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Cantine Bonacchi trionfa a Vinitaly 2023 con il premio A'Design Award

Lo stand di Cantine Bonacchi conquista il premio A'Design Award. Presentato l'avvolgente "Gerbido" di Bolgheri

Cantine Bonacchi, rinomata azienda vinicola toscana, ha vinto il prestigioso premio A'Design Award per il suo stand all'edizione 2023 di Vinitaly disegnato da Franco Pupillo. L'azienda, nota per la produzione di vini di alta qualità, ha presentato i suoi rinomati vini durante l'evento.

Cantine Bonacchi, situata nel cuore del Montalbano, è una realtà toscana leader nel settore vinicolo. Oltre alla sede principale a Quarrata, l'azienda ha acquisito fattorie in varie zone della Toscana, tra cui Quercegrossa con l'azienda Casalino (SI), nota per la produzione di Chianti Classico e Chianti Classico Riserva, Molino della Suga a Montalcino, dove vengono prodotti Brunello e Rosso di Montalcino ed infine l'azienda di Bolgheri, celebre per i suoi vini di alta qualità, tra cui il Bolgheri Riserva e Bolgheri D.O.C.,tra cui sppicca la nuova etichetta "Gerbido", un vino ottenuto da uve merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon e syrah, vitigni internazionali che si sono perfettamente adattatie alle condizioni climatiche e pedologiche uniche di Bolgheri che favoriscono la maturazione ottimale di questi vitigni, conferendo al Gerbido di Bolgheri un profilo morbido, sapido ed estremamente piacevole. L'enologo di Cantine Bonacchi, Ivan Misuri, ha sottolineato l'influenza del territorio e ha spiegato che la vicinanza alla costa tirrenica ha ispirato il design dell'etichetta e del packaging, che raffigurano la forma del vento caratteristico della zona.

Infine una nota sul packaging di questa new entry: le bottiglie del Gerbido di Bolgheri sono protette da carta velina e presentate in scatole di legno marchiate a fuoco che completa un'esperienza di alta qualità per i consumatori.

Lo stand di Cantine Bonacchi a Vinitaly 2023 ha quindi catturato l'attenzione dei visitatori, oltre alla qualità dei prodotti, per il suo design innovativo e l'attenzione ai dettagli. Grazie a questa presentazione, l'azienda è stata premiata con l'A'Design Award, uno dei premi di design più prestigiosi a livello internazionale, un importante riconoscimento per l'azienda nel settore vinicolo italiano. La combinazione tra l'arte del vino e il design ha offerto ai visitatori di Vinitaly un'esperienza che ha coniugato la presentando dei suoi rinomati vini agli appassionati del settore a l'eccellenza nel designa distinguendosi per la sua dedizione alla qualità e all'innovazione nel campo vinicolo.

Redazione

Il vivaio di Cesare Barni, una selezione di piante per grandi giardini

Incontro con Cesare Barni, maestro vivaista di lungo corso e gran gusto affinato dalla passione per l’arte, nei suoi due ettari e mezzo di splendide piante nel cuore del distretto di Pistoia. Spiccano nel suo vivaio circa 600 Picea pungens ‘Hoopsii’, ma anche agrifogli, faggi tricolor e altri alberi dei generi Picea, fra cui alcoquiana ‘Bicolor’ e kosteriana ‘Pendula’, e Abies. Premiato nel 2016 dall’Associazione Vivaisti Italiani, Barni propone una gamma di alberi perfetti per grandi giardini e parchi pubblici bisognosi di piante già in pieno rigoglio.


