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La giusta direzione è aumentare il verde urbano, e verso questo obiettivo va la mozione approvata dal Consiglio regionale della Toscana. Aria più pulita da un lato e stimolo allo sviluppo del florovivaismo, fabbrica del verde che ha in Pistoia la sua capitale.

«Bisogna intervenire in modo strutturale per combattere lo smog con un bonus fiscale verde per favorire la diffusione di parchi e giardini in città capaci di catturare le polveri e di ridurre il livello di inquinamento, -dichiara Simone Ciampoli, direttore di Coldiretti Pistoia-. E qui in Toscana si è inserito un altro tassello per rendere più agevole e conveniente avere più alberi e piante nelle città. Bene hanno fatto i consiglieri regionali pistoiesi, Marco Niccolai e Massimo Baldi, a proporre la mozione che poi è stata approvata dal Consiglio regionale».
La mozione implica l'impegno della Giunta regionale di attivarsi con Anci Toscana per coordinare con i Comuni misure per la qualificazione del verde urbano nelle città, ma anche a rilanciare nella Conferenza Stato-Regioni la questione delle agevolazioni fiscali sul verde privato, supportando le iniziative legislative.
Una pianta adulta - sottolinea la Coldiretti - è capace di catturare dall’aria dai 100 ai 250 grammi di polveri sottili, un ettaro di piante elimina circa 20 chili di polveri e smog in un anno.
Stimolare la diffusione del verde pubblico e privato è un’opportunità importante da sfruttare anche per evitare il rischio della maximulta in arrivo dall’Ue per lo sforamento dei limiti di polveri sottili. Possibilità purtroppo concrete: la Commissione Ue ha avviato la seconda fase della procedura d'infrazione contro l'Italia per l’inquinamento eccessivo riscontrato nell'aria di città come Roma, Milano e Torino. Secondo l’analisi della Coldiretti queste metropoli italiane hanno una ridotta disponibilità di spazi verdi che concorrono a combattere le polveri sottili e gli inquinanti gassosi, che va dagli appena 15,9 metri quadrati di verde urbano per abitante a Roma ai 17,2 di Milano fino a 21 di Torino.
«Aumentare la superficie a verde avrebbe ripercussioni positive sul nostro florovivaismo -conclude Coldiretti-, che a livello Toscano rappresenta il 15% della produzione lorda vendibile florovivaistica nazionale e circa il 30% della produzione lorda vendibile dell’intero settore agricolo della Toscana»
 
Redazione

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Dopo Flora Toscana anche Cia Pistoia risponde all’appello di Giurlani per il rilancio del Distretto. Sandro Orlandini è d’accordo col sindaco sul coinvolgimento di tutti i Comuni ad alta vocazione florovivaistica del territorio distrettuale pistoiese e lucchese e sul ruolo strategico del Mercato dei fiori della Toscanacittà di Pescia. A Valter Incerpi dice: «condivido la necessità di ripensare la strategia distrettuale, ma ricordandosi che nell’approccio di Agrinsieme la produzione si aiuta considerando tutti i segmenti della filiera». 

