Filiera olivo-olio
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Dopo 10 anni di devastazione, il Salento chiede misure speciali per la ripresa dell'olivicoltura e del paesaggio distrutto dalla Xylella.
La CIA chiede di inserire immediatamente il Salento, assieme alle altre zone colpite da Xylella e comprese nella zona infetta, tra le zone svantaggiate, vale a dire tra quelle aree a cui sono riconosciute alcune misure specifiche per il rilancio produttivo, la ricostruzione economica e il sostegno alla ripresa.
“A dieci anni dall’invasione del batterio, e con 22 milioni di ulivi distrutti, i danni sono ormai permanenti, strutturali, perché il potenziale produttivo olivicolo è stato azzerato e il paesaggio distrutto nei 750 mila ettari di ex uliveti completamente annientati dalla Xylella -dichiara Gennaro Sicolo, presidente regionale di Cia Puglia e vicepresidente nazionale di Cia-. I comuni, la Regione Puglia e il Governo nazionale, ognuno per le proprie competenze e prerogative, facciano in modo che il Salento e le altre aree più colpite siano considerate zone svantaggiate e possano utilizzare le misure speciali per risalire la china”.
“É un’urgenza assoluta -aggiunge Emanuela Longo, direttrice provinciale di Cia Salento-. Occorre che la decisione sia assunta nel più breve tempo possibile, affinché possano dispiegarsi velocemente gli effetti di azioni, programmi, agevolazioni e misure che diano ossigeno a questi territori. Le particolari avversità che attanagliano il Salento, come la lontananza dai mercati centro europei, con assenza di centri intermodali di carico in entrata e in uscita, il disastro disseccamento e la mancanza di scambio generazionale possono configurare il Salento quale zona svantaggiata e depressa, in quanto in nessuna parte d’Europa esistono queste condizioni tanto avverse quanto invalidanti per lo sviluppo socio-paesaggistico agricolo. L’inserimento del Salento e degli altri territori colpiti nella zona svantaggiata potrebbe portare, almeno in parte, quanto è necessario e urgente per rilanciare davvero queste aree, per ricostruire un potenziale produttivo, commerciale, economico e occupazionale”.
Ciò che è successo nel sud della Puglia è spaventoso, in 10 anni si è passati da un’area di 25 mila ettari colpita dal batterio agli attuali 750 mila ettari, con 22 milioni di piante d’olivo completamente ‘bruciate’ dalla Xylella, che avanza 10 chilometri l’anno. È necessario ridare vita a questo territorio che sembra non avere avuto mai un passato.
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Nominati i nuovi vertici della Filiera Olivicolo Olearia Italiana, l’organismo interprofessionale dell’olio di oliva: Anna Cane (ASSITOL) presidente, Tommaso Loiodice (Unapol) vicepresidente e Giulio Martino (Italia Olivicola) confermato direttore.
Redazione
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Il punto di vista sul comparto di Sandro Piccini (OTA), intervistato dopo il suo intervento quale esperto della filiera dell’olio evo alla tavola rotonda sullo sviluppo delle filiere della Conferenza regionale dell’agricoltura. La scelta della filiera olivicola toscana di OL.MA. e OTA di puntare solo sull’Igp Toscano: al momento 17 mila quintali di olio. Le esigenze delle tre principali olivicolture toscane (di paesaggio, intensiva con oli toscani, collinare) e in generale la necessità di investimenti in nuovi oliveti (dotati di irrigazione o con piante più resistenti alla siccità) ma anche di ammodernare e rendere più eco-compatibili i frantoi.
I tre tipi di olivicoltura prevalenti in Toscana che richiedono risposte differenti, le specificità della filiera olivicola costituita nella nostra regione dalle cooperative olivicole e in particolare da due op (organizzazioni di produttori) quali il Collegio Toscano degli Olivicoltori (OL.MA.) e Olivicoltori Toscani Associati (OTA), i progetti e le aspettative per il futuro dell’olivicoltura in regione e a livello nazionale, contando anche sui bandi del Pnrr.
Questi i temi toccati da Sandro Piccini, presidente di OTA, alla tavola rotonda “Le produzioni agricole della Toscana e lo sviluppo delle filiere” in occasione della Quarta Conferenza regionale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, tenutasi a Firenze il 21 e 22 giugno. Una tavola rotonda a cui Piccini è stato chiamato a parlare in qualità di esperto della filiera dell’olio di oliva extravergine, accanto ad altri esperti di altre filiere (vedi), e durante la quale sono stati riassunti, prima del suo intervento, alcuni dati del comparto olivicolo toscano: oltre 91 mila ettari di oliveti e più di 15 milioni di piante per quasi 37 mila aziende; il ruolo importante degli oli evo a denominazione di origine, con 4 Dop (Chianti Classico, Lucca, Seggiano, Terre di Siena) e 1 Igp (Toscano) che nel 2021 secondo Ismea/Qualivita hanno realizzato un fatturato alla produzione di 29,3 milioni, in grado di generare un export pari a 42 milioni di euro, per il 75% realizzato fuori dall’Unione Europea.
