Riservato aziende

La cooperativa agricola Agribios di Chiesina Montalese (Pistoia), grazie al suo impianto di triturazione e vagliatura, riesce a recuperare e avviare al reimpiego gli scarti del florovivaismo: piante morte o vive ma sciupate con il substrato di coltura. Come spiega la presidente Marchionni: «le aziende socie sono 142, di cui circa il 90% vivaisti, l’attività sta crescendo e dovremmo assumere altri dipendenti e investire in nuovi macchinari, ma con cautela perché sono molto costosi». Sugli scarti vegetali consegnati c’è «l’autocertificazione che non sono stati trattati con anticrittogamici da 60 giorni e ogni 3 mesi controlliamo l’assenza di inquinanti». La pomice recuperata viene tutta reimmessa nel vivaismo del Distretto e il sogno è arrivare a trattamenti che consentano di ricavare il cippatino anti-glifosate dal legno di scarto.     

Un punto di raccolta finalizzato al recupero e alla gestione dalla a alla z dei residui vegetali e dei substrati di coltura delle aziende agricole: biomasse derivate da piante seccate o comunque morte, piante non vendibili, potature di piante prodotte nel vivaio, parti di piante, sfalci o altri residui esclusivamente vegetali, nonché substrato vegetativo contenuto nei vasi o comunque facente parte della zolla. Una risposta efficace a un importante fabbisogno delle aziende agricole pistoiesi e in particolare del Distretto vivaistico ornamentale.



E’ l’attività di Agribios, società cooperativa agricola di Pistoia, con sede dell’impianto principale nella frazione di Chiesina Montalese, che, ricorda la presidente Stefania Marchionni, è nata legalmente nel 2014 con l’apertura della partita Iva in Camera di Commercio, ma ha iniziato ad essere operativa soltanto nel giugno 2017, dopo che nel dicembre 2016 era arrivata l’autorizzazione unica ambientale del Comune di Pistoia. Adesso «le aziende socie  - riferisce la presidente - sono 142, di cui circa il 90% vivaisti». «I dipendenti – aggiunge - sono nove e bisognerà assumerne di nuovi perché l’attività sta aumentando, in particolare con il vivaismo. Ma guardiamo con interesse anche alla Valdinievole, che pare sguarnita di questo tipo di servizio. Comunque bisogna stare attenti a crescere, perché c’è bisogno di investire in nuovi macchinari, e questi macchinari sono molto costosi». Parte di essi è sul mercato, altri sono progettati su misura.
Il ciclo di lavoro della cooperativa consiste nella riduzione volumetrica e la vagliatura degli scarti agricoli e nel loro reimpiego, una volta lavorati, nell’agricoltura, in parte significativa all’interno del distretto stesso. Con i seguenti quattro effetti significativi: la riduzione di scarti verdi nelle discariche, l’utilizzo dei sottoprodotti in agricoltura tramite la creazione di una filiera locale, il recupero di notevoli quantità di sostanze organiche e terricciato che possono contrastare la mineralizzazione dei terreni e una minore necessità di ricorrere all’abbruciamento dei residui legnosi, l’incremento della produzione di energia rinnovabile a mezzo di biomassa.
Le fasi del core business di Agribios sono le seguenti: i) ingresso del materiale di scarto in impianto e collocazione nell’area di stoccaggio, prima dei veri e propri trattamenti di triturazione e vagliatura; ii) triturazione primaria e vagliatura dei sottoprodotti: suddivisione del materiale ritirato in due componenti: componente lignocellulosica e componente di substrato colturale (terricciato, paglia, torba, pomice); iii) triturazione di raffinazione: la componente lignocellulosica viene cippata a 2-4 cm., mentre la restante componente viene sottoposta ad ulteriore riduzione volumetrica per ottenere un terricciato misto da cui viene successivamente separata la pomice e le componenti litoidee; iv) si ottengono così tre componenti derivanti dalla procedura di triturazione: componente ligneo-cellulosica, componente minerale-litoidea e terricciata (terriccio e pomice) che potranno essere ricollocate nelle singole aziende aderenti alla cooperativa; v) trasporto e conferimento dei materiali lignocellulosici e dei terricciati alle aziende agricole florovivaistiche per il riutilizzo colturale.
Ma l’attività di Agribios va oltre il core business del recupero e valorizzazione degli scarti agricoli, spaziando dai servizi di manutenzione e potatura fino al conferimento degli scarti verdi. Ecco comunque l’elenco dei servizi offerti stilato nel sito web aziendale: noleggio cassoni per stoccaggio materiali, recupero degli scarti verdi (anche con granchio), recupero di grandi e piccole quantità diretamente nel luogo di produzione degli scarti vegetali, restituzione del materiale valorizzato a seconda delle esigenze delle singole aziende, lavori di manutenzione del verde in genere.
Come spiega Stefania Marchionni, i residui che arrivano all’impianto di Agribios sono «scarti della lavorazione vivaistica e agricola: piante morte che arrivano dalla produzione, ma anche vive non vendibili, che si sono sciupate, si sono defogliate. E il substrato di lavorazione, tipo la torba, il cocco, la terra, la pomice: quello che serve per poi coltivarci la pianta. E poi tutto l’arbustame che viene creato in vaso». «Tutto questo materiale, che un tempo veniva definito semplicemente come rifiuto, – dice la presidente - dà molta noia al vivaismo, perché sembrerebbe che il vivaista faccia una marea di rifiuti, il che non è vero. La comunità europea nel 2008 ha affermato che sono scarti vegetali e devono essere gestiti e reimpiegati come sottoprodotti agricoli e non andare a riempire le discariche. Ma devono essere lavorati e reimmessi in un ciclo produttivo agricolo per avere una seconda vita. Questo è un po’ il progetto». «Noi abbiamo incominciato a studiare la normativa – continua Marchionni - per vedere come aprire questo impianto senza l’obbligo di ricorrere a impianti mobili di azienda in azienda, anche perché i piccoli vivai non avevano nemmeno gli spazi per ospitarci e, una volta gestiti i grandi, i piccoli erano abbandonati a sé stessi e non riuscivano a trattare questi sottoprodotti. Finalmente nel 2016 è stata emanata una normativa che ha stabilito che questi scarti, una volta rilavorati, possono essere dati non solo all’azienda che li ha prodotti ma anche ad aziende terze, purché rimangano in un contesto produttivo agricolo. E’ questo che ci ha dato il via. Perché, ad esempio, a un piccolo vivaista che porta un camioncino di roba, se noi gliela lavoriamo, lui che cosa se ne fa di un sacchettino di legname a casa? Niente. Le cose invece cambiano se tutto il legname messo insieme si destina a un’azienda che ha un impianto a biomassa grande e in esso riesce a farci energia. E quindi dà una seconda vita a quegli scarti».
Come viene diviso il materiale che arriva all’impianto di Agribios?
«Il materiale quando entra ha diverse possibilità di lavorazione. Viene pesato, viene accertato che il materiale sia idoneo: che sia agricolo (perché noi possiamo prendere solo materiale organico agricolo), che sia privo di impurità, quindi che non ci sia plastica, ferro, sassi e inquinanti in genere».
Vanno bene tutti i tipi di piante?
«Sì, basta che non ci siano inquinanti dentro. Il vivaista deve autocertificare che da 60 giorni prima dell’arrivo qua il materiale non sia stato trattato con degli anticrittogamici o degli antiparassitari che poi rimangono presenti. E noi ogni 3 mesi circa facciamo l’analisi di tutti i prodotti in uscita per essere sicuri che non ci siano inquinanti, che non ci siano idrocarburi, che non ci siano antiparassitari. Il materiale, una volta accettato in lavorazione, viene scaricato nell’area di stoccaggio e da là gli viene fatto un ciclo produttivo di “tritovagliatura”: viene triturato con dei trituratori industriali e viene vagliato per selezionarlo, perché se è selezionato e fatto di dimensioni idonee al commercio, sarà riutilizzato nel miglior modo possibile. Vengono individuati tre principali prodotti: il materiale terrigeno, il terriccio che viene dal substrato, quindi le torbe, il cocco, la terra. Riusciamo a dividere la parte inerte, che è la pomice, che serve per il drenaggio. E sia il materiale terrigeno che la pomice vengono reimpiegati benissimo in agricoltura. Addirittura la pomice viene reimpiegata tutta nel vivaismo pistoiese. E poi il 3° prodotto è il legname: questo legname che viene tirato fuori chiaramente non è di bellissima qualità, perché viene da un recupero, non è chiaramente un legno di bosco. Viene per ora conferito a biomassa. Sappiamo che qui nelle nostre zone non ci sono vicini impianti a biomassa idonei a ricevere questo tipo di materiali. Quindi lo dobbiamo mandare nel Nord Italia dove ci sono grandi centrali che possono prendere anche questo materiale qua. Ma il nostro obiettivo è poter sviluppare questo materiale  - e chiaramente ci vogliono investimenti, ci vogliono macchinari idonei, ci vogliono tante prove e tanto tempo -, è  quello di poterlo reimpiegare in un ciclo agricolo produttivo pistoiese. Vorremmo svilupparci una raffinazione tale da poterci fare il famoso cippatino per poterlo reimpiegare nel nostro vivaismo e diventare ancora più ecosostenibili».
In che senso più eco-sostenibili?
«Il messaggio è: bene il cippatino che elimina una buona parte del glifosate. Però viene da un bosco, che viene disboscato e dove ci sono delle lavorazioni con consumo di diesel ed emissioni di inquinanti in atmosfera. Sarebbe meglio ancora con questo legname qua, perché si partirebbe da scarti. E’ vero che ci vuole una lavorazione con consumo di diesel anche qui, ma ci sarebbe stato ugualmente per utilizzarlo come biomassa. E potremmo dire che il vivaista non fa rifiuti e che dal suo scarto di lavorazione riesce a recuperarci un prodotto che serve a diminuire l’impatto ambientale. E’ un progetto su cui stiamo già lavorando da diversi mesi».