Il presidente di Cia Pistoia Sandro Orlandini risponde all’appello per il rilancio del Distretto floricolo interprovinciale Lucca Pistoia del sindaco di Pescia Oreste Giurlani, che nei giorni scorsi ha chiesto alle associazioni di categoria e ai Comuni ricadenti nel territorio distrettuale, a cominciare da quello di Viareggio, di partecipare al rinnovamento del distretto, divenuto non prorogabile sia perché il mandato del Comitato di distretto è scaduto da fine 2014 sia perché sta per essere approvata una nuova legge regionale sui distretti che cambia le regole del gioco. Il presidente di Cia Pistoia, aderendo all’appello di Giurlani, replica anche alle dichiarazioni del direttore di Flora Toscana Valter Incerpi, che qualche giorno fa si è detto d’accordo con il sindaco di Pescia sulla necessità di far ripartire su nuove basi il Distretto floricolo interprovinciale, ma ha messo nero su bianco alcune indicazioni su come procedere al rilancio che, a parere di Orlandini, hanno bisogno di alcune integrazioni, a cominciare dal ruolo da attribuire al Mefit (Mercato dei fiori della Toscanacittà di Pescia) all’interno delle politiche distrettuali e dall’impossibilità di mettere al centro la produzione senza considerare anche tutto il resto della filiera floricola sino al momento delle vendite ai consumatori.  
«Stiamo con il sindaco Giurlani – afferma Sandro Orlandini – nel suo tentativo di coinvolgere e chiamare a partecipare al ripensamento del distretto floricolo interprovinciale non solo le associazioni degli agricoltori, ma anche i sindaci degli altri Comuni ad alta vocazione florovivaistica presenti nel territorio distrettuale, perché ovviamente il piano di sviluppo del distretto floricolo, che sarà obbligatorio con la nuova legge regionale dei distretti, li riguarderà direttamente». «D’accordo con il sindaco di Pescia – prosegue Orlandinianche sul fatto che all’interno delle nuove politiche distrettuali il Mefit non potrà più essere trascurato, ma anzi dovrà assumere un ruolo fondamentale. La scelta fatta dalla Regione a fine 2016 di dare sostegno finanziario al Mefit per l’adeguamento strutturale e di partecipare alla cabina di regia per il suo business plan parla chiaro in tal senso».
«Riguardo alle dichiarazioni alla stampa del direttore di Flora Toscana – aggiunge Orlandini – condividiamo il suo invito al presidente uscente Marco Carmazzi a convocare presto una riunione per avviare il rinnovamento del Distretto, reso indispensabile anche perché il suo mandato è terminato da oltre 2 anni, e che ci sia bisogno di “ripartire su nuove basi”. Ma proprio per questo vogliamo precisare due punti (oltre al già citato ruolo strategico del Mefit): 1) nell’approccio di Agrinsieme (il coordinamento che rappresenta le aziende e le cooperative di Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari) la produzione si può aiutare davvero solo considerando tutti i segmenti della filiera; 2) per una nuova strategia del distretto che sia al passo coi tempi lo studio sulla logistica di Lucense del 2012, cioè di cinque anni fa, non deve costituire la fotografia di riferimento, ma solo un utile spunto per nuove indagini. A parte queste due integrazioni, concordiamo con lui». 
 
Redazione

Un settore che vale 2,5 miliardi e vanta 100 mila addetti in 27 mila aziende: questi i numeri del florovivaismo italiano riportati dal Ministro Martina, che ricorda come questo non sia solo Sanremo. Il Mipaaf a sostegno di salvaguardia del reddito, tutela sui mercati internazionali e ricerca

