La sede del Robert Schuman Centre for Advanced Studies dell’Istituto universitario europeo di Fiesole ha un giardino significativo e non molto conosciuto. Ce lo ha illustrato Laura Bechi, del servizio Patrimonio e logistica dell’Iue, che si è soffermata sulla velocità di cambiamento dei giardini quali organismi viventi e ha ricordato che qui fu girato l’Arcidiavolo di Ettore Scola (1966), con Vittorio Gassman. [foto in home e sotto il titolo di Sailko da Wikipedia, foto dall’alto nel testo gentilmente offerte dallo Schuman Centre]
Le tre terrazze non perfettamente allineate, la prevalenza di siepi di bosso, la piccola grotta invasa dal Ficus repens, la scalinata a due rampe finto barocca, l’emiciclo in fondo con siepi di leccio e statue chiamato “teatro della verzura”, le tuie orientali e i cedri dell’Himalaya.
Sono alcune delle curiosità del giardino di Villa Schifanoia, proprietà dello Stato Italiano (dal 1986) concessa in uso all’Istituto universitario europeo e sede del Robert Schuman Centre for Advanced Studies, che ho potuto visitare alcune settimane orsono in occasione della tavola rotonda organizzata da LaRivistaCulturale.com sul tema “Che cos’è il dialogo delle culture?”. A illustrare il giardino della villa e la sua storia, al termine dell’incontro, è stata Laura Bechi, funzionario del servizio Real Estate & Facilities dell’Istituto universitario europeo, nonché laureata in Lingue e letterature straniere con indirizzo storico-artistico e guida turistica.
«Villa Schifanoia è una villa che ha attraversato la storia di Firenze con tantissimi passaggi di proprietà» ha esordito Laura Bechi. Originariamente, nel XIV secolo, doveva essere un casolare della tenuta comprendente Villa Palmieri. Questa terra, come riporta anche un opuscolo dello Schuman Centre, era conosciuta quale “Schifanoja” o “Schivenoglia”, cioè un luogo dove scacciare la noia. Si pensa che a Villa Palmieri, e forse proprio nel nucleo iniziale di Villa Schifanoia, fosse ambientata una parte del Decameron di Boccaccio. A farlo ipotizzare, ha spiegato Laura Bechi, è la minuziosa descrizione del giardino in cui si sarebbero riuniti a narrare storie i giovani scampati alla peste nella terza giornata. Ma ci sono altre ipotesi.
In ogni caso nel Trecento la struttura dell’immobile e dei terreni circostanti è molto diversa da quella attuale e affinché il complesso assuma, almeno nella sostanza, l’assetto di oggi bisogna aspettare il ‘400, «quando l’antico casolare – spiega Laura Bechi - viene rilevato dai Cresci, una famiglia di tintori fiorentini che avevano fatto una certa fortuna, che lo trasformano in una vera e propria villa con giardino annesso, secondo quelli che erano i canoni delle ville di campagna fiorentine. La villa rimane ai Cresci fino a più o meno la metà del ‘500, e poi comincia a passare di mano in mano». Fino al XVIII secolo la struttura esterna della villa rimane immutata, con l’eccezione del giardino che viene progressivamente trasformato in un giardino all’italiana, basato sulla simmetria e l’ordine. Questa trasformazione si completa intorno alla metà dell’800, quando la villa è in mano alla famiglia Ciacchi, che fa risistemare il giardino riducendo la parte agricola.
Tuttavia, «la struttura attuale del giardino all’italiana di Villa Schifanoia risale agli anni Trenta del ‘900, secolo in cui è iniziata la fase dei proprietari anglofoni». In particolare a quando, dopo essere stata di proprietà di un australiano dal 1903, Villa Schifanoia passa nel 1927 a Myron Charles Taylor, «uomo d’affari americano estremamente influente, che fra l’altro fu nominato nel 1939 ambasciatore personale degli Stati Uniti presso la Santa Sede e giocò un ruolo chiave nelle trattative diplomatiche durante la Seconda Guerra Mondiale per salvare Roma dai bombardamenti alleati e arrivare alla firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943». Fu lui, infatti, raffinato collezionista e appassionato d’arte a far risistemare completamente il giardino all’italiana della villa articolandolo nelle tre terrazze attuali. Alla fine della guerra, Taylor donò la proprietà della villa al Papa, che la offrì a un ordine di suore americane che vi crearono il Rosary College. Nel 1986 il Governo italiano l’acquistò per farne una delle sedi dell’Iue.
