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Coldiretti preoccupata per gli effetti del maltempo sul trasporto del polline delle api e sui livelli dei primi raccolti di stagione del miele, dopo un tragico 2017 con la produzione italiana di miele scesa sotto 10 milioni di kg. In Toscana si produce il 10% del prodotto nazionale per circa 16 milioni di euro (4700 gli apicoltori, una parte dei quali hobbisti).


Api che restano nelle arnie per la pioggia durante la fioritura senza riuscire a svolgere il prezioso lavoro di trasporto del polline da una pianta all’altra. Ma in forte ritardo è anche la produzione di miele con cali fino al 50% per i primi raccolti di stagione, a seconda delle zone.
Coldiretti lancia l’allarme sugli effetti sulle api del maltempo e delle piogge, che a marzo sono state addirittura superiori del 74% alla media, dopo che il gelo di inizio anno aveva causato la regressione dello sviluppo delle famiglie e ulteriori perdite di quelle già deboli e debilitate per via dalla siccità della scorsa estate.
La primavera instabile sta creando grossi problemi agli alveari in alcune aree del Paese, avverte Coldiretti, perché il maltempo ha compromesso le fioriture e le api non hanno avuto la possibilità di raccogliere il nettare e quindi non stanno riuscendo a produrre miele. E difficoltà si registrano anche per l’impollinazione delle piante da frutto, con la prevedibile conseguenza di una minore disponibilità di prodotto, senza una decisa inversione di tendenza.
Tutto ciò rischia di aggravare una situazione già difficile, «dopo che la produzione di miele nel 2017 si è ridotta a meno di 10 milioni di chili – spiega Coldiretti -, uno dei risultati peggiori della storia dell’apicoltura moderna da almeno 35 anni, mentre le importazioni hanno superato i 23 milioni di chili con un aumento di quasi il 4% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà di tutto il miele estero in Italia arriva da due soli paesi: Ungheria con oltre 8 milioni e mezzo di chili e la Cina con quasi 3 milioni di chili ai vertici per l’insicurezza alimentare».
Per evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, consiglia la Coldiretti, occorre verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole: «il miele prodotto sul territorio nazionale dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina) è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti. La parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell’Unione Europea, l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della CE”; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della CE”, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della CE”».
«In Italia – aggiunge Coldiretti – esistono più di 50 varietà di miele a seconda del tipo di “pascolo” delle api: dal miele di acacia al millefiori (che è tra i più diffusi), da quello di arancia a quello di castagno (più scuro e amarognolo), dal miele di tiglio a quello di melata, fino ai mieli da piante aromatiche come la lavanda, il timo e il rosmarino. Nelle campagne italiane – conclude la Coldiretti – ci sono 1,2 milioni gli alveari curati da 45.000 apicoltori tra hobbisti e professionali con un valore stimato in più di 2 miliardi di euro per l’attività di impollinazione alle coltivazioni».
Nelle campagne della Toscana, fa sapere Coldiretti regionale, si producono mediamente 23mila quintali di miele, circa il 10% della produzione nazionale, per un valore di circa 16 milioni di euro. Gli apicoltori nella nostra regione sono circa 4700 e sebbene sia un settore dove è sviluppato l’hobbismo, una buona parte di questi sono veri e propri imprenditori agricoli. L’anagrafe regionale ad oggi censisce oltre 98.000 arnie.
 
Redazione

Il report annuale della Giunta regionale sull’applicazione della legge di gestione degli ungulati (L.R. 10/2016) mostra effetti positivi, soprattutto con i cinghiali nelle aree agricole, dove il prelievo annuale è passato da 11.629 capi del 2015 a 26.608 nel 2017; ok la caccia di selezione, con prelievi di oltre 13 mila cinghiali in 20 mesi. Forti incrementi dei danni però alle colture a Firenze e Siena, nella seconda a causa dell’aumento di quelli dei caprioli.