Abbiamo sentito Sandro Piccini subito dopo la fine della tavola rotonda cercando di approfondire alcuni dei punti toccati nel suo intervento. A partire da quanto ha detto a proposito della filiera olivicola di cui fa parte (ai piani alti) in quanto presidente di OTA. Vale a dire che si tratta di una filiera vera e propria, capace di controllare i 17 mila quintali di olio prodotti dalla fase di coltivazione degli olivi alla commercializzazione, e che ha deciso di puntare esclusivamente sull’Olio Toscano Igp, anche per distinguersi meglio dall’olio confezionato nella nostra regione dalle grandi industrie olearie.
Mi può spiegare meglio quali sono le caratteristiche principali di questa filiera olivicola toscana e che cosa la contraddistingue?
«Le caratteristiche principali rispetto al resto d’Italia sono, primo, che ha puntato esclusivamente sul carattere territoriale, cioè commercializza esclusivamente Olio Toscano Igp, non c’è nulla in aggiunta ad esso. Questo perché ci siamo resi conto che l’olivicoltura toscana si deve differenziare rispetto alla grande tradizione di agroindustria di grandi famiglie che hanno fatto del commercio dell’olio in Toscana il loro punto forte. Spesso si sente dire: i toscani vengono a comprare l’olio in Puglia. Ma sono le industrie toscane che vanno a comprare l’olio in Puglia. I nostri produttori hanno una loro qualifica, una loro tracciabilità assolutamente certificata che gli permette di dire che dentro questa filiera ci sta solo olio toscano».
Quindi questa è la vostra specificità?
«Sì e si tratta di un’aggregazione di realtà anche lontanissime dal punto di vista sindacale. Questa è una filiera unitaria in cui stanno insieme le due OP OL.MA. e OTA e attraverso la quale transitano 17 mila quintali di olio, che è una quantità enorme, se ci pensiamo, perché rappresenta il 70% dell’Olio Toscano Igp, che viene venduto nel mondo».
Pertanto non siete solo voi a produrre Olio Toscano Igp…
«No, no, questa è l’unica filiera toscana in mano ai produttori. Poi ci sono industrie che fanno Olio Toscano Igp acquistandolo dai produttori toscani e ci sono tante piccole e medie aziende».
E ci sono altri aspetti caratterizzanti?
«Un secondo aspetto che caratterizza questa filiera è che i produttori controllano, o in maggioranza o nella totalità delle azioni, le srl che fanno la commercializzazione. E questo è l’unico caso. In generale, quando si ragiona di filiera, si ragiona di produzione, di OP o cooperative, che mettono insieme la produzione e che poi si rapportano con il mercato. In questo caso il mercato è “di proprietà” dei produttori».
Dunque queste sono le due peculiarità della vostra filiera…
«… c’è una terza caratteristica importante, secondo me, ed è che nessuno mette bocca nell’attività dell’altro. Malgrado le commerciali siano proprietà dei produttori, gli viene dato il compito ma poi sono loro a portarlo avanti da sole, senza intromissione degli altri segmenti della filiera».
Questa è la descrizione strutturale della filiera. Che cosa va fatto per migliorare l’olivicoltura regionale?
«Come dicevo nell’intervento, per rispondere bisogna partire dalla questione delle varie olivicolture che esistono in Toscana, perché non si può parlare di una olivicoltura».
Quali sono queste olivicolture?
«C’è una olivicoltura di paesaggio, di mantenimento del territorio, che ha necessità di avere alcune risposte. Che non possono venire dal mercato, perché lì c’è la difficoltà della produzione e quindi gli alti costi richiedono un intervento per mantenere queste persone lassù, perché se no via via che scompaiono i vecchi agricoltori si crea un problema di mantenimento del territorio e quando piove viene giù tutto. Questo è un tema».
E poi?