Villa Schifanoia e il suo giardino da intervista rispecchiano dunque fedelmente alcuni aspetti della storia fiorentina e del suo cosmopolitismo d’inizio Novecento. Ma quali sono, agli occhi di Laura Bechi che lo conosce a fondo, le caratteristiche più interessanti e le curiosità di questo spazio all’aperto? Uno spazio dalle tre terrazze non allineate, a formare una specie di L, in cui prevalgono le siepi di bosso («all’80-85%») ma sono presenti «anche siepi di alloro, una siepe di leccio e una di cipresso»: tutte piante rigorosamente «sempreverdi com’è nella natura stessa del giardino all’italiana, che non deve mai modificarsi troppo fra l’estate e l’inverno».
Innanzi tutto, cominciando dal parterre davanti all’ingresso dell’edificio, il Ficus repens che ha invaso la piccola grotta affacciata su una parte del giardino che «ricorda molto quelli che erano i “giardini segreti” di alcune ville». Le foglie di questa pianta rampicante ornamentale, sottolinea Laura Bechi, hanno colori diversi: «le più giovani sono marroni tendenti al beige, mentre via via che crescono e invecchiano diventano più verdi». Poi c’è la «bellissima scalinata a doppia rampa, di impianto barocco (ma non barocca d’epoca, perché risalente agli anni ’30 del Novecento), con le statue e le decorazioni volute da Myron Taylor…». E più giù, verso la terrazza grande, una «siepe di cipresso che è volutamente sagomata proprio a schermare la vista», come se questa zona dovesse rimanere invisibile dalla villa. Altro particolare curioso è «il “rondò dell’amore”: un piccolo spazio semicircolare, un po’ nascosto, con delle panchine e delle piante non comuni: delle tuie orientali (Thuja), che non sono delle piante da giardino storico e non siamo riusciti a ricostruire da chi siano state piantate». Inoltre «un boschetto di leccio, che è molto caratteristico dei giardini soprattutto dell’800, e anche a Villa Salviati, per esempio, il viale delle carrozze è pieno di lecci». E ancora, in fondo al giardino, i due cedri, «che però non sono cedri del Libano, ma sono cedri dell’Himalaya, quindi una particolarità» rispetto ad altri giardini toscani.
Infine, va ricordato il «muretto in cui fu girata, nel 1966, la scena del film l’Arcidiavolo, di Ettore Scola, in cui Vittorio Gassman tenta di sedurre Lucrezia e in cui si vede quello che noi chiamiamo il “teatro di verzura”, cioè quella specie di emiciclo in fondo di siepi di leccio». «Adesso le statue – osserva Laura Bechi – sono praticamente incastonate all’interno delle siepi, sembrano quasi coperte da esse; ma quando fu girato il film, circa 50 anni fa, erano completamente scoperte, fuori dalle siepi». Questo è un esempio molto chiaro, commenta, del fatto che «un giardino è un organismo vivente, quindi cambia in continuazione» e, a differenza di quanto accade per gli edifici e altre opere d’arte, «si modifica significativamente anche in un lasso di tempo, come 50 anni, che per un edificio è niente, mentre per un giardino equivale a secoli».
Il presidente del “Castello di Clos Lucé - Parco Leonardo da Vinci” François Saint Bris, all’Istituto Francese di Firenze per il progetto “Le vie di Leonardo”, ha presentato il suo parco culturale, che include “Il giardino di Leonardo”: un museo all’aperto sul tema della natura che riprende gli studi leonardiani di botanica, ma anche di geologia e idrodinamica. [Immagini da Wikipedia di de Serre, Als33120 e Zeist85]
La natura imita l’arte. O meglio la natura imita l’arte che imita la natura. Può essere riassunta così l’ispirazione de’ “Le Jardin de Léonard”, ovvero “Il giardino di Leonardo”, dedicato agli studi botanici e ad altri aspetti del rapporto del genio di Vinci con la natura, nel cuore del Parco Leonardo da Vinci del Castello di Clos Lucé, ad Amboise in Francia, nella Valle della Loira. Là dove Leonardo da Vinci, invitato dal re di Francia Francesco I, trascorse gli ultimi tre anni di vita, dal 1516 al 1519, e morì.
