Ispirazioni

Quest’inverno, con il freddo che ci avvolge anche qui, mi sento ispirata da un pensiero controcorrente: non partire. Non andare a contaminare quei luoghi straordinari e fragili come l’Artico, non aggiungere il mio impatto a un ecosistema già in bilico. Forse il miglior modo di rispettare la bellezza di questi territori è proprio scegliere di lasciarli intatti, ammirandoli a distanza e riflettendo sul loro valore senza doverli raggiungere.


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L’Artico e l’Antartico evocano avventure epiche, panorami glaciali infiniti e un contatto primordiale con la natura. Eppure, il crescente turismo verso i poli si scontra con la realtà: queste regioni sono tra le più vulnerabili del pianeta e visitarle, anche con le migliori intenzioni, contribuisce a danneggiarle. Ogni viaggio comporta emissioni di CO₂, disturbi alla fauna, contaminazione ambientale e, a volte, rischi per la vita stessa dei visitatori.

Il lato oscuro del “turismo dell’ultima possibilità”

Il “turismo dell’ultima possibilità” spinge sempre più persone a visitare i poli per vedere “ciò che sta scomparendo”: orsi polari, ghiacci che si sciolgono, paesaggi unici. Ma dietro a questa narrazione si cela una contraddizione: voler testimoniare la fragilità di un ecosistema significa spesso accelerarne il degrado.

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A Pond Inlet, un piccolo villaggio inuit del Nunavut, Canada, nel 2023 sono approdate 25 navi da crociera, portando circa 3.000 turisti in una località che conta appena 1.600 abitanti. Per una comunità che vive di pesca e caccia, il turismo è diventato una risorsa economica importante, ma il costo ambientale è elevatissimo. La pressione sulle risorse locali, l’introduzione di specie invasive e i disturbi agli animali sono solo alcune delle conseguenze.

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In Antartide, il caso della nave russa Akademik Chokalskiï, rimasta bloccata nei ghiacci nel 2013, ha evidenziato i rischi di viaggiare in regioni remote e pericolose. Le operazioni di salvataggio hanno richiesto giorni e l’intervento di navi scientifiche di diversi paesi, interrompendo missioni cruciali e dimostrando quanto sia fragile l’equilibrio in questi territori estremi.

Rimanere per proteggere

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E se la vera ispirazione fosse scegliere di rimanere? Ammirare la maestosità dei poli da lontano, senza aggiungere il nostro peso su ecosistemi così fragili, può essere un atto di rispetto e consapevolezza. Dopotutto, anche vicino a casa, l’inverno ci regala esperienze autentiche: il silenzio della neve che cade, il gelo che trasforma i paesaggi, il calore delle case.

Non andare non significa rinunciare al desiderio di esplorare, ma trasformarlo in un invito alla riflessione. L’avventura non è solo altrove: può essere dentro di noi, nella capacità di osservare il mondo con occhi nuovi e di apprezzare le meraviglie che abbiamo già.

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Un privilegio da trattare con responsabilità

Visitare i poli è un privilegio che deve essere esercitato con grande responsabilità. Ogni viaggio lascia un segno, e in queste regioni così vulnerabili, quel segno può essere devastante. Rischiamo di compromettere per sempre ciò che vorremmo ammirare.

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L’Artico e l’Antartico non sono semplicemente luoghi da vedere, ma spazi da rispettare e proteggere. Lasciarli intatti, non cedere al richiamo del “vedere prima che scompaia”, può essere un atto d’amore verso un pianeta che chiede attenzione e cura.

Quest’inverno, sono ispirata da un’idea semplice e potente: non andare, non disturbare, non contaminare. E ammirare da lontano la bellezza dei poli, affinché restino meravigliosamente intatti per chi verrà dopo di noi.