Redazione
Articolo publiredazionale

Intervista a Daniele Lombardi, direttore di Confagricoltura Pistoia, sulla situazione dell’agricoltura in seguito all’emergenza Covid-19, con particolare (ma non esclusiva) attenzione al florovivaismo: primo comparto del territorio provinciale grazie al Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia e alla floricoltura della Valdinievole, colpiti entrambi pesantemente. Per Lombardi la filiera agroalimentare ha retto bene nonostante qualche difficoltà logistica e per il nuovo protocollo di sicurezza. Il buco del florovivaismo provinciale è stato sinora, fino al 3 aprile, di ben 480 milioni di euro. Notevole l’invenduto anche della vitivinicoltura. Lombardi, soddisfatto della corretta equiparazione da parte del Governo delle piante agli altri beni primari, visti i loro effetti benefici su ambiente e salute, riepiloga le misure per la ripresa e le azioni di Confagricoltura, con qualche suggerimento alle aziende.

L’epidemia da Covid-19 con il suo impressionante bilancio di vittime in nord Italia, ma con le sue tragiche tracce anche in Toscana e a Pistoia, e il conseguente stato di emergenza nazionale si stanno facendo sentire sull’economia agricola pistoiese. Soprattutto nel comparto leader del territorio, il vivaismo ornamentale di Pistoia e più in generale tutto il florovivaismo, che comprende anche la floricoltura e il vivaismo olivicolo di Pescia e il resto della Valdinievole.
Floraviva ha sentito Daniele Lombardi, direttore di Confagricoltura Pistoia, per tracciare con lui il quadro della situazione: dall’impatto della crisi, alle misure del Governo, fino alle azioni di Confagricoltura a livello nazionale e locale, con qualche indicazione finale alle imprese associate.
Facciamo prima il punto sulle attività agroalimentari in generale dopo i vari decreti per lemergenza Coronavirus: fermo restando che non ci sono limitazioni a livello produttivo, esistono difficoltà nella filiera e nel commercio oppure tutto fila liscio?
«Il settore agroalimentare, per le informazioni che abbiamo dai soci, sta rispondendo in maniera ineccepibile e mostrando quanto si meriti la leadership internazionale. In Confagricoltura Pistoia è rappresentata tutta la filiera e le nostre aziende stanno dando il massimo, sia in termini di capacità produttiva che di sicurezza sul lavoro: gli standard erano già molto elevati e i nostri tecnici e consulenti hanno prontamente informato e supportato le aziende che ce lo hanno chiesto nell’applicazione del protocollo. Sul lato distribuzione abbiamo notato un grande apporto dei punti vendita di prossimità: piccoli alimentari, fruttivendoli, macellai, panettieri stanno infatti dimostrando la loro importanza strategica, con una grande flessibilità rispetto alla domanda, e quanto siano complementari alla gdo [grande distribuzione organizzata, ndr], che sta fornendo comunque tutti beni di prima necessità senza problemi grazie alla riposta dei nostri produttori. Credo che lo slogan Compra Italiano, ora, trovi un riscontro concreto da parte degli utenti».
Un quadro senza linee d’ombra?
Certo, abbiamo segnalazioni dai nostri associati sul fatto che reperire trasporti con regolarità e certi tipi d’interventi su macchine e attrezzature e sui sistemi di lavoro, per via delle nuove norme da rispettare, è molto complesso. Ma la collaborazione è massima da parte di tutti e il nostro servizio tecnico agronomico è sempre a disposizione per dare supporto in caso di necessità. Anche il comparto vitivinicolo sta mostrando difficoltà causate dalla chiusura dell’Horeca e barriere all’export che genereranno un stock d’invenduto notevole con la campagna di settembre alle porte e incertezza nel programmare la campagna 2022.
E che mi dice invece sul florovivaismo, visto che è così importante per la provincia di Pistoia e così orientato sull’export? Come è la situazione adesso in ItaliaE allestero?
«Qui la situazione è grave. Il florovivaismo, il nostro settore più importante, è uno dei più colpiti, se non il più colpito, da questa emergenza: è al collasso e deve essere immediatamente rianimato. Fino a oggi era consentito solo di mantenere viva la produzione negli impianti vivaistici, ma la vendita al dettaglio era vietata, tranne che online. Purtroppo tutto questo avviene in primavera, ovvero il periodo dell’anno che rappresenta, a seconda dei segmenti specifici, dal 50% al 70/80% fino al 90% del fatturato annuo. E stiamo parlando di un settore che conta in provincia di Pistoia circa 15.000 addetti tra diretti e indotto e 1.500 aziende florovivaistiche con un giro d’affari che sfiora gli 800 milioni ed un export che vale oltre il 70% e per alcune aziende arriva a oltre il 90%. Con il gruppo di lavoro di Confagricoltura Pistoia dedicato all’emergenza Covid-19, abbiamo calcolato danni, per la sola provincia di Pistoia e per il solo fermo di questo periodo (3 aprile), di almeno 480milioni d’euro».
La recente apertura alle vendite da parte della presidenza del consiglio dei ministri e della ministra Bellanova cambierà le cose?
«Il chiarimento di Palazzo Chigi al DCPM del 23 marzo, “è consentita la vendita al dettaglio di semi, piante e fiori ornamentali, piante in vaso, fertilizzanti, ammendanti e altri prodotti simili”, ha dato un’iniezione di fiducia. Una piccola boccata d’ossigeno al nostro comparto più rappresentativo, che ha visto Confagricoltura impegnata in prima linea per la raccolta dei dati e nella trattativa con il governo centrale da cui è scaturita questa apertura. Siamo consci che tale risultato, che dovrà essere ratificato con la modifica al DCPM del 23 marzo, riguarda le sole vendite nazionali, le quali peraltro dovranno fare i conti con quanto già perso e con una domanda profondamente modificata dalla cancellazione di tutte le ricorrenze, dalla mobilità ridotta al minimo e una propensione all’acquisto certamente rivolta maggiormente ai beni di prima necessità. L’altra criticità del vivaismo, aspetto molto preoccupante anche in termini di ripartenza, è l’impossibilità di programmare le produzioni. Ad esempio, nel vivaismo una grande quantità di piante è stata rimessa in pieno campo dopo la cancellazione degli ordini e questo comporta di non aver spazio per mettere a dimora le nuove produzioni, che ormai variano di anno in anno. E di conseguenza è impossibile pianificare il ciclo che vive di un preciso fotoperiodo e una domanda conseguente. A ciò si aggiunge che una parte di produzione verrà distrutta». 
Nella floricoltura invece?
