I vertici di Aiph ed Ena: i pro e i come del verde non ancora chiari ai politici

Intervistati i presidenti di Aiph ed Ena al forum “Horticultural Experiences” del 68° Flormart. Per Bernard Oosterom, sentito sui modi di promuovere fiori e piante, vanno dati ai decisori pubblici i giusti contenuti per vedere il verde come un investimento. Tim Edwards: i politici devono capire quali sono i problemi e le soluzioni per il verde nelle città e fare leggi ad hoc; inutili le aree verdi senza fondi per la manutenzione.


Qualità dei prodotti florovivaistici, città verdi e sostenibili, promozione del verde e dei fiori. Sono le tre sessioni in cui era articolato il forum internazionale “Horticultural Experiences”, organizzato il 21 settembre scorso da Flormart in collaborazione con Anve. Un importante momento di approfondimento di alcuni temi centrali della filiera florovivaistica, a cui sono intervenuti fra gli altri i vertici delle due associazioni florovivaistiche internazionali di riferimento: Bernard Oosterom, presidente di AIPH (International Association of Horticultural Producers), e Tim Edwards, presidente di ENA (European Nurserystock Association); invitati al forum da Anve, l’Associazione nazionale dei vivaisti esportatori, che fa parte di entrambe le organizzazioni. Ecco che cosa hanno detto a Floraviva i due presidenti di Aiph ed Ena, sentiti a margine del forum.
L’olandese Bernard Oosterom, a cui spettava il compito di moderare la sessione dedicata alla promozione dei prodotti florovivaistici, ci ha innanzi tutto ricordato che prima di arrivare all’attuale carica di presidente dell’Aiph ha lavorato nel settore florovivaistico per più di 40 anni. Ha lavorato sia nella produzione che nell’import-export di giovani piante, soprattutto piante tropicali, ed è stato per alcuni anni presidente dell’asta di fiori (Flowerauction). Una vera autorità in materia, dunque. «Penso che a livello internazionale – ha esordito Oosterom rispondendo alla domanda di Floraviva in proposito - i coltivatori stiano producendo un’ampia varietà di prodotti di alta qualità». Sull’altro versante della filiera «i consumatori amano i fiori, le piante e gli alberi: i colori, le forme e godersi le piante e gli alberi negli interni e all’aperto». «La sfida comune – ha continuato - è come creare la situazione in cui i consumatori compreranno più fiori, più piante e più alberi. Il marketing e la promozione sono un buono strumento per diffondere le informazioni su di essi e in particolare le storie dietro ai prodotti e a chi li coltiva, e anche le storie su come usare il verde per godersi la vita a casa, in ufficio e quando ci si rilassa all’aperto». Questa sfida, ha aggiunto Oosterom, si vince in vari modi. «Uno è la promozione del settore in maniera business-to-business, così come fanno le fiere commerciali tipo Flormart e altre in Europa, dove i coltivatori e i commercianti si incontrano. Ma è molto importante anche la comunicazione su mezzi come la radio, la televisione e la stampa cartacea per aiutare il settore a fornire ai consumatori e ai decisori pubblici nelle città (urbanisti e governi locali) informazioni e ragioni per investire di più nel verde». Un altro canale, ha ricordato il presidente di Aiph, è rappresentato dalle «expo florovivaistiche»: «ogni anno c’è da qualche parte nel mondo un’expo florovivaistica e milioni di persone si divertono a visitarla, godendosi il verde ma anche imparando qualcosa sul nostro settore: le tecniche, la qualità e i metodi attraverso i quali i coltivatori producono piante, fiori e alberi».
Lei ha detto che in generale la qualità delle produzioni florovivaistiche è elevata. Ma le produzioni possono, nonostante ciò, essere migliorate ancora? E se sì quali sono gli aspetti prioritari su cui agire?
«La risposta è molto varia. In Olanda per esempio stiamo sviluppando modi di coltivare le piante e i fiori usando meno gas naturale e più naturali, senza utilizzare pesticidi e così via». Ma il punto per Oosterom, che vuole restare al tema della sua sessione, è cercare non solo di migliorare il modo di produrre (più ecologico e a prezzi minori), ma anche di «creare valore» attraverso strumenti come la promozione dei consumi e il marketing.
Che cosa si deve fare per avere nel mondo città più verdi?