«Sanremo - ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina - offre un palcoscenico unico e privilegiato ai fiori d’Italia e più in generale al florovivaismo italiano. Un settore che vale complessivamente oltre 2,5 miliardi di euro e con 100mila addetti in 27mila aziende. Un settore che vogliamo sostenere puntando su 3 pilastri fondamentali: salvaguardia del reddito, tutela sui mercati internazionali e ricerca. Sul primo fronte è l'impegno costante che stiamo portando avanti per gli agricoltori. Per tutelare il reddito interveniamo sulla leva fiscale e una prima risposta è arrivata con l’azzeramento della Irpef agricola con la legge di Bilancio 2017, ma credo vada approfondita un’analisi sugli incentivi al verde urbano. Si tratta di un settore cruciale anche per rendere sempre più sostenibili le nostre città e contribuire così alla protezione della salute dei cittadini, a partire dai più piccoli. L'idea di un bonus verde come quello per l'edilizia deve essere presa in considerazione come investimento strategico. Continueremo poi il nostro impegno in Europa per tutelare il florovivaismo made in Italy dalle importazioni a basso prezzo da Paesi extraeuropei che penalizzano le produzioni nazionali. Sul fronte della ricerca, potrà essere ulteriormente sviluppato l’impegno del Crea per dare risposte utili alle nuove esigenze del settore».
IL FLOROVIVAISMO IN NUMERI
Il florovivaismo in Italia vale oltre 2,5 miliardi di euro, di cui circa 1,15 per la sola produzione di fiori e piante da vaso. Sono ben 27mila le aziende impegnate nel settore, per un totale di 100mila addetti e quasi 29mila ettari di superficie agricola complessivamente occupata. Per quanto riguarda le giovani piante ornamentali, in Italia sono interessate ben 2mila aziende per una superficie complessiva di oltre 1500 ettari.
NON SOLO SANREMO
Non solo la Liguria. Tra le regioni più vocate per i fiori recisi e le fronde ci sono la Toscana, il Lazio, la Campania, la Puglia e la Sicilia. Per le piante in vaso e da vivaio, invece, la produzione è distribuita su molte regioni. Tuttavia vanno menzionate la Liguria per le piante aromatiche e alcune piante fiorite tipiche da esterno; il Piemonte per le piante acidofile; la Lombardia, oltre che per le acidofile anche per le latifoglie e le conifere; la Toscana per la vasta gamma di alberi e arbusti tra cui le conifere, gli alberi a foglia caduca e sempreverdi, gli alberi da frutta ornamentali; il Lazio per le piante mediterranee; la Sicilia per le piante mediterranee tra cui spiccano gli agrumi ornamentali, le piante grasse e le palme.
EXPORT: ¼ DELLA PRODUZIONE
L’export rappresenta un quarto del valore complessivo annuo della produzione florovivaistica in Italia. Tra i principali mercati di destinazione delle piante in vaso si annoverano la Germania, la Francia, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e il Belgio, mentre come mete di alberi e arbusti, oltre ai Paesi già citati, vanno aggiunti la Spagna, la Turchia e la Svizzera. Tra i Paesi che importano fogliame nostrano spiccano invece Paesi Bassi, Germania e Francia, mentre per i fiori recisi il primo sbocco di mercato è quello dei Paesi Bassi.
RICERCA E SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE
Il principale ente di ricerca italiano dedicato all’agroalimentare è il CREA, che vanta un ampio settore di studio dedicato al comparto ornamentale e florovivaistico soprattutto con i Centri di ricerca di Sanremo e di Pescia. L’introduzione di novità e il miglioramento della qualità e longevità di fiori recisi e piante in vaso rappresentano importanti strategie per competere sui mercati internazionali delle produzioni ornamentali. Un altro fondamentale settore di ricerca investe le piante aromatiche con effetti curativi, di resistenza alle malattie e conservanti. Grande attenzione è poi attribuita alla salvaguardia dell'ambiente e alla razionalizzazione dell’uso delle risorse per migliorare l’utilizzo di acqua, fertilizzanti e fitofarmaci
 
Redazione


 

Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali comunica che entro la fine del mese di febbraio si procederà ad effettuare i primi pagamenti dei contributi sulle assicurazioni agricole agevolate nell’ambito del Programma di sviluppo rurale nazionale 2014-2020 (PSRN). L'importo cedibile ammonta a 32,6 milioni di euro.