«Anche nella floricoltura, che ha cicli produttivi più veloci, sia per le piante annuali in vaso che per i fiori recisi, si deve decidere subito cosa acquistare per l’estate, l’autunno, ed entro fine maggio anche per il prossimo Natale. Per la commercializzazione all’estero c’è da augurarsi che i paesi come Francia. Germania, paesi Scandinavi e Inghilterra riaprano quanto prima i centri di giardinaggio, come stiamo facendo noi, perché ovviamente i canali verdi alle frontiere che sono stati mantenuti aperti per la circolazione delle merci anche grazie anche al nostro intervento in Commissione europea, altrimenti, non serviranno a niente».
Alla luce della situazione sopra descritta, quali sono le valutazioni di Confagricoltura? Che cosa vi aspettate dai vari livelli di governo in soccorso dei differenti comparti agricoli e in particolare del florovivaismo?
«La misura che in pratica riconosce le piante e i fiori beni di prima necessità è sicuramente una prima importante risposta del Governo per un settore che è sinonimo di bellezza ma anche di benessere psicofisico e di sostenibilità, grazie agli spazi a verde che stanno nascendo e agli orti casalinghi che sono anche preziose risorse alimentari e ambientali visto che le piante depurano l’aria perché assorbono, metabolizzano e rendono inerti sostanze inquinanti. E in questo momento c’è un bisogno estremo di tutto ciò. Anche solo mantenere il nostro primo biglietto da visita, ovvero il paesaggio, sarà fondamentale per la ripartenza. Come altre misure di breve periodo per rianimare il settore dal collasso, abbiamo fornito i numeri e le analisi di mercato al Governo, che dovrebbe intervenire subito sulla sospensione dei pagamenti dei contributi previdenziali e delle imposte, comprese Iva, Imu, Tari. Stiamo anche chiedendo agli istituti finanziari di rivedere gli standard di accesso al credito in deroga a Basilea 2 e tenere i costi del denaro bassissimi sia nel breve che nel medio e lungo periodo. Inoltre sono necessarie subito le moratorie di mutui, finanziamenti e cambiali agrarie».
Riguardo ai lavoratori?
«Sul fronte del lavoro, poiché per tenere viva la produzione serve manodopera che le aziende non vendendo non sono in grado di pagare, serve una cassa integrazione per i lavoratori derogando alle attuali regole. Inoltre serve un sostegno al reddito per i soci produttori delle cooperative attraverso strumenti che valorizzino il prodotto ancorché non venduto sul mercato. Sono indispensabili poi lo sblocco dei pagamenti dei contributi per le aziende in graduatoria dei Pif (Progetti integrati di filiera) e Psr (Programmi di sviluppo regionali) che hanno già sostenuto gli investimenti e, da subito, una campagna di comunicazione e pubblicità per spingere la gente ad acquistare il prodotto italiano in modo da rendere circolare la nostra economia e aiutare le aziende a intercettare consumi interni di piante e fiori».
E la vitivinicoltura, anch’essa duramente colpita, di che cosa ha bisogno?
«Per il comparto vitivinicolo servirà, oltre alle misure di tipo fiscale e finanziarie generali sopra enumerate, un “Piano Strategico di sostegno all'export vitivinicolo nazionale” articolato su missioni di settore, piani di comunicazione integrata sui mercati internazionali più ricettivi, con previsione di misure straordinarie promozionali e di sostegno alla domanda di vino, sia per il mercato estero che interno, da strutturare con testimonial, opinion leader e “ambasciatori” a livello nazionale ed internazionale. Inoltre iniziative volte a garantire liquidità alle imprese e snellimento burocratico. A livello nazionale, la filiera ha avanzato alla ministra Bellanova la richiesta di convocazione del “tavolo del vino”, perché operi come cabina di regia del settore per le iniziative urgenti di sostegno».
Quali sono le iniziative di Confagricoltura, sia a livello vostro provinciale che nazionale, per sostenere le imprese in questa fase di disorientamento e paura?
«Le istanze raccolte dal nostro gruppo di lavoro provinciale sono fra quelle avanzate dal nostro presidente nazionale Massimiliano Giansanti al ministero delle politiche agricole e sui vari tavoli nazionali. Ad esempio siamo stati fra i primi a sollevare direttamente il problema della forte esposizione alla crisi da Coronavirus del comparto florovivaistico, così da inserirlo fra i settori da indennizzare in blocco, perché qui le merci non si stoccano ma vengono proprio distrutte. Confagricoltura sta promuovendo iniziative e proposte presso le istituzioni locali, nazionali ed europee per chiedere la messa in atto di misure specifiche in favore delle aziende florovivaistiche e agricole gravemente colpite dalle conseguenze della diffusione di COVID-19 e si sta sostituendo alle aziende la dove c’è necessità di chiarimenti con enti e istituzioni quali Asl, Comuni, Provincie, Regioni, e ovviamente con gli istituti finanziari».
E nello specifico di Confagricoltura Pistoia?
«Qui a Pistoia abbiamo intensificato l’attività sindacale e costituito subito uno speciale gruppo di lavoro composto dai nostri professionisti che opera costantemente a contatto con aziende, banche e istituzioni. Siamo infatti certi che in questo momento sia particolarmente necessario aumentare la comunicazione e il  confronto con i nostri associati. Stiamo tenendo con loro conference call e a breve apriremo una piattaforma webinar per seminari e workshop sulle varie tematiche. A causa della drammaticità del momento si devono fronteggiare quotidianamente criticità sul piano amministrativo, economico-finanziario, ma anche su quello tecnico, e soprattutto pensare alla ripartenza che in particolare per il vivaismo deve essere valutata con grande attenzione. Con alcuni clienti stiamo predisponendo piani anticrisi per fronteggiare un fermo di tre mesi e la conseguente ripartenza con differenti scenari. Le aziende ora devono giocare in difesa e preparare la ripartenza secondo un nuovo paradigma. Da subito si deve cercare il sostegno del sistema finanziario e fiscale partendo però da programmi seri, ovvero con business plan di crisi che prevedano un fermo di tre mesi con il relativo impatto sul cash flow e sul conto economico aziendale. Mettere la testa sotto la sabbia non serve a niente. E ancora stiamo studiando l’attivazione di nuove forme di vendita, le quali se non porteranno nell’immediato risultati sostitutivi del normale ciclo commerciale, potranno però essere patrimonializzati nel medio periodo. Infine si dovrà lavorare al fine di ricercare prodotti integrativi o sostitutivi del precedente mix prodotto. Continueremo a lavorare su tutto questo e lo comunicheremo via via ai nostri associati. Prosegue intanto la raccolta dei dati, a suo tempo annunciata, per riportare alle amministrazioni e alla politica i numeri precisi dei danni subiti dalle aziende durante la crisi a Coronavirus e quindi le loro esigenze, ma soprattutto per programmare strategicamente la ripartenza. Chi saprà gestire la crisi potrà trarne un vantaggio competitivo. E’ sicuro che questa crisi finirà e altrettanto sicuro che ci cambierà per sempre».