 
La legge regionale sulla gestione degli ungulati sta ben funzionando e la strada imboccata per limitare l'impatto di queste specie sull'agricoltura, gli habitat e le attività umane in generale pare quella corretta. Nei venti mesi di effettiva applicazione della norma sono stati abbattuti complessivamente 184.774 cinghiali, 27.135 caprioli, 993 cervi, 2.456 daini e 217 mufloni, per un totale di 215.575 capi. Quanto alle dinamiche di popolazione - sia per cinghiale che per capriolo e daino – i dati di consistenza e prelievo del 2017, in decremento rispetto al 2016, segnalano, pur con una varietà di situazioni locali, un'inversione di tendenza a livello di presenze totali sul territorio regionale.
Sono i risultati che emergono dal report annuale sull'applicazione della legge regionale n. 10 del 2016 che la Giunta regionale della Toscana invierà all'attenzione del Consiglio, come ha reso noto nei giorni scorsi un nota dell’ufficio stampa dell’assessore all’agricoltura Marco Remaschi. «Sono ancora in corso analisi puntuali dei risultati e delle peculiarità locali – ha commentato Remaschi - ma ciò che emerge è che, in generale, negli ambiti in cui è stata massima la capacità di agire in una logica di sistema si sono raggiunti risultati positivi a beneficio di tutti, anche se dobbiamo ancora fare molto e certamente permangono molte criticità. Credo sia quindi necessario continuare su questa strada, cercando naturalmente di fare sempre meglio e risolvendo i problemi che abbiamo incontrato in questi due anni. Rimane aperto lo spazio – ha concluso l’assessore - per un confronto su eventuali proposte concrete e attuabili di miglioramento, che eviti strumentalizzazioni e forzature che purtroppo invece hanno caratterizzato molti degli interventi sin qui registrati». 
Riguardo al dato complessivo va sottolineato che per il cinghiale l'applicazione congiunta delle azioni di prelievo consentite dalla legge, dai regolamenti e dai piani annuali, ha permesso di incidere soprattutto nelle aree problematiche, ovvero nelle aree agricole, nelle quali il prelievo annuale è passato dagli 11.629 capi del 2015 ai 21.227 del 2016, per giungere nel 2017 al prelievo di 26.608 capi. Rispetto al passato, i prelievi in tali aree sono stati distribuiti durante tutto l'arco annuale, soprattutto attraverso il nuovo strumento della caccia di selezione, che ha permesso il prelievo nei 20 mesi considerati di oltre 13.000 cinghiali, risultando un efficace strumento di gestione e difesa delle colture in campo nei periodi più sensibili per i danneggiamenti delle coltivazioni. 
Viceversa, le squadre di caccia nelle aree vocate (quelle destinate alla gestione conservativa delle specie selvatiche), pur avendo avuto piani elevati e regole di prelievo invariate, hanno abbattuto meno cinghiali tra il 2016 ed il 2017, con un decremento pari al 19,6%. Questo rappresenta un segnale di calo numerico della specie, peraltro segnalato da molte squadre.
Cresce inoltre, per quanto riguarda i cinghiali, la percentuale, rispetto al totale generale, di prelievi nelle aree non vocate (cioè quelle caratterizzate dalla presenza diffusa di colture agricole): nelle aree non vocate gli abbattimenti sono passati da una quota inferiore al 14% del 2015 ad oltre il 30% del totale prelievi sulla specie nel 2017.
A questi dati si aggiungono gli interventi attuati in base all'articolo 37 della legge 3 del 1994 sulla fauna selvatica: sono stati autorizzati oltre 3.400 interventi sulla sola specie del cinghiale da marzo 2016 a dicembre 2017, con l'abbattimento di 23.500 capi.
Anche per capriolo e cervo sono aumentati in modo significativo i prelievi nelle aree non vocate, rispetto a quelli avvenuti nelle aree vocate.
Sui tempi delle autorizzazioni, va detto che, dopo le difficoltà del 2016, i tempi di intervento tra la richiesta degli abbattimenti e la loro attivazione sono sensibilmente migliorati: in media, gli uffici autorizzano le polizie provinciali dopo 2,5 giorni dalla richiesta dell'agricoltore.
Per ciò che riguarda i danni alle colture agricole, risulta evidente come il trend - in attesa che vengano accertati i dati complessivi - indichi anche per il 2017 un ulteriore aumento rispetto al 2016. Emergono, nel triennio 2015-17, alcune particolarità. La tendenza ha un andamento molto disomogeneo tra provincia e provincia e tra i diversi Atc (ambiti territoriali di caccia). Si registrano danni in diminuzione nelle province di Pisa, Lucca, Pistoia e Arezzo; mentre sono relativamente stabili a Livorno, Massa-Carrara e Grosseto; e risultano invece forti incrementi dei danni a Firenze e Siena, che costituiscono da soli oltre il 70% dei danni dell'intera regione. In particolare, nella provincia di Siena il danno causato da caprioli assume particolare entità ed è in grande crescita, nonostante l'aumento dei piani di prelievo, dei tempi di caccia e la sostanziale individuazione effettuata insieme ad ISPRA dei distretti con obiettivi di bassa densità.
Per i danni connessi con gli incidenti stradali, le informazioni sinora raccolte indicano una sensibile riduzione delle collisioni denunciate.
 