Ispirazioni è una rubrica curata da AnneClaire Budin 

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Incastonata sulla penisola di Lavedo a Tremezzina, Villa del Balbianello sorprende per il suo fascino senza tempo e per la straordinaria bellezza del suo contesto. A caratterizzare la villa è la loggia, ricoperta dal Ficus pumila, una pianta rampicante che dona un’identità unica a questo luogo affacciato sul Lago di Como.
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Costruita alla fine del Settecento per volere del cardinale Angelo Maria Durini, Villa del Balbianello nasce come luogo di villeggiatura e rifugio tranquillo. Con il passare dei secoli, ha cambiato diversi proprietari fino a quando, negli anni Settanta, Guido Monzino intraprese un importante restauro, ripristinando la villa e il suo giardino. Tra gli elementi più distintivi c’è la loggia, progettata con due arcate che incorniciano spettacolari vedute sul lago e sulle montagne circostanti.
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Il Ficus pumila, che si arrampica sulle superfici della loggia, ne è il vero protagonista. Questa pianta, originaria dell’Asia orientale, è nota per la sua capacità di aderire a pareti e strutture grazie alle sue radici avventizie. Le sue foglie cuoriformi e compatte formano un tappeto verde che si integra perfettamente con l’architettura della villa, rendendo questo angolo della proprietà riconoscibile e amato dai visitatori.
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Villa del Balbianello è diventata celebre anche per essere stata il set di produzioni cinematografiche di fama mondiale. Tra i film girati qui figurano Casino Royale della saga di James Bond e Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni. Questi successi internazionali hanno accresciuto la notorietà della villa, rendendola una destinazione ambita sia dagli appassionati di cinema sia dagli amanti del turismo culturale.
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Il giardino, che circonda la villa con le sue terrazze e viali curati, si distingue per la varietà di piante ornamentali e alberi sapientemente potati. La loggia verde, ricoperta di Ficus pumila, è uno degli angoli più suggestivi, dove la cura dei dettagli paesaggistici risalta maggiormente. La vegetazione qui non è solo un elemento decorativo, ma contribuisce a definire l’atmosfera e il carattere del luogo.
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Villa del Balbianello non è solo una meta turistica, ma un simbolo della capacità di valorizzare il patrimonio storico e paesaggistico. Il Ficus pumila, con la sua presenza discreta ma scenografica, aggiunge un ulteriore livello di unicità a un luogo che continua ad affascinare visitatori da ogni parte del mondo. Una visita qui permette di scoprire un’armonia rara tra elementi storici e naturali, arricchita dal fascino delle storie che questo luogo ha ospitato.
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AnneClaire Budin
Ispirazioni è una rubrica curata da AnneClaire Budin 

Ficus pumila L.: definizione botanica

Il Ficus pumila, noto anche come fico rampicante o fico tappezzante, è una pianta sempreverde appartenente alla famiglia delle Moraceae. Originario dell'Asia orientale (Cina, Giappone, Vietnam), è ampiamente coltivato come pianta ornamentale grazie alla sua capacità di ricoprire superfici verticali e orizzontali.

Caratteristiche botaniche

  • Habitus: Pianta rampicante o strisciante, caratterizzata da una crescita vigorosa, aderisce ai supporti grazie alle radici avventizie che si sviluppano lungo i nodi.
  • Foglie: Presenta due tipi di foglie:
    • Giovanili: Piccole, cuoriformi, di colore verde brillante, spesso presenti sulle porzioni rampicanti.
    • Adulte: Più grandi, ovali o ellittiche, associate alle parti fiorifere della pianta.
  • Fiori: Piccoli e poco appariscenti, tipici della famiglia Moraceae, si sviluppano all'interno di strutture cave chiamate siconi.
  • Frutti: I siconi maturi assumono una colorazione giallastra o arancione, ma raramente si sviluppano in condizioni di coltivazione ornamentale.
  • Radici: Avventizie, permettono alla pianta di aderire a superfici verticali come muri, recinzioni e tronchi.

Coltivazione

Il Ficus pumila predilige ambienti luminosi ma non direttamente esposti al sole, temperature miti e terreni ben drenati. È apprezzato per la sua versatilità come pianta da interno, tappezzante o rampicante per decorazioni verdi.

Questa pianta richiede potature regolari per controllarne la crescita, soprattutto in contesti ornamentali o paesaggistici.

Ispirazioni è una rubrica curata da AnneClaire Budin 

Nel cuore della foresta messicana, una spa privata intreccia modernità e tradizione, celebrando il benessere del corpo e dello spirito.
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Tepoztlán, piccolo villaggio riconosciuto come "pueblo mágico" dal programma del Ministero del Turismo del Messico, è un luogo dove il tempo sembra sospeso. Qui, la natura rigogliosa incontra le tracce di un antico tempio azteco, situato sulla vetta del sacro Cerro del Tepozteco. È in questo contesto mistico e vibrante che Soler Orozco Arquitectos + Javier Sánchez hanno progettato una spa privata, un santuario di benessere perfettamente integrato con il paesaggio.