Le domande di pagamento già presentate ad Agea ad oggi ammontano a quasi 25.000 per un importo concedibile di circa 32,6 milioni di euro.
La campagna assicurativa 2015 ha portato alla sottoscrizione di oltre 153mila polizze agricole agevolate. A fronte delle polizze sottoscritte, sono stati presentati dalle aziende beneficiarie circa 120.000 Piani assicurativi individuali (PAI).
Per quanto riguarda la campagna assicurativa 2016, il relativo bando sarà pubblicato entro fine febbraio, mentre per i primi giorni di marzo 2017 è previsto il rilascio dei Piani assicurativi individuali (PAI) propedeutici alla stipula delle polizze 2017.
Superata questa fase di avvio del nuovo sistema, verranno sviluppate ulteriori semplificazioni finalizzate a snellire gli adempimenti burocratici a carico degli agricoltori e delle amministrazioni. L’obiettivo è quello di consentire alle aziende agricole di utilizzare tutte le opportunità introdotte con la riforma della politica agricola comune varata nel 2015 garantendo l’accesso agli strumenti di gestione del rischio da parte delle aziende agricole per utilizzare.
«L’obiettivo – ha dichiarato il Sottosegretario Castiglione - è quello di ampliare significativamente il numero delle aziende agricole assicurate, superando le asimmetrie territoriali tutt’oggi esistenti, ma anche favorire la diffusione dei nuovi strumenti in fase di implementazione, ad iniziare dalle polizze innovative e dai fondi di mutualità per la stabilizzazione dei redditi
 
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biometano

Si è tenuta ieri a Bologna la conferenza nazionale organizzata da Legambiente che ha evidenziato l'enorme potenziale, in termini energetici ed economicidi biogas e biometano. Il direttore generale Ciafani chiede il completamento del quadro normativo che vieta l'immissione del biometano in rete.

Il biometano, prodotto nel rispetto della biodiversità e dell’uso dei suoli agricoli, può rivestire un ruolo fondamentale nella strategia energetica del nostro Paese e sul fronte della lotta al mutamento climatico. È una grande opportunità per rendere più sostenibile il consumo di energia domestica e industriale ma anche la mobilità, per ridurre l’inquinamento atmosferico e migliorare la gestione dei rifiuti.
Per approfondire le nuove prospettive del biometano Legambiente ha organizzato ieri, lunedì 6 febbraio, una giornata di lavori a Bologna, realizzata con il patrocinio della Regione Emilia Romagna. Legambiente è infatti tra i sostenitori e sottoscrittori della Piattaforma Biometano, promossa dal Consorzio Italiano Biogas per sottolineare non solo l’importanza energetica di questa risorsa, ma anche il suo importante contributo in diversi settori apparentemente lontani tra loro, con benefici ambientali e socio economici. Stando alle stime del CIB, per esempio, lo sblocco del biometano porterebbe alla nascita di 12 mila nuovi posti di lavoro solo nel settore del trattamento rifiuti, gestione discariche e il ciclo degli impianti agro industriali.
Oggi gli impianti a biometano nel nostro Paese sono soltanto 7, di cui 6 a scopo dimostrativo. Eppure il potenziale producibile al 2030 potrebbe raggiungere gli 8,5 miliardi di metri cubi (di cui 0,5 da rifiuti - escluso il potenziale da discarica difficile da stimare - e il resto da agricoltura).
«Lo sviluppo del biometano - ha commentato Agostino Re Rebaudengo, presidente di assoRinnovabili - avrà forti sinergie con due asset fondamentali del nostro Paese in tema di politiche energetiche: la rete nazionale del gas naturale, una delle più capillari ed estese d’Europa, in cui potrebbe essere immesso; e il parco auto a metano, di gran lunga il più importante d’Europa, che, grazie al biometano, potrebbe svilupparsi ulteriormente.» 
«La possibilità di sfruttare le infrastrutture esistenti per la distribuzione del biometano, come la rete gas che attraversa il nostro Paese - ha proseguito il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani - è un aspetto particolarmente interessante di questo biocombustibile in quanto la possibilità di utilizzarlo facilmente e subito nella copertura dei fabbisogni domestici. È necessario, però, completare definitivamente il quadro normativo che ancora oggi vieta l’immissione del biometano in rete, pratica utilizzata invece da molti anni in diversi paesi europei. Anche l’autotrazione ne beneficerebbe, perché il biometano potrebbe essere utilizzato nei camion per trasporto merci di lunga percorrenza, in sostituzione del gasolio, ben più inquinante».
 
Redazione