Redazione

Dal 28 al 31 gennaio alla fiera professionale del florovivaismo di Essen fra gli espositori 14 aziende vivaistiche dell’Associazione vivaisti italiani (Avi), di cui 13 del Distretto di Pistoia e 1 di Novara. Oltre ad esse 2 aziende non vivaistiche, ma della filiera del verde pistoiese, che sono sponsor di Avi. Il presidente di Avi Luca Magazzini: «in questa edizione interessanti focus su piante e cambiamento climatico e sul settore in Francia». Il presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia Francesco Mati: «una rappresentanza così valida del distretto a una fiera così importante è in linea con gli ultimi buoni dati del nostro export».


Quattordici aziende vivaistiche socie dell’Associazione vivaisti italiani (Avi) parteciperanno la prossima settimana come espositori alla fiera leader del florovivaismo Ipm Essen. 
Ben 13 di esse appartengono al Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia, di cui Avi è soggetto referente o gestore. L’unica azienda socia non pistoiese che parteciperà a Ipm Essen, in calendario dal 28 al 31 gennaio,  è della provincia di Novara, sul Lago Maggiore. Oltre ai vivaisti saranno presenti come espositori a Essen anche 2 aziende sponsor di Avi appartenenti alla filiera del verde, entrambe pistoiesi.
«Fra gli aspetti più interessanti di questa edizione di Ipm – dichiara il presidente di Avi Luca Magazzini - le diverse iniziative dedicate a piante e clima, al ruolo del vivaismo contro il cambiamento climatico, lo stesso tema che abbiamo messo a fuoco nel settembre dell’anno scorso qui a Pistoia alla nostra “Serata del vivaismo” [vedi nostro articolo, ndr]. Altro aspetto di sicuro interesse è il focus sulla Francia, che ha fra gli elementi più degni di attenzione la presenza di Val’hor, un’associazione nazionale interprofessionale che raccoglie tutti i soggetti della filiera dai produttori e commercianti fino ai segmenti finali: fioristi, giardinieri e architetti del paesaggio».
«Sono orgoglioso di avere una rappresentanza così valida a quella che è considerata una delle più importanti manifestazioni mondiali sul florovivaismo – aggiunge il presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia Francesco Mati -. E’ perfettamente in linea con gli ultimi buoni dati sul nostro export: siamo un distretto di assoluto rilievo e capace di presidiare i mercati internazionali con efficacia».
Ecco l’elenco completo in ordine alfabetico e con l’indicazione dello stand delle aziende vivaistiche di Avi in esposizione a Ipm Essen: 
- Capecchi Enio & Figli (Pistoia) [5 / 5E33]
- Carlesi Vivai (Pistoia) [5 / 5E34]
- Flor Coop Lago Maggiore (Nebbiuno - NO) [5 / 5B38]
- Giacomelli Piante (Pistoia) [5 / 5D30]
- f.lli Gorini Piante (Pistoia, frazione Chiazzano) [6 / 6B34]
- Rolando Innocenti & Figli (Pistoia) [6 / 6G37]
- Innocenti & Mangoni Piante (Pistoia) [5 / 5E37] 
- Magazzini Piante (Serravalle Pistoiese – PT) [7 / 7A39]
- Magni Piante (Pistoia) [5 / 5F31] 
- vivai Reali Umberto (Pistoia, fraz. Masiano) [6 / 6F16] 
- Righetti Piante (Bottegone Pistoia, fraz Bottegone) [7 / 7A42] 
- Romiti Vivai (Pistoia, fraz. Chiazzano) [7 / 7C24] 
- Vannucci Piante (Pistoia) [6 / 6E24]
- Zelari Piante (Pistoia, fraz. Chiazzano) [5 / 5D33]

Aziende sponsor:
- Agraria Checchi (Pistoia) [3 / 3E69]
- N. G. Niccolai (Pistoia) [4 / 4D39]

Redazione


Il nuovo brand Spoolivi – Società pesciatina d’olivicoltura di Pietro Barachini, la cui azienda familiare Spo ha appena compiuto 100 anni, contestualizza la produzione e vendita dei suoi olivi certificati Xylella free, virus esenti o biologici ai produttori di olio d’oliva extravergine in una rete che abbraccia tutta la filiera oleo-olivicola. Barachini, che è anche assaggiatore professionale, a partire dalla sua pionieristica app iOlive per tracciare il percorso dalla pianta madre all’olio (vincitrice dell’Oscar Green 2015), punta alla blockchain avvalendosi della startup AbcLab, che ha lanciato in questi giorni un crowdfunding per raccogliere i finanziamenti necessari. Inoltre vuole trasferire le sue innovazioni in tutto il rinascente distretto florovivaistico e olivicolo Lucca-Pistoia. Apologia della tecnica dell’innesto pesciatina, che Barachini intende far diventare patrimonio dell’Unesco.

