Filiera olivo-olio

Saranno da Vivai Cinelli di Pescia, il 21 settembre, per visitare le coltivazioni di olivi “Xylella free”, l’unico campo di piante madri privato della Toscana per la produzione di materiale di propagazione d’olivo “virus esente” (a cui collabora con Vivai Sonnoli), una delegazione di 50 operatori (da oltre 20 Paesi) dell’Associazione internazionale dei produttori del florovivaismo (Aiph). Luca Cinelli: «i nostri sistemi colturali olivicoli sono completi e mostreremo pure i nuovi portainnesti nanizzanti clonali sperimentati da Attilio Sonnoli che vanno adesso in produzione».


Una cinquantina di delegati dell’Aiph (Associazione internazionale dei produttori del florovivaismo) provenienti da oltre 20 Paesi del mondo: Olanda, Germania, Francia, Svizzera, Italia, Regno Unito, Turchia, Stati Uniti d’America, Canada, Cina, Taipei cinese, Australia, Corea, Indonesia, Giappone, Qatar, Pakistan, Bhutan, Grecia, Polonia, Belgio, Kenya e Russia.

E’ la qualificatissima pattuglia di vivaisti e operatori del florovivaismo che venerdì 21 settembre arriverà a Pescia da Padova (dove sono corso sia il 69° Flormart che il 70° congresso annuale dell’Aiph) per visitare i Vivai Cinelli, l’unica azienda socia dell’Anve produttrice di piante ornamentali (mimose e agrumi) e olivi in Valdinievole, con un’attenzione particolare rivolta ai processi produttivi olivicoli e al nuovo campo di piante madri, l’unico centro di moltiplicazione privato autorizzato in Toscana, per la produzione di materiale di propagazione d’olivo certificato “virus esente”, a cui Cinelli collabora presso e con i Vivai Sonnoli. Alla visita, che si configurerà come un vero e proprio evento, con tanto di cocktail di benvenuto, tour aziendale, conferenza stampa e light lunch finale, interverranno il sindaco di Pescia con delega all’agricoltura Oreste Giurlani, il sindaco di Uzzano Riccardo Franchi e il presidente del tavolo tecnico “Pescia agricola e verde floreale” Franco Baldaccini.

«Faremo fare agli illustri ospiti e colleghi un giro in azienda – spiega il titolare Luca Cinelli – mostrando loro in particolare i sistemi colturali olivicoli, che nella nostra azienda sono completi: il prelievo di marze dal campo di piante madri, la radicazione e moltiplicazione in piccole piante, la riproduzione da nocciolo, la produzione con portainnesti nanizzanti da micropropagazione - tra i quali spiccano i nuovi portainnesti nanizzanti clonali che, dopo anni di sperimentazione dell’azienda partner di Attilio Sonnoli, vanno adesso in produzione – e, infine, il nostro fiore all’occhiello del campo di piante madri “virus esenti” che, presentato a novembre 2017, contribuisce da un anno a fornire materiale da riproduzione certificato. Ricordo, inoltre, che l’azienda ha conseguito, a seguito di regolari controlli e verifiche sulle colture, la qualifica Arpat “Xylella Free”».

Redazione

La proposta di puntare su un modello di olivicoltura intensiva col metodo bio è stata lanciata durante Sana 2018 da Cia – Agricoltori italiani e Anabio. Oltre il 20% della superficie olivicola italiana è biologica. Serve un rilancio nazionale con nuovi impianti e maggiore densità a ettaro. Per il presidente di Anabio Marchini: non si può imitare il modello diffuso in Spagna e in Portogallo e Nord Africa, ma bisogna realizzare nuovi oliveti da «400-500 piante per ettaro» usando «l’enorme patrimonio varietale italiano».