Redazione

Per questa edizione 2018 Vinitaly ha aumentato del 25% il numero degli espositori esteri presenti all’interno del padiglione International_Wine Hall, con delegazioni commerciali selezionate da 58 Paesi e una media di operatori professionali provenienti ogni anno da 140 nazioni. Cresce anche l’offerta “green” con le aree ViVITVinitalyBio e Fivi e nasce una innovativa directory online con 4.319 espositori da 33 Paesi e 13.000 vini iscritti.


Queste sono alcune delle novità e degli elementi caratterizzanti l’edizione numero 52 di Vinitaly che si terrà dal 18 al 18 aprile 2018 ed è oggi il più grande salone al mondo per metri quadrati e presenze estere dedicato al settore del vino e dei distillati.
Anche quest’anno Vinitaly è preceduto dall’evento internazionale OperWine, che sabato 14 aprile fa da ouverture alla rassegna nel palazzo della Gran Guardia, presentando 107 aziende di tutte le regioni italiane, selezionate dalla rivista americana Wine Spectator. Vinitaly si presenta come un unicum espositivo a livello internazionale grazie alla compresenza di Sol&Agrifood, salone internazionale dell’agroalimentare di qualità, rassegna interattiva che attraverso cooking show, momenti educational e degustazioni valorizza in chiave business le peculiarità dell'agroalimentare e l’olio extravergine d’oliva in particolare, e di Enolitech, appuntamento internazionale con la tecnologia innovativa applicata alla filiera del vino e dell’olio.
Il tutto legato da un ensemble di chef stellati, proposte di wine&food pairing, degustazioni di livello internazionale che fanno di ogni edizione di Vinitaly una annata irripetibile con appuntamenti di formazione tecnico-scientifica.
«Vinitaly si è sempre dichiarato uno strumento di servizio per le istituzioni e il sistema delle imprese, in chiave business e di relazioni internazionali – spiega Maurizio Danese, presidente di Veronafiere –. Il coinvolgimento della rassegna nel piano di promozione straordinaria del made in Italy è stato un passaggio importante per promuovere in modo unitario l’export vitivinicolo italiano. In tal senso, la collaborazione che stiamo portando avanti con ICE Agenzia, in particolare sui mercati di Cina e USA, è una modalità operativa che auspichiamo possa coinvolgere sempre più attori in un progetto di logica aggregativa. Sul fronte interno, continuiamo il lavoro iniziato nel 2015 per potenziare il
profilo professionale del visitatore di Vinitaly e la presenza di top buyer».
L’obiettivo dichiarato è quello di essere sempre più una piattaforma per gli affari delle aziende comparto. Anche per questo nel 2018 Vinitaly propone, in collaborazione con Wine Monitor di Nomisma, l’outlook sul futuro dei mercati mondiali target per il vino ed un focus specifico riservato agli USA, al quale seguiranno approfondimenti su Cina, Russia, Giappone, Regno Unito e Germania.
Particolare attenzione poi al digitale con una innovativa directory online con 4.319 espositori da 33 Paesi e 13.000 vini iscritti ad oggi che, attraverso un portale informativo in italiano, inglese e cinese, consente un matching b2b tutto l’anno, progettato lungo la linea del nuovo sviluppo di servizi digitali previsto dal pianto industriale. Piano che prevede investimenti anche per il miglioramento delle infrastrutture di quartiere e di pertinenza dello stesso (parcheggi, recupero e utilizzo già da quest’anno delle Gallerie Mercatali, manufatti di archeologia industriale prospicenti l’area espositiva) e un cesura sempre più marcata tra la fiera business nel quartiere e le iniziative di Vinitaly and the City dedicate ai wine lover in città, a Verona e, quest’anno, in tre borghi suggestivi della provincia: Bardolino, Soave e Valeggio sul Mincio.

Redazione

Il Mipaaf annuncia che l’obbligo d’indicare nell’etichetta degli alimenti lo stabilimento di produzione o confezionamento è in vigore da oggi. All’Ispettorato repressione frodi (Icqrf) il controllo e l’applicazione delle sanzioni: da 2 mila a 15 mila euro. Il vice ministro Olivero: «il nostro impegno si rivolge alla tutela del consumatore».