Coltivare piante di olivo, originate dalle piante madri di varietà autoctone italiane e certificate del suo vivaio, su richiesta e secondo le esigenze dei propri clienti olivicoltori, mostrando loro in anticipo anche le proprietà chimiche e organolettiche degli oli che saranno prodotti da quelle piante e garantendo con certezza che ad essere allevate e vendute loro, qualche anno dopo l’ordine, saranno proprio quelle piante lì, le piante figlie di quelle piante madri. Il tutto per mezzo di una originale app vincitrice del premio Oscar Green 2015 di Coldiretti, iOlive, e di chip che sono tuttora in corso di sperimentazione nell’ambito di un Pif (Progetto integrato di filiera) promosso da Coldiretti Pistoia che è stato finanziato dalla Regione Toscana. E dando una risposta a tutte le altre esigenze dei clienti olivicoltori grazie a una rete di partner che intende coprire dalla A alla Z la filiera oleo-olivicola: dai costruttori di macchine per la raccolta di olive ai frantoi, ai produttori di contenitori, ai laboratori d’analisi, fino ad Airo – Associazione internazionale ristoranti dell’olio, che divulga i buoni oli d’oliva extravergine nei ristoranti.
Come sarà più chiaro al termine della presente intervista, è questa la formula alla base di Spoolivi – Società pesciatina d’olivicoltura, nuovo brand creato nel 2017 da una costola dell’azienda familiare Spo – Società pesciatina d’orticoltura da Pietro Barachini, uno dei più completi e appassionati esponenti del distretto vivaistico olivicolo di Pescia, il principale in Italia e ai vertici anche a livello europeo. Un uomo, una filiera, verrebbe da dire pensando alle sue competenze, che superano i confini vivaistici e vanno dalla coltivazione delle piante madri di olivo fino alle tecnologie digitali applicate alla tracciabilità e al marketing nel comparto olivicolo, e persino all’assaggio degli oli, visto che è diventato assaggiatore professionale dell’Anapoo – Associazione nazionale assaggiatori professionisti di olio d’oliva.
A lui abbiamo chiesto di aggiornarci sulla sua azienda, cercando di capire in particolare come sta procedendo Spoolivi, con il suo work in progress sulla rete di collaborazioni lungo l’intera filiera oleo-olivicola, e se ci sono novità di altro genere da dichiarare.
«L’azienda – risponde Barachini - nel 2020 festeggia 100 anni di attività, anche se in realtà è nata molto prima. Ma sono riuscito a trovare un documento, un premio nazionale a mio bisnonno Renato Del Ministro per la capacità di riproduzione delle piante di olivo, che è del 1919».
Allora quest’anno è l’anniversario, non il prossimo.
«In realtà ho voluto concludere l’anno e festeggiare l’anniversario nel 2020: sto organizzando un evento per celebrare la nascita dell’olivicoltura italiana a Pescia. Vorrei fare il punto sull’olivicoltura italiana oggi e sul futuro dell’olio extravergine italiano».
Quindi tutta l’olivicoltura, non solo il vivaismo olivicolo?
«Il vivaismo olivicolo è la parte fondamentale dell’olivicoltura..»
.. sì, sì, ma vorrei capire se l’intento è coprire tutta la filiera.
«Sì, perché nel 2017 è nato il progetto di Spoolivi, che non si limita più alla filiera vivaistico-olivicola ma si proietta sull’olio extravergine d’oliva..»
..ecco può spiegare meglio il progetto di Spoolivi?
«Grazie alle attività all’estero che avevamo sviluppato in paesi come Giappone, Emirati Arabi, Francia, Croazia e Spagna - perché gli olivi italiani e pesciatini venivano richiesti in questi paesi -, grazie ad essi, ho girato un po’ il mondo e al ritorno mi sono accorto che per recuperare il mercato italiano, cioè per vendere le piante in Italia, dovevo studiare meglio il mio cliente. Quale modo migliore che mettersi nei suoi panni? Così ho fatto finta di diventare, o meglio in parte lo sono diventato davvero, un olivicoltore, cioè colui che produce l’olio, per capire meglio di che cosa ha bisogno il mio cliente».
Questo da quando?
«Dal 2015 ho iniziato un percorso formativo, grazie a persone che mi hanno insegnato tanto, come se dovessi aprire un’azienda che produce olio. E sono diventato assaggiatore professionista, ho fatto dei corsi sulla trasformazione dell’olio, sulla gestione degli oliveti, insomma su tutta la filiera a 360 gradi. Questo mi ha fatto capire che poteva avere una chance ciò che finora non era stato preso in considerazione dai vivaisti olivicoli: fornire al cliente una totalità del servizio, ma non tutta io direttamente bensì creando una rete, che è appunto Spoolivi».
Come funziona il progetto aziendale?
«Da un lato ho piantato varietà autoctone che producono l’olio tutti gli anni. La scelta di puntare su piante di olivo autoctone dipende dal fatto che il mondo sta cercando proprio quelle, le varietà autoctone regionali italiane. E questo è il futuro per Pescia. L’olio che viene più pagato al mondo è quello prodotto dalle varietà autoctone regionali italiane, perché ha un potere salutistico che è il migliore. E questo è un primato che noi non possiamo perdere. Lo metto in evidenza perché in questo anno si sta discutendo sull’olivicoltura italiana: se farla diventare industriale con varietà brevettate ad hoc oppure puntare sulle varietà autoctone. Siccome si sta dividendo l’Italia su questo. Basti pensare alla FS17 che stanno piantando in Puglia. Ma non perché sia di cattiva qualità, ma perché è un’altra cosa, come paragonare la Panda alle Ferrari».
Diceva che con le sue piante autoctone produce olio..
«.. sì, quindi io sono in grado di mostrare che olio fanno le mie piante, perché produco dei monovarietali. E questa è una nostra peculiarità: che facciamo degli oli monovarietali con le piante madri, ma non per vendere l’olio, bensì per analizzarlo. E faccio fare le analisi chimiche per poi darle ai clienti. Dall’altro lato, ho selezionato come partner alcune delle migliori aziende toscane del settore oleo-olivicolo. Ad esempio il fornitore di macchine per la raccolta di olive, i frantoi, il laboratorio di analisi ecc. Tutta questa filiera io l’ho messa e sto continuando a metterla in rete, come si può in parte vedere nel sito web: www.spoolivi.com. Ciò ha creato un meccanismo virtuoso per cui le persone si rivolgono a me dopo aver comprato le piante e Spoolivi è una sorta di centro dove gli olivicoltori possono trovare molte risposte».
Del resto, Barachini, lei ormai è esperto di tutta la filiera: dalla pianta madre fino all’assaggio dell’olio, non è da tutti.
«E in effetti molte persone mi identificano con colui che conosce le varietà dal punto di vista vegetale (che non è semplice) ma che sta imparando a conoscere le varietà anche dal punto di vista salutistico e organolettico, quindi a livello culinario, perché questo sto imparando attraverso i concorsi che faccio o le guide, ad esempio quella Slowfood. Credo che questo connubio fra prodotto finito e pianta sia molto potente e ancora non era stato preso in considerazione. I vivai vendono la pianta e stop. Nessuno si è mai preoccupato del dopo».
Dunque su Spoolivi vendete le piante e date (o mettete in contatto con) tutto ciò che serve dopo?
«E’ un’azienda completa che lavora a 360 gradi partendo dalla qualità della pianta, perché ci stiamo investendo tantissimo, che però va oltre, perché abbiamo sviluppato tutti insieme, io, mia moglie e i collaboratori, un sistema per cui il produttore viene da noi e gli facciamo fare un blend degli oli monovarietali in vista dell’impianto..»