«Per recuperare competitività sui mercati e guadagnare sostenibilità ambientale, l’olivicoltura Made in Italy deve intraprendere al più presto la strada della modernizzazione e dell’innovazione. Investendo su un modello produttivo intensivo e tecnologico, che valorizzi al contempo il patrimonio varietale dei diversi territori e utilizzi anche il metodo biologico».
E’ quanto sostenuto da Cia – Agricoltori italiani e Anabio (l’associazione di Cia dedita all’agricoltura biologica) al termine del convegno “L’olivicoltura biologica intensiva, un’opportunità per la competitività dell’olio extravergine d’oliva italiano” organizzato nell’ambito dell’ultimo SANA (Salone internazionale del biologico e del naturale), l’8 settembre a Bologna Fiere.
«Oggi in Italia – affermano Cia e Anabio - l’olivo è coltivato su un milione di ettari, conta oltre 820.000 aziende agricole e circa 5.000 frantoi. Il valore della produzione agricola è di 1,3 miliardi di euro, mentre il fatturato dell’industria olearia è di oltre 3 miliardi di euro. L’olivicoltura “bio”, in particolare, rappresenta oltre il 20% della superficie totale, con più di 222.000 ettari lavorati con il metodo biologico». «Eppure, nonostante questi numeri, - aggiungono - il settore fatica a stare dietro a competitor con sistemi olivicoli più moderni che si stanno espandendo sfruttando un mercato mondiale caratterizzato da domanda crescente».
«È chiaro, in questo contesto, - sostengono Cia e Anabio - che migliorare la produttività dell’olio italiano deve diventare la priorità assoluta: ciò vuol dire investire sugli oliveti, accrescendo per esempio estensione e densità. Tuttora, infatti, l’olivicoltura nazionale è caratterizzata da basse dimensioni medie aziendali (1,3 ettari) con una superficie occupata da oliveti “adulti”: il 63% ha più di 50 anni, mentre solo 1% ha meno di 5 anni. Non solo poche piante e impianti nuovi, rimane anche la questione della bassa densità a ettaro. In Italia c’è solo un 1% di oliveti intesivi con più di 600 piante e un 4% di semintensivi tra 400 e 599 piante, rispetto a un significativo 42% con meno di 140 piante a ettaro».
«Per questo vogliamo proporre un modello di modernizzazione del settore che preveda soluzioni tecniche e linee di indirizzo per il rinnovo degli oliveti italiani - ha detto al convegno il presidente nazionale di Anabio Federico Marchini - così da orientare gli investimenti secondo criteri di convenienza economica, sostenibilità ambientale e resilienza. Ovviamente, non si può ripetere per l’Italia un modello come quello diffuso in Spagna e, su scala minore, in Portogallo e nel Nord Africa, con aziende molto grandi, impianti estremamente meccanizzati e limitate varietà poco caratterizzate. Crediamo, però, che si possano realizzare nuovi oliveti, con il metodo biologico, ad alta densità (400-500 piante per ettaro) utilizzando l’enorme patrimonio varietale italiano fortemente legato al territorio; praticando correttamente potature, irrigazione, difesa fitosanitaria e adottando le nuove tecniche di agricoltura digitale».
«Il Piano strategico della Pac post 2020 - ha chiosato Cristiano Fini della Giunta nazionale Cia - rappresenta l’occasione giusta per definire un vero piano di rilancio del settore, che combini assieme politiche e azioni per rendere l’olivicoltura italiana più competitiva. Condividendo questa scelta d’innovazione tra Ministero e Regioni».

Redazione

Per Sandro Piccini, nuovo direttore del Consorzio nazionale olivicoltori, la concorrenza spagnola in olivicoltura si batte con la tutela e la promozione della diversità degli oli italiani di qualità. Soprattutto in mercati internazionali come quello cinese o statunitense dove c'è ancora poca "cultura" dell'olio.

