Arte Verde
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L'artista statunitense Maya Kramer esplora il confine tra natura e artificio attraverso installazioni e sculture di grande impatto visivo e concettuale.


L’universo artistico di Maya Kramer si nutre di una profonda riflessione sulla fragilità dell’ecosistema e sulle interazioni tra il naturale e il sintetico. Il suo lavoro si distingue per l’uso sapiente di materiali organici e industriali, che dialogano in un equilibrio precario tra decomposizione e trasformazione.
Le opere di Kramer evocano un senso di mutazione continua, in cui la materia naturale - come foglie, cera, polveri minerali - viene accostata a elementi di derivazione industriale, creando un gioco di contrasti che interroga la nostra percezione dell’ambiente. La sua ricerca si sviluppa attorno al tema della transitorietà, esprimendo una tensione estetica che sfida i confini tradizionali tra scultura, pittura e installazione.
Le sue mostre recenti, spesso ospitate in contesti in cui il dialogo con lo spazio diventa essenziale, mettono in scena paesaggi sospesi tra realtà e finzione. Le sue opere sembrano appartenere a un futuro post-antropocenico, in cui la natura e la tecnologia si fondono in un ibrido enigmatico.
Tra le installazioni più emblematiche di Kramer spiccano opere che simulano fenomeni naturali come l’erosione o la sedimentazione, ma con materiali artificiali che ne accentuano la componente simbolica. Le superfici delle sue creazioni sembrano registrare il passaggio del tempo, come se la materia fosse intrappolata in un ciclo perenne di crescita e declino.
Nel contesto dell’arte contemporanea, Kramer si inserisce in una corrente di artisti che riflettono sulle conseguenze dell’intervento umano sulla natura. Le sue opere sollevano interrogativi sulla nostra relazione con il paesaggio e sulla fragilità di un equilibrio spesso compromesso dalle attività antropiche. La sua poetica, sospesa tra meraviglia e inquietudine, ci invita a ripensare il concetto di naturale e artificiale, offrendo una visione in cui i due elementi si fondono in una nuova, ambigua armonia.
Maya Kramer è attualmente Assistant Arts Professor di Visual Arts presso NYU Shanghai, dove combina il suo lavoro artistico con l’insegnamento. Con un’esperienza di quasi venticinque anni, ha lavorato come artista, curatrice, scrittrice e consulente tra Stati Uniti e Cina. Ha esposto in prestigiosi istituti come il CAFA di Pechino e l’Hong Kong Arts Center, oltre a partecipare alla residenza artistica Arctic Circle nel 2023, navigando nelle acque internazionali dell’arcipelago delle Svalbard. In Italia, è rappresentata dalla galleria Capsule di Venezia.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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Un viaggio tra forme biomorfiche e colori surreali per esplorare il rapporto tra uomo e natura. Lipp trasforma piante e fiori in metafore di emozioni e connessioni primordiali.
L’universo artistico di Mevlana Lipp nasce da una fascinazione profonda per la natura, vissuta non solo come spazio fisico ma come un’estensione della coscienza umana. Cresciuto in un piccolo villaggio immerso nella foresta tedesca, Lipp ha interiorizzato il paesaggio naturale come parte integrante della propria esistenza, una dimensione emotiva e viscerale piuttosto che un soggetto da contemplare con distacco. Questo legame intimo con il mondo vegetale permea il suo lavoro, in cui piante e fiori diventano creature ibride, sospese tra realtà e immaginazione.
Dopo la formazione presso l’Accademia d’Arte di Düsseldorf, da cui si è laureato nel 2015, Lipp ha sviluppato un linguaggio artistico che unisce pittura, scultura e animazione. Le sue opere, spesso realizzate su pannelli lignei sagomati, presentano figure biomorfiche, ispirate a foglie, fiori, semi e radici, che si trasformano in simboli di connessioni e sensazioni ancestrali. L’uso del colore, sempre più sofisticato, passa dai toni fluorescenti delle prime creazioni a una tavolozza più calda e sfumata, in cui arancioni, rossi e viola si intrecciano con le sfumature verdi e blu, conferendo una nuova profondità emotiva ai soggetti raffigurati.