«Poi ci sono altri due tipi di olivicoltura (semplificando, perché si potrebbe stratificare ulteriormente l’analisi). Una parte di Toscana che guarda più la costa, costituita dalle aree più produttive dal punto di vista dell’olivicoltura, dove si stanno facendo investimenti. Hanno problemi, ma stanno facendo investimenti e credendo nell’olivicoltura…»
…lì si fa intensivo spesso…
«… intensivo, non super intensivo. Non sto parlando infatti qui di un ulteriore tipo di olivicoltura che sta sorgendo: quelle aziende, per lo più non toscane, che stanno facendo super intensivo con varietà spagnole. Che è un errore clamoroso per l’olivicoltura toscana. Cioè che fanno un ragionamento produttivo, per cui si mettono in concorrenza con l’olio spagnolo o l’olio tunisino o l’olio marocchino e ne fanno quanto loro. Hanno grande produzione, ma non è olio toscano. È olio spagnolo fatto in Toscana. Non parlo di questa ulteriore categoria»
Quindi la seconda categoria è la produzione intensiva, per lo più sulla costa, di olio toscano. E la terza?
«L’olivicoltura in aree collinari: con l’attuale mercato per l’Igp toscano, essa non ha la redditività giusta, non gli basta. È una via di mezzo fra quella di paesaggio e quella della costa. Si pensi ad esempio all’area collinare del Chianti. Su questa olivicoltura bisogna investirci. Bisogna far capire ai produttori che qui l’olivicoltura può dare reddito, ma con un approccio diverso rispetto a quella della costa, che ha una produttività maggiore e costi più bassi».
Con quale approccio? Entrando in una filiera come la vostra? Ma non ne fanno già parte diverse aziende dell’area collinare?
«Assolutamente sì, e noi riusciamo a garantire 50/60 centesimi in più del prezzo di mercato all’ingrosso in questa filiera qui. Ma in questo caso non è sufficiente. Noi sono anni che diamo 9 euro al chilo, ma non basta. Mentre dall’altra parte ci possono rientrare, se hanno un tipo di coltivazione diversa, qui hanno difficoltà».
E allora che cosa intende con investimenti e approccio diverso? Quale è la soluzione?
«Una risposta può essere il progetto di filiera multiregionale, a cui ho fatto cenno nell’intervento, che abbiamo presentato nell’ambito del bando del Pnrr e che è stato ammesso (e speriamo ci venga finanziato), dove c’è un grosso investimento nei nuovi oliveti, nella rimessa a posto e innovazione tecnologica dei frantoi, ma anche nella commercializzazione, cioè nella promozione e nel far capire che dietro la Toscana c’è anche una stratificazione di aree e di zone diverse. È un progetto che mette insieme Umbria, Toscana, Lazio e Veneto e che si basa sulla centralità delle varie Igp e Dop dei territori e punta su prodotti di fascia medio-alta».
Passando ai bandi e alle misure utili che si stanno realizzando per sostenere la filiera, si è parlato ieri dei 100 mln del Pnrr per i frantoi, di cui in Toscana oltre 8 milioni: che ne pensa?
«Sì, in Toscana sono 8 milioni che dovrebbero uscire a luglio, con bando regionale. È un bando che serve all’innovazione. Noi abbiamo 400 frantoi nella Regione Toscana. Molti sono aziendali. Secondo me i frantoi sono sottovalutati dentro la filiera, mentre invece io credo che abbiano importanza».
Ma in che condizione sono i frantoi? Sono da rinnovare?
«Sì, sono da rinnovare, soprattutto dal punto di vista ambientale. Molti sono a tre fasi, per cui bisogna portarli a due fasi. Noi per esempio abbiamo un nuovo frantoio a Cerbaia a 2 fasi: non c’è l’aggiunta di acqua e non spargiamo nulla sul terreno. Abbiamo una specie di polpa di sansa che va ai biodigestori e quindi il ciclo si chiude: non c’è alcun tipo di residuo e non c’è consumo d’acqua. Viene fuori la polpa di sansa, il nocciolino e l’olio. Nulla va buttato della lavorazione e questo è un obiettivo per quanto riguarda il Pnrr».
Altre misure nazionali in cui il comparto olivicolo confida?
«Si sta lavorando al nuovo piano olivicolo nazionale. Abbiamo bisogno soprattutto di risorse per rifare gli impianti. Perché dobbiamo dimostrare che l’olivicoltura può avere un reddito e lo può avere o con meno costi o con più entrate. All’aumento delle entrate ci dobbiamo pensare noi operatori della filiera. Questo è un compito nostro: di noi come filiera o anche delle aziende da sole, che hanno varie scelte, fra cui ad esempio i mono varietali ecc. C’è un mondo in Toscana di aziende che si pongono sul mercato puntando sulla qualità in maniera importante. La filiera e le aziende devono dare una risposta sul reddito, quindi sul prezzo. Ma dall’altro lato vanno anche diminuiti i costi di produzione, perché altrimenti le zone collinari non hanno futuro nell’olivicoltura. Quindi ci vogliono nuovi impianti, varietà autoctone…»
… sono i nuovi impianti uno dei mezzi per abbattere i costi di produzione?