Sandro Piccini, a lungo direttore della Cia per l’area metropolitana di Firenze e Prato, è stato recentemente nominato direttore del Consorzio nazionale olivicoltori, dopo esserne stato vicepresidente. Le sue idee sono chiare e precise, soprattutto sul tema della concorrenza spagnola: è necessario promuovere e tutelare la diversità degli oli italiani di qualità. Piccini intende creare una filiera nazionale di olio extra vergine di oliva tracciato, rigorosamente 100% italiano. Nel realizzare questo obiettivo la Toscana sarà centrale vista la presenza sul suo territorio di realtà molto esperte e capaci nella commercializzazione dell'olio extra vergine di oliva, anche in ambito internazionale.
In seguito alla fusione con Unasco (Unione nazionale dei produttori olivicoli), il Consorzio nazionale olivicoltori rappresenta il 60% dei produttori di olio extra vergine d’oliva e raggruppa 53 cooperative sul territorio nazionale, dal Lago di Garda, alla Liguria, dalla Sicilia alla Sardegna, per un totale di 330 mila olivicoltori associati. Il primo evento del nuovo Cno, che presto cambierà anche nome, è in programma per il 5 ottobre a Roma, alla presenza del ministro Gian Marco Centinaio: attesi un migliaio di soci per un’assemblea in cui verranno affrontati i temi centrali dell’olivicoltura e saranno presentate al governo le istanze più urgenti del settore.

Redazione

Il presidente dell’Anve Capitanio fa il punto sull’emergenza Xylella in Puglia per frenare le opposte speculazioni: politiche in Italia sulle misure fitosanitarie europee e commerciali all’estero verso i prodotti italiani. Esposto alla Procura di Bari contro chi diffonde false notizie. Ci sono stati ritardi, ma ora assicura Anve: estirpate tutte le piante infette del monitoraggio 2016-17 e in corso di completamento l’estirpazione di quelle individuate nel 2017-18. Mai colpiti i vivai, «ma solo appezzamenti olivicoli».

 
Basta speculazioni in un senso o nell’altro sull’emergenza Xylella fastidiosa, che ha colpito una ristrettissima area della Puglia. Una nota stampa del presidente dell’Associazione nazionale vivaisti esportatori (Anve) Leonardo Capitanio, diffusa ieri in più lingue, fa il punto della situazione in Puglia rivolgendosi da un lato agli operatori della filiera vivaistica internazionale per tranquillizzarli sullo stato di salute delle piante esportate dai vivai pugliesi (e a maggior ragione del resto d’Italia) e dall’altro a quelle forze politiche e movimenti che ostacolano e rallentano l’implementazione da parte delle autorità competenti delle misure fitosanitarie richieste dall’Europa, fra cui le estirpazioni delle piante infette individuate dalle imponenti azioni di monitoraggio attivate.   
«Non sono mai state rilevate piante infette in aziende vivaistiche italiane, contrariamente a quanto accaduto in altri Stati europei ove l’infezione è stata rinvenuta all’interno dei vivai – afferma Leonardo Capitanio -, ma solamente in appezzamenti olivicoli, proprio a dimostrazione della sanità del materiale vivaistico e della professionalità degli operatori. Inoltre, il monitoraggio sia della zona delimitata sia delle zone indenni, è stato fortemente potenziato con il risultato che ad oggi, la Regione Puglia in particolar modo, ma anche le restanti diciannove Regioni italiane, sono i territori maggiormente controllati in tutta Europa».
In Puglia, si legge nel comunicato, le recenti attività di monitoraggio hanno dato i seguenti risultati:
