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fitosanitari

Per l’Organizzazione delle Nazioni Unite l’uso dei pesticidi in agricoltura provoca 200 mila decessi l’anno, soprattutto nei paesi meno sviluppati. Tali prodotti inoltre non servirebbero nemmeno, secondo l’Onu, che sottolinea: «Non sono necessari per garantire l’aumento della produzione agricola per una popolazione in crescita».

Il rapporto degli inviati speciali dell’Onu per il Diritto al cibo, Hilal Elver, e per le Sostanze tossiche, Baskut Tuneak, spinge ad un’importante riflessione sull’uso dei fitofarmaci in agricoltura. Secondo il rapporto, infatti, questi sono responsabili per un numero stimato di 200 mila decessi l’anno per avvelenamento acuto (il 99% avviene nei paesi in via di sviluppo). 
Solitamente si pensa che l’agricoltura intensiva industriale, fondata su un uso massiccio dei pesticidi, sia necessaria all’aumento del raccolto per sfamare la popolazione mondiale in crescita, ma si tratta di una convinzione sbagliata. Secondo gli inviati Onu la popolazione globale negli ultimi 50 anni è più che raddoppiata, mentre la terra arabile disponibile è aumentata solo del 10%. 
I fitofarmaci causano danni dimostrati scientificamente: inquinano l’ambiente, uccidono o fanno ammalare le persone, destabilizzano l’ecosistema alterando il rapporto tra prede e predatori, limitano la biodiversità. Tuttavia, come ricordano gli inviati Onu, le aziende del settore agricolo e quelle produttrici di fitofarmaci hanno adottato una negazione sistematica della portata del danno causato da queste sostanze. 
Per l’Onu non esiste un trattato generale che regoli i pesticidi altamente pericolosi, eppure anche senza di questi, o facendone un uso moderato, è possibile produrre cibo nutriente e sano.
 
Redazione
floraviva, prodotti biologici, bio

L’anno scorso l’autorità di controllo ha svolto in Italia 38.756 ispezioni: i controlli su ortofrutta e caseari bio non hanno evidenziato tracce di fitofarmaci o sostanze non ammesse. Nelle aziende biologiche la frequenza di irregolarità è meno di un quarto di quella delle altre aziende alimentari. 

Il successo e la continua crescita del biologico in Italia sono così confermati dai dati diffusi da FederBio relativi alle attività di ispezione e controllo, condotte nel 2016 dall’Ispettorato centrale del Ministero delle politiche agricole. Sono state effettuate 38.756 ispezioni e prelevati 9.554 campioni, poi sottoposti ad analisi chimiche. 
In nessuno dei 109 campioni di frutta e ortaggi e dei 27 campioni di prodotti lattiero caseari biologici è stata trovata la minima traccia di residui di fitofarmaci, né di altre sostanze, quali additivi e coadiuvanti, non ammesse nella produzione biologica. Di tutti i campioni prelevati (tra prodotti senza marchio di qualità, come Dop, Igp, vini Igt, Doc e Docg e prodotti biologici) è risultato irregolare il 9,4% con punte del 25,4% dei campioni di vino, del 13% in quelli di ortofrutta, del 6,4% di olio e del 4,8% di lattiero caseari.
Le violazioni più frequenti su prodotti non biologici sono state: sofisticazione, uso di conservanti non consentiti, residui di fitofarmaci non consentiti o oltre il limite, composizione non conforme ai requisiti di legge o a quanto dichiarato in etichetta. 
FederBio riporta anche i dati inerenti le aziende biologiche: nel 2016 solo il 5,7% dei loro prodotti ha presentato qualche irregolarità, a fronte di una media nazionale delle imprese agroalimentari di 23,6%. Nelle aziende biologiche, dunque, la frequenza di irregolarità è meno di un quarto di quella registrata nella media delle altre aziende alimentari. L’ottimo risultato si deve ad una maggiore efficacia del sistema di controllo, affidato ad organismi di certificazione accreditati e autorizzati, e dall’affidabilità delle aziende biologiche, le prime ad avere la responsabilità di garantire al consumatore la conformità dei loro prodotti.
 
Redazione

irrigazionebasilico

Dal laboratorio fitopatologico del CeRSAA di Albenga le osservazioni di danni riconducibili all'uso della tecnologia della sub-irrigazione, che, nonostante gli indubbi vantaggi, presenta alcune problematiche che si manifestano con fenomeni di appassimento e avvizzimento associati ad alterazioni necrotiche della base delle piante.

