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Numerosi gli interventi di questa mattina all'Anteprima di Vestire il Paesaggio a Pistoia per indagare le opportunità e affermare l'importanza di un vivaismo eco-sostenibile. Il percorso da tracciare è fatto di norme di difesa integrata, sinergie con la politica, tutela di prodotti di qualità, cura del paesaggio urbano, unione fra attori del settore e un'attenta filiera del verde che parta dalla produzione e arrivi sapientemente al marketing del prodotto finale.

Apre la mattinata del seminario tecnico Rinaldo Vanni, presidente della provincia di Pistoia e sindaco del comune di Monsummano Terme, che ringrazia da subito la partnership di Flormart con Vestire il Paesaggio per la costruzione di una filiera del verde eco-sostenibile. Non meno importante è per Vanni il fatto che Pistoia sarà l'anno prossimo capitale della cultura, titolo che qui intende significare anche l'essere il centro della cultura del paesaggio. «Un evento come quello di Vestire il Paesaggio, culturale, scientifico e commerciale, rappresenta per Pistoia il fatto di essere leader a livello europeo nella produzione di piante ornamentali. Le piante sono i colori e la materia prima della costruzione e della realizzazione paesaggio.» Un paesaggio dunque che non sia effimero e imbalsamato, ma che nella sua fruibilità contribuisca a premiare il territorio e a sostenere i vivaisti nella loro azione per rafforzare l'economia e l'occupazione del settore. «Si deve investire nel verde e per la sostenibilità: le piante ornamentali possono dare il loro contributo per rendere sostenibili i nuovi insediamenti urbani, contribuendo così allo sviluppo dell'economia verde. Il vivaismo fa impresa e paesaggio producendo la materia prima».

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Luca Iozzelli, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, prende poi la parola facendo i complimenti prima di tutto alla Provincia che, nonostante le difficoltà economiche, ha comunque trovato le risorse per realizzare l'anticipazione di Vestire il Paesaggio. Iozzelli ricorda come sostenibilità ed eco-compatibilità siano due parole che ricorrono spesso nei media a livello globale, ma serve ancora capire appieno il loro significato. «Eco-compatibilità, sostenibilità e biodiversità sono parole che si ripetono e appartengono al nostro immaginario collettivo, esse sono profondamente legate al futuro del nostro pianeta.» Queste parole vanno allora a contraddistinguere il territorio pistoiese e oggettivamente ne incrociano il futuro. Se Pistoia vuole mandare un messaggio chiaro sul suo ruolo di città del verde, si devono superare le divisioni interne: «Cosa che è difficile nella nostra realtà territoriale: nel patrimonio genetico dei pistoiesi ci sono i bianchi e i neri, ma si deve capire che nel mondo si entra insieme con una visione comune. La Fondazione è allora un attore importante, investe circa 12 milioni di euro l'anno in progetti di varia natura per il territorio di riferimento. Spesso siamo chiamati a fare scelte, ma questo non è il compito della Fondazione. Sono gli attori del territorio che devono fare le scelte: i privati e gli operatori economici. Noi porteremo il nostro sostegno in maniera forte ai progetti che guarderanno alla città per i prossimi venti anni e che saranno largamente condivisi.» Renato Ferretti, dirigente della Provincia di Pistoia, agronomo e direttore della manifestazione, entra poi nel merito della questione tecnica della giornata con il suo intervento su “Lo sviluppo durevole del vivaismo ornamentale”. Pistoia rappresenta una realtà che è stata ben descritta da Iozzelli, secondo Ferretti, e che possiede anche caratteristiche uniche a livello nazionale ed europeo. Si tratta infatti di una piccola area con relazioni molto strette e pressioni di carattere ambientale altrettanto significative. Questa situazione deve allora essere sfruttata a vantaggio della produzione e del settore. «La filiera produttiva è importante perché la parola vivaismo è anche il momento in cui si producono e si moltiplicano le piante da talea, da innesto e da seme. Se questo manca, è sinonimo di debolezza. Nella riproduzione della filiera Pistoia è sempre stata all'apice, negli ultimi decenni ha perso un po' di smalto, anche se lo sta recuperando pian piano. Ci si deve allora specializzare mantenendo una forte diversificazione all'interno del distretto e l'elemento di eco-sostenibilità. Altro elemento di sviluppo durevole è la diversificazione del ciclo di produzione, sia che si svolga in pieno campo, che in contenitore.» Avere la possibilità di formare piante in pieno campo consente di avere poi piante più robuste. Le piante allevate in pieno campo, prosegue Ferretti, e trapiantate ogni due, massimo tre anni acquisiscono una forza superiore. In vaso invece l'ambiente è costretto e la pianta si vizia. Produrre piante in grado di sopravvivere in ambienti ostili è allora un grande vantaggio competitivo. «Occorre creare un uso consapevole e coerente con il principio della rinnovabilità e sostenibilità. Anche nel campo del vivaismo ornamentale si deve effettuare una ricerca di specie e varietà sempre più adatte. Il mercato deve essere ampliato per utilizzare le potenzialità che ci offrono le piante. Si deve allora tenere conto anche della corteccia e del legno, non solo del colore delle foglie e dei frutti.» Vestire il paesaggio può allora dare un contributo in questo senso anche verso la comprensione della pianta quale unico prodotto capace di stoccare anidride carbonica, unico modo di minimizzare l'impatto ambientale, conclude Ferretti.