- nella zona cuscinetto di 10 km e nella zona di contenimento di 20 km (interna alla zona infetta) sono stati effettuati monitoraggi con ispezioni visive, campionamenti e analisi. In caso di individuazione di piante infette, è stato poi effettuato il monitoraggio dell'area di 100 m intorno ad esse;
- i campioni prelevati sono stati analizzati e tutti quelli risultati dubbi o positivi, oltre ad una percentuale di negativi, sono stati sottoposti ad ulteriori analisi di conferma;
- il monitoraggio è stato condotto anche nella zona indenne con individuazione di aree con piante ospiti;
- sono state ispezionate le stazioni di servizio lungo le vie di comunicazione che collegano le province di Lecce e Brindisi con Bari e Foggia e le aree adiacenti le linee ferroviarie;
- con il monitoraggio del periodo 2016-2017 sono state individuate piante infette in zona di contenimento tutte estirpate e con quello del periodo 2017-2018 sono state individuate piante infette in zona di contenimento e in zona cuscinetto in parte estirpate e in parte in corso di estirpazione.
«Tutte le pratiche di monitoraggio – precisa il presidente dell’Anve - vengono inoltre effettuate seguendo rigidi standard internazionali fitosanitari applicati nello stesso modo in tutta l'Unione Europea e non solo. Dunque, quello che viene fatto nei Paesi europei viene oltremodo fatto in Italia, anzi con ulteriori risorse e sforzi per il monitoraggio: solamente in Puglia il Servizio Fitosanitario regionale si è dotato di oltre 200 ispettori dedicati esclusivamente al monitoraggio di Xylella fastidiosa».
«Per questo – afferma Capitanio - è opportuno evidenziare che, seppur le estirpazioni delle piante infette abbiano subito dei ritardi, questo non pregiudica la restante parte del territorio regionale e nazionale, ovvero quasi il 100%, dichiarata indenne dalle autorità nazionali ed internazionali; condizione questa che dev’essere chiara e ben nota a tutta l’Europa. Risultano pertanto ingiustificate le azioni di rifiuto del prodotto italiano da parte dei colleghi stranieri che potrebbero peraltro provocare disordini in tutta la filiera internazionale e scenari imprevedibili nella valorizzazione e reperibilità di piante».
Capitanio ricorda che nel tentativo di mettere un freno alle tante false notizie che circolano, Anve ha presentato il 13 luglio scorso un esposto alla Procura di Bari per denunciare una serie di attività fuorvianti quali manifestazioni, assemblee, pagine web, post sui social network, blog e articoli sui media che spesso conducono al turbamento dell'ordine pubblico e ad una istigazione alla disapplicazione della legge, oltre a generare confusione sulla realtà dei fatti. «Perché la diffusione di notizie false e tendenziose – afferma il presidente di Anve - è un reato, e come tale va punito». Inoltre tutto ciò significa anche «mettere in pericolo tanti, tantissimi posti di lavoro e con questi l’intera economia locale e nazionale».
«Vorrei pertanto rassicurare i produttori e i commercianti internazionali – conclude Leonardo Capitanio - sulla sanità, sulla serietà e professionalità sia delle aziende florovivaistiche sia della Autorità di controllo italiane chiedendo loro di documentarsi sempre tramite canali ufficiali (Commissione Europea, Consorzi di ricerca ufficiali XF-ACTORS e PONTE) e di non credere alle tante notizie ingannevoli che circolano su carta stampata e sul web».
 