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L’architettura si manifesta con una forma circolare, un volume conico realizzato in pietra vulcanica e sormontato da un tetto verde. Questo edificio, che si mimetizza con la foresta, è più di un semplice spazio: è un percorso sensoriale che invita i visitatori a riconnettersi con la terra e il proprio io interiore.
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L’ingresso, un tunnel scavato nella pietra, conduce i visitatori in una camera circolare centrale. Qui, una scultura che richiama un dio azteco e un lucernario superiore dominano lo spazio, permettendo alla luce solare e all’acqua piovana di interagire con l’ambiente. L’acqua, raccolta in una cisterna sotterranea, simboleggia il rispetto per le risorse naturali, alimentando il ciclo della vita attraverso il suo riutilizzo per l’irrigazione.
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Attorno alla camera centrale si sviluppano le funzioni della spa: palestra, sale massaggi, spogliatoi, bagni, sauna e frigidarium. Ogni spazio è progettato per promuovere il benessere e il rilassamento, in armonia con l’ambiente circostante. Dopo aver completato il percorso interno, una scala porta i visitatori sul tetto, dove il panorama della foresta e delle montagne si apre in tutta la sua maestosità. Qui, al confine tra cielo e terra, è possibile contemplare l’alba, il tramonto o il cielo stellato attorno a un fuoco o in una vasca idromassaggio.
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La circolarità dell’edificio richiama la perfezione e l’assenza di conflitti, un simbolo del tempo ciclico e infinito. Questa spa, però, non è solo una meraviglia architettonica: è un esempio tangibile di come l’architettura possa coesistere con la natura. Utilizzando materiali locali e integrando soluzioni sostenibili, il progetto rispetta le dinamiche ecologiche dell’area, dimostrando che è possibile abitare il paesaggio senza alterarne l’essenza.
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Tepoztlán Spa è un’opera che celebra la Madre Terra, Pacha Mama, abbracciando le sfide climatiche e culturali della regione. Un luogo dove il passato ancestrale e il presente si incontrano per creare un’esperienza senza tempo, invitando chi lo visita a trovare equilibrio, pace e connessione con la natura.
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Ispirazioni è una rubrica curata da AnneClaire Budin 

 

Il Natale è il momento ideale per liberare l'immaginazione: luci sorprendenti, alberi unici e installazioni innovative trasformano ogni spazio in un mondo di meraviglia.

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Il Natale non è solo una celebrazione, ma un’opportunità per elevare l’ordinario a straordinario attraverso idee luminose e insolite. Gli alberi di Natale si reinventano: sospesi, capovolti o addirittura fluttuanti, diventano protagonisti di visioni che sfidano le convenzioni. Installazioni luminose combinano tecnologia e arte per creare giochi di luce che affascinano e sorprendono.

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Le possibilità sono infinite: da uno stile minimalista che punta sull’essenziale, a creazioni complesse che trasformano gli spazi in vere e proprie opere d’arte. L’importante è dare forma a una visione unica, dove pochi dettagli studiati o un’intera esplosione di colori raccontano la storia di un Natale diverso.

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E parlando di visioni straordinarie, impossibile non pensare all’Albero di Natale di Gubbio, il più grande al mondo. Disegnato sulle pendici del Monte Ingino con migliaia di luci, quest’opera semplice ma geniale ricorda l’immagine di un albero tracciato da un bambino, dimostrando che a volte l’idea più grande nasce dalla semplicità e dal desiderio di stupire. Un omaggio all’elevazione, alla luce e alla forza di un’idea che continua a ispirare.

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Il Paesaggista è una rubrica curata da Anne Claire Budin

 L’albero di Natale della Casa Bianca: il ritratto di una tradizione

Dalle prime foto di Hoover ai ritratti delle famiglie presidenziali di oggi, l’albero interno della Casa Bianca incarna una tradizione celebrata da ogni generazione.


L’albero di Natale interno della Casa Bianca non è solo una decorazione, ma il cuore di una tradizione consolidata, immortalata ogni anno dai ritratti ufficiali delle famiglie presidenziali. Sebbene il primo albero sia stato introdotto nel 1889 da Benjamin Harrison, i primi scatti risalgono all’era di Herbert Hoover. Le immagini in bianco e nero rivelano uno stile sobrio e familiare, ma già rappresentano l’importanza simbolica dell’albero come fulcro delle festività. Con Jacqueline Kennedy, questa tradizione prese una svolta significativa. Nel 1961, la Prima Donna introdusse le decorazioni tematiche, inaugurando l’iconico Lo Schiaccianoci. Da allora, l’albero della Sala Blu divenne il protagonista dei ritratti presidenziali, riflettendo il carattere unico di ogni amministrazione. Le decorazioni spaziarono dal patriottismo di Laura Bush nel 2008 con “A Red, White, and Blue Christmas” alla semplicità di Michelle Obama con “Simple Gifts” nel 2010. Le immagini più recenti, con la First Lady Jill Biden, raccontano una continuità che unisce passato e presente. I ritratti annuali davanti all’albero, arricchiti da temi di inclusività e narrazioni moderne, rappresentano un momento di coesione familiare e nazionale. 
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Anne Claire Budin