..cioè gli fate assaggiare l’olio?
«Mi spiego. Un produttore viene da me per fare un impianto nuovo. Il primo step è capire quali varietà vuole piantare. Io lo aiuto a identificare il mercato a cui punta con la vendita dell’olio, su che marketplace si vuole posizionare e a che prezzo vuole venderlo. So indicargli che una certa varietà in una certa posizione rende tot ecc. Poi da lì poi parte tutto uno studio, fino al livello agronomico. Oggi l’errore che si sta facendo in Italia è che tutti dicono bisogna produrre olio, perché l’olio manca. Sì, ma quale olio manca? Perché se ci mettiamo a fare un olio anche con meccanizzazione estrema (che comunque è sbagliato), cioè si tenta di industrializzare gli oliveti piantando in superintensivo varietà non autoctone per abbassare i costi di produzione, va considerato che questo lo fa già tutto il mondo a costi inarrivabili in Italia: il 30% dell’olio prodotto nel mondo è fatto da 3 varietà. E queste varietà le stanno piantando anche in Italia».
Ah ora anche in Italia?
«Certo l’Arbequina e la Koroneiki e l’Arbosana le stanno piantando in Italia..»



Ma, tornando alla sua azienda, lei è noto anche per la tracciabilità digitale, grazie alla vittoria di un Oscar Green qualche anno fa con la app iOlive: mi può spiegare questo aspetto della sua attività?
«iOlive nasce come progetto che rispondeva a una mia esigenza: avevo bisogno di far vedere che le mie piante venissero effettivamente dal mio vivaio. Noi a Pescia, io e non solo, siamo una delle poche realtà dove le piante madri sono all’interno del vivaio. Tutta la filiera produttiva è all’interno dell’azienda: dal seme, dai noccioli, dalle olive! E ciò vuol dire che il cliente, se vuole, può in qualsiasi momento dell’anno venire a controllare le sue piante, perché ora stiamo lavorando in una maniera “sartoriale”, nel senso che le piante me le prenotano 2 anni prima..».
.. e che cosa fa iOlive?
«Risponde all’esigenza di tracciare la pianta, perché io ti do una pianta con dentro un chip, che ora stiamo testando con il Coripro di Pescia (consorzio per la certificazione volontaria delle piante d’olivo) nell’ambito del Pif “Evo 2.0: dal vivaio alla tavola” che ho avuto l’onore di scrivere con Coldiretti Pistoia. Infatti il grosso limite delle certificazioni attuali è dato dal cartellino, perché basta che io levi il cartellino e la mia certificazione va a farsi friggere. Se invece questa certificazione rimane all’interno della pianta è più difficile da manomettere. Ma mi accorsi subito che questa tracciabilità della pianta poteva essere estesa anche sull’olio..»
..ecco iOlive c’era prima di questo Pif..
«..nel 2015, quando vinsi il premio nazionale dei giovani di Coldiretti Oscar Green».



Già allora la tracciabilità si estendeva dalle piante all’olio?
«Sì, già lo facevo io».
E quindi è stato avviato come Spoolivi?
«Sì. Trovai dei produttori che hanno voluto utilizzare questo sistema di tracciabilità».
Che comprende anche un’app, vero?
«Sì, c’è un’applicazione sul cellulare dove tu puoi seguire tutto e personalizzare».
Poi è nato il Pif di Coldiretti Pistoia?
«Sì»
Da che anno?
«Dal 2017/2018».
Ed è ancora in corso.
«Sì. Siccome nel Pif c’erano tutte le associazioni, compreso Coripro di cui faccio parte, ho cercato di inserire questo aspetto perché la Regione Toscana ci ha finanziato lo studio sperimentale del chip. E tengo a sottolineare che la sperimentazione va bene, però deve essere collaudata per tot anni. Lo dico perché molti vivai, anche in Toscana, escono con delle nuove varietà come se fossero la panacea, ma in realtà, se non c’è una lunga sperimentazione dietro, rischi un buco nell’acqua. Quindi noi sperimentiamo continuamente all’interno del vivaio, però usciamo soltanto quando abbiamo un tot di anni di prove, per dare una garanzia al cliente».
Bene, e adesso quali sono i nuovi passi avanti sul fronte della tracciabilità digitale?
«Stiamo da un lato avviando il trasferimento della tracciabilità digitale in tutto il rinato distretto florovivaistico e olivicolo pesciatino, ma di questo ne riparlerei in altra occasione. Dall’altro, a livello privato, ho creato una start up che si chiama Abclab – A blockchain lab (www.abclab.site) insieme ad altri esperti di tracciabilità digitale da vari punti di vista, con la quale cerchiamo innovazione per tracciare i prodotti agroalimentari, al servizio degli agricoltori 4.0. Ed è la rotta futura verso cui sto dirigendo Spoolivi, cioè mi voglio specializzare sempre di più a far sì che i miei clienti raggiungano la qualità superiore al mondo. Questo attraverso la produzione di un olio di altissima qualità e tramite la possibilità di identificarlo con certezza. E va rimarcato che tutta la qualità dell’olio extravergine di oliva è data dalle varietà autoctone. Quindi è compito di Spoolivi garantire negli anni i cloni d’identificazione delle varietà autoctone regionali di tutta Italia. Vale a dire che se io ti do il Leccio del corno, ti do quel clone che è unico di Leccio del corno, perché è stato testato per 50 anni in Toscana. E io ti darò sempre quel clone perché le piante madri sono all’interno della mia azienda e vengono monitorate ogni sei mesi».
Questo fa parte di Spoolivi, la startup Abclab che cosa fa in più rispetto ad iOlive?
«La startup è nata dal progetto di iOlive e lo applica a tutta la filiera agroalimentare, non solo quella dell’olio».
Ah, quindi è un’azienda che si occupa di estendere questa metodologia. In pratica vende il servizio?
«Applica la blockchain [“un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall'uso della crittografia” Wikipedia, ndr] nella filiera agroalimentare».
Ma iOlive non era già questo, almeno in parte?
«Ancora non c’era la blockchain».
Quindi iOlive era più o meno sulla stessa strada ma non ancora con la tecnologia blockchain?
«Esatto».
E adesso iOlive sta diventando blockchain?
«Sta diventando, perché applicare una tecnologia blockchain è molto costoso».
E ci sono delle regole per entrarci?
«Esatto. Quindi che cosa ho fatto? Ho creato la startup e ora siamo in fase di crowfunding e stiamo cercando i finanziamenti per attivare la blockchain in iOlive. Perché? Perché tutte le certificazioni, e ritorniamo anche a quella della pianta, sono valide nel momento in cui tu mi vai ad assicurare che quei passaggi di produzione sono certificati. Attualmente c’è un organismo esterno che viene e controlla. Mi spiego. In Spoolivi ho tre certificazioni: quella virus esente, quella biologica e quella Xylella free. Però vengono garantite all’interno dell’azienda attraverso un sistema digitale; non c’è solo il servizio fitosanitario che viene e controlla ogni 6 mesi per verificare se le piante sono idonee dal punto di vista biologico e dal punto di vista fitosanitario».
Qual è la garanzia in più del digitale?
«Perché il passaggio con cui io vado a prelevare il materiale da quella pianta chi è che me lo dice? Per esempio, per il biologico, io vado a prelevare una pianta che deve essere biologica. Bene, ma chi è che me lo certifica? Quel passaggio lì attualmente veniva scritto su un libro. Noi lo registriamo in digitale e attraverso la blockchain ci sarà un organismo terzo tecnologico che certifica in tempo reale tutti i passaggi, come per i bonifici bancari».
E questi passaggi saranno tutti registrati con dei chip sulle piante?
«Sì potrebbero.. il chip è il mezzo. Basta che tu metta un QR su una pianta. Quando un cliente ordina a Spoolivi una varietà autoctona lui deve essere sicuro che quella varietà sia stata presa da quella pianta madre che ha quelle caratteristiche produttive che tutti gli anni gli dimostro. Però durante i 2 anni del ciclo produttivo io gli devo dare la sicurezza che questa pianta figlia che gli consegnerò deriva davvero da quella pianta madre lì».
La start up Abclab a che punto è?
«E’ su un sito di crowdfunding per 40 giorni alla ricerca di finanziatori (www.starsup.it). Perché, a differenza che in America, dove ho lavorato in California proprio con il progetto iOlive e dove se tu hai un’idea te la finanziano, in Italia questo non succede quasi mai».
Quindi ora siete in fase di raccolta fondi?
«Sì, ma quel che mi interessa ribadire è che Spoolivi produce esclusivamente varietà autoctone e che dietro alla pianta di olivo c’è una competenza agronomica che tuttora vengono a studiare a Pescia per capire come si fanno le piante di olivo, perché alcuni aspetti da noi non sono stati ancora “standardizzati” per fortuna. Faccio un esempio: l’innesto è una tecnica che io spero di far passare come patrimonio dell’Unesco di Pescia e ci voglio riuscire perché non la usa più nessuno. Con la tecnica di innesto tu riesci a fare tutte le varietà del mondo, più che con la talea, e con delle proprietà nell’apparato radicale che sono uniche. Il che consente, ad esempio, di piantare olivi in zone collinari dove non c’è acqua».
E invece che cosa fanno negli altri distretti olivicoli?
«Fanno quasi tutti talea. O addirittura, cosa più pericolosa che si sta diffondendo, lavorano per meristema. E’ vero che con il meristema tu puoi fare tutti gli olivi che ti pare con dei costi inferiori, però – e questo mi è stato insegnato dai ricercatori che ci hanno investito 40 anni della loro vita – tu quando vai a dividere una cellula non sei sicuro che quella cellula è produttiva. Quindi tu fai delle piante che produrranno per lo meno fra 20 anni. E questo non me lo posso permettere. E’ vero che la pianta la vendi lo stesso. Ma io non posso permettermi di vendere una pianta di ulivo a un mio cliente e dirgli: mah forse la pianta produrrà fra 20 anni».