L.S

Per il presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori «le piroette di Coldiretti e Federolio sono la testimonianza di un golpe al made in Italy fallito». Le prove che le miscele con oli d’oliva non italiani erano comprese nel contratto di filiera: un comunicato di Federolio e un audio dell’intervento del segretario di Coldiretti.

«Una settimana per arrivare ad una sconclusionata e falsa precisazione, 48 ore per capovolgere il contenuto di un loro stesso comunicato, il quadro è ormai chiaro: le piroette di Coldiretti e Federolio ormai provocano disgusto e tristezza e sono la testimonianza di un golpe al made in Italy fallito: a pagare le conseguenze delle loro azioni, però, sono sempre i produttori e i consumatori».
Inizia così il comunicato stampa con cui il presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) Gennaro Sicolo ha replicato il 9 luglio alla smentita di Coldiretti del 5 luglio (vedi) sulla circostanza che il contratto di filiera presentato il 28 giugno (vedi) riguardasse anche miscele d’olio d’oliva, da commercializzare con il nome “Italico”, contenenti solo il 50% di vero extravergine made in Italy. E fosse quindi, come argomentato in un comunicato di Olivicoltori Toscani Associati, una sorta di iniziativa “Italian sounding”, oltretutto a prezzi inadeguati per i costi di produzione dei nostri olivicoltori, ad opera proprio di chi come Coldiretti per anni ha lanciato strali contro i falsi prodotti italiani (vedi).
«Invece di chiedere scusa – continua la nota di Gennaro Sicolo - hanno bollato come “fake news” tutte le notizie degli ultimi dieci giorni, a partire dalle loro stesse parole e dai loro stessi comunicati: l’unica fake news in realtà è l’impegno di Coldiretti e Federolio per la tutela dell’olivicoltura italiana e del Made in Italy. È evidente come i protagonisti di questa farsa siano stati colti con le mani nella marmellata, anzi nelle miscele di olio che vogliono far passare come prodotto Made in Italy. La bocciatura senza appello del Ministro, la reazione di chi tutela realmente il Made in Italy, la presa di posizione dura dei consumatori e la valanga di proteste sui social e sui territori hanno prodotto questo passo indietro improvviso e sorprendente, soprattutto perché i protagonisti di questo accordo farlocco fino a qualche ora fa difendevano con dichiarazioni e comunicati la porcheria partorita chiamata Italico».
A sostegno di queste affermazioni, Cno ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica due fatti.
Primo, l’incipit di un comunicato di Federolio, in replica alle critiche di Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia), in cui viene esplicitamente ammesso che l’accordo Federolio-Coldiretti «punta a premiare un blend con un 50% di olio italiano».
Secondo, una registrazione audio di una parte dell’intervento del segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo all’incontro del 28 giugno in cui è stato presentato il maxiaccordo di filiera fra Coldiretti, Unaprol e Federolio, nel quale si è così espresso: «…perché noi crediamo nei contratti di filiera? Perché la pluriennalità dell’accordo consentirà una programmazione che fino a oggi non c’è mai stata anche nell’olio. Perché le grandi oscillazioni nel prezzo sono la causa delle grandi difficoltà che sia l’industria sia il comparto praticamente stanno vivendo. Poi abbiamo un obiettivo, perché le cose devi tradurle con una parola d’ordine: come si considererà il patriottismo delle imprese olivicole e delle industrie olivicole italiane? Quelle che tenderanno nel brevissimo tempo ad arrivare a blend che contengono almeno il 50% di olio italiano, e siccome questo fa parte integrante, perché dico 50%? Perché non è che noi veniamo dal mondo della luna. Noi siamo importatori netti in tutte quante le filiere. Chiediamo questo, nient’altro che questo: di stare insieme dentro questo tipo di accordo, perché è un accordo che può consentire a una filiera come quella dell’olio di potersi in qualche modo rappresentare come il massimo dell’italianità. Per me il massimo del made in Italy di una qualsiasi industria qui rappresentata è quella industria che possa dimostrare che all’interno dei suoi blend c’è almeno il 50% di olio extravergine d’oliva italiano, piuttosto che dell’olio italiano, piuttosto che ‘Ma io faccio il 100%!’ Vabbè, te daremo la palma con la biga qui sulla via che ce porta verso Roma (…)».
Infine, dietro alle affermazioni di Sicolo sulle motivazioni della retromarcia di Coldiretti, secondo quanto rivelato da un articolo di Italia Oggi dell’11 luglio, ci sarebbe un parere informale negativo, dal punto di vista legale, al progetto “Italico” da parte dell’Ispettorato per la repressione delle frodi del Ministero delle politiche agricole. In sostanza, par di capire, un prodotto del genere, come nei classici casi di Italian sounding, evocherebbe una completa italianità che non c’è.

L.S.

«Non esiste alcun riferimento al nome Italico né tantomeno alle miscele di oli extravergine di oliva Made in Italy con quelli importati dall’estero nel più grande contratto di filiera per l’olio Made in Italy di sempre siglato da Coldiretti, Unaprol, Federolio e FAI S.p.A. (Filiera Agricola Italiana), che coinvolge le principali aziende di confezionamento italiane». 
Coldiretti replica così alle accuse di Cno e Olivicoltori Toscani Associati (vedi) e dichiara che «si tratta di una fake news diffusa ad arte per cercare di colpire un accordo storico per l’olio italiano al 100%, da olive coltivate e molite in Italia, che riguarda un quantitativo di 10 milioni di chili per un valore del contratto di filiera di oltre 50 milioni di euro, che taglia intermediazioni, speculazioni e faccendieri». «Una notizia falsa – aggiunge Coldiretti - cavalcata, più o meno strumentalmente, per interessi che non hanno nulla a che fare con il bene del Made in Italy, dei consumatori e degli imprenditori agricoli che in migliaia si stanno interessando per valutare liberamente le opportunità e le condizioni offerte da un contratto con un prezzo minimo garantito e finalmente la possibilità di una pianificazione produttiva pluriennale».
 
Redazione