Sia il giardino che l’intero parco, meritevoli d’intervista in questa rubrica di Floraviva, sono stati illustrati il 16 maggio all’Istituto Francese di Firenze durante un incontro di presentazione del progetto di itinerario culturale del Consiglio d’Europa “Le vie di Leonardo da Vinci”, che se andrà a buon fine vedrà come partner principali proprio le due città che segnano l’inizio e la fine del suo percorso esistenziale: Vinci e Amboise (vedi articolo su Valdinievole+News). A parlarne nel suo intervento è stato un testimone d’eccezione quale François Saint Bris, proprietario del maniero e presidente del parco culturale “Castello di Clos Lucé-Parco Leonardo da Vinci”, che è stato creato dalla sua famiglia quando fu presa la decisione di aprirlo al pubblico. Un interessante “giardino o parco da conferenza” dunque, anche se situato fuori dagli abituali confini della Toscana, per quanto intriso di toscanità e cultura rinascimentale fiorentina.
Dopo aver ricordato che l’anno scorso il parco di Clos Lucé ha celebrato il 500° anniversario dell’arrivo di Leonardo da Vinci con tre eventi quali l’inaugurazione degli atelier restaurati del castello, dove il maestro lavorò gli ultimi tre anni fino al giorno del decesso, la mostra “Du Clos Lucé au Louvre, les trois chefs-d’oeure de Léonard de Vinci” in collaborazione con il Museo Ideale Leonardo da Vinci (vedi nostro articolo) diretto da Alessandro Vezzosi e la realizzazione del “Pont de la Corne d’Or” nel parco, François Saint Bris ha spiegato che la visita al complesso di Clos Lucé è articolata in due fasi: gli interni del castello e il parco culturale all’esterno, un percorso paesaggistico, pedagogico e ludico, sulle orme di Leonardo in uno spazio all’aperto di 7 ettari.
Il percorso all’esterno, ha detto Saint Bris, avviene nel contesto di una messinscena dell’arte e dell’immaginazione di Leonardo che rappresenta un viaggio iniziatico nella sua «scienza visionaria» della natura, basata sulle parole d’ordine «osservare, sperimentare, apprendere». Quel Leonardo che, autodidatta formatosi a contatto con la natura, è stato un precursore della scienza sperimentale ed è stato capace di scrivere con i suoi metodi trattati di anatomia, botanica e pittura. Passeggiando nel parco, ha continuato Saint Bris, si potranno ammirare «20 macchine giganti interattive» e «30 tele traslucide» da 3 a 4 metri di altezza che rivelano diverse facce dell’opera pittorica leonardiana, il tutto nella bellezza della luce naturale che gioca fra le foglie degli alberi sublimando i dipinti del maestro.
Il cuore del parco è il “Giardino di Leonardo”, un museo all’aperto sul tema della natura, che ricostruisce e assembla i suoi lavori riguardanti il regno vegetale, la geologia e il moto dell’acqua, offrendo la possibilità di una passeggiata botanica alla scoperta degli alberi, le piante e i fiori da lui disegnati. Circa 30 specie di piante sono state individuate a partire da più di cento fra schizzi, disegni o pitture leonardiane e sono state piantate in questo giardino botanico: piante autoctone, piane aromatiche e alcune piante acquatiche. Il giardino è impreziosito da grotte, cascatelle, belvedere e misteriose nebbie evanescenti che evocano lo sfumato leonardesco.