Lipp esplora il concetto di ibridazione tra il mondo naturale e quello artificiale, tra l’umano e il vegetale. Le sue forme vegetali non sono mai rappresentate in modo scientifico o realistico, bensì come entità astratte che evocano l’essenza delle piante piuttosto che la loro esatta conformazione. In questa metamorfosi, le piante diventano specchi dell’animo umano, veicoli di emozioni e stati d’animo: la solitudine, il desiderio, la sensualità, la paura. Tuttavia, a differenza degli esseri umani, i vegetali si relazionano tra loro in un modo istintivo, privo di barriere culturali o sociali, toccandosi e intrecciandosi senza inibizioni.
Nelle sue mostre più recenti, tra cui Vista a Capsule Venice, Lipp introduce nuovi elementi nella sua ricerca formale e concettuale. L’inserimento di barre metalliche, ispirate alle inferriate veneziane, crea un contrasto tra la rigidità geometrica e le forme sinuose delle piante, suggerendo un dialogo tra costrizione e libertà, tra natura e spazio urbano. Le sue opere non solo riflettono sulla bellezza enigmatica del mondo vegetale, ma pongono domande più ampie sul rapporto dell’essere umano con la natura e su come questa possa offrire un rifugio e una via di riconciliazione con il proprio io interiore.
Lipp è rappresentato in Cina e in Italia dalla galleria Capsule, fondata da Enrico Polato nel 2016, con sedi a Shanghai e, dal 2024, a Venezia. La galleria partecipa a fiere internazionali come Frieze New York, Art Basel Hong Kong e Artissima Torino, promuovendo artisti emergenti che esplorano nuove connessioni tra arte, cultura e natura.
Dal 6 al 9 febbraio, Capsule sarà presente ad Artefiera Bologna.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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Falls sviluppa un linguaggio visivo che combina tecniche pittoriche e fotografiche, indagando temi come il trascorrere del tempo e la connessione con l’ambiente naturale.
Sam Falls crea un dialogo unico tra natura e tempo, utilizzando materiali organici e processi atmosferici come strumenti principali del suo lavoro. Le sue opere nascono spesso all’aperto, dove elementi naturali come foglie, fiori e rami vengono disposti su tele insieme a pigmenti reattivi. L’interazione con pioggia, sole e vento imprime sulla tela segni irripetibili, catturando non solo l’essenza di un luogo ma anche la sua temporaneità.
Questa metodologia, basata sulla collaborazione con gli elementi naturali, rende le opere di Falls una celebrazione della ciclicità della vita e un richiamo alla fragilità del nostro ecosistema. Ogni creazione diventa una testimonianza della relazione complessa tra uomo e ambiente, in cui il gesto artistico si unisce al processo naturale.
Nelle sue opere più recenti, Falls amplia il suo vocabolario visivo incorporando figure umane e forme scheletriche, suggerendo un legame tra la caducità dell’uomo e quella del mondo naturale. Costole, mani e altre strutture corporee si fondono con foglie e tessuti, creando composizioni che richiamano il memento mori, ma anche la rinascita e la continuità. L’uso della ceramica, con foglie impresse nell’argilla, arricchisce ulteriormente il suo lavoro, offrendo un dialogo tra materia organica e minerale.
Le opere di Falls si distinguono per la loro capacità di trasformare la semplicità dei materiali naturali in narrazioni complesse e simboliche. Ogni dettaglio, dal pigmento sfumato alle forme vegetali, racconta una storia di connessione e interdipendenza tra tutti gli esseri viventi.
Al centro del lavoro di Falls c’è una riflessione sulla spiritualità laica della natura, che invita l’osservatore a un dialogo intimo con il mondo che ci circonda. L’artista non solo rappresenta la natura, ma la rende parte integrante del processo creativo, proponendo una visione del mondo in cui arte e ambiente non sono distinti, ma profondamente interconnessi.
