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"Sulla riserva naturale del Padule di Fucecchio la Regione Toscana sta facendo la sua parte ed ha finora dimostrato estrema attenzione. E' proprio perché vogliamo salvaguardare l'area naturalistica e preservarne la biodiversità che lo scorso aprile abbiamo proposto la sottoscrizione di un accordo di collaborazione fra gli Enti coinvolti".
L'assessore regionale Federica Fratoni fa chiarezza dopo l'appello lanciato nei giorni scorsi dal presidente della Provincia di Pistoia, Rinaldo Vanni, sul futuro dell'area umida del Padule e del Centro di Ricerca e Documentazione.
La Regione Toscana, che peraltro dal 1 gennaio 2016 riprenderà le funzioni relative alle aree umide assorbendo le professionalità provinciali ad esse adibite, ha messo a disposizione un contributo straordinario di 30 mila euro per attuare le finalità dell'accordo.
"Lo scorso 25 settembre – continua Fratoni - ho convocato un incontro con tutti gli Enti sottoscrittori dell'intesa per fare il punto sugli impegni di ciascuno. In quella sede è stato acquisito che la Provincia di Pistoia dovrà predisporre un progetto di sistema che prevede azioni e interventi ritenuti prioritari per la promozione turistico ambientale dell'area, anche attraverso convenzioni con soggetti terzi. Il futuro del Centro Ricerca e Documentazione si colloca proprio in questo percorso, con l'impegno preciso, sottoscritto dai Comuni nell'accordo, di verificarne e ridefinirne le funzioni".
"Il Centro è senza dubbio una esperienza unica - sottolinea l'assessore - e uno strumento di grande valore, creato a suo tempo dagli Enti locali, Province e Comuni, che in questa fase sono i primi e gli unici a doverne decidere le sorti, aprendo una riflessione responsabile anche alla luce dell'uscita dal Centro di alcune amministrazioni rivierasche. Credo sarebbe opportuno, dunque, prima di chiedere l'intervento della Regione, che gli Enti lavorassero anzitutto per riprogettare questa esperienza recuperando anche il contributo dei Comuni usciti."
Redazione Floraviva
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Il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino: “Da sempre facciamo della difesa della biodiversità il fondamento della nostra visione. Perché biodiversità significa adesione a un progetto concreto di sviluppo sostenibile, ma anche riaffermazione della centralità agricola e dell’agricoltore come imprenditore custode e multiruolo, capace non solo di produrre dai campi ma di preservare l’ambiente, il territorio e i suoi prodotti tipici”.
Finalmente il provvedimento sulla biodiversità agricola e alimentare è legge: la Cia-Confederazione italiana agricoltori saluta con soddisfazione l’approvazione definitiva alla Camera del ddl in materia.
“La Cia, da sempre, fa della tutela della biodiversità il fondamento della sua visione dell’agricoltura -spiega il presidente nazionale Dino Scanavino- perché biodiversità significa adesione a un progetto di sviluppo sostenibile, ma anche riaffermazione della centralità agricola e dell’agricoltore come imprenditore ‘multiruolo’ capace non solo di produrre dai campi ma di preservare l’ambiente, di qualificarlo attraverso l’attività turistica, di costruire sistemi territoriali capaci di rispettare la natura”.
“Crediamo molto nelle possibilità di questa legge -continua il presidente della Cia- che finalmente definisce un quadro normativo unico, prevedendo misure fondamentali per la difesa e la valorizzazione della biodiversità, come l’istituzione di un’Anagrafe nazionale ‘ad hoc’ e l’avviamento del Fondo per la tutela della biodiversità a sostegno delle azioni degli agricoltori custodi”.
“L’Italia, con un trentesimo della superficie Ue, detiene il 50% della biodiversità vegetale e il 30% di quella animale del continente europeo -ricorda Scanavino-. Un patrimonio che va salvaguardato, rappresentando un valore aggiunto della produzione agricola che merita di essere sostenuto, anche economicamente”.
Redazione Floraviva
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Dal 1999 al 2011 la produzione è diminuita del 20%. Nonostante il Giappone sia un grande produttore di fiori recisi, le statistiche ufficiali rivelano un netto cambiamento che segna una crisi del settore che aumenta di anno in anno, senza un ricambio generazionale. Molti coltivatori andranno in pensione e la nuova generazione non si farà carico delle loro attività, escludendo anche la possibilità, per molti di loro, di mettere in vendita le terre.