Quindi lei crede nell’innesto?
«Io credo nell’innesto e nella talea, però più nell’innesto perché la talea la fa tutto il mondo. Io credo nell’innesto anche come particolarità storica di Pescia perché è nato a fine 800 e da allora si sta tramandando di generazione in generazione».
Ma nel suo vivaio non c’è solo innesto..
«.. noi facciamo 50% di ulivi da innesto e 50% da talea. Sono 300 mila piante prodotte all’anno in 30 varietà autoctone in produzione, varietà regionali italiane».

Redazione Floraviva
Articolo Publiredazionale

L’azienda vivaistica Mati 1909 dedica i suoi auguri al futuro del pianeta con l’agricoltura integrata e la sostenibilità concreta, non ideologica.

«Se le Conferenze sul Clima non ottengono risultati, possiamo farlo noi nelle nostre scelte quotidiane. Ogni azione conta. Le nostre azioni continueranno a sostenere le ragioni dell’agricoltura integrata e della sostenibilità concreta, non ideologica. Continueremo a coltivare alberi, che sono la base della vita del pianeta e del genere umano. Lo faremo con tutto l’amore possibile, li cureremo quando stanno male, come facciamo con i nostri figli, e li pianteremo in ogni angolo che ci verrà concesso. Per produrre ossigeno, assorbire anidride carbonica, assorbire polveri sottili e diminuire il riscaldamento del pianeta.  Non rinunciamo alla scienza. Non rinunciamo alla vita». 

Redazione Floraviva

Riscontri positivi alla fiera di Padova per la rete d’imprese Olea, nata nel marzo 2019 e già finalista al Future Village. Composta da aziende toscane della Valdinievole (PT) e una sarda del nuorese, ha come punto in comune di forza la produzione di olivi: tutte le varietà che richiede il mercato, dalle tradizionali a quelle per impianti moderni, certificati CAC, virus esenti e selezionati Xylella resistenti. Anche agrumi, piante di vite e ornamentali (soprattutto da siepe). Saba: «in Sardegna non c’è una realtà vivaistica come la pesciatina, ma siamo totalmente liberi da rischi per molti patogeni». Sonnoli: «la Sardegna è in via di sviluppo per l’olivicoltura». Sull’ipotesi distretto vivaistico olivicolo di Pescia, Cinelli: «sarebbe importante, ma temo sia un treno passato». Su Xylella, Sonnoli: «passo avanti che la zona rossa possa reimpiantare, ma non bastano 2 varietà resistenti, noi collaboriamo col Cnr per individuarne di nuove».