«Assolutamente. E puntando anche su irrigazione dove è possibile oppure su piante che resistono alla siccità, perché i cambiamenti climatici sono all’ordine del giorno e nelle nostre zone c’è poca acqua».
Quindi nel piano olivicolo vi interessano sostegni a nuovi impianti olivicoli (nuove piante) che abbiano più resa?
«Che abbiano più resa, meno costi e magari anche resistenza alla siccità. E per quanto riguarda il settore vivaistico in Toscana bisogna lavorare in questo senso, perché il futuro è questo qua».
L.S.
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Un piccolo consorzio, una grande rivoluzione: la blockchain che soccorre l'olio italiano con una certificazione che garantisce il 100% Made in Italy.
Una svolta epocale sta trasformando l'olivicoltura: il Consorzio dei Monti Tifatini ha adottato la tecnologia blockchain per certificare l'olio extravergine d'oliva. Per la prima volta, la blockchain viene utilizzata nel settore olivicolo per garantire l'origine 100% Made in Italy e la genuinità del prodotto.
Il Consorzio, composto da imprese e produttori locali, ha ottenuto il prestigioso marchio "FederItaly 100 per cento Made In Italy" grazie a un sistema innovativo di validazione promosso da FederItaly. Attraverso un rigoroso controllo e audit aziendale, il Consorzio ha dimostrato il rispetto delle norme di produzione e dei criteri stabiliti dal marchio.
Ma la vera inno vazione risiede nell'adozione della tecnologia blockchain decentralizzata Icp - Internet computer protocol. Tutte le informazioni relative al prodotto e al Consorzio, compresi i dettagli del processo di certificazione, sono state immutabilmente registrate sulla blockchain. Questo permette di tracciare l'intero percorso dell'olio, garantendo la trasparenza, l'integrità dei dati e la conferma della sua autenticità.
Questa iniziativa rivoluzionaria rappresenta una risposta alle criticità che da sempre affliggono l'olio extravergine d'oliva, come le frodi e la mancanza di chiarezza sulla qualità. Grazie alla blockchain, i consumatori potranno finalmente fare affidamento su un sistema di certificazione sicuro e trasparente, che garantisce l'olio 100% Made in Italy e tutela i produttori locali.
Il Consorzio dei Monti Tifatini, attraverso l'adozione della blockchain, si pone come esempio di innovazione e impegno per la promozione dell'olivicoltura sostenibile e di alta qualità. Questa tecnologia rivoluzionaria potrebbe aprire la strada a un cambiamento radicale nel settore, incoraggiando altri produttori a adottare misure simili per garantire la genuinità e l'autenticità dei prodotti italiani.
Redazione
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La valorizzazione dell'olio extravergine d'oliva toscano conquista i mercati internazionali
Il settore dell'olio extravergine d'oliva made in Tuscany sta vivendo un periodo di crescente apprezzamento sui mercati nazionali e internazionali. Con oltre 91mila ettari ad olivo e coinvolgendo quasi 3 7mila aziende, la Toscana si distingue per il ruolo di rilievo delle Indicazioni Geografiche (IG) toscane, tra cui 4 Denominazioni di Origine Protetta (DOP) e 1 Indicazione Geografica Protetta (IGP). Secondo i dati di Ismea/Qualivita per il 2021, il settore ha registrato un fatturato alla produzione di 29,3 milioni di euro, generando un export pari a 42 milioni di euro, di cui il 75% realizzato al di fuori dell'Unione Europea.
A sottolineare l'importanza di questa economia dell'olio extravergine d'oliva toscano è stato l'evento della Selezione Oli Extravergine 2023, un prestigioso riconoscimento delle eccellenze toscane ospitato presso il Cinema La Compagnia a Firenze. L'evento ha incluso una tavola rotonda con la partecipazione di importanti figure del settore, tra cui Stefania Saccardi, vicepresidente della Regione Toscana e assessora all'Agroalimentare. Durante l'incontro, Saccardi ha sottolineato il potenziale qualitativo e quantitativo dell'olio toscano nei mercati internazionali e l'impegno della Regione nel valorizzare l'olivicoltura toscana attraverso iniziative di comunicazione e promozione.