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“Le tecniche di coltivazione ecocompatibili” sono poi state illustrate da Giulio Lazzerini, agronomo libero professionista, in seguito all'attività svolta presso l'Università di Firenze. Dato che il settore del vivaismo pistoiese è concentrato, questo determina delle pressioni in termini di uso delle risorse e poi di imput chimici. «Ma negli ultimi anni ho visto molti esempi di innovazioni tecnologiche che i vivaisti hanno saputo introdurre: dal classico riciclo delle acque che circoscrivono l'area del vivaio agli esempi interessanti di lotta integrata, o l'utilizzo di strati alternativi come il cocco, meno impattante rispetto alla torba. Ho visto anche validi esempi di creazioni che utilizzano i famosi scarti verdi introdotti dai vivaisti.» La valutazione della sostenibilità per l'azienda vivaistica passa dall'individuazione di indicatori, di metodi di valutazione, e di soglie di sostenibilità per la gestione ambientale aziendale. L'LCA è la metodologia utilizzata con compilazione e valutazione attraverso tutto il ciclo di vita degli elementi in ingresso e in uscita, nonché i potenziali impatti ambientali di un sistema di prodotto (Norme ISO 14040/14044-2006). Poi si dovranno definire i fattori di criticità per le diverse componenti ambientali, quali acqua, suolo e aria. Infine sarà necessario individuare gli obiettivi di miglioramento e le buone pratiche colturali capaci di ottimizzare i processi produttivi. Ultimo passaggio poi quello del monitoraggio nel tempo della gestione ambientale aziendale. Lazzerini ricorda poi che l'LCA può consentire un miglioramento delle prestazioni ambientali ed economiche di un prodotto, la definizione di un sistema di certificazione ambientale di prodotto e di processo e infine la definizione delle strategie di marketing. Le riduzioni di emissioni di CO2 possono essere infatti comunicate attraverso il Carbon Footprint, la norma ISO 14064 ½, standard internazionale per la misurazione, il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica delle emissioni e delle rimozioni dei gas serra a livello aziendale. «Il protocollo tecnico di gestione ambientale, allargato a un maggior numero di aziende serve per certificare un territorio partendo dal basso. Creando un processo partecipativo a cui le aziende possano collaborare dal punto di vista economico e commerciale», conclude Lazzerini.

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Giovanni Vettori, funzionario del Servizio fitosanitario della Toscana, ha poi illustrato “La difesa integrata in vivaio”. «Da un punto di vista normativo, non si può fare difesa integrata se non si fa agricoltura integrata.» Il PAN rappresenta il braccio operativo di questo processo. Si parla allora di tutela dell'ambiente e salute del consumatore, riducendo così l'uso dei prodotti chimici di sintesi. Delle due normative esistenti sulla difesa integrata, una è obbligatoria e l'altra volontaria. La prima deriva dalla direttiva CEI128 e prevede il monitoraggio degli organismi nocivi quali parassiti e avversità, così come la previsione degli interventi necessari. La norma lascia tuttavia la possibilità di derogare a questi compiti perché non si configura sempre attivabile. Sarebbe comunque opportuno preferire i metodi biologici. Gli obblighi delle aziende agricole per la difesa integrata e illustrati da Vettori sono: conoscere e disporre direttamente dei dati meteorologici fitosanitari e dei bollettini territoriali, che influenzano l'attività dei trattamenti. È importante anche avere dati pregressi, più difficili da ritrovare ma che la Regione Toscana mette a disposizione sul sito http://agroambiente.info.arsia.toscana.it/arsia/arsia14. Il secondo livello di difesa integrata volontaria interessa marginalmente il mondo vivaistico e trova applicazioni nel PSR "Miglioramento della gestione degli input chimici e idrici".