In un’epoca segnata dalla crisi climatica, le opere di Falls offrono una prospettiva unica e urgente. Ogni tela o scultura diventa un atto di memoria e consapevolezza, ricordando che il nostro legame con la natura è sia un privilegio che una responsabilità.
Arte verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin
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Naminapu Maymuru-White, artista senior Yolŋu, fonde tradizione e innovazione nei suoi lavori che raccontano il legame tra cielo e terra. Protagonista alla Biennale di Venezia 2024.
Naminapu Maymuru-White è un'artista senior della comunità Yolŋu, appartenente al clan Maŋgalili del nord-est di Arnhem Land, Australia. Nata nel 1952 a Djarrakpi, ha iniziato il suo percorso artistico da bambina, osservando il padre e lo zio dipingere i miny’tji, i disegni sacri del suo clan. Tra i primi membri della sua comunità a ricevere una formazione artistica tradizionale, ha reinterpretato questi disegni sacri con uno stile innovativo, mantenendo vivo il legame con la spiritualità ancestrale.
La pratica artistica di Maymuru-White si sviluppa attraverso varie tecniche, dalla pittura su corteccia all’intaglio, dal batik alla stampa, utilizzando pigmenti naturali come l'ocra bianca. I suoi lavori, estremamente dettagliati, sono realizzati con strumenti tradizionali come il marwat, un pennello di capelli umani, e raccontano il Milŋiyawuy, il fiume celeste che simboleggia la Via Lattea e il fiume terrestre. Questo tema centrale rappresenta la convergenza tra i regni fisico e spirituale, creando un dialogo tra generazioni e spazi cosmici.
I dipinti su corteccia di Maymuru-White mostrano intricati intrecci di stelle e fiumi che catturano l'energia della natura e della spiritualità. Ogni stella nei suoi dipinti simboleggia le anime del passato, del presente e del futuro, unendo simbolicamente la vita e la morte in un ciclo eterno. Questa visione cosmica rende i suoi lavori universali, pur rimanendo ancorati alla cultura Yolŋu.
Nel corso della sua carriera, Maymuru-White ha esposto in importanti mostre nazionali e internazionali. Nel 2024, rappresenta l'Australia alla Biennale di Venezia con opere che esplorano il concetto di "Stranieri Ovunque," portando la prospettiva Yolŋu su scala globale. La sua partecipazione, accompagnata dal nipote Ŋalakan, sottolinea l'importanza della trasmissione intergenerazionale delle tradizioni.
La sua arte non è solo un mezzo di espressione, ma un atto di resistenza culturale. Sin dagli anni '60, i disegni miny’tji sono stati utilizzati per sostenere le rivendicazioni territoriali degli Yolŋu, come nel caso delle storiche Bark Petitions. Maymuru-White continua questa tradizione, dimostrando come l’arte possa essere uno strumento potente per la giustizia sociale e la conservazione culturale.
Oltre al suo lavoro artistico, Maymuru-White ha contribuito alla comunità di Yirrkala come educatrice e curatrice presso il Buku-Larrŋgay Arts Centre. Grazie al suo impegno, molte opere d'arte Yolŋu sono state incluse in collezioni museali di rilievo, diffondendo la cultura del suo popolo nel mondo.
L'arte di Naminapu Maymuru-White è un viaggio tra passato e futuro, tra sacro e profano. Attraverso la sua pratica, gli spettatori sono invitati a riflettere sul significato della connessione tra l'umanità e l'universo. Alla Biennale di Venezia, il suo messaggio si estende oltre i confini culturali, portando una prospettiva unica e potente sull'interconnessione globale.
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Otobong Nkanga, artista nigeriana di fama internazionale, unisce materiali naturali, installazioni multisensoriali e riflessioni profonde su temi ambientali, identitari e umani.