 
Da oggi, giovedì 5 aprile 2018, è scattato l’obbligo di indicare in etichetta la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento degli alimenti, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 145/2017.
A comunicarlo è il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) ricordando che tale indicazione «si aggiunge a quelle obbligatoriamente previste dal regolamento europeo (denominazione, ingredienti, presenza di allergeni, quantità, scadenza, nome del responsabile delle informazioni, paese di origine, istruzioni per l’uso, titolo alcolometrico e dichiarazione nutrizionale)».
Gli operatori dovranno, pertanto, indicare la località e l’indirizzo dello stabilimento (o solo la località se questa consente l’immediata identificazione dello stabilimento) di produzione o di confezionamento, se l’alimento è confezionato in uno stabilimento diverso da quello dove è stato prodotto. E l’obbligo riguarda gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano. In questo modo vengono garantite una corretta e completa informazione ai consumatori, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute.
«Il nostro impegno si rivolge alla tutela del consumatore – afferma il Vice Ministro Andrea Olivero - assicurando un’informazione piena che consenta di poter scegliere la qualità che si desidera. Sono certo che le nostre imprese agroalimentari sapranno cogliere appieno questa opportunità, andando incontro alle esigenze di un consumatore sempre più attento».
In caso di mancato rispetto dell’obbligo, l’operatore che non indicherà in etichetta lo stabilimento di produzione o di confezionamento sarà sottoposto a una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da 2.000 euro a 15.000 euro. Sono previste sanzioni dello stesso importo anche per il caso in cui l’impresa che disponga di più stabilimenti non evidenzi quello effettivo mediante punzonatura o altro segno e sanzioni da 1.000 euro a 8.000 euro se non vengono rispettate le modalità di presentazione.
La legge di delega affida la competenza per il controllo del rispetto della norma e l'applicazione delle eventuali sanzioni all'Ispettorato repressione frodi (Icqrf).

Redazione

Il 23 marzo inaugurazione, a ingresso libero, della nuova serra tropicale dell’Orto e museo botanico di Pisa. Porte aperte anche il 24 e 25 marzo, Giornate Fai. Collezione di 150 specie vegetali divise in aiuole distinte per ogni continente. Uno spazio dedicato a epifite tropicali, fra cui begli esemplari di orchidee. [Immagine da foto di Federigo Federighi su Wikipedia]

 
Domani, venerdì 23 marzo, alle 15, si inaugura la nuova serra tropicale dell’Orto e museo botanico dell’Università di Pisa (Via Luca Ghini 5), il primo orto botanico universitario al mondo (vedi nostro giardino da intervista), se non si adotta il criterio della permanenza nell'identico luogo (con il quale il primato passa all'Orto botanico di Padova). Dopo i saluti istituzionali delle autorità accademiche sono previsti gli interventi della professoressa Chiara Bodei, presidente del Sistema museale di Ateneo, e del professore Lorenzo Peruzzi, direttore dell’Orto e museo botanico di Pisa. Al termine della cerimonia seguirà una visita guidata della serra che sarà aperta e visitabile gratuitamente, come tutto l’Orto botanico, anche sabato 24 e domenica 25 marzo dalle 9 alle 17 (ultimo ingresso alle 16) in occasione delle “Giornate Fai di Primavera”.
«La serra tropicale è stata ristrutturata dal punto di vista edilizio durante il triennio 2012-2014 – spiega Lorenzo Peruzzi - successivamente è iniziata la progettazione per il nuovo allestimento, che ora comprende 150 specie vegetali arbustive ed arboree provenienti dalle aree tropicali del pianeta, quelle cioè comprese tra i tropici del Cancro e del Capricorno e caratterizzate da temperature elevate durante tutto l'anno».
L’allestimento segue un criterio geografico e ogni aiuola rappresenta un continente per riunire assieme il maggior numero possibile di specie della medesima provenienza, sia di ambienti forestali che di savana. Inoltre un piccolo spazio vicino all’ingresso è dedicato specificatamente a una collezione di epifite tropicali, tra le quali spiccano alcuni bellissimi esemplari di orchidee.
Tra le altre piante presenti ci sono poi specie rare o a rischio di estinzione, come Cycas circinalis e Cycas taiwaniana, esclusive, rispettivamente, dell’India meridionale e della Cina meridionale. 
Ma la scelta è stata anche quella di ospitare specie molto conosciute, perché coltivate come piante d’appartamento, che in natura però assumono portamenti imponenti, ben diversi da quelli che siamo abituati a vedere nelle nostre abitazioni. Ne sono esempi Chamaedorea elegans, il ben noto Ficus benjamina e la Kenzia, Howea forsteriana, specie esclusiva dell’Isola di Lord Howe, nell’Oceano Pacifico.
Per quanto riguarda l’allestimento, i lavori sono stati coordinati e realizzati sotto la supervisione del direttore Peruzzi, del curatore dell’Orto, Giuseppe Pistolesi, e del conservatore del Museo, Lucia Amadei. Hanno collaborato i giardinieri dell’Orto Luca Ciampi, Andrea Giannotti e Otello Malfatti. 
 
Redazione