Nel parco si trova anche un ponte di legno a due livelli costruito in dimensioni reali sulla base del progetto di Leonardo e secondo le tecniche dell’epoca. L’idea venne a Leonardo in seguito alle devastazione della peste in Italia e all’intuizione che una più ordinata circolazione, tenendo separati i pedoni e i carri sui due piani del ponte, avrebbe potuto contribuire allo stato di salute delle città. Infine è da segnalare la realizzazione in scala ridotta, conclusa appunto l’anno scorso in occasione dei 500 anni dell’arrivo di Leonardo, del progetto del “pont de la Corne d’Or”: il disegno di ponte per Costantinopoli ideato da Leonardo fra il 1502 e il 1503 su richiesta del sultano Bajazet II. Un progetto «elegante e armonioso» e di concezione molto moderna.
Un parco da visitare e guardare con i propri occhi dunque. Almeno per chi è d’accordo con questa citazione di Leonardo da Vinci ripresa da una pubblicazione del “Chateau du Clos Lucé – Parc Léonardo da Vinci” dedicata ai suoi pensieri e aforismi: «Che ti muove, o uomo, ad abbandonare le proprie tue abitazioni della città, e lasciare i parenti ed amici, ed andare in luoghi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo, la quale, se ben consideri, sol col senso del vedere fruisci?».
Giorgio Galletti, rinomato architetto del paesaggio, sceglie il suo lavoro di recupero e reinvenzione del prestigioso giardino storico urbano di Firenze, diventato il parco di un noto hotel di lusso, illustrando gli elementi chiave del suo intervento sul verde. Il segreto del bravo restauratore di giardini? «Il giusto equilibrio tra conservazione e innovazione».
Se non ci fosse stata la limitazione geografica di questa rubrica al territorio toscano, forse avrebbe preferito parlarci dei due giardini progettati ex novo alcuni anni fa a Marrakesh. Perché Giorgio Galletti, architetto con alle spalle un lungo servizio come direttore di Boboli e delle ville medicee di Castello, Petraia e Poggio a Caiano, terminato nel 2000 per intraprendere la libera professione, non è semplicemente un restauratore di giardini storici, ma un architetto a tutto tondo specializzato nella progettazione del paesaggio e dei giardini. E però è vero che nel suo curriculum spiccano gli interventi, da solo o in collaborazione con altri studi architettonici, in luoghi famosi quali i giardini di Villa Medici e della Casina Valadier a Roma o di Villa Garzoni a Collodi, che giustificano la suanotorietà come “restauratore”.
Così non c’è da meravigliarsi se alla fine la sua scelta di “giardino da intervista” ricada proprio sull’oggetto di un suo lavoro di questo genere a Firenze: il restauro del giardino della Gherardesca e di quello adiacente del Conventino, adesso riuniti come parco del Four Season Hotel. Anche perché si tratta di uno spazio architettonico verde di circa cinque ettari risalente ai primi dell’800 e molto affascinante, ancor più dopo la riprogettazione di Galletti, che ha puntato sull’armonizzazione con il contesto originario di nuovi elementi funzionali come la piscina e le cucine interrate dell’hotel e ha rinaturalizzato per mezzo di nuovi prati e aiuole le zone degradate.
«Uno degli aspetti più stimolanti di questo genere di lavori – spiega Galletti – è la presenza di molti vincoli. In questo caso, ad esempio, c’era il problema di creare un collegamento tra i due giardini, un tempo separati, e la questione dell’inserimento della piscina senza snaturare il contesto». «Inoltre – continua Galletti – c’era uno stato di generale degrado, in parte nascosto, con alcune zone periferiche messe molto male e diverse alberature in cattive condizioni, per cui sono stati necessari vari interventi arborei, di messa in sicurezza, che continuano ancora oggi. Perché la manutenzione degli alberi di alto fusto, il loro monitoraggio non finisce mai. Il verde in generale e soprattutto l’alto fusto va sempre tenuto sotto controllo».