Francesco Palumbo, direttore di Fondazione Sistema Toscana, ha evidenziato l'importanza di aumentare il livello di informazione e promozione dell'olio d'oliva toscano, affinché i consumatori riconoscano il valore delle produzioni di qualità del territorio toscano. L'obiettivo è attrarre i giovani verso un'agricoltura di qualità e preservare la tradizione e il know-how del settore.
Giuseppe Salvini, segretario generale della Camera di Commercio di Firenze, ha sottolineato l'orgoglio nell'organizzare la Selezione degli Oli Extravergini di Oliva da sette anni, un'iniziativa che racconta ai consumatori italiani e stranieri la qualità dei prodotti toscani. Questo progetto offre visibilità alle aziende olearie toscane che investono in ricerca e innovazione per migliorare costantemente il proprio prodotto.
Nel corso della manifestazione sono state selezionate cinquantadue etichette di olio extravergine di oliva, provenienti da diverse province toscane. Tra i premiati sono stati assegnati riconoscimenti speciali per la migliore selezione di origine, bio, monovarietale e biofenoli, oltre all'ambito titolo di "Miglior olio" per ciascuna DOP e IGP. La produzione IG della Toscana è dominata dall'IGP Toscano, che rappresenta circa il 95% dell'intera produzione certificata della regione, seguito dal Chianti Classico e dalle altre tre DOP. Nel 2021, la produzione toscana ha superato i 29 milioni di euro, contribuendo al 32% dei 91 milioni di euro di produzione nazionale. L'apprezzamento del mercato per l'olio toscano si riflette anche nei prezzi superiori alla media delle altre produzioni.
A livello nazionale e internazionale, la produzione di olio di oliva è concentrata nel bacino del Mediterraneo, con Spagna e Italia che rappresentano la maggior parte delle esportazioni mondiali. In Italia, l'olio di oliva copre mediamente il 15% della produzione mondiale. La Toscana si distingue per la sua interpretazione delle Indicazioni Geografiche nel settore olivicolo, con una quota di prodotto IG che supera la media nazionale. Questo successo ha ispirato altre regioni italiane a seguire la strada delle certificazioni di ambito regionale.
La Selezione Oli Extravergini 2023 è stata un'importante vetrina per promuovere l'olio extravergine d'oliva toscano di alta qualità e sottolineare l'impegno della regione nel valorizzare il settore olivicolo. L'apprezzamento crescente per il made in Tuscany testimonia l'eccellenza dei prodotti toscani e la passione degli agricoltori e degli operatori della filiera. Continuiamo a celebrare e promuovere l'olio extravergine d'oliva toscano, un tesoro culinario riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo.
Redazione
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Il riconfermato presidente di Unaprol Granieri individua fra le sfide dell’olivicoltura italiana: restrizione dei parametri dell’evo e difesa del panel test.
«Abbiamo diverse sfide in questi anni per il rilancio dell’olivicoltura italiana attraverso azioni in Italia e in Europa a tutela della qualità del prodotto, del lavoro degli agricoltori e a garanzia dei consumatori. A iniziare, ad esempio, dalla proposta di restringere i parametri chimici della categoria dell’olio extravergine e dal contrasto a ogni azione che miri a delegittimare il valore probatorio del panel test».
Lo ha dichiarato nei giorni scorsi, non appena riconfermato presidente di Unaprol - Consorzio olivicolo italiano, David Granieri, 44 anni, già presidente di Unaprol da nove anni e attuale vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente di OP Latium. Il presidente e l’intero consiglio di amministrazione di cui è espressione resteranno in carica fino al 2026.
«Dobbiamo sensibilizzare la politica – ha aggiunto David Granieri - a credere davvero in questo settore attraverso un nuovo piano olivicolo nazionale che rafforzi le filiere produttive virtuose attraverso nuovi impianti, l’ammodernamento di quelli esistenti per cui sono già state stanziate le prime risorse. Abbiamo il dovere di farci trovare pronti anche per affrontare le sfide del cambiamento climatico che quest’anno, ad esempio, in base alle prime stime, potrebbero dimezzare le produzioni in Spagna».
«Fondamentale sarà anche proseguire nella lotta alla Xylella e nelle azioni su Ministero e Regione Puglia per velocizzare l’iter di spesa dei 300 milioni già stanziati per il piano straordinario di rigenerazione olivicola della Puglia e per stanziare ulteriori risorse – ha concluso il presidente di Unaprol -. In tal senso, la liberalizzazione del brevetto della cultivar FS-17 Favolosa, che con il leccino è l’unica resistente alla malattia, e il sostegno alla ricerca di nuove cultivar resistenti potrebbero favorire la rinascita dell’olivicoltura salentina».
Redazione