«Dovrebbe chiederlo al moderatore della sessione sulle città verdi e sostenibili. Ma ho un’opinione su questo. La maggior parte di coloro che prendono le decisioni nelle città vede il verde come un costo aggiuntivo, non come un investimento. Noi come settore dobbiamo fornire ai decisori pubblici i contenuti giusti per (riuscire a) vedere il verde come un investimento: investimento in città più sane, città dove la gente si diverte a stare all’aperto, per abbassare la temperatura delle città, per ridurre il consumo di energia e anche per la salute delle persone. In conclusione tutti gli amministratori di città devono capire i benefici di città più verdi».
Lo stanno capendo gli amministratori pubblici, almeno in Olanda?
«Non ancora, ma ci stiamo lavorando».
A moderare la sessione del forum sulle città verdi è stato Tim Edwards, florovivaista del Regno Unito che, come ci ha spiegato, è arrivato all’Ena, di cui è poi diventato presidente, grazie alla designazione di due importanti organizzazioni agricole britanniche di cui è membro, The National Farmers’ Union e The Horticultural Trades Association. Edwards ha prima di tutto osservato che non tutti i relatori, come era prevedibile, davano lo stesso significato all’espressione “green city” (città verde). «Sa, di questi tempi tutto è verde – ci ha detto -. Ma per i vivaisti “città verde” significa qualcosa di molto specifico: significa fare, in un modo o nell’altro, buon uso delle piante nel contesto di un ambiente urbano. Così per esempio mettere un tetto verde su un edificio è una buona idea per varie ragioni: incrementare la biodiversità in città, ridurre l’effetto isola di calore della città, diminuire l’inquinamento, aumentare la popolazione di insetti, isolare termicamente l’edificio e ridurre le perdite d’acqua. Dunque un elemento verde come usare le piante su un tetto può portare una grande quantità di effetti benefici in una città». Poi ci sono altri usi del termine verde, ha proseguito, e alcuni coincidono con quello per cui certi saponi vengono definiti verdi, nel senso di avere meno impatto sull’ambiente, essere più ecologici.
Ecco limitandoci alla sua accezione del termine, quella più rilevante per i vivaisti, che cosa è emerso durante la sessione da lei moderata? C’è stato qualche stimolo interessante?
«Uno dei punti che io credo sia emerso molto chiaramente è che ci sono tanti effetti benefici legati alle aree verdi in ambienti urbani. C’è una gran quantità di evidenza e di ricerche che lo dimostrano chiaramente. Ma in realtà questi benefici si ottengono solo se gli elementi verdi introdotti, come ad esempio un parco, sono ben gestiti». Senza un’adeguata manutenzione tali effetti positivi svaniscono e in certi casi gli elementi verdi possono addirittura avere l’effetto opposto. «Quindi la lezione per i sindaci e per chi amministra le città è che non si devono tagliare i finanziamenti per la manutenzione delle aree verdi delle città».
L’altro insegnamento emerso dall’incontro, ci spiega Edwards, è che «nel mondo abbiamo una necessità crescente di guardare agli elementi verdi delle nostre città. Ciò per vari motivi: abbiamo sempre più persone che vivono in città tutto il tempo, abbiamo il cambiamento climatico e ci troviamo a fronteggiare situazioni che non abbiamo mai affrontato sinora». In questo contesto generale lui sostiene che «i migliori esempi di città verdi non si trovano in Europa. Per una ragione molto semplice: le principali città europee sono state costruite tanto tempo fa» con infrastrutture pensate per esigenze completamente diverse e adesso obsolete. Questo non accade ad esempio in Cina, spiega Edwards, dove c’è l’opportunità di costruire città ex novo con le infrastrutture che vogliamo adesso. Ciò consente di concepire il verde con un approccio olistico, diversamente da quanto accade in Europa, dove dobbiamo introdurre elementi verdi in contesti urbani preesistenti. Questo non significa che manchino del tutto in Europa «esempi di città verdi ben concepite». E dove questo è accaduto è stato «perché le città sono state capaci di identificare i problemi e di implementare le soluzioni nelle politiche urbanistiche». Un esempio messo in luce da un relatore dell’incontro è Bristol, fa sapere Edwards. In ogni caso, la conclusione generale per Edwards è che «abbiamo bisogno di politici e decisori che capiscano quali siano i problemi e quali le soluzioni» per rendere più verdi le città e che sappiano tradurre tali esigenze in norme e piani urbanistici adeguati.

Lorenzo Sandiford