«Il vivaista produce paesaggio». È quanto recita la targa ricevuta in premio da Cesare Barni nella “Serata del vivaismo” del 2016 dall’Associazione Vivaisti Italiani di cui è socio a riconoscimento della sua lunga e onorata carriera. Motto quanto mai meritato dal maestro vivaista Cesare, il cui vivaio in fondo a via del Pescino a Pistoia, nel distretto vivaistico-ornamentale più importante d’Europa, è un esempio di qualità e ricercatezza per l’originale gamma di piante, frutto di innesti e intuizioni mai banali. Per lo più ormai alberi già maturi e rigogliosi, che ben si presterebbero per parchi pubblici (nuovi o da integrare) o grandi giardini privati che non possono attendere anni per svolgere appieno le proprie funzioni.
Davvero «un vivaista d’eccezione», come è stato definito circa dieci anni orsono in un articolo in cui è stata tratteggiata la sua storia di giovane appassionato di innesti già dai tempi della scuola e poi nel vivaio messo su nel terreno della moglie (che è quello attuale) nelle ore del dopolavoro (era infatti impiegato alle Poste). Non solo per la molteplicità degli interessi e l’amore per l’arte, vissuto sia come musicista dilettante (ha suonato la tromba in diverse bande musicali) che come collezionista d’arte contemporanea. Ma soprattutto in quanto vivaista che ha sempre coltivato il gusto di sperimentare innesti di varietà nuove e la curiosità per «il ricercato». E che ha avuto come punti di riferimento della propria formazione vivaistica, oltre al capovivaio di una grande azienda pistoiese quale Luigi Becarelli, il collezionista di rarità botaniche Ferruccio Rabuzzi, che, colpito positivamente dall’autentica passione di Cesare, gli fornì alcune varietà di alberi trovate in orti botanici nord europei.
Il risultato, dopo mezzo secolo di attività dal momento dell’avvio, è un vivaio intorno a 2 ettari e mezzo dove spiccano per quantità e bellezza circa 600 Picea pungens ‘Hoopsii’ fra i 30 e i 40 anni, ma anche diversi agrifogli (Ilex aquifolium ‘Variegato’ e Ilex crenata, detto agrifoglio giapponese), faggi tricolor (Fagus sylvatica ‘Tricolor’), Abies pinsapo ‘Aurea’, altri alberi del genere Picea, fra cui Picea alcoquiana ‘Bicolor’ e Picea kosteriana ‘Pendula’, e Carpinus betulus ‘Monumentalis’. Piante da intenditori in attesa di acquirenti capaci di apprezzarne il valore sia estetico che commerciale, senza dimenticare la funzione ambientale svolta con l’assorbimento di sostanze inquinanti.
Floraviva ha incontrato nei giorni scorsi Cesare Barni nel suo vivaio per intervistarlo passeggiando insieme a lui fra le sue piante e ripercorrendone la storia.

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Quando è nato esattamente questo vivaio?
«Nei primi anni ‘70. Io ho sposato quella signora lì [indicando la moglie Fernanda che ci ha accolto all’inizio della visita, ndr], che era proprietaria di questo podere e l’ho trasformato da ortolano a vivaio di piante».
Quindi il vivaio l’ha creato lei, Cesare?
«Sì, l’ho creato io perché già conoscevo un po’ il vivaismo. Insieme a mio fratello, che sta di là».
Quindi questo è suo e poi c’è dall’altra parte della superstrada il vivaio del fratello?
«Sì»
E quando l’ha avviato come ha deciso di impostarlo?
«Guardi io ho sempre avuto una grande passione per queste piante: i Picea pungens 'Hoopsii'. Quindi quando misi in opera il vivaio incominciai subito a innestare questi alberi».

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Era il primo a farlo a Pistoia o ce n’erano altri?
«Il primo no, ma uno dei primi sì. Sono il primo che l’ha fatto con certi numeri, perché io ne ho innestati migliaia».
Perché le piacevano o perché ci vedeva uno sbocco di mercato importante?
«Le due cose assieme».
Quale era lo sbocco di mercato per questo albero principalmente? Il mercato natalizio?
«No, no, queste non sono per Natale. Queste sono piante per i giardini e per i grandi parchi».
E adatte a quali zone soprattutto? Toscana o altrove?
«In collina o anche in pianura, basta non vicino al mare…»
… ma quando ha iniziato a produrli dove ha iniziato a venderli? Più in Italia o subito anche all’estero?
«No, io direttamente all’estero no, ho sempre lavorato con le ditte di Pistoia che esportano».
Quindi faceva il fornitore alle aziende più grosse?
«Sì».

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Dunque, questo è stato l’inizio. Poi che cosa ha fatto? È rimasto specializzato o ha allargato anche ad altre tipologie di piante cominciando a diversificare?
«Ho subito diversificato per avere delle piante in tempi brevi. Perché queste piante qui prima che diventino un po’ grandine ci vogliono tanti anni, almeno 7/8 anni dalla messa a dimora alla vendita. Se si pensa che queste [indicando un filare di Picea pungens 'Hoopsii', ndr] sono le prime e hanno 50 anni, anche qualcosa in più».
E infatti sono belle grosse, eh?
«Sono 7 metri, 7 metri e mezzo».
Ma la diversificazione in che consisteva all’inizio?
«All’inizio facevo principalmente produzione di tuie, che ci venivano bene, perché c’è un terreno molto adatto».
E c’erano anche altre piante in questa diversificazione?
«Sì. Ad esempio gli aceri giapponesi e agrifogli giapponesi: ne avevo tanti».
Questo è stato l’inizio, poi c’è stato qualche cambiamento da segnalare nella storia del suo vivaio?
«Quando incominciai a vendere i Picea pungens ‘Hoopsii’ il mercato li richiedeva. C’era anche il boom economico degli anni 70/80».
Quanto è durato il boom per questo tipo di prodotto?
«Una ventina d’anni».
E poi quando è cominciata a calare la domanda di questa pianta su quali ha cominciato a puntare?
«Niente, perché quando hai il vivaio pieno di queste piante o le tagli o continui a curarle».
C’era rimasto poco spazio nel vivaio?
«Avevamo anche poco spazio. Poi ho allargato il vivaio e ho fatto i diradi…»
… mi può spiegare in che cosa consistono i diradi?
«Perché quando le piante sono piccole si mettono a distanza adeguata, per arrivare a un’altezza giusta, poi crescono e vanno levate. Io vendevo i diradi e lasciavo il resto… lì per esempio ce ne sono una ventina e prima ce n’erano cento…».
… dicevamo di altre piante per la diversificazione.
«Ho fatto anche tanti agrifogli. È un lavoro un po’ lento, perché anche su queste piante qua si va nell’ordine delle decine di anni».

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Queste [indicando degli esemplari di Ilex aquifolium ‘Variegato’, ndr] sembrano messe in forma in qualche modo?
«Quella forma lì a fontana credo di averla fatta solo io».
Ah, quindi è l’unico che li mette in forma così?
«Non posso dire l’unico per certo, però ecco credo, perché ci vuole tanta pazienza».
Possiamo dire che è una sua specialità questa di metterli in forma?
«Io non direi una specialità. Sono un vivaista a cui piaceva farli anche così».
Quali sono le difficoltà maggiori?
«Ci vuole tanta pazienza e tanto tempo. Guardi qui ci sono diversi innesti e c’è già la prima selezione sugli innesti».
Quindi vanno fatti degli innesti per fargli prendere queste forme?
«Certo. Si potrà fare anche in altro modo, ma io l’ho fatto così».

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Queste forme di questi alberelli per così dire a tre piani [indicando degli Ilex crenata o agrifogli giapponesi, ndr] hanno un nome tecnico o commerciale?
«A fontana, le fontane classiche del Cinquecento. E se lei guarda i quadri del Cinquecento, per esempio l’Annunciazione di Leonardo che è agli Uffizi, sullo sfondo almeno una c’è potata così. Si vede molto bene questa pianta che svetta sul didietro: è formata così. È una pianta grande».
Quindi una delle sue caratteristiche è che lei è bravo a fare innesti?
«Sì, quando ero molto giovane ne ho fatti, tant’è vero che i Picea pungens ‘Hoopsi’ li ho tutti innestati io».

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Come li ha innestati?
«In parole povere, le radici sono quelle dell’albero di Natale, cioè dell’abete rosso, e poi viene fuori questo qua».
Che ci mettete?
«Si mettono le marze di quella varietà: il Picea pungens ‘Hoopsii’».
Altri esempi di innesti?
«In quegli agrifogli il fusto è quello dell’Ilex selvatico e a una certa altezza si innesta quella varietà lì: l’Ilex aquifolium ‘Variegato’».

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Qualche altra pianta degna di nota?
«Ad esempio ho qualche pianta che non si trova spesso nei vivai. Questo è un abete molto particolare, si chiama Picea alcoquiana ‘Bicolor’. Questi esemplari stanno producendo i semi, maschili e femminili, e quelli femminili sono rosso purpureo».

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Quindi, ricapitolando, lei ha iniziato a fare tutte queste piante più o meno sin dall’inizio?
«Sì. Ho conosciuto una persona, Ferruccio Rabuzzi, che non era un vivaista, ma un appassionato di botanica che faceva l’impiegato a Firenze. Abitava qui in zona e aveva questa passione per le piante, anche molto particolari. C’è stato un periodo che acquistavo da questo signore le piante. E acquistai tante camelie, che lui innestava…».
… perciò collaborava con questo amatore della botanica?
«Sì, questo signore aveva rapporti con i giardini reali inglesi, olandesi e anche belgi. Si faceva mandare le piantine, le faceva crescere un pochino e poi le riproduceva».
Comunque, concludendo questo profilo storico del suo vivaio, possiamo dire che il momento più glorioso è stato nei primi venti anni di vita: dai ‘70 ai ‘90?
«Sì, ma non solo da parte mia. Tutti i vivai di Pistoia ebbero la spinta dal boom economico e dalla grande richiesta di piante».
Passando all’oggi, se dovessimo quantificare e dire le percentuali di piante di ciascuna delle principali tipologie del suo vivaio, diciamo 3: la prima è il Picea pungens ‘Hoopsii’, vero?
«Sì, circa l’80%. Saranno intorno a 600».
E le altre due successive?
«Gli agrifogli e i faggi tricolor (Fagus sylvatica ‘Tricolor’), una pianta che mi è sempre piaciuta fin da quando ero ragazzo, e ne ho riprodotte tante, forse anche troppe».
A suo parere, quali sono fra le sue piante quelle con più prospettive di mercato adesso?
«Come vede, io ho tutte piante grandi e ora, almeno a quanto mi risulta, il mercato richiede soprattutto piante piccole. Piante in vaso, già pronte, o anche con la terra, in zolla, però piccole, fino a 2 metri, 2,50 metri. Io ho piante più grandi».
Ma in teoria si parla tanto di inverdimenti nelle città e in certi casi le piante già grandi sono più apprezzate dai cittadini. Però immagino che ci sia un problema di costo?
«Non lo so, penso che sia il fatto che hanno un costo diverso. Perché in realtà io penso che chi riesce a mettere subito qualche pianta come quelle mie fa subito un bell’effetto».
Quindi se uno vuol fare un bel parco, sia pubblico che privato, con una pianta così parte subito bene…
«… ecco io ce l’ho. Già pronte e lavorate secondo il sistema classico di una volta».
Cioè? che intende dire con «lavorate secondo il sistema classico»?
«Per esempio, per togliere una pianta grande così, va lavorata. Cioè gli si tagliano le radici prima, magari metà e poi… dipende dalla situazione…».
… quindi intende dire che lei sa come preparare bene la pianta che dovrà essere messa a dimora altrove?
«Direi di sì. E ho le piante adatte».
Quali sono le destinazioni privilegiate per queste sue piante? I parchi monumentali e i giardini privati di un certo livello?
«Chiaramente nel giardino della villettina che ha pochi metri di spazio queste piante qui non sono adatte. Ce le può anche mettere ma poi entrano in casa».
Quindi praticamente giardini privati con grandi spazi oppure parchi pubblici monumentali o meno?
«Certo».
E come climi, in quali stanno bene? Dappertutto?
«Basta che non siano proprio vicino al mare, in modo da evitare gli spruzzi salati».
Per il resto, possiamo dire che vanno bene dalla Sicilia alla Svezia?
«Certo».
E ora coi cambiamenti climatici come stanno reggendo?
«Io non ho avuto grossi problemi, perché ho l’acqua e io d’estate annaffio. Ho il pozzo e mi basta».

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Bonacchi a Vinitaly

Allo stand C17 nel padiglione 9 della Toscana di Vinitaly si potranno degustare le annate 2022 dei vini Bonacchi di punta, ma anche il nuovo Chianti biologico in anteprima e qualche sorpresa. Le aspettative di mercato dell’enologo Misuri, a cominciare dalla fondamentale America e dal ritorno della Cina. In Italia è sempre gdo. 

 
Pronta al via a Verona la 55esima edizione del salone internazionale dei vini e distillati Vinitaly, che si svolge da domani 2 aprile a mercoledì 5 aprile presso Veronafiere. Fra le aziende vinicole che rappresentano i colori del vino toscano nel mondo spicca Cantine Bonacchi, un’azienda giunta alla quarta generazione con sede centrale, impianto di imbottigliamento all’avanguardia e 42 ettari di vigneti a Quarrata (Pistoia) nel cuore del Chianti Montalbano. A cui si aggiungono i 23 ettari di vigneto a Chianti Classico della Fattoria Casalino a Castelnuovo Berardenga, il Podere Molino della Suga di Montalcino con i suoi 11 ettari di vigne a Brunello e Rosso di Montalcino, altri 21 ettari di vigneti (di cui 9 nuovi) dedicati alla produzione di Rosso Toscana, Chianti Colli Senesi, Igt Vermentino e Pinot Grigio Igt. Più un nuovo investimento a Bolgheri - da qui lo slogan delle 3 B per Badesco, Brunello e Bolgheri - che sarà presentato ai clienti in fiera allo stand aziendale C17 del Padiglione 9 (Toscana), dove la delegazione Bonacchi sarà presente al completo e si potranno degustare i vini di casa.  
Floraviva ha sentito l’enologo di casa, Ivan Misuri, vincitore nel 2020 dell’8^ edizione del “Premio Giulio Gambelli”, alla vigilia della partecipazione a Vinitaly 2023, per farsi illustrare le novità aziendali, l’esito dell’ultima vendemmia e le aspettative dell’azienda vinicola di Andrea Bonacchi nell’attuale contesto di mercato nazionale e internazionale.
A parte il nuovo investimento (e i suoi prodotti) di cui non volete parlare ancora, prima dell’inizio di Vinitaly, c’è qualche altra novità da dichiarare?
«Un nuovo vino biologico»
Di che si tratta?
«Un vino rosso, un Chianti ottenuto da uve biologiche».
Quando lo avete lanciato?
«Lo presentiamo per la prima volta a Vinitaly. Non ha ancora un nome».
Quindi è un’anteprima, ci può anticipare qualcosa?
«Sì. È un prodotto della tradizione ma che, grazie a tutti gli accorgimenti “bio” che vengono intrapresi sia a livello di vigna sia di trasformazione in cantina, rientra nei vini biologici. Il risultato non ha niente da invidiare ai prodotti tradizionali e se consumato nell’annata corrente è molto più vivo e ricco di profumi rispetto a un prodotto non biologico».
Come è nata la scelta di incominciare a misurarsi anche con il vino biologico?
«La decisione è frutto dei trend di mercato. Sempre più consumatori chiedono vini biologici, c’è molta più attenzione a questo comparto, e gli acquirenti sono disposti anche a spendere qualcosa in più per avere un prodotto non solo buono ma anche biologico. Abbiamo deciso quindi di fare il nostro ingresso anche in questo mercato».
Rispetto ai vostri vini di punta – come Chianti e Chianti Classico, Super Tuscan Badesco, Igt Vermentino e Pinot Grigio Igt Toscano – come è stata l’ultima vendemmia?  
«La vendemmia 2022 sembrava molto difficile e in realtà alla fine è stata un’ottima vendemmia. I prodotti si presentano freschi, integri e con un bell’aroma fruttato e quindi sono molto piacevoli da degustare».
E a livello di quantità? 
«Ci aspettavamo una forte riduzione, ma in realtà non c’è stata perché la vite ha retto bene al caldo torrido di luglio».
Passando alle prospettive, come valuta il contesto di mercato? 
«In questo momento, a causa del difficile reperimento di alcuni materiali come le bottiglie, il mercato è in una fase di contrazione. Ma ciò è dovuto alla mancanza dei materiali più che a un calo della domanda e degli ordini».
Ci si prefigurava questo scenario già l’anno scorso o sbaglio? 
«Sì. Ci sono state delle forti oscillazioni di prezzo dei materiali. Il prezzo del vino sfuso non è aumentato. Mentre il prezzo di una bottiglia vuota è quasi raddoppiato».
E i prezzi dei vini in bottiglia quanto sono aumentati? 
«Hanno subito dei leggerissimi aumenti».
Sempre analizzando il contesto di mercato, l’export di vino italiano nel 2022, secondo Vinitaly, ha segnato un +9,8% in valore ma -0,6% in volumi. Corrisponde a quanto registrato dal vostro osservatorio aziendale? 
«Più o meno sì».
E, a proposito di mercati di sbocco, come sono andate le cose l’anno scorso?
«Nell’export c’è stata una forte contrazione del mercato cinese dovuta alle ulteriori restrizioni per il Covid che loro hanno avuto rispetto a noi. Il mercato cinese sta riprendendo a macinare in questi giorni. Là c’è tanta voglia di vino italiano, quindi la nostra speranza è che riparta il mercato cinese e bene».
Sarete soddisfatti quindi dell’annunciato ritorno a Vinitaly di una così nutrita delegazione di buyer cinesi?
«Sì, la Cina tornerà forte. È il Paese che è stato più penalizzato dal Covid».
E per l’azienda Bonacchi questo quanto conta? 
«Abbiamo una persona che lavora sul mercato cinese, che è uno sbocco importante, soprattutto per alcuni vini come i super Tuscan o gli Igt e le riserve».
Altri mercati interessanti?
«Il mercato americano, che ormai ha un importante livello di volumi di vendite ed è abbastanza costante nel mantenerli»
È importante anche per la vostra azienda il mercato statunitense?
«Sì, per alcuni vini ad oggi continua a essere lo sbocco principale di mercato. Ad esempio Brunello di Montalcino e Chianti Classico sono principalmente esportati nel mercato americano».
Anche da questo punto di vista dunque la fiera Vinitaly, con la delegazione di compratori americani così numerosa, fa al caso vostro dunque. Avete buone aspettative?
«Sì».
Infine, sul mercato italiano, che per voi significa soprattutto grande distribuzione (gdo), come è stato il 2022? 
«I prezzi del vino nei supermercati non sono stati al passo con l’inflazione, ma è il nostro mercato di riferimento, per cui speriamo la gdo riesca a venire incontro alle esigenze dei produttori, che nell’annata 2021-22 si sono accollati tutti gli aumenti delle materie prime».

Per fissare appuntamenti in fiera con lo staff di Bonacchi: 339-7236851.
Per ulteriori informazioni sulle Cantine Bonacchi: bonacchi.it.
 
Redazione
Articolo pubbliredazionale

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Redazione

A 6 anni dalla messa a dimora, in provincia di Brindisi in zona rossa, due impianti olivicoli intensivi di cultivar Diana e Tosca, fornite dal vivaio pesciatino Attilio Sonnoli, sono sani e produttivi. E un rapporto di prova di un laboratorio accreditato di diagnosi fitopatologica di Bari il 25 ottobre ha attestato che il campione di Diana era negativo a Xylella fastidiosa, mentre il campione di Tosca era asintomatico pur essendo infetto. Le due cultivar si candidano a essere valutate dal CNR una come potenzialmente immune e l’altra come resistente alla Xylella.
   

Non solo Leccino e FS-17 Favolosa come varietà di olivi resistenti alla Xylella fastidiosa, il batterio che ha distrutto pezzi importanti dell’olivicoltura pugliese a sud di Bari. Arrivano segnali più che promettenti anche da due cultivar di olivo prodotte da un vivaista olivicolo della Valdinievole, Vivai Attilio Sonnoli di Uzzano nei pressi di Pescia, che sono state piantate nel 2016 da un’azienda agricola pugliese della provincia di Brindisi, in un’area che poco dopo la messa a dimora è diventata zona rossa per la diffusione di Xylella. Ebbene, a distanza di 6 anni, i due impianti, entrambi intensivi e contigui, uno costituito da 1000 piante di Olea europaea cv ‘Diana’ e l’altro da 1000 piante di Olea europaea cv ‘Tosca’, sono apparentemente sani e pienamente produttivi. Ma non è tutto: il 25 ottobre 2022 un rapporto di prova del Centro di ricerca e sperimentazione in agricoltura “Basile Caramia”, un centro barese  regolarmente accreditato, ha verificato due cose: 1) un campione delle suddette piante di olivo della varietà Diana è risultato privo di Xylella fastidiosa; e 2) un campione degli olivi della cultivar Tosca è risultato invece positivo, con presenza di Xylella fastidiosa, ma asintomatico.
donatofrancescoproceÈ quanto ci ha riferito Elena Sonnoli, titolare con i fratelli dei Vivai Attilio Sonnoli, e ci ha confermato l’agrotecnico pugliese Dott. Donato Francesco Proce con cui collabora da diversi anni. «Con la mia attività di tecnico di campo, girando in lungo e in largo la Puglia e non solo – ci spiega -, ho avuto modo di constatare e toccare con mano il problema devastante e catastrofico senza eguali della Xylella fastidiosa. Sto seguendo diverse aziende agricole che nel Salento, colpite e devastate dal problema, con tanto coraggio e intraprendenza, stanno reimpiantando ulivi resistenti alla Xylella fastidiosa come la Favolosa e  il Leccino. Il mio lavoro è consigliare come impiantare e gestire i nuovi uliveti, che stanno nascendo e prendendo il posto dei secolari impianti che caratterizzavano il paesaggio salentino, in maniera naturale e a residuo zero».
«Gli impianti in provincia di Brindisi di cui stiamo parlando – continua Donato Francesco Proce – si trovano in un terreno dove sono presenti diverse cultivar di olivo coltivate con diverse forme e tecniche di allevamento. Il proprietario, che possiamo definire un agricoltore eroico, quando l'areale dove insiste l'azienda non aveva vincoli o colori (zona rossa, fascia di rispetto ecc.) negli anni 2015 e 2016 ha deciso di impiantare diverse cultivar. Queste cultivar in questi anni hanno dimostrato alcune resistenza alla Xylella, come la Favolosa e il Leccino, altre invece presentano sintomi. Ma a colpirmi in particolar modo sono state le due cultivar Tosca e Diana, che allevate in maniera intensiva non presentano sintomi». Da qui la decisione di contattare l’istituto di ricerca “Basile Caramia” di Locorotondo, in provincia di Bari, per fare un’analisi di campioni di olivo di questi due impianti contigui di Diana e Tosca. «I campioni di Diana sono risultati privi di Xylella, mentre i campioni di Tosca  sono positivi –  conferma -, ma entrambi sono asintomatici».
Ma dove sono ubicati i due impianti olivicoli esattamente e nei dintorni si trovano piante di olivo colpite da Xylella fastidiosa? «L'areale dove insiste l'azienda agricola – risponde Proce - subito dopo la piantumazione degli oliveti è diventato zona rossa. Nelle immediate vicinanze vi sono piante infette, o meglio vi è il deserto che la Xylella sta generando».

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L’azienda agricola che ha messo a dimora questi due impianti di olivi Diana e olivi Tosca è soddisfatta, dopo questi primi anni, di come si sono comportate queste piante di olivo? «Sì – dice Proce -, l’azienda è molto soddisfatta di come le piante stanno producendo e di come stanno reagendo al batterio, sia in termini di produzione che in termini di resistenza. Ormai siamo arrivati al terzo raccolto. Adesso stiamo studiando le due cultivar rispetto a resistenza agli stress idrici, resistenza alle malattie, rese produttive e qualità organolettiche che le olive conferiscono ai rispettivi olii monovarietali. E vi posso dire che le aspettative sono molto positive».
Ma che significato ha questa verifica dopo 6 anni, che valore darle nella prospettiva di nuovi impianti olivicoli in Puglia nella zona rossa o nei territori confinanti? «Dopo 6 anni di sperimentazione – afferma Proce - possiamo dire che le due cultivar andrebbero attenzionate e studiate dagli organi preposti come possibili e ulteriori cultivar da impiantare». E alla domanda se consiglierebbe ad altre aziende olivicole pugliesi di questi territori di usare, oltre a Leccino e Favolosa che risultano resistenti a Xylella, anche queste due varietà, Tosca e Diana, risponde così: «innanzi tutto io il consiglio che do a tutte le aziende agricole che decidono sonnolidi realizzare nuovi impianti olivicoli o reimpianti è di impiantare olivi resistenti alla Xylella. Ed è quello che nella mia azienda di famiglia sto attuando da qualche anno, ma è quello che consiglio a tutte le aziende da me seguite e non solo. Inoltre consiglio a chi ha deciso di realizzare impianti intensivi di utilizzare le due varietà Tosca e Diana, che molto si avvicinano per caratteristiche morfologiche, pedoclimatiche ed organolettiche alle cultivar presenti nei nostri territori». «Ricordiamoci – conclude – che in questi anni la Xylella fastidiosa è arrivata alle porte di Bari superando di 60-70 km a nord il terreno dove sono presenti le due cultivar di Tosca e Diana».
«Tosca e Diana sono il risultato di un lungo lavoro di selezione e ricerca iniziato da mio padre Attilio tanti anni fa, - dice Elena Sonnoli - e con queste varietà, adattissime anche a uliveti ad alta densità e alla raccolta meccanica in continuo, cerchiamo di dare una risposta tutta italiana per una nuova olivicoltura intensiva, anche nelle zone colpite da Xylella fastidiosa. I risultati sono incoraggianti; siamo cauti e coscienti che il lavoro e la sperimentazione richiedono tempi lunghi, ma le premesse sono positive. Lo studio, l’osservazione e la ricerca continuano, seguendo il modello che ci ha insegnato Attilio».

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In evidenza con molti premi alla manifestazione Euroflora di Genova la rete d’imprese Olea, formata da 4 aziende vivaistiche della Valdinievole e una di Orosei.


«Siamo rimasti molto soddisfatti del successo riscontrato, non solo in termini di premi conseguiti, ma anche per l’apprezzamento ricevuto riguardo all’allestimento dello spazio assegnatoci nel parco. Ed è degno di rilievo anche il conseguimento di un ulteriore riconoscimento per “l’esposizione meglio conservata e meglio mantenuta alla fine della manifestazione”».
Questo il commento di Sara Andreani dopo la premiazione di fine manifestazione di Euroflora 2022, la mostra internazionale del fiore e della pianta ornamentale tenutasi a Genova nei parchi di Nervi dal 23 aprile all’8 maggio. Sara era domenica scorsa a Genova per ritirare, dalle mani del presidente di Porto Antico di Genova Spa Mauro Ferrando, i premi a nome di Olea, la rete d’imprese con sede legale a Pescia fra le quattro aziende vivaistiche della Valdinievole Azienda Agricola Cinelli Luca, Vivai Attilio Sonnoli, Andreani Piante, Vivai Cinelli Federico (in provincia di Pistoia) e l’azienda vivaistica sarda Vita Verde di Orosei (in provincia di Nuoro) [vedi sotto].

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E sono stati numerosi i premi ricevuti da Olea alla sua prima partecipazione a Euroflora, come era già noto da inizio esposizione visto che i lavori delle giurie si sono tenuti il 22 aprile in occasione del prologo riservato a stampa e addetti ai lavori. «Ben 6 primi premi e 6 secondi premi», come riferito da 
Sara Andreani, che si sofferma sul secondo premio ottenuto nella categoria “Olea europaea”, l’olivo, «su cui tutte le aziende della nostra rete d’impresa puntano particolarmente». Premi a cui si è aggiunto l’8 maggio quel riconoscimento allo stato di conservazione del loro allestimento ispirato al paesaggio mediterraneo, segno inequivocabile dell’alta qualità delle loro piante. Senza dimenticare la soddisfazione per il fatto che un’altra delle piante del loro allestimento, una varietà di limone endemica della Sardegna salvata dal rischio di estinzione, è stata fra le tappe privilegiate delle visite guidate di Euroflora.
«Siamo ovviamente molto soddisfatti come rete – dichiara il coordinatore di Olea Luca Cinelli – che le nostre piante e il nostro allestimento siano stati apprezzati, come testimoniato dai diversi premi ottenuti. Contavamo sui nostri glicini in fiore, e infatti hanno contribuito all’esito positivo in più di una categoria. Ma hanno vinto anche il Nerium oleander in fiore, Trachelospermum jasminoides e Eleagnus ebbingei compatta e sono piaciuti pure Prunus laurocerasoViburnum tinusPistacia lentiscus e Lagerstroemia indica». Ma la soddisfazione non si limita ai premi, come spiega Cinelli: «abbiamo avuto l’opportunità di farci conoscere a un pubblico internazionale e le floralies, ormai pochissime in Europa, sono molto frequentate anche da architetti e paesaggisti di tutte le nazionalità, per cui anche un pubblico professionale ha potuto venire in contatto con la nostra realtà pesciatina e il suo legame speciale con la Sardegna».

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Riguardo all’allestimento dello spazio, «abbiamo cercato di rappresentare il più fedelmente possibile il paesaggio mediterraneo con le nostre varietà sia autoctone che derivanti da nuove ibridazioni - ha spiegato Luca Cinelli -, quali 
Photinia ‘Volcano’ caratterizzata da una foglia frastagliata, Nandina ‘Moon bay’ a portamento super compatto, Feijoa sellowiana o Acca sellowiana apprezzata per la sua corteccia decorativa e per i suoi frutti». E, come precisato Sergio Saba, titolare dell’azienda sarda di Olea, Vita Verde di Orosei, che è anche paesaggista specializzato alla scuola di architettura del paesaggio post laurea dell’Università di Torino, «il vialetto sinuoso che attraversava lo spazio è stato contornato da una parte da olivi e dall’altro da cipressini totem, la parte forse più ornamentale con Photinia, glicine e bouganville: partendo dalla base dell’ulivo abbiamo creato un allestimento molto colorato sia per la fioritura che il fogliame. I glicini di 3 metri sono stati appoggiati su un olivo del parco a formare una sorta di tempietto fiorito».

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Il giardino mediterraneo era completato da piante di agrumi e fra queste, in primis, la varietà di limone endemica della Sardegna salvata dall’estinzione. Si chiama 
“Sa Pompìa” e proviene dalla zona di Siniscola. È uno tra gli agrumi più rari al mondo ed è stato riscoperto pochi anni fa. Come ci ha raccontato Sergio Saba, è stato grazie al lavoro vivaistico di suo padre e al sostegno dell’amministrazione comunale di Siniscola che si è riusciti a riattivare una produzione di questa pianta. Sa Pompìa è immangiabile da cruda, ma è un ottimo medicamento naturale ed elemento principe di alcuni dolci tradizionali e liquori.

I premi di Olea a Euroflora 2022

Primi premi:
- concorso n° 171 RAMPICANTI
- concorso n° 181 ELEAGNUS
- concorso n° 188 NERIUM OLEANDER in FIORE
- concorso n° 202 TRACHELOSPERMUM JASMINOIDES IN FIORE
- concorso n° 204 WISTERIA SINENSIS IN FIORE
- concorso n° 205 WISTERIA IN FIORE

Secondi premi:
- concorso n° 171 RAMPICANTI 
- concorso n° 187 LAGERSTROEMIA
- concorso n° 192 PISTACIA
- concorso n° 203 VIBURNUM IN FIORE
- concorso n° 225 OLEA EUROPAEA
- concorso n° 226 PRUNUS

La rete d’imprese Olea
Fondata nel 2019, “Olea” è una rete d’imprese agricole fra quattro aziende vivaistiche della Valdinievole (Cinelli Luca, Vivai Attilio Sonnoli, Azienda agricola Andreani Edoardo, Vivai Cinelli Federico) e l’azienda vivaistica sarda Vita Verde Vivai Saba di Orosei (in provincia di Nuoro). Lo scopo, fin dal momento della costituzione, è stato quello di condividere le competenze e fare massa critica per essere più incisive nel mercato nazionale e internazionale. Il nome richiama l’olivo, la cui produzione accomuna le aziende, che ne seguono tutte le fasi a partire dal semenzaio fino alla pianta finita, sia essa destinata alla realizzazione di impianti olivicoli che all’abbellimento di giardini privati. Olivi provenienti dal loro campo certificato di piante madri virus esenti, il primo privato ad essere ufficialmente riconosciuto in Toscana. All’olivicoltura le cinque aziende di Olea affiancano produzioni di piante ornamentali da esterno, fruttiferi e piante d’agrumi, che hanno fatto la parte del leone a Euroflora 2022.

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