Ed è proprio in relazione alle questioni del restauro del verde che gli chiediamo qualche ulteriore particolare sul giardino della Gherardesca, interessante dal punto di vista della vegetazione. «La specie prevalente è il leccio – spiega - e sono ancora presenti alberi di alto fusto di grande pregio che risalgono all’800. Ad esempio un gigantesco faggio pendulo nel prato vicino al ristorante, che forma una specie di grotta verde naturale in cui si può entrare». Ma ci sono anche «un notevole ginkgo biloba» e splendide magnolie grandiflora, «che in genere non sono un granché a Firenze, ma lì hanno invece trovato una condizione del suolo particolarmente favorevole». Senza dimenticare la «sequoia sempervirens».
«Nel progetto – aggiunge Galletti – sono state inserite varie fioriture, soprattutto nell’area del Conventino: lì sono stati creati dei giardini di rose classiche (dalla Albéric Barbier alla New Dawn) e poi una collezione di ortensie. E lo stesso è avvenuto nella zona del giardino della vasca tonda». «Nelle aiuole facciamo due o tre cambi l’anno con piante annuali: d’estate alcune specie di impatiens, l’inverno viole ed ellebori». Sì, perché, come sottolinea Galletti, «la manutenzione è in realtà il vero intervento in un giardino. Nel senso che si può fare tutta la poesia che si vuole a livello di progettazione, però allo stesso tempo bisogna sempre avere molta concretezza, perché uno può anche creare il giardino più bello del mondo, ma se poi non ci sono le prerogative per un’adeguata manutenzione né per la trasmissione di questa opera, è tutto inutile».
Riguardo poi alla piscina, premesso che «inserire una piscina in un parco storico non è tanto semplice», spiega che si è cercato di scegliere «una posizione poco visibile dall’hotel, ma allo stesso tempo assolata». Ma soprattutto «abbiamo progettato una forma classicheggiante che si armonizzasse con il tempietto neoclassico di Giuseppe Cacialli del 1815».
Qual è dunque il segreto del bravo restauratore di giardini storici e come si fa a dire che un progetto di restauro è riuscito? «Nel caso di un giardino storico come questo, l’ideale sarebbe riuscire a conservare e non modificare niente, però bisogna anche essere realistici e, al momento in cui c’è la necessità di garantire che vi siano anche delle funzioni contemporanee - perché non si può vivere nell’astratto -, trovare il giusto equilibrio tra conservazione e innovazione. Questa è la sfida principale».
Maria Adriana Giusti, architetto e professoressaordinariadirestauro al Politecnicodi Torino, ci conduce, attraverso i suoistudi e le sue ricerche, allascopertadellafavola del GiardinoStoricodi Villa Garzoni, regalandociunasuggestioneparticolare verso quellochepotrebbeessereilsuofuturoprossimo, in strettaconnessione con ilParcodi Pinocchio e la cittadinadiCollodi.
Potremmorestare per molto tempo ad ascoltare Maria Adriana GiusticheraccontailmisteroracchiusodalGiardinodi Villa Garzoni: le sue profondeconoscenzestorico-artistichesiintreccianoalle sue innate dotidicomunicatrice. Il nostroviaggiocominciacosìallascopertadi un GiardinoStoricotroppospessoincompreso, ma cherappresenta «unostraordinariocomplessomonumentale», come sottolineasubito Maria Adriana.
La storia di questo Giardino, il cui fascino non è minore diquello dei grandi giardini europei, si apre e si chiude con due Romano Garzoni: il primo, nei primi decenni del Seicento, avviò la costruzione barocca del palazzo e del Giardino dando una configurazione spaziale molto simile a quella attuale. L'altro Romano Garzoni, nella seconda metà del Settecento, grazie alla sapienza dell'architetto ed erudito lucchese Ottaviano Diodati, fornisce al giardino l'affascinante sistema teatrale chesi avvale di un complesso sistema idraulico, che ancora oggi permette i giochi d'acqua.
