Giardini da intervista
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Paolo Vitali, direttore della biblioteca capitolare pesciatina e storico dell’arte, fa leva sulle sue competenze e su documenti di prima mano, per omaggiare la sua città svelando il fascino discreto dello spazio verde fatto costruire negli anni ‘30 del Seicento dal monsignor Ricci, una traccia del ruolo di Pescia a quell’epoca.
Quel che resta di uno splendido spazio verde architettonico di stile barocco che fu completato nel 1643 dall’allora proposto di Pescia, Monsignor Ricci. Quasi un’ombra di giardino, una poetica e recondita traccia a due passi dal Duomo pesciatino del ruolo storico che la città dei fiori ebbe nel Seicento.
Paolo Vitali, docente di storia dell’arte, autore di saggi storico-artistici locali e di iconografia medioevale, e dal 1993 direttore della biblioteca capitolare di Pescia, si lascia guidare dalla sua curiosità storica e dalle sue competenze erudite per svelarci il fascino discreto di uno spazio ormai pressoché inaccessibile della sua città, visto che è diventato luogo privato. Il giardino degno d’intervista da lui selezionato è dunque il giardino Ricci o, per usare il nome dell’attuale proprietà, il giardino di Palazzo Bellandi: «Una perla barocca nascosta nel Quartiere Duomo di Pescia», come lo definisce Vitali.
L’incontro con questo luogo incantevole è frutto di una ricerca storica condotta da Paolo Vitali qualche anno fa. «Uno dei committenti più importanti della realizzazione del Duomo di Pescia – spiega il direttore della biblioteca capitolare di Pescia - fu Monsignor Ricci, che alla sua morte nel 1646 lasciò una somma per la realizzazione della tribuna e dell’altare maggiore della propositura (attuale cattedrale, ndr). Tale indicazione storica è stata lo spunto per approfondire la conoscenza di questo personaggio e così siamo risaliti anche alla sua dimora privata, il suo palazzo, che si trova vicino al Duomo di Pescia».
«Monsignor Ricci, pesciatino d’origine, – continua Vitali - si era poi portato a Pisa, dove si laureò nel 1606 in utroque iure, nell’una e nell’altra legge (il diritto ecclesiastico e il diritto civile). Poi si trasferì a Roma al seguito del Cardinal D’Arpino e alla morte di questi era diventato segretario di Maffeo Barberini, che sarebbe stato di lì a poco nominato papa Urbano VIII. Nel 1633 Monsignor Ricci venne eletto proposto di Pescia. E così, ritornando in patria, decise di abbellire il palazzo di famiglia ricostruendo le finestre e i portali della nuova dimora; e addirittura il magnifico proposto fece costruire una bellissima loggia con colonne binate nella zona retrostante del palazzo».
«Per l’esecuzione architettonica – aggiunge Vitali - Ricci si avvalse dell’architetto pistoiese Pantaleone Quadri e nella ricostruzione della dimora privata pensò di realizzare il bellissimo giardino su uno spazio quadrato con un lato occupato da un’affascinante fontana a muro con una statua del Tritone. La pianta del giardino segue la classica quadripartitura con al centro una piccola fontana circolare in asse con la grande fontana al muro. L’ambiente va osservato dall’ingresso del palazzo, da dove si crea un cannocchiale ottico di grande effetto e suggestione».
«Tutto il complesso architettonico della famiglia Ricci – spiega ancora Vitali - fu concluso intorno al 1643. E lo stesso Monsignore doveva essere estremamente orgoglioso di questo palazzo, poiché si fece ritrarre da Bartolomeo Orsi in un dipinto che oggi campeggia in una parete della sacrestia della Cattedrale».
E adesso?
«Attualmente di quello che fu il meraviglioso impianto voluto dal Ricci – risponde Vitali - rimane ben poco. Sono ancora visibili la grande fontana e i quattro quadranti, mentre delle piante che ornavano originariamente il giardino non ne rimane nessuna. Tuttavia i documenti storici ci rivelano che lo stesso Monsignore pensò di far giungere dal sud dell’Italia molte sementi per la realizzazione dell’impianto naturalistico».
«Risulterebbe strana la presenza di questo giardino – osserva in chiusura Vitali - se non si comprendesse il ruolo della città di Pescia nel ‘600, vicina politicamente al ducato fiorentino ma legata culturalmente alla città eterna. Con molti intellettuali pesciatini quindi che, come il Ricci, frequentavano le grandi città e portavano in patria nuove esperienze».
Lorenzo Sandiford
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Paolo Tomei, eminente fitogeografo dell’Università di Pisa, lo ha scelto soprattutto per il suo valore storico-botanico. In inverno spicca l’arboreto con piante dell’800, autoctone od esotiche, fra cui un pino laricio, un cipresso delle paludi e un monumentale cedro del Libano. In un laghetto i rari sfagni.