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“Il ruolo del Dottore Agronomo per una produzione vivaistica sostenibile” di Francesco Bartolini (presidente dell'Ordine degli agronomi della provincia di Pistoia) ha invece focalizzato l'importanza dell'aspetto sociale della sostenibilità. Il dottor agronomo deve rivestire un ruolo a fianco delle aziende per indirizzare verso una produzione sostenibile, come descritto bene nella recente Carta dell'Agronomo, redatta in occasione di Expo. Si parla dunque di principi etici per l'esercizio di questa professione con forte valenza pubblica. «Siamo in grado di modellare il paesaggio nell'interesse generale e in un'ottica di progresso sociale. L'agronomo deve garantire azioni per il futuro, promuovere un uso a basso impatto di agrofarmaci e monitorarne l'uso.» Sostenibilità sociale è processo di certificazione ambientale, strumento importante per essere riconoscibili e mettere le aziende nelle condizioni di poter vendere prodotti di qualità. Si tratta dunque anche del riconoscimento nei mercati esteri attraverso l'uso di certificazioni, sempre più determinanti per le aziende. “Il Distretto di Pistoia verso un vivaismo di qualità sostenibile" è l'intervento finale del seminario da parte di Francesco Mati, presidente del Distretto rurale vivaistico-ornamentale pistoiese. Mati ricorda come il vivaismo nel suo cammino verso l'eco-sostenibilità debba essere sempre affiancato e supportato dalla parte politica, che possa creare una giusta tutela della produzione e sappia comunicare la qualità dei prodotti che escono da produzioni di qualità di questo tipo. Altrimenti il rischio è quello di essere superati da prodotti di scarsa qualità, magari neanche italiani, che però hanno costi di produzione minore. La globalizzazione è il mercato spietato che, secondo Mati, le aziende devono combattere con l'intervento politico di tutela. Ci deve essere un dialogo continuo fra questi due attori per creare un prodotto vivaistico di eccellenza e riconoscibile anche fuori dall'Italia, così come accade già per altri prodotti alimentari. «Va valorizzato il carattere storico del prodotto vivaistico per creare un brand frutto anche delle sinergie politiche di settore. Le opportunità a quel punto si aprono non solo a livello nazionale, ma europeo».

Anna Lazzerini

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Claudia Massi e Gianluca Chelucci hanno magistralmente analizzato alcune opere del maggior paesaggista italiano del Novecento con uno  sguardo attento alla sua storia e al suo importante apprendistato per mostrarne l'eredità odierna e gettare uno sguardo al futuro, facendo tesoro del contributo artistico e intellettuale di Porcinai.  