Otobong Nkanga, nata nel 1974 a Kano, Nigeria, è un’artista di spicco sulla scena contemporanea, conosciuta per le sue opere che intrecciano tematiche ambientali, sociali e culturali. Cresciuta tra l’Africa e l’Europa, Nkanga ha sviluppato una sensibilità artistica che si nutre della sua esperienza interculturale, dalla Nigeria a Parigi, dove si è trasferita con la famiglia durante l’infanzia, fino ad Anversa, dove vive e lavora da molti anni. Questa esperienza di migrazione e multiculturalità è una delle chiavi interpretative della sua arte: un racconto di connessioni che supera le barriere geografiche e le differenze culturali.
L’opera di Nkanga si caratterizza per l’uso di materiali naturali e simboli tratti da diverse tradizioni e culture, che convergono in installazioni complesse, dove convivono disegni, fotografie, ceramiche e oggetti tessili, spesso accompagnati da performance e suoni che amplificano il messaggio artistico. L’artista è affascinata dalle risorse naturali e dal loro ciclo di vita, dalle origini all’estrazione, fino alla distribuzione globale. Questo interesse verso l’ambiente, le risorse e i loro impatti sociali ed ecologici si esprime nelle sue opere attraverso materiali simbolici come il carbone, la terra e la fibra naturale, elementi ricorrenti nei suoi lavori e utilizzati per sollevare questioni legate allo sfruttamento ambientale e alle conseguenze per le comunità locali.
Uno dei temi centrali nella sua ricerca è l’estrazione delle risorse naturali, un processo che Nkanga descrive come “impronta dell’umanità sulla terra” e che rappresenta il punto di partenza per esplorare temi di perdita, memoria e trasformazione. Il suo approccio non è giudicante: Nkanga usa un linguaggio poetico, capace di tradurre domande complesse in opere di rara bellezza, spesso arricchite da elementi multisensoriali come profumi, suoni e tattilità, che invitano lo spettatore a un’esperienza fisica e spirituale.
Un esempio emblematico della sua visione è l’opera "Carved to Flow", un progetto che ha attraversato vari luoghi espositivi e ha coinvolto diverse culture e materiali. Attraverso un processo collettivo e collaborativo, Nkanga ha creato mattoni di sapone utilizzando ingredienti locali provenienti dal Mediterraneo, dal Medio Oriente e dall’Africa, trasformando un semplice oggetto in simbolo di connessione tra popoli e paesi. Questo progetto ha portato alla creazione di una fondazione senza scopo di lucro che ha acquistato terreni agricoli in Nigeria e finanziato uno spazio artistico ad Atene, espandendo l’impatto dell’opera dal piano simbolico a quello concreto.
Il lavoro di Nkanga è fortemente influenzato dal pensiero secondo cui “tutto è interconnesso”: per lei, ogni materiale porta con sé storie e identità, e il suo lavoro mira a svelare queste narrazioni nascoste. Attraverso le sue opere, l’artista esplora come le risorse estratte dalla terra, una volta trasformate, possano influenzare la cultura, la bellezza e persino la salute. Questo sguardo globale e al tempo stesso intimamente umano le ha permesso di diventare una voce importante nel panorama artistico contemporaneo, aprendo nuove prospettive su come possiamo relazionarci con il mondo naturale e le nostre stesse emozioni.
Con mostre internazionali e numerosi riconoscimenti, tra cui il prestigioso Nasher Prize, Nkanga continua a ridefinire i confini della scultura e dell’arte concettuale. Le sue opere non sono mai semplici oggetti da contemplare, ma esperienze che invitano a riflettere sulla complessità delle interazioni tra l’uomo, la natura e il passato che li lega. Nkanga offre al pubblico una forma di arte sociale, intima e spirituale, che invita a riconoscere la bellezza e il valore di ciò che ci circonda, senza trascurare le sfide e le fragilità del nostro tempo.
Arte Verde è una rubrica curata da Anne Claire Budin