Buona la prima per la rete d’imprese Olea al Flormart, il salone internazionale del florovivaismo tenutosi nei giorni scorsi alla Fiera di Padova. Costituita solo nel marzo 2019, Olea, composta dalle aziende agricole Andreani Edoardo, Cinelli Luca e Cinelli Vivai di Cinelli Federico di Pescia (PT), Vita Verde Vivai di Orosei (NU) e Vivai Attilio Sonnoli di Uzzano (PT), ha già debuttato nella fiera professionale storica del settore ed è riuscita ad entrare fra i finalisti del Flormart Future Village, la nuova iniziativa dedicata alle startup agricole (vedi nostro articolo), e ad ottenere ottimi riscontri dai buyer sui propri prodotti in esposizione. A cominciare dalle piante di olivo, di una gamma ricchissima di varietà toscane e sarde, certificate CAC, virus esenti e Xylella free, e non solo, destinate ai produttori di olio sia con impianti tradizionali che intensivi o superintensivi. Ma anche per le produzioni di piante da frutto e di vite, di agrumi e piante ornamentali pronto effetto per la realizzazione di giardini.
Floraviva ha incontrato i titolari delle imprese di Olea allo stand collettivo di Flormart venerdì 27 settembre facendosi illustrare la situazione e chiedendo delucidazioni anche su alcuni dei temi caldi del comparto del vivaismo olivicolo, che costituisce il loro trait d’union e principale punto di forza, grazie anche all’inedito legame Toscana (ma sarebbe meglio dire Valdinievole) – Sardegna. Nell’occasione si è fatto un cenno pure a una recente pubblicazione di Attilio Sonnoli, una vera autorità in materia di coltivazione di ulivi.
Olea a Flormart: siete nati a marzo del 2019 e siete già qua.
Elena Sonnoli: «siamo più che soddisfatti di questo risultato. E’ un primo traguardo ma anche un punto di partenza. Siamo riusciti a creare uno stand rappresentativo di tutte le produzioni di tutte le nostre aziende. Non solo, in quanto start-up, Flormart ci ha consentito anche di avere uno spazio nel Future Village».
Non ce ne sono molte di reti di impresa in questo settore, vero?
Luca Cinelli: «sì, siamo una delle poche, una delle prime reti d’impresa agricole in Toscana, con la presenza anche di un’azienda sarda».
E uno degli scopi costitutivi della vostra rete, se ben ricordo, è proprio partecipare insieme alle fiere, con conseguenti riduzioni dei costi, vero?
Luca Cinelli: «c’è un vantaggio economico e non solo quello, nel presentarsi in rete, perché la gente quando ti vede come gruppo ti apprezza di più».
Mi potete riassumere le vostre produzioni, allo stand e non solo?
Luca Cinelli: «la produzione che ci accomuna tutti è l’olivo. Produciamo tutte le varietà di olivo che richiede il mercato: dalle varietà tradizionali alle varietà adatte per impianti moderni, agli olivi certificati CAC, olivi virus esenti e olivi selezionati Xylella resistenti. Poi abbiamo la parte che riguarda l’ornamentale e sono tutte piante allevate in contenitore, principalmente piante da siepe, come Photinia, Eleagnus, Viburnum ecc. Infine anche agrumi in varietà assortite, piante di vite, piante da frutto, mimose e altre ancora».
Come sta funzionando questa sinergia vista dalla Sardegna?
Sergio Saba: «fermo restando che tra noi un rapporto c’era già prima della costituzione di Olea e che li conosco da tanto tempo perché ho studiato a Pescia, la rete è stata da un lato la certificazione del legame che già esisteva e dall’altro un rafforzamento perché riusciamo a fare delle cose che come singoli, soprattutto nel mio caso, non riusciamo a fare. In Sardegna non esiste una realtà vivaistica radicata come quella pesciatina e toscana, e la nostra sinergia diventa molto importante, perché riusciamo ad avere le produzioni migliori della realtà vivaistica toscana con il buono che c’è in Sardegna: il fatto di essere totalmente liberi da rischi per moltissimi patogeni».
E voi pesciatini che dite del legame Toscana-Sardegna?
Elena Sonnoli: «al Future Village mi hanno chiesto: come mai la sinergia con la Sardegna? Essendo le nostre aziende a Pescia sarebbe stato più facile lavorare e collaborare solo con aziende sul territorio. La Sardegna perché? Perché oltre ad avere una conoscenza ultraventennale e stima reciproca con Sergio Saba, la Sardegna è anche una regione in via di sviluppo per quanto riguarda l’olivicoltura, che sta piantando e ha intenzione di piantare sempre di più. Ovviamente valorizzando anche le varietà autoctone».
Quali ad esempio?
Elena Sonnoli: «la Bosana, la Semidana, Nera di Oliena, Nera di Villacidro ecc. E avere un vivaio in Sardegna semplifica notevolmente tutta la parte logistica che ci troveremmo ad affrontare».
Come è andata Flormart?
Luca Cinelli: «a livello commerciale bene, ma niente di eclatante. Sappiamo che c’è da anni una crisi che si sta risolvendo ma molto lentamente».
Ma quali dei vostri prodotti sono meglio posizionati sul mercato?
Luca Cinelli: «per noi l’olivo in generale è quello che va meglio. Siamo contenti di essere venuti qua e aver fatto conoscere il nostro prodotto».
Quali saranno i prossimi passi di Olea?
Luca Cinelli: «pensiamo già ad altre fiere, come Myplant, e pensiamo già per il futuro prossimo a Essen, che ci farà conoscere all’estero. Però per adesso è prematuro parlarne».
Visto che stiamo parlando di futuro, che prospettive ci sono lì da voi a Pescia sul distretto del vivaismo olivicolo? Nascerà formalmente o no?
Luca Cinelli: «sul distretto olivicolo, io sono fermamente convinto che se nascesse sarebbe importante per tutte le aziende che producono olivi a Pescia, non solo le nostre. Sarebbe un distretto importante per Pescia. Da quando la macchina, movimentata un po’ dalla politica un po’ da certe associazioni, ha rallentato, per non dire che si è quasi fermata, sinceramente temo che sia un altro treno che è passato».
Elena Sonnoli: «sul distretto olivicolo di Pescia, spero che non sia una delle ennesime occasioni perdute. Ci sono persone purtroppo che ancora continuano a parlarne ma poi non concretizzano nulla. Posso dire con orgoglio che non è il caso nostro, perché nel momento in cui abbiamo deciso di fare la rete, noi siamo passati dalle parole ai fatti e nel giro di 6 mesi siamo riusciti a venire al Flormart, con uno spazio nostro e a essere presenti come startup e concorrere a una finale di un premio nazionale. Se dipendesse da noi, il distretto olivicolo sarebbe già operativo».
Passando alla situazione Xylella, come la vedete? A che punto siamo, stiamo incominciando a gestirla bene?
Elena Sonnoli: «fermo restando che le buone politiche dovrebbero essere applicate sempre e non quando siamo in emergenza e si verifica un’epidemia, noi confidiamo nella ricerca. Quindi nella possibilità di individuare un maggior numero di varietà meno sensibili alla Xylella, cioè in grado di poter sopravvivere nonostante la Xylella. E’ già un enorme passo avanti il fatto che la zona rossa possa reimpiantare. Anche perché serve per ridare fiducia e stimolo al settore, sia a noi vivaisti che produciamo le piante che agli olivicoltori che devono piantare. Però la piantagione non si può fermare soltanto a due varietà [Leccino e FS17, ndr]. E’ necessario che la ricerca continui il lavoro che ha intrapreso. E’ un lavoro lungo, lo sappiamo. Noi come azienda e come rete collaboriamo con il Cnr di Bari affinché si possano individuare nuove varietà da poter proporre agli olivicoltori».
Il vostro campo di piante madri virus esente è il primo privato in Toscana, avete tutte piante certificate, vero?
Elena Sonnoli: «tutte le piante dei nostri vivai sono state analizzate dal Servizio fitosanitario regionale e sono state dichiarate Xylella free, cioè non è stata rilevata presenza di Xylella. E questo ci fa capire che stiamo lavorando nel verso giusto».
E questo vale per tutte le varietà di piante?
Elena Sonnoli: «sì, per tutte le piante di olivo e per le piante ornamentali sensibili alla Xylella. Poi oltre alla Xylella stiamo portando avanti il discorso delle piante virus esenti, che il mercato internazionale ci chiede sempre di più».
Infine una curiosità: si nota nello stand questo libro ‘Vivaismo olivicolo’ di Attilio Sonnoli, suo padre, che senza tema di smentite è uno dei massimi esperti in circolazione della materia. E’ un manuale?
Elena Sonnoli: «è un manuale tecnico edito da Edagricole».
Sarà letto anche nelle scuole?
Elena Sonnoli: «confidiamo che venga adottato dalle scuole, perché è un manuale scritto da un tecnico per i tecnici e gli appassionati del settore, ma facile da leggere anche per gli studenti, sia delle scuole superiori che delle università».
Lei, Sara Andreani, è un’altra socia pesciatina di Olea: qual è il suo giudizio sulla rete dopo questi primi mesi di esperienza? E’ la prima volta che partecipa a una fiera come Flormart?
Sara Andreani: «sì, è la prima volta. L’esperienza di Olea è estremamente positiva perché ci ha dato la possibilità di crescere sia come singole aziende che come gruppo».
Una crescita dal punto di vista della consapevolezza commerciale?
«Sì, vediamo delle prospettive comuni insieme, che possono favorire una crescita non solo della nostra azienda, ma di tutta la rete Olea».
Infine, Federico Cinelli, figlio d’arte (Luca è suo padre, ndr) ma imprenditore autonomo a sua volta. Come è stato l’impatto con Olea?
«E’ stato un impatto positivo, con le altre aziende ci siamo trovati subito bene. E l’ho vissuta come un’occasione di accrescimento del know how di tutti».

Redazione Floraviva
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