Il futuro non sembra dunque essere positivo, si attende infatti un ulteriore calo della produzione del fiore reciso nei prossimi dodici anni, come ha dichiarato Nobuya Kaishita, direttore della “Japan Floral Marketing Association” (JFMA) e vice-presidente della Chrysal Japan. Questa visione è dettata dal mancato ricambio generazionale: i giovani non prendono in consegna l’azienda dei propri genitori e non vendono la terra. Di conseguenza nessun terreno diventa disponibile per nuovi coltivatori o per espandere un’altra attività, già esistente. Un aumento delle importazioni sembrerebbe essere una conseguenza logica, anche se Kaishita non ne è sicuro: le importazioni negli ultimi due anni sembrano essersi stabilizzate a causa della svalutazione dello yen giapponese e si registra un calo della domanda per il settore. Le giovani generazioni non attribuiscono molto valore ai fiori e, di conseguenza, non comprano. Ecco perché la JFMA e il “Flowering Japan Council” stanno lavorando alla promozione del fiore. Nonostante si sia passati da 19700 ettari coltivati, nel 1999, a 15770 ettari nel 2011, il crisantemo continua ad essere il principale prodotto del settore con 5233 ettari a lui dedicati, seguito da giglio, lisianthus, rosa, garofano, gypsophila, statice e alstroemeria. Il declino più grande si è registrato per la gypsophila, la cui produzione è diminuita del 40%, da 424 ettari nel 1999 a 253 ettari nel 2011. La maggior parte di questi fiori è di produzione nazionale, ma l’importazione è in crescita: una grande percentuale di garofani viene importata, circa il 46%, a cui seguono le rose (22%), i crisantemi (14%) e i gigli (8%). Nel 1996 i paesi che esportavano in quantità maggiori in Giappone erano Olanda, Tailandia, Colombia e Malesia. Negli ultimi anni il numero di fiori importati da questi ultimi due paesi è fortemente aumentato. Oggi, infatti, sono i due principali paesi che forniscono fiori in Giappone, seguiti dalla Cina, che ha iniziato a fornire soprattutto crisantemi e garofani nel 2004.
Redazione Floraviva
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Chiuso il primo bando sui progetti integrati di filiera del Psr 2014-2020 della Regione Toscana. I 53 pif valgono 98 milioni di euro di contributi richiesti per investimenti di oltre 210 milioni. Ben 18 dei pif sono multifiliera, 11 riguardano la filiera vitivinicola, 6 quella olivo-oleicola, 4 la foresta-legno ed energia, 1 la filiera castanicola.

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Dopo oltre vent’anni di mediazione la svolta sembra imminente e il primo accordo vincolante e universale sarà probabilmente stretto in dicembre per contenere il riscaldamento del pianeta entro la soglia dei 2°C. Prima ancora di iniziare, il 30 novembre, l’appuntamento di Parigi ha ottenuto la definizione da parte della maggioranza dei Paesi dei propri impegni di contenimento dei gas che alterano il clima. È il caso di Danimarca e Svezia che hanno deciso di diventare completamente “fossil free”, o di Buthan e Costarica che intendono anticipare la fuoriuscita dai combustibili fossili al 2030.
La battaglia climatica gode al momento attuale di due punti forza: la crescita del numero delle città impegnate dal basso nella definizione di politiche di riduzione delle emissioni, e l’adozione del valore della CO2 nelle proprie scelte strategiche da parte di molte imprese. Così, Christiana Figueres, segretaria esecutiva del UNFCCC, ha twittato il suo entusiasmo, a una ventina di giorni dalla conferenza di Parigi: “Il mondo è pronto per il cambiamento”. In effetti, rispetto ad anno fa, quando importanti responsabili delle emissioni cercavano di non esporsi, considerando prioritarie le riduzioni dei Paesi industrializzati, le cose sono cambiate. Cina e Stati Uniti hanno ufficializzato il proprio impegno a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, insieme ad oltre 150 paesi, responsabili del 90% delle emissioni mondiali, rispettando così la richiesta dell’Onu di presentare i propri piani volontari di riduzione prima del 30 novembre. Mancano ancora i Paesi del Golfo, produttori di petrolio, ma sembrano ormai lontani i fallimenti dei precedenti negoziati sul clima. Nuove tecnologie e opzioni politiche possono dunque condurre verso un importante cambiamento. Centrale sarà anche il ruolo giocato dagli investimenti nelle fonti rinnovabili e nell’efficienza energetica, che permetteranno alla crescita economica di svincolarsi dal consumo di idrocarburi. Le promesse volontarie presentate all’Onu richiederanno, infatti, al settore energetico grandi investimenti nelle tecnologie pulite: come ha stimato l’International Energy Agency, si tratterà di un totale di 13.500 miliardi di dollari, da qui al 2030. Hoesung Lee, economista coreano a capo dell’Intergovernmental panel on climate change, ha espresso la sua opinione in una recente intervista, pubblicata sul Sole 24 Ore: il picco delle emissioni di gas a effetto serra dovrà essere raggiunto il prima possibile, altrimenti sarà difficile e costoso mantenere il riscaldamento globale entro il limite dei 2°C. Per raggiungere questo importante traguardo sarà necessario, sempre secondo Lee, migliorare l’efficienza energetica, affidarsi sempre di più alle fonti rinnovabili e aumentare l’assorbimento della CO2, ad esempio con riforestazione e ripristino del suolo. Inoltre un contributo decisivo sarà svolto dalle tecnologie in grado di catturare i gas a effetto serra prima del loro rilascio in atmosfera e dai comportamenti e stili di vita, che dovranno indirizzarsi verso una riduzione dei rifiuti e un cambiamento dei modelli di consumo.
Redazione Floraviva