È il professor Giulio Masotti, presidente dell'Assemblea dei Soci Fondatori della Fondazione Jorio Vivarelli, a introdurre il convegno su Pietro Porcinai ricordando ai presenti perché è stata scelta Villa Storonov per questa occasione. Si tratta infatti di un importante luogo d'arte e di formazione per i giovani artisti di Pistoia: immersa nel verde, tanto importante per la cittadina, e allo stesso tempo non distante dal centro storico. Dunque un crocevia importante che spesso però viene dimenticato, come lamenta Masotti, ma che è sicuramente da valorizzare per la sua bellezza e particolarità. Questo intreccio fra arte e natura si adatta perfettamente al convegno su Porcinai, che come ricorda da subito Gianluca Chelucci, storico dell'architettura e console regionale del Touring Club italiano, ha tenuto uniti, lungo tutta la sua carriera, parte artistica e  programmazione del verde e dei vivai. Le origini di Porcinai si rifanno a Villa Gamberaia a Settignano, dove nasce, figlio del giardiniere della Villa. Qui Pietro apprende subito la bellezza del lavorare la terra con fatica, tipica della grande civiltà del paesaggio toscano. Questo, spiega Chelucci, resterà un elemento della sua poetica quale imprinting a tutte le sue opere. Prosegue la storia di Porciani con il suo apprendistato “naturale” nella città di Firenze, dove conosce anche la civiltà cosmopolita. Qui frequenta la Scuola Agraria di Firenze, negli anni '20, e svolge parte del suo apprendistato per poi approdare alla città dei vivai. A Pistoia contribuisce alla creazione dei cataloghi di alcuni vivai e cresce la sua consapevolezza delle potenzialità della città e del suo verde, che, con semplicità, poteva essere trasformato in un raffinato profilo da sfruttare anche a livello comunicativo. «Oggi - lamenta Chelucci - Pistoia ha perso la possibilità di realizzare un piano urbano con poco e proprio grazie al suo magnifico verde». Porcinai comprende invece da subito la possibilità di sfruttare l'arte dei giardini nei vivai e a vantaggio della città di Pistoia. Come si legge in alcuni suoi scritti del tempo, il giardino doveva essere concepito come «intimo, confortevole, abitevole», secondo i gusti e i bisogni del vivere moderno, tenendo conto dei desideri del proprietario. Chelucci evidenzia inoltre come Porcinai sapesse approfittare di ogni strumento per pubblicizzare il suo lavoro e nel tempo si vede come egli sa adattarsi ai linguaggi contemporanei, come nel caso dell'utilizzo della grafica tipica futurista nella rappresentazione dei giardini. Tradizione e innovazione si fondono nel lavoro di Porcinai e si ispirano ai gusti europei, non solo italiani. Alcune sue creazioni, ricorda Chelucci, sono oggi a rischio come nel caso del Parco di Montaletto a Serravalle Pistoiese, realizzato nel 1937 ed oggi in vendita. Un altro grande lavoro, ancora oggi visibile, capace di esemplificare la grande innovazione che Porcinai sapeva apportare è quello dello Stabilimento di Fioricoltura Rose Barni, dove egli realizza anche il vivaio dal punto di vista organizzativo, ponendolo strategicamente vicino all'autostrada e facendo attenzione a come poteva essere percepito ad ogni distanza. Porcinai segue personalmente l'organizzazione della vendita in modo che i fiori siano consultabili con facilità. Chelucci conclude il suo intervento ricordando il grande omaggio che Giuliano Gori ha dedicato a Porcinai a Villa Celle, ispirandosi alla sua figura (come si evince chiaramente da “Omaggio a Porcinai” di Beverly Pepper). 

flormartLa seconda parte del convegno ha trattatoinvecel'eredità di Porcinai con uno sguardo al futuro ed è stata affidata a Claudia Massi, architetto che svolge attività didattica e di ricerca presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze e ha già organizzato numerosi incontri di studio e convegni su personalità dell’Ottocento e Novecento in un più generale impegno di analisi storico-territoriale a fini di tutela e valorizzazione. Massi ci ricorda da subito il fine con cui operava Porcinai: «raggiungere l'unità e l'armonia che la Natura ci offre in tutte le sue esemplari creazioni». Un grande accento va posto poi sull'importanza che Porcinai ha, sapientemente, dato alla collaborazione con artisti, professionisti del verde e figure legate al mondo del turismo, come nel caso della collaborazione montecatinese con Pacino Pacini, consulente ATP e creatore della SAIM di Montecatini, e soprattutto con Dino Scalabrino, presidente ATP. Con quest'ultimo Porcinai ha condiviso la passione per il lavoro, per cui definisce, in una corrispondenza con lui, i progetti come propri figli. L'Accademia Dino Scalabrino è il perfetto esempio di questa concezione, i due scelgono assieme le sculture per realizzare un museo all'aperto e raccolgono da subito grandi consensi. Dalle Terme di Montecatini Terme ci spostiamo, accompagnati dalle preziose osservazioni di Claudia Massi, al Parco di Pinocchio. L'allora sindaco di Pescia, Rolando Anzilotti, commissionò vari artisti per la realizzazione di questo che era stato concepito come un parco monumentale. Nel 1956 venne inaugurato il Parco alla presenza del Presidente della Repubblica Gronchi e nel 1972 venne inaugurato il “Paese dei Balocchi”, dove lo spazio dell'analisi si dilata nel tempo e, ad ogni passo, si scoprono nuovi spazi. L'anima del progetