Filiera olivo-olio

Presentata a Firenze la Guida agli Extravergini 2022 di Slow Food Italia: 125 collaboratori hanno recensito 750 aziende (120 novità) fra olivicoltori, frantoi e oleifici segnalando 1.180 oli Evo di qualità, di cui 536 certificati bio e 164 presìdi. Riconoscimenti di quest’anno: 35 aziende di 11 regioni con la chiocciola, 107 “grandi oli slow” e 72 “grandi oli” (con la Toscana prima nelle tre categorie). Fra gli “speciali”, premio Soracco a Nicola Solinas per l’aiuto in Montiferru e tre menzioni per la salvaguardia della biodiversità a un olio di Agrigento, uno di Roma e uno del Salento. Turismo dell’olio: oltre 200 delle aziende agricole offrono ristorazione e 344 alloggio. La curatrice Baldereschi sull’emergenza clima: «fenomeni atmosferici anomali e violenti stanno vanificando in pochi anni l’evoluzione e l’acclimatamento millenario delle centinaia di varietà dell’olivo nel Mediterraneo».

Una guida che «con il passare degli anni si è imposta all’attenzione del pubblico e degli olivicoltori diventando uno strumento indispensabile per i consumatori che vogliono districarsi nel complesso e articolato mondo dell’olio, un prodotto così importante e così quotidiano e per le aziende produttrici di extravergine d’oliva buono, pulito e giusto, che possono così farsi conoscere e costruire un necessario dialogo tra loro e con gli acquirenti».
Così la presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini ha presentato sabato 30 aprile a Palazzo Vecchio a Firenze la Guida agli Extravergini 2022, la 23esima. E la sede non poteva essere migliore per il battesimo pubblico di questa edizione, dal momento che la Toscana risulta quest’anno la regione con più chiocciole (6 delle 35 aziende che sposano la filosofia produttiva di Slow Food), più “grandi oli slow” (21 dei 107 oli evo capaci di emozionare in relazione a cultivar autoctone e territorio di appartenenza e ottenuto con pratiche agronomiche sostenibili) e più “grandi oli” tout court (16 dei 72 oli evo eccellenti per pregio organolettico, aderenza al territorio e alle sue cultivar).
Ma vediamo i numeri di questa vasta panoramica dell’Italia dell’olio, visa con le lenti di Slow Food, che è il frutto del lavoro di 125 collaboratori che sono sia esperti degustatori che aggiornati conoscitori delle realtà olivicole del territorio, dagli oliveti alle bottiglie. Sono ben 750 le realtà raccontate tra frantoi, aziende agricole e oleifici (120 novità a testimonianza di un settore molto vivace) per un totale di 1.180 oli recensiti tra gli oltre 1.500 assaggiati, con l’aumento del numero delle aziende che certificano in biologico l’intera filiera (536 oli certificati) e dei produttori (126 per 164 oli) che hanno aderito al Presidio Slow Food Olio extravergine italiano, il progetto che promuove il valore ambientale, paesaggistico, salutistico ed economico dell’olio, che tutela oliveti antichi, cultivar autoctone e raggruppa produttori che non adoperano fertilizzanti di sintesi e diserbanti chimici. Qui l'elenco di tutti i Presìdi presenti in Guida. 

Riconoscimenti e menzioni speciali
Il premio speciale in ricordo di Diego Soracco, attivo leader di Slow Food sin dalle origini e per molti anni curatore della Guida agli Extravergini, è andato non a un olio, ma all’idea e all’azione di Nicola Solinas, titolare dell’azienda Masoni Becciu e produttore del Presidio dell’extravergine, che per aiutare gli olivicoltori colpiti l’estate scorsa dal disastro degli incendi che in Sardegna ha distrutto buona parte del patrimonio olivicolo del Montiferru, si è impegnato, con il sostegno della rete di Slow Olive e di questa Guida, per una raccolta fondi e ha attivato i vivaisti della zona per donare olivi alle persona danneggiate.
Mentre tre menzioni speciali sono state assegnate nell’ambito di una nuova sezione della Guida creata in collaborazione con BioDea per premiare oli accomunati dall’obiettivo di salvaguardare la biodiversità e creare al contempo prodotti di qualità, anche in condizioni difficili, talvolta estreme: a) all’olio Diodoros frutto di un progetto di recupero avviato all’interno del Parco Archeologico della Valle dei Templi (Agrigento) gestito dall’azienda Val Paradiso (olivi secolari di una varietà minore la Piricuddara che vanno ad aumentare la bellezza di questo sito archeologico); b) all’olio monovarietale Rosciola dell’azienda Oro delle Donne di Marino (Roma) come esempio di attenzione alla biodiversità olivicola che ogni territorio può esprimere con le proprie cultivar con ottimi risultati; c) Lavra, olio varietale prodotto con la Cellina di Nardò dall’azienda Caliandro e frutto della lotta quotidiana contro la Xylella che, qui, viene combattuta con metodi naturali.

Le tendenze dell’olivicoltura in relazione al clima
Alla curatrice della Guida Francesca Baldereschi è stato chiesto un commento sull’annata olivicola 2021. «Purtroppo – ha risposto - dobbiamo nuovamente evidenziare una costante negativa di questi ultimi anni, molto più pericolosa e indecifrabile di altre: il clima. Se, sino a qualche anno fa, era una preoccupazione per i contadini, ora è un’emergenza. Fenomeni atmosferici anomali e violenti stanno vanificando in pochi anni l’evoluzione e l’acclimatamento millenario delle centinaia di varietà dell’olivo nel Mediterraneo». Infatti le avversità meteorologiche non hanno colpito a macchia di leopardo, come avveniva un tempo, ma tutta la penisola, con grande siccità in estate e forte instabilità primaverile che non ha favorito lo sviluppo vegetativo dell’olivo e, poi, le gelate che si sono abbattute, in modo particolare, nel nord, riducendo la produzione ai minimi termini. Nel complesso la produzione è stata inferiore sia rispetto alle aspettative sia rispetto alle potenzialità. Circa 315 mila tonnellate l’olio prodotto, un +15% in più rispetto all’annata precedente, contraddistinta da un raccolto scarso. Importante ripresa al Sud e in Puglia in particolare – nonostante certe aree siano ancora colpite dalla Xylella – che ha contribuito a riportare il saldo produttivo complessivo in campo positivo.
«La Guida, da sempre, vuole essere anche un invito per andare a visitare queste realtà che fanno parte di un settore strategico per il Made in Italy che concorre a disegnare il volto paesaggistico della nostra nazione – ha aggiunto Barbara Nappini –. Questi consigli di acquisto e visita oggi sono ancora più importanti, perché ci portano a contatto con la natura, a scoprire borghi bellissimi della nostra penisola, incontrare comunità e realtà produttive straordinarie. Questa, quindi, è una Guida sempre più indirizzata a creare relazioni: tra produttore e consumatore, tra luoghi e prodotti». L’invito di Slow Food Italia è di programmare gite sul territorio italiano senza dimenticarsi di andare a trovare anche produttori di olio tra quelli segnalati dalla Guida: ben 236 offrono ristorazione e 344 possibilità di alloggio.

Redazione

Pif Evo 2.0 di Coldiretti Pistoia - frantoio a Pontassieve

Il Progetto integrato di filiera (Pif) “Evo 2.0” coordinato da Coldiretti Pistoia ha tracciato il bilancio il 22 aprile in occasione dell’inaugurazione di un nuovo frantoio, costruito con pietre locali recuperate, a Pontassieve (Firenze): «2,3 milioni di investimenti in ricerca, in uliveto ed in frantoio: per dare futuro all’olivicoltura autoctona toscana».

 
«Con Evo 2.0 abbiamo investito, formato, fatto ricerca e innovato in frantoio e in uliveto. Abbiamo messo insieme una serie di attività “replicabili” per dare futuro all’olivicoltura della Toscana». 
Ad affermarlo, in un comunicato stampa del 23 aprile, il direttore di Coldiretti Pistoia Gianfranco Drigo.
Evo 2.0, viene spiegato nella nota, è il Progetto integrato di filiera (Pif) dell’extravergine toscano “dal vivaio alla tavola”, coordinato dalla rete di Coldiretti Pistoia, di cui sono state riepilogate e rendicontate le attività svolte in tre anni il 22 aprile in occasione di un incontro in concomitanza con l’inaugurazione del nuovo frantoio nella frazione delle Sieci a Pontassieve.
All’incontro, intitolato “L’Evo degli Ulivi 2.0, abbiamo piantato il futuro”, hanno partecipato Gennaro Giliberti, dirigente della Regione Toscana per il settore agricoltura, Fabrizio Filippi, presidente di Coldiretti Toscana e del consorzio di tutela dell’Olio Toscano IGP, il consigliere regionale Marco Niccolai e Filippo Pratesi, assessore del Comune di Pontassieve.
Nella sala con frantoio a vista, i protagonisti del progetto Evo 2.0 hanno raccontato con parole e video esperienze e risultati scientifici. «L’incontro ha concluso la prima fase di realizzazione dell’idea ispiratrice di Evo 2.0 – ha detto Drigo -, fatta da amore per le specie olivicole autoctone della Toscana, ricerca di sostenibilità ambientale ed economica tramite la ricerca dell’eccellenza qualitativa dell’extravergine ben raccontata grazie a comunicazione e packaging capaci di risaltare la bontà del prodotto». Ora, viene annunciato nel comunicato, «le attività proseguono grazie alla rete di imprese Filiera Toscana Olio Fi.T.O. che ha messo sul mercato EVOCA TOSCANO IGP: l’extravergine che fa bene. Un olio che è già entrato nella lista dei migliori IGP della Toscana».
«Evo 2.0 in tre anni di attività (rallentate dall’emergenza Covid) – continua la nota - ha visto decine di incontri formativi e di coordinamento, investimenti per migliorare ed rinnovare uliveti e i frantoi. Un totale di investimenti di oltre 2,3 milioni di euro. Più di 60 i soggetti coinvolti, la maggior parte sono aziende agricole delle province di Pistoia, Prato e Firenze, con frantoi, vivai olivicoli e centri di ricerca. Molte aziende agricole hanno investito risorse proprie, oltre a utilizzare i finanziamenti Ue, nell’ambito del Psr di Regione Toscana». 
Tra questi investimenti, il frantoio inaugurato venerdì scorso, costruito nel conteso di un uliveto aziendale con vista sull’Arno alle Sieci: «tecnologia di ultima generazione ‘che estrae tutta la qualità dalle olive’ e con una struttura che si integra nel paesaggio delle colline a sud di Firenze, rivestito da pietre locali recuperate dalla demolizione di altre strutture».
 

Redazione 

Cia Toscana Centro conservazione olio di oliva

Al convegno del 12 aprile a Bagno a Ripoli di Cia - Agricoltori Italiani Toscana Centro evidenziata l’importanza di non sprecare le rimanenze di olio extravergine di oliva, che nel 2020 sono state pari al 30% della produzione di molte aziende medio-piccole. Per il presidente Sandro Orlandini «manca conoscenza fra i produttori e serve formazione».

 
«Un buon olio extravergine d’oliva, se ben conservato, può essere utilizzato anche l’anno successivo, conservando qualità e caratteristiche organolettiche, evitando sprechi del prodotto e garantendo un ulteriore reddito all’azienda agricola. Questo permetterebbe infatti di attenuare le annate di scarica, ma con prodotto presente dall’anno precedente ancora da consumare». 
È quanto sottolineato da Cia Agricoltori Italiani Toscana Centro all’indomani del seminario sul tema “La tutela del suolo e la qualità dell’olio” organizzato dalla Cia il 12 aprile a Bagno a Ripoli (Firenze). Un esempio? Il 2020, «quando la buona annata in termini di produzione, ha portato molte aziende medio-piccole ad avere una rimanenza di olio extravergine d’oliva del 30%». 
«Il problema della conservazione ottimale dell’olio d’oliva – ha affermato il presidente Cia Toscana Centro, Sandro Orlandini – è molto sentito dai nostri olivicoltori. Manca però una formazione adeguata, c’è poca conoscenza fra i produttori su quelle che possono essere le tecniche di conservazione. Allungando la vita del prodotto, si permetterebbe un maggiore giro d’affari per l’azienda olivicola, un po’ come avviene per il vino, senza dimenticare che sono prodotti totalmente differenti in questo senso». 
Per la conservazione vera e propria sono tre gli elementi principali da evitare, spiega Cia Toscana Centro: contatto con luce, contatto con aria (ossidazione) e sbalzi di temperatura. 
È necessario tenere l’olio il più possibile al riparo dalla luce e per il contatto con l'aria è molto importante evitare di tenere i contenitori semivuoti. Come avviene anche per il vino, il “sempre pieno” aiuta molto. Altri sistemi come l'ozono per garantire la quasi totale assenza di ossidazione sono più costosi e complessi. Inoltre, risulta fondamentale la temperatura, che per essere ideale dovrebbe stare tra 16 e 18 gradi e comunque evitare più possibile gli sbalzi di temperatura, per poter conservare meglio e più a lungo il prodotto.
«Su tutti questi aspetti – ha concluso Orlandini – è nostra intenzione fare degli approfondimenti, incontri con esperti e mondo della ricerca».
 

Redazione

Pnrr Pac Ocm olio di oliva - olivicoltura

Da un convegno di Sol&Agrifood sui tanti fondi in arrivo per l’olivicoltura italiana nei prossimi anni suggerimenti su come investirli. Le principali associazioni olivicole italiane chiedono una moratoria sulla nuova Pac per aggiornarla alle mutate condizioni geopolitiche. Di Noia (Unaprol): necessari percorsi professionali ad hoc per esperti di filiera come l’evologo. Armillas (Unapol): plauso al bando da 30 milioni di euro per i nuovi impianti olivicoli, ma vale un potenziale produttivo di solo 10 mila tonnellate e andrebbe ripetuto. Caroli (Aifo): «i nostri 5 mila frantoiani non sono più competitivi, serve una rottamazione».

 
L'olivicoltura italiana nei prossimi tre anni avrà la possibilità di spendere cospicui finanziamenti europei e nazionali in arrivo tramite Pnrr, Pac e Ocm olio d'oliva. Ma i bandi dovranno tenere conto delle mutate condizioni geopolitiche.  
È quanto emerso nel corso del convegno “Soldi a pioggia per l'olivicoltura italiana: gli investimenti che servono davvero al settore” organizzato nei giorni scorsi nell'ambito della manifestazione Sol&Agrifood, in concomitanza con Vinitaly, come riferito dall’ufficio stampa di Veronafiere.
«Le politiche pensate e approvate solo qualche settimana fa vanno ridefinite – ha affermato Giuliano Martino, direttore dell'Interprofessione Filiera olivicolo olearia italiana (Fooi) –. Non bisogna abbandonare la strada della qualità ma occorre una maggiore sinergia nella filiera per affrontare le sfide di una nuova globalizzazione».
L'esigenza su cui c’è consenso unanime delle principali associazioni olivicole italiane, Unapol, Italia Olivicola, Unaprol-Foa e Aifo, è di una moratoria dell'entrata in vigore della nuova Politica agricola comunitaria (Pac), per renderla più attuale.
«C'è bisogno di uno scatto in avanti sulla cultura dell'olio extra vergine di oliva – ha affermato Nicola Di Noia, direttore di Unaprol – con una maggiore professionalizzazione degli addetti ai lavori, con la creazione di esperti di filiera, come l’evologo, e con una maggiore consapevolezza del consumatore nell'uso dell'extra vergine che spinga la gdo [grande distribuzione, ndr] a dare dignità a questo prodotto, eliminando i sottocosti».
L'Italia, però, nel corso di soli 20 anni, è passata da 600 mila tonnellate a 300 mila tonnellate di oli di oliva prodotti. «Plaudiamo al primo bando da 30 milioni di euro per i nuovi impianti olivicoli e la rigenerazione di quelli vecchi – afferma Bruno Armillas, direttore Unapol – ma si tratta di una goccia nel mare, che dà un potenziale produttivo da 10 mila tonnellate, e che andrebbe ripetuta nel tempo per avere un vero impatto sul settore. Basti pensare che la Spagna ha investito 10 volte tanto e oggi ha una produzione da 1,5 milioni di tonnellate».
Un altro problema della filiera olivicola italiana è quello dei frantoi, che sono troppi e troppo piccoli. «Non vogliamo e dobbiamo copiare il modello spagnolo – ha detto Stefano Caroli di Aifo – ma i nostri 5000 frantoiani non sono più competitivi. Serve una misura di rottamazione che consenta una riorganizzazione del sistema frantoiano che oggi può e deve utilizzare le migliori tecnologie. Per questo chiediamo che i fondi non vengano indirizzati per le creazioni di micro-impianti aziendali ma per misure più strutturali, con impatto largo sulla filiera».
 

Redazione

produzione d'olio - oliveti tradizionali oliveti intensivi

Il progetto MOLTI del CREA punta a migliorare la produzione italiana di olio di oliva e la competitività della nostra olivicoltura sia negli oliveti tradizionali che tramite oliveti intensivi. Il coordinatore Lodolini: «il rilancio può passare attraverso l’impiego di diversi modelli colturali, che possono integrarsi l’uno con l’altro in modo da prevedere ‘olivicolture’ differenti, gestite con tecniche agronomiche coerenti rispetto al modello prescelto».

 
L’olivicoltura italiana continua ad essere ai vertici mondiali, superata dalla Spagna per quantità della produzione e delle esportazioni. E sono qualitativamente eccellenti molti dei nostri oli extravergini. Però siamo in ritardo rispetto alla concorrenza estera, in primis spagnola, dal punto di vista della competitività e dei livelli produttivi. E, come dimostrano i nuovi ingressi di Paesi nel Consiglio Oleicolo Internazionale, i potenziali concorrenti aumentano. In questo contesto come rilanciare l’olivicoltura italiana migliorando la produttività dei nostri oliveti?
È la questione centrale affrontata dal progetto “MOLTI – Miglioramento della produzione in Oliveti Tradizionali e Intensivi” realizzato dal CREA – Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura con il sostegno finanziario del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) di cui si è parlato in una due giorni tenutasi la settimana scorsa, come riferito in una nota del CREA del 6 aprile.
«Il settore olivicolo italiano – ha specificato il prof. Carlo Gaudio, presidente del CREA - è tra i più importanti al mondo: la nostra produzione, infatti, incide per il 15%/18% su quella globale (seconda dopo la Spagna), siamo il secondo esportatore (dopo la Spagna) e il primo importatore di olio, in quanto primi consumatori al mondo di quello che è il condimento principe della dieta mediterranea e della cucina italiana. Abbiamo 1 milione di ettari di superficie olivetata, gestiti da 827mila aziende agricole (localizzate principalmente in Puglia, Calabria e Sicilia, ma anche in Campania, Abruzzo, Lazio e Umbria), dagli elevati standard qualitativi (42 DOP e 7 IGP per oli di oliva e 4 DOP per olive da mensa) e dalla forte caratterizzazione territoriale (oltre 500 cultivar)».
Però, «nonostante l’eccellenza del nostro olio e il carattere di multifunzionalità della olivicoltura italiana, un patrimonio ambientale, paesaggistico e storico, unico nel suo genere - viene sottolineato dal CREA - il settore si trova in forte ritardo rispetto alla concorrenza di altri Paesi e ha bisogno di essere rilanciato attraverso il rinnovamento, l’innovazione e l’ampliamento delle produzioni, con un approccio che tenga in giusto conto la variegata realtà olivicola italiana. Le difficoltà sono numerose: dall’elevata polverizzazione delle proprietà (oltre il 60% sono piccole e medie imprese a conduzione familiare), alla collocazione in ambienti collinari (più difficili per la meccanizzazione), alla predominanza degli oliveti tradizionali (circa i 3/4 del totale), con densità inadeguate, sesti irregolari, alberi spesso vecchi, grandi e/o con più fusti, spesso meno produttivi e limitanti nell’uso delle macchine».
Il progetto MOLTI, che coinvolge tre centri di ricerca del CREA - Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, Agricoltura e Ambiente e Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari – ha proprio l’obiettivo di recuperare tale gap esistente tra l’olivicoltura italiana e quella degli altri Paesi concorrenti, offrendo ai produttori le conoscenze e le tecniche per una olivicoltura più moderna, competitiva e sostenibile. Come?
Da un lato puntando sul recupero degli oliveti tradizionali in diversi areali italiani (Sicilia, Calabria, Puglia, Lazio e Umbria) e con le principali varietà locali (rispettivamente Nocellara del Belice, Carolea, Cima di Bitonto, Leccino e Moraiolo). E’ emersa infatti la possibilità di una ripresa dell’attività vegetativa e produttiva degli oliveti (con tempistiche che dipendono dalla varietà e dalle specifiche condizioni pedo-climatiche) e di un taglio graduale dei costi grazie ad una gestione funzionale della potatura e a una riduzione degli input esterni, a condizione che il suolo sia gestito in modo conservativo e con pratiche agroecologiche in grado di incrementare la sostanza organica e la biodiversità e sostenere il recupero produttivo degli alberi.
Dall’altro, con riferimento agli oliveti intensivi, sono stati studiati il comportamento vegetativo e riproduttivo e l’adattabilità di alcune varietà di olivo italiane all’allevamento in parete in differenti condizioni pedo-climatiche, l’utilizzo di pratiche per forzare la crescita e la produzione in impianti giovani nonché l’impiego di strategie di potatura e di gestione dell’acqua. Si tratta di tecniche funzionali per controllare l’equilibrio vegetativo e riproduttivo, assicurando così produzioni costanti negli anni. I risultati mostrano che alcune varietà italiane possono adattarsi a modelli colturali ad alta o altissima densità.
«Il rilancio del settore olivicolo-oleario – ha concluso il coordinatore del progetto MOLTI Enrico Maria Lodolini, ricercatore del CREA Olivicoltura, Frutticoltura e Olivicoltura - può passare attraverso l’impiego di diversi modelli colturali, che possono integrarsi l’uno con l’altro in modo da prevedere ‘olivicolture’ differenti, gestite con tecniche agronomiche coerenti rispetto al modello prescelto».
 

Redazione

Produzione extravergini - Olio Toscano Igp

Secondo l’ultimo Rapporto Ismea-Qualivita l’Olio Toscano Igp è al 1° posto in Italia fra gli oli extravergini a denominazione di origine per quantità, valore alla produzione e al consumo e per l’export, che vale il 63% delle esportazioni degli oli nazionali di questa categoria. Il presidente del Consorzio Olio Toscano Igp Filippi: «ci troviamo oggi nelle condizioni di non essere in grado di soddisfare tutta la richiesta che arriva dal mercato, che è tre volte superiore». Entusiasmo per la nuova indicazione territoriale di Bolgheri.

 
L’olio Toscano IGP è l’extravergine di qualità numero uno in Italia tra i 49 prodotti a denominazione di origine (42 Dop e 12 Igp) per le performance economiche. Un successo di cui andare orgogliosi, ma che non deve far dimenticare che la pandemia prima e oggi la guerra, con le inevitabili ripercussioni sugli oltre 30 milioni di euro di esportazioni, hanno imposto ed impongono un cambio di rotta delle strategie commerciali.
Questo il messaggio della nota dei giorni scorsi del Consorzio Olio Toscano Igp in cui sono stati riepilogati i dati riguardanti questo prodotto bandiera dell’agroalimentare della Regione Toscana ricavati dal Rapporto Ismea-Qualivita sul settore italiano dei prodotti Dop Igp nel 2021.
Dal rapporto risulta che l’Olio Toscano Igp è stato l’anno scorso al 1° posto per produzione certificata con 2.594 tonnellate, valore alla produzione con 23 milioni di euro, valore al consumo con 39 milioni di euro e valore dell’export con ben 33 milioni dei 53 milioni di euro su base nazionale. Il 70% del prodotto esportato vola nei paesi extra Ue, tra cui principalmente Stati Uniti, mentre il restante 30% nel mercato europeo. La produzione di Toscano IGP contribuisce per il 35% all’impatto economico del settore con circa 25 milioni di euro su 71 complessivi a livello nazionale.
«E’ un primato che esalta dal punto di vista delle statistiche e delle performance – ha dichiarato il presidente del Consorzio Olio Toscano Igp Fabrizio Filippi - un lavoro costante e di metodo del nostro Consorzio, che ha saputo guidare e coordinare le imprese, e dei nove mila soci che continuamente investono su qualità, tracciabilità, sostenibilità, distintività, territorio ed innovazione. La risposta del consumatore ci ha permesso oggi di essere il principale olio di qualità del nostro paese. E di questo la Toscana deve andarne orgogliosa. Il modello organizzativo e produttivo del Toscano Igp è riuscito a valorizzare la ricchezza del territorio insieme ad un potenziale olivicolo in parte ancora da esprimere. Ci troviamo oggi nelle condizioni, con l’attuale produzione certificata, di non essere in grado di soddisfare tutta la richiesta che arriva dal mercato che è tre volte superiore». 
«Le imprese – ha aggiunto Filippi – hanno dimostrato grandissima capacità di adattamento e di riorganizzazione commerciale durante i due anni di emergenza sanitaria bilanciando le perdite del settore Horeca in particolare con la vendita online e con la vendita diretta; un atteggiamento che ha limitato le contrazioni dell’1,2% nonostante a livello nazionale le vendite nella Gdo siano crollate, nei primi mesi del 2021, del 8,7%. Le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina, e sull’intera area, stanno avendo inevitabili effetti sulle esportazioni di extravergine toscano IGP verso mercati emergenti e in crescita».
Sono 9 mila gli operatori certificati dal Consorzio Olio Toscano Igp, tra produttori e trasformatori, su 23.160 totali a livello nazionale e 7 milioni le piante iscritte al Consorzio. Una bottiglia su cinque di extravergine prodotta in Toscana è Igp, pari al 20% della produzione totale regionale. «Oggi il Toscano Igp vale quasi il 26% dell’intera produzione certificata e del il 32% dell’intero valore alla produzione a livello nazionale – ha concluso Filippi –. La nuova indicazione territoriale di Bolgheri, in questo senso, accolta con grande entusiasmo dalle imprese, rappresenta un ulteriore elemento di crescita in termini di produzione ed immagine del nostro Toscano Igp. Però non dobbiamo fermarci qui: la certificazione è un valore aggiunto sul mercato che ha fatto la differenza proprio nel momento più difficile della nostra storia. Non è solo un investimento sulla qualità e la tracciabilità, ma sul sistema agricolo toscano».
 

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