L’utilizzo di sistemi fuori suolo dotati di distribuzione della soluzione nutritizia mediante sub-irrigazione presenta numerosi vantaggi soprattutto di tipo organizzativo. In particolare la sub-irrigazione permette di limitare l’utilizzo di irrigatori singoli per ciascun contenitore o lastra di coltivazione, potendo pertanto semplificare l’impiantistica del sistema irriguo. 
Nonostante questi indubbi vantaggi, che rendono tale sistema di distribuzione dell’acqua e della soluzione nutritizia molto popolare tra i coltivatori, sono stati osservati recentemente dai tecnici del Laboratorio Fitopatologico del CeRSAA di Albenga alcuni casi di danni riconducibili proprio all’uso di tale tecnologia. Recentemente, su una coltivazione di basilico effettuata in vaso di diametro 14 cm, sono stati lamentati danni causati da un’alterazione basale particolarmente grave successivamente alla fase di germinazione e levata della coltura, ovvero dopo circa 30-50 giorni dalla semina. 
I danni essenzialmente si manifestavano con fenomeni di appassimento e avvizzimento associati ad alterazioni necrotiche della base delle piante. Su tali piante, a livello basale, veniva isolato con una non elevatissima frequenza un fungo riconosciuto successivamente come l’agente della muffa grigia (Botrytis cinerea). La presenza di tale fungo all’interno della coltura non destava particolare sorpresa nel coltivatore, essendo molto comune soprattutto in fase di pre-commercializzazione. Ciononostante appariva curiosa la presenza di tale fungo a livello basale. Piante alterate rese presso il laboratorio e conservate in una serra in ferro vetro su bancali sopraelevati riscaldati, ma non più irrigati mediante sub-irrigazione, andavano però incontro ad un'immediata remissione dei sintomi. Questa osservazione non confermava, quindi, la prima ipotesi che considerava quale agente parassitario principale Botrytis cinerea
Vale la pena ricordare, inoltre, che effettuando altre verifiche per determinare la presenza di Botrytis cinerea su piante non più sintomatiche, tale fungo non veniva più rinvenuto, mentre era rinvenuto con elevata frequenza la presenza di Umbelopsis spp. un fungo non indicato come agente parassitario, bensì come agente di alterazione di materiale organico in decomposizione. Al contrario, all’interno della coltivazione nell’azienda, il problema continuava a presentarsi nelle modalità sopradescritte. 
A questo punto venivano considerate altre ipotesi tra cui quella della alterazione non parassitaria da ricondurre ad altri fattori. Trattandosi di una coltura effettuata con sistema di irrigazione per sub-irrigazione veniva quindi valutata la presenza di eventuali elevate concentrazioni saline sulla superficie dei contenitori. Le risultanze dell’osservazione confermavano questa ipotesi portando ad evidenziare valori di conducibilità elettrica superiori a 4 mS/cm con un rapporto matrice/acqua 1:1.5. 
L’effettuazione di osservazioni in microscopia ottica alla base delle piante, inoltre, permetteva di verificare la presenza di lesioni, ovvero di spaccature, dei tessuti in corrispondenza della superficie del substrato di coltivazione. A livello di tali microlesioni da nuovi campioni raccolti presso l’azienda, ove continuavano a verificarsi fenomeni di appassimento avvizzimento già descritti, si continuava ad osservare con costanza la presenza di Botrytis cinerea. A questo punto, procedendo ad una nuova calibrazione della composizione della soluzione nutritizia, ovvero alla completa eliminazione di sali a base di solfato, si constatava la significativa riduzione del valore di conducibilità elettrica a livello della superficie del substrato e la totale scomparsa dei fenomeni di appassimento e avvizzimento.
Va detto che durante il periodo intercorso tra la prima osservazione del problema e l’individuazione della causa, nell’azienda si constatava la possibilità di favorire la remissione del sintomo mediante applicazione di fungicidi antibotritici finalizzati al contrasto delle infezioni del fungo a livello basale. 
 
Redazione

Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto attuativo che reintroduce l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta. Lo schema sarà inviato ora a Camera e Senato per i pareri.

Tale obbligo era già sancito dalla legge italiana, ma è stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare. L’Italia ha stabilito la sua reintroduzione al fine di garantire, oltre che una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute.
Lo schema di decreto sarà inviato ora alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato per i pareri. La legge di delega affida la competenza per il controllo del rispetto della norma e l’applicazione delle eventuali sanzioni all’Ispettorato repressione frodi (Icqrf). Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni, per lo smaltimento delle etichette già stampate, e fino a esaurimento dei prodotti etichettati prima dell’entrata in vigore del decreto ma già immessi in commercio.
«Questo provvedimento – ha commentato il ministro Martina – si inserisce nel lavoro che stiamo portando avanti per dare massima informazione ai cittadini sugli alimenti che consumano. Per questo abbiamo voluto inserire di nuovo l’obbligo di riportare in etichetta lo stabilimento di produzione dei cibi. Diamo una risposta anche alle tantissime aziende che hanno chiesto questa norma e hanno continuato a dichiarare lo stabilimento di produzione nelle loro etichette. Il nostro lavoro non si ferma qui, porteremo avanti la nostra battaglia anche in Europa, perché l'etichettatura sia sempre più completa. La valorizzazione della distintività del nostro modello agroalimentare passa anche da qui».
 
Redazione 

aquarelle

L'abitudine all'acquisto online si sta ormai radicando nei consumatori, che non si fermano più dal fiorista per comprare dei fiori prima di visitare qualcuno. Royal FloraHolland ha svolto un'indagine di mercato per monitorare questo radicale cambiamento, i cui numeri parlano chiaro, e per porre i fioristi di fronte al dato di fatto: devono innovarsi per restare competitivi. 

Il comportamento dei consumatori sta cambiando velocemente negli ultimi anni e sta avendo un impatto diretto anche nel settore dei fiori: secondo lo specialista di mercato di Royal FloraHolland, Erwin Sneiders: «Il fiorista si ritrova a confronto con minori guadagni e aumento dei costi. La pressione discale sta aumentando sui fioristi olandesi, così come su quelli dei Paesi vicini.»
Per Royal FloraHolland si tratta di uno sviluppo che richiede un attento monitoraggio: il commercio tradizionale è ancora il maggiore compratore di fiori e piante, ma la concorrenza aumenta. Mercati, garden center e supermercati stanno strappando una significativa quota di mercato ai fioristi con i loro prezzi bassi. Inoltre, la proporzione di acquisti online continua ad aumentare, grazie anche ai sorprendenti e innovativi concetti che entrano nel mercato dei fiori e delle piante. 
584-204-florever.gifLa ricerca fatta da Royal FloraHolland sui consumatori rivela che essi, in Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi, trovano sempre più normale acquistare fiori o piante nei negozi online. I numeri parlano da soli: nel 2016 il “box flower delivery” è stato responsabile dell'8% delle vendite di fiori recisi nel Regno Unito e del 13% del denaro speso nel settore. 
Negli altri tre paesi i numeri non sono ancora così evidenti, ma è prevista un'ulteriore crescita. Nel 2016 nei Paesi Bassi si è speso il 5% online, in Germania il 4%, in Francia il 2%. Se si aggiungono poi gli ordini effettuati sui siti web di fioristi, organizzazioni di trasporto e supermercati, le percentuali salgono. Nel Regno Unito diventano il 23%, in Francia il 14,5%, nei Paesi Bassi e in Germania circa il 12%.
Come possono attrezzarsi allora i fioristi di fronte alla concorrenza? Le domande che i fioristi dovrebbero porsi, secondo Royal FloraHolland, sono le seguenti:
- Come mi approccio professionalmente alla gestione operativa del lavoro, spendo abbastanza tempo e attenzioni all'aspetto del mio negozio e al marketing?
- Devo investire nel rapporto coi miei clienti?
- Ho un'immagine chiara del mio valore aggiunto (proposta di vendita unica) per i clienti?
- Fino a che punto posso estendere l'offerta di piante da appartamento o articoli correlati accanto ai fiori?
- Fino a che punto posso esplorare altri target group piuttosto che i privati?
Sorprende che, ancora oggi, la stragrande maggioranza dei fioristi lavori in modo indipendente: questo porta spesso il rivenditore ad essere costretto a rispettare metodi di acquisto tradizionali. In Germania e Francia le catene in franchising sono sorte perché capaci di affrontare meglio le nuove sfide. La loro quota di mercato è ancora relativamente bassa, ma in Francia rappresentano già il 10% del numero totale di fioristi del paese.
Per Royal FloraHolland se i fioristi vogliono essere competitivi, devono concentrarsi sull'aspetto creativo del loro mestiere e distinguere se stessi con concept innovativi di negozio. Questo permetterà loro di sorprendere continuamente i propri clienti ed eccellere nel servizio. 
In altre parole: porre più attenzione all'aspetto visivo del proprio negozio, organizzarlo in modo più intelligente dal punto di vista dell'acquisto, offrire un assortimento unico, formare relazioni con i propri clienti e sviluppare un approccio multi-canale.
 
Redazione