Il palazzo è una villa di confine in cui la famiglia Garzoni si era insediata al limite fra le due “Pescie”, la Pescia fiorentina e la Pescia lucchese, dando vita ad un intreccio di culture provenienti da due diversi Stati. L'impianto prospettico fra giardino e palazzo era già ben stabilito con la sua impostazione teatrale attorno al 1670. «Il giardino si presentava e si presenta ancora oggi come una grande macchina teatrale. All'ingresso troviamo la platea con la tipica forma a campana, considerata perfetta per l'acustica, proseguendo incontriamo le statue dei due Satiri, un maschio e una femmina, che aprono la vera e propria scena, che si svela solo ad un occhio consapevole, grazie a un artificio anamorfico. L'espediente illusionistico a scala paesaggistica è ben visibile infatti solo fuori dalla Villa Garzoni, esattamente nel punto dove oggi troviamo il Monumento ai Caduti: da qui possiamo ammirare affascinati la scena nascosta nel Giardino» ci svela Maria Adriana.
La grotta di Nettuno, le due "Pescie" ai lati, le quinte sempreverdi di lecci e cipressi, e, al centro, la morfologia di un mascherone che, grazie alle ricerche e agli studi di Maria Adriana, possiamo oggi identificare come Encelado, uno dei Giganti della mitologia, capace di provocare i terremoti (da notare che poco più in alto troviamo anche la statua della Fama, sua sorella).
Dall'Eneide di Virgilio Maria Adriana è risalita abilmente a questo personaggio mitologico che ci fornisce la chiave di lettura di tutta la messa in scena del Giardino: il terremoto. «L'idea del caos primigenio del resto è alla base di ogni giardino – prosegue Maria Adriana – rappresenta la sua essenza stessa in dialettica con l'ordine della Natura. La parte in cima alla scalinata del Giardino di Villa Garzoni è poi il terremoto stesso, qui troviamo infatti un illusionistico dissesto murario con archi deformati volutamente.»
«La chiave interpretativa ce la fornisce Ottaviano Diodati, editore e commentatore dell'Encyclopèdie, esponente dell'illuminismo lucchese, molto interessato al fenomeno dei terremoti. Basti pensare che dopo il terremoto di Lisbona del 1755, a cui Voltaire aveva dedicato un Poema, Diodati aveva dato vita al progetto di un edificio antisismico, che pubblica nell'edizione lucchese dell' Encyclopèdie.»
Il legame fra mito, storia e pensiero illuminista è dunque inscindibile e da approfondire oggi in vista di una riscoperta del Giardino di Villa Garzoni da visitare con in mente questo racconto preciso e suggestivo. «Un giardino è una delle arti più complesse, esso ha molti legami con la musica: risente del tempo della natura e di quello dell'uomo, che qui proietta le sue culture che si susseguono.» precisa Maria Adriana. La vegetazione è l'aspetto più mobile, come vediamo nella platea floreale del Giardino di Villa Garzoni, dove i fiori sono le comparse stagionali di questo teatro. Maria Adriana ci ricorda che un tempo qui sorgevano ranuncoli in ottobre e novembre, bulbacee di qualsiasi tipo, anemoni in luglio e agosto, e molte rose di varie specie. In alto troviamo invece, ancora oggi, gli agrumi e nelle quinte del teatro i sempreverdi, lecci e cipressi.
Ci chiediamo allora, a questo punto del nostro percorso ricco di meraviglia, come questa favola illuminista del teatro e della messa in scena del terremoto, possa dialogare con la favola contemporanea del Parco di Pinocchio e del paese medievale di Collodi. «La favola illuminista e la favola contemporanea – risponde prontamente Maria Adriana – sono parte di un'unica storia che va raccontata a tutti i visitatori. Molti miei studenti hanno lavorato, su mia indicazione, su percorsi di collegamento e unione fra il Giardino Storico di Villa Garzoni, il Parco di Pinocchio e Collodi. I quattro Elementi collegano il burattino di legno Pinocchio, il territorio circostante, le pietre e le rocce che creano il volto di Encelado, ma che ritroviamo anche nel paesino di Collodi, la natura del Giardino, tessendo un'unica trama che tutti possono ascoltare, percepire e godere. La visita al Giardino Storico potrebbe allora essere ripensata con la chiave di lettura della messa in scena del terremoto e del gioco del teatro, a vari livelli di fruizione, per grandi e piccini.»
Raccontare la storia racchiusa nel Giardino di Villa Garzoni, accanto a quella di Pinocchio, significa stimolare i visitatori ad un ritorno per scoprire aspetti e personaggi, che magari non si sono colti subito, o per scoprirne addirittura di nuovi perché l'incanto di una favola non finisce mai.
Un giardinopuòrivelarsi un postoperfetto per distendersi e rilassarsidurante le vacanzeestive: fuoridalcaos, all'ombradeitigli con la brillantezzadelle rose cherisplende, i riflessidelleninfeesull'acqua e ildolcerumoredellefontane. Chesiaall'inglese, allafrancese o all'italiana, pocoimporta, ilgiardinociriporta con semplicità in un'atmosferaunica, fattadiintimità e pace.
Se siete in Inghilterra, non perdeteviilgiardino del CastellodiSissinghurst, nel Kent a sud-ovestdi Canterbury. Il complessofucreatonegliannitrentada Vita Sackville-West, poetessa e articolistadell'Observer, per ilqualecuravaunarubricadigiardinaggio, e dalmarito Harold Nicolson, scrittore e diplomatico. Unarovinaanticache la coppia ha saputotrasformare in un luogoconfortevole, creandovi un giardinoeccezionale con piùstanze, dalle rose aitigli, passando per alberidinoce e piantearomatiche. La bellezzaperfettadiquestoluogo, immaginato e creatodai due amanti del paesaggio, attiratalmentetantituristicheilloronumerodeveesserelimitato a 160.000 all'anno. Se sieteneidintorni, non perdeteviilmercato locale, ilsecondo e il quarto venerdì del mesefino a settembre, dimattina.
In Italia, invece, tutte da scoprire sono le isole magiche del Lago Maggiore: l'arcipelagodelleisoleBorromeecompostoditreisole, un isolino e unoscoglio. Sull'Isola Madre, ilgiardinobotanicodipianted'olivosecolariospitanumerosepianteesotiche. Intorno al Palazzo Borromeo, ildecorovegetale non èmutatodalXVIIIsecolo: le terrazzesisuccedonodasud a levante, fino al lago. Se arrivate in barca, lo spettacoloèmagnifico. Sull'Isola Bella ilgiardinobarocco del XVIIsecoloè al suoapogeo: pavonibianchivaganoliberamentetra le terrazze e qui trovereteilteatroMassimo e ilgiardinodell'amore. Chi viene in traghetto non vorrebbepiùandarsene.
Un'altra sorpresa, tutta italiana, è Villa Lante: a Bagnaia, a cento chilometri a nord di Roma. A fianco della collina, i suoi giardini sono letteralmente pieni di fontane, disposte lungo un asse centrale comandato appunto dall'acqua: la fontana del Diluvio succede a quella dei Delfini, poi la Catena d'acqua, clou dello spettacolo, che distribuisce altri bacini fino all'ultima fontana dei Mori. Qui la villa è meno importate dell'architettura vegetale del giardino, che è una vera sorpresa come il manierismo del Rinascimento vuole.
Un altro diamante verde da non perdere è l'Alhambra in Spagna: il palazzo d'estate dei principi Nasridi a Granada. Per la sua raffinatezza sorpassa forse tutti i giardini d'Europa. Qui si cammina sotto gli alberi passando da un bagno, copia delle antiche terme romane, all'altro. Non a caso il suo nome deriva da un termine arabo che significa paradiso. Questo eden, riconosciuto dall'Unesco come patrimonio mondiale dal 1984, è davvero imperdibile con il suo formidabile “Palacio de Generalife”.
In Francia troviamo poi le splendide terrazze di Menton, sulla Costa Azzurra. Qui, dopo una triste vicenda che rischiava di dsitruggere questo patrimonio a causa di un complesso residenziale che avrebbe cementificato quasi fino a coprire il giardino, si possono ammirare oggi le terrazze e il giardino moresco. Lawrence Johnston, che ha ri-progettato il giardino, vi ha portato numerose piante esotiche rare, a memoria dei suoi viaggi in Africa del sud, America ed Asia. Durante il mese di agosto potrete approfittarne per vedere la fioritura di Amaryllis Belladonna, di Parkinsonia aculeata e di Iris che regalano sfumature magnifiche di rosa, giallo e arancione.