Grazie al suo interessante patrimonio di alberi, che annovera esemplari esotici risalenti all’800 ma pure specie autoctone a rischio d’estinzione, anche d’inverno è un piacere visitare l’Orto botanico di Lucca, benché non si possano apprezzare la collezione di camelie o quella delle piante medicinali, forse la più importante in Italia. Tanto più se a illustrarlo è Paolo Tomei, professore di fitogeografia all’Università di Pisa (la scienza che studia la distribuzione geografica delle piante e le sue cause), capace di svelarti tanti segreti e curiosità. Un intellettuale non solo erudito ma anche dotato di sense of humour, come testimoniato dalla seguente risposta a una domanda sul suo ruolo presso l’orto botanico lucchese: «io sarei definito consulente scientifico, però mi sembra un po’ una carica come quella del Gran Mogul in India quando c’erano gli inglesi: gli facevano fare le parate con gli elefanti ma poi…».
Il motivo principale per cui il professor Tomei ha indicato l’Orto botanico di Lucca quale terzo “giardino da intervista” è di ordine storico-botanico ed è ben spiegato da lui stesso: «ho scelto questo giardino innanzi tutto perché lo conosco molto bene, dato che sono 40 anni che me ne occupo, e poi perché è il nucleo da dove si sono diffuse le diverse specie di piante che hanno poi costituito gli attuali giardini storici della Lucchesia», un’area che è nota a livello internazionale per i suoi paesaggi, con «una serie di ville – conferma Tomei - di notevolissimo interesse e collezioni vegetali di gran pregio, come per esempio quelle eccezionali di camelie», alcune di antica introduzione come documentato da ricerche effettuate alcuni anni orsono, condotte da Tomei stesso insieme ad altri studiosi.
Come si legge nell’opuscolo di presentazione dell’Orto botanico di Lucca - che reca anche una citazione dai Saggi di Francis Bacon del 1579 che vale la pena di riportare: «Dio onnipotente per primo piantò un giardino. E infatti è il più puro degli umani piaceri. E’ il più grande ristoro per lo spirito dell’uomo» -, esso fu istituito nel 1820 da Maria Luisa di Borbone quale strumento di didattica e ricerca per la cattedra di botanica presente nell’università da lei fondata a Lucca. E durante il XIX secolo l’Orto fu centro di studi scientifici che diedero un notevole contributo alle conoscenze floristiche del territorio lucchese.
Ma l’aspetto che a Tomei preme sottolineare è che «tutti i giardini delle ville patrizie lucchesi sono legati all’Orto botanico di Lucca in quanto esso, nella prima metà dell’800, introducendo una grande quantità di specie esotiche che precedentemente nei giardini non comparivano, cambiò il gusto estetico dei nobili», che cominciarono a comperarle per arricchire i parchi delle loro ville. «Precedentemente – aggiunge – erano diffusi i giardini geometrici, dove la flora era generalmente autoctona, poche infatti erano le specie esotiche impiegate. Con la venuta a Lucca di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, fu rimodellato in parte il giardino della Villa Reale di Marlia con l’introduzione di diverse specie esotiche provenienti dai giardini di Napoli. In questo periodo, in Lucchesia, si passa dal giardino geometrico al giardino di paesaggio. I nobili lucchesi apprezzando queste novità desideravano le nuove specie introdotte dalla principessa ma era difficile trovarle. Fu attraverso l’Orto, però che riuscirono ad ottenerle; esso importava semi dagli altri orti botanici europei e quindi potè dotarsi delle specie esotiche ricercate, le moltiplicò e le vendette». Era questo il suo modo di finanziarsi, come spiegò Benedetto Puccinelli, che fu il secondo e intraprendente direttore del Giardino, dal 1833 al 1850.
Le tracce di questo passato sono rappresentate da alcuni esemplari dell’arboreto che Tomei ci illustra. A cominciare dal «monumentale» cedro del Libano piantato nel 1820, che «è figlio di quello di Pisa». E poi alle sequoie, che qui sono relativamente piccole: alte soltanto 30-40 metri.
Singolare il cipresso calvo, al centro del laghetto che fu fatto costruire dal direttore Cesare Bicchi nella seconda metà dell’800 «una pianta di Taxodium distichum – dice Tomei - che avrà 120/130 anni e viene dalle paludi della Florida». «Siccome vive nelle paludi, ha problemi di ossigenazione e quindi le radici formano delle strutture allungate che fuoriescono dall’acqua dette pneumatofore».
Si arriva poi alla montagnola, dove ci sono diverse specie di piante che vivono sulle rocce. «Nella parte anteriore – spiega Tomei – compaiono rocce calcaree e specie mediterranee. Mentre nel settore retrostante si osservano specie dell’Appennino Lucchese, ed il substrato è costituto da rocce silicee». «Qui – osserva - c’è un pino interessante; si tratta del pino laricio del Monte Pisano, dove questa entità è ancora presente con solo otto individui, quindi è sull’orlo dell’estinzione. Ora, il pino laricio è specie Mediterranea, ma pare che quella del Monte Pisano sia una razza locale. La popolazione senza dubbio è autoctona, perché già nel ‘700 era segnalata». L’esemplare dell’Orto ha circa 200 anni ed è quindi fra gli alberi più vecchi dell’Orto, insieme al cedro e a una Gleditsia sinensis sempre di circa 200 anni.
Ma l’Orto botanico di Lucca non contiene solo alberi. E anche fuori dalle stagioni delle fioriture - che avrebbero consentito di apprezzare appieno la collezione di camelie, quella ricchissima delle piante medicinali provenienti da tutto il mondo (basata su un elenco stilato dalla Fao alcuni anni fa) e quella delle specie palustri autoctone, fra cui alcune rare o in via d’estinzione -, il professor Tomei riesce a farci vedere una rarità: «un Briofita del genere Sphagnum» (foto di apertura, sopra il titolo).
«Gli Sfagni – spiega - sono muschi dell’Europa centrale e dell’Europa settentrionale, scesi nel Mediterraneo durante le glaciazioni e in Toscana rimasti in stazioni particolari con significato relittuale. Qui è stata ricostruita una piccola torbiera dove essi possono vivere, cosa per altro non facile perché questi muschi non tollerano acqua calcarea, ma vogliono acqua a pH acido. Fortuna ha voluto che qui giungesse l’acquedotto di Lorenzo Nottolini che porta, dal Monte Pisano, proprio l’acqua adatta alla vita degli Sfagni, per altro presenti sul medesimo Monte».
«L’Orto di Lucca – conclude Tomei - è un giardino storico ed una istituzione scientifica dove ben si coniugano il desiderio del bello e della conoscenza della natura».
Per ulteriori informazioni prima di visitarlo, si consiglia lo spazio web ad esso dedicato all’interno del sito dell’«Opera delle Mura».
Lorenzo Sandiford
- Dettagli
- Scritto da Andrea Vitali
Anche Lucia Tomasi Tongiorgi, luminare della storia dell’arte e dei giardini, punta sul criterio storico scegliendo «il giardino dei semplici» di Pisa, «uno dei più antichi giardini accademici europei». Fu fondato tra il 1543 e il 1544, ma è nella sede attuale dal 1591. Meta di botanici da tutta Europa già dal ‘500, è visitato da stranieri ancora oggi.
«Le ragioni della mia scelta sono di tipo storico, botanico e artistico» e poi «non è semplicemente un giardino ma fin dai tempi antichi un centro di cultura scientifica diversificata».
In estrema sintesi, è con queste motivazioni che Lucia Tomasi Tongiorgi ha eletto l’Orto botanico di Pisa come giardino più meritevole di attenzione: il secondo “giardino da intervista” dopo il Parco di Pinocchio di Collodi individuato da Mariella Zoppi nel primo articolo di questa rubrica, pubblicato l’11 luglio scorso (vedi). Lì era storia contemporanea, qui si risale agli albori dell’età moderna. Anche in questo caso si tratta di una scelta super qualificata, dato il valore di Lucia Tomasi Tongiorgi: una fra le figure di maggior spicco della storia dell’arte e del giardino in Italia e all’estero, grazie a una carriera scientifica che l’ha vista pubblicare oltre centoventi opere, tra saggi, cataloghi e volumi, e insegnare in università di tutto il mondo. Fra i momenti del suo percorso accademico più importanti o più attinenti alla storia dei giardini sono da ricordare, oltre agli anni di insegnamento all’Università di Pisa, il 1997, quando è stata “Isahia Berlin Visiting Professor” presso il dipartimento di storia dell’arte della Oxford University, e il periodo 1999-2002, in cui ha ricoperto la carica di “Senior Fellow” del Comittee of “Gardens and Landscapes Studies” del “Dumbarton Oaks, Trustees of Harvard University”. Altrettanto rilevanti, poi, le attività come curatrice di mostre e collane editoriali, con ad esempio tre esposizioni al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (1984, 1990 e 1992) e una presso la National Gallery of Art di Washington nel 2002, la presenza nel comitato editoriale del “Journal of Garden History” e la direzione della collana “Giardini e paesaggio” dell’editore Olschki di Firenze.
Il motivo è innanzi tutto storico, spiega Lucia Tongiorgi, perché «l’Orto botanico di Pisa, il “giardino dei semplici”, è uno dei più antichi giardini accademici europei, giardini cioè costituiti per finalità didattiche e scientifiche e legati ad università, e risale al 1543-1544». Qualche mese prima dell’Orto botanico di Padova, l’altro giardino accademico che si contende il primato storico di “più antico”, dunque, anche se quello di Pisa ha poi cambiato sede ed è stato collocato dove è adesso “soltanto” nel 1591.
E infatti, nota Lucia Tongiorgi, l’Orto botanico di Pisa «ha una particolarità: fu sistemato in tre zone diverse della città. Prima fu stabilito vicino all’Arno nei pressi dell’Arsenale mediceo, poi fu spostato nel 1563 nel quartiere di Santa Marta, ma poiché troppo lontano dal centro, l’ultima costruzione, che risale al 1591, fu fatta nel quartiere di Santa Maria, vicino al Duomo e all’Università, dove si trova ora».
«Nei tre orti – aggiunge - furono piantate sia piante locali che esotiche frutto di arborizzazioni e vi crebbero alcune piante importanti. Un elenco completo delle piante dell’orto venne stilato nel 1723 dal “prefetto” Michelangelo Tilli».
Sotto il profilo architettonico, l’elemento da sottolineare maggiormente è che «l’orto botanico di Pisa rispondeva a un canone costruttivo che poi si ritroverà in tutti i giardini botanici fino al Settecento - spiega Lucia Tongiorgi - che riprende la struttura dell’orto monastico, caratterizzato da due viali che si intersecano dividendo lo spazio in quattro settori». Comunque «il giardino nel ‘700-’800 fu ampliato – precisa la professoressa - quindi c’è una parte più tarda che presenta non le aiuole originali cinquecentesche, ma aiuole di impostazione linneiana con una vera e propria “scuola botanica”. Inoltre furono acquisite nuove estensioni di terreno dove fu sviluppato un giardino che ricorda la tipologia del giardino all’inglese».
Tuttavia «la cosa importante dell’orto – sottolinea la Tongiorgi - è che esso non fu solo giardino botanico con piante e aiuole, ma vi si allestì anche un museo naturalistico, nel quale si potevano ammirare un gran numero di reperti naturali: ossa, radici, corna di animali, pietre, fossili, ecc. Ma c’è di più. Il giardino dei semplici di Pisa fu anche sede di una bottega artistica, dove furono assoldati numerosi artisti per dipingere le piante ad uso dei botanici. E per nostra fortuna sono conservati nella biblioteca universitaria di Pisa svariati codici che rappresentano queste piante e anche molti animali. I pittori che eseguirono queste immagini ebbero una discreta rinomanza, oltre che talento, come il tedesco Daniel Froeschl, che lavorò lì intorno alla fine del ‘500». Insomma, l’Orto botanico di Pisa «non è soltanto un bel giardino ma un centro di cultura scientifica che oggi diremmo all’avanguardia e non per nulla fu una costante meta di botanici e naturalisti da tutta Europa».
E adesso? «Il giardino – risponde la professoressa – è sempre molto interessante per i reperti storici che vi si possono ammirare, oltre a continuare ad essere un importante centro di cultura scientifica. Purtroppo sarebbe opportuno che ci fossero più giardinieri, ma mancano le risorse. Comunque grande è il suo fascino, come dimostrano i molti visitatori, italiani e stranieri, che lo ammirano. Ricordiamo inoltre che non pochi reperti originali sono conservati nel Museo di Storia Naturale della Certosa di Calci».
Riguardo alla flora presente oggi, le collezioni dell’Orto botanico di Pisa sono orientate a testimoniare la biodiversità e produrre materiale didattico per i corsi universitari, con pochi esemplari per ciascuna specie di pianta. L’orto è articolato nelle seguenti sezioni: arboreto, flora faraonica, geofite mediterranee, piante acquatiche, collezione sistematica, piante medicinali, piante apuane, ortensie, succulente, piante tropicali e piante del litorale. Tra le piante da segnalare, nell’Orto del Cedro, i due esemplari più vecchi: una magnolia grandiflora L. ed un ginkgo biloba L., piantati nel 1787 dal prefetto Giorgio Santi. E, infine, la corona imperiale (fritillaria imperialis) che fu adottata come emblema fin dall’antichità e adesso è il logo dell’Orto botanico di Pisa nella raffigurazione che ne fece Daniel Froeschl negli anni ’90 del Cinquecento.
Per maggiori informazioni sulle collezioni, sui prezzi dei biglietti e sugli orari conviene guardare direttamente sul sito web dell’Orto botanico di Pisa.
Lorenzo Sandiford
(Fotografie dell'Orto botanico di Pisa di Giuseppe Pistolesi e Fulvio Battellino)