prevede inoltre che nel 2018 tutti i contratti passino al mercato libero, attraverso l’abolizione del cosiddetto “servizio di maggior tutela”. Anche questa decisione motiva per Legambiente la necessità di disporre di obiettivi chiari sul futuro delle bollette e di regole trasparenti, per evitare che si determinino conseguenze sociali e ambientali rilevanti nei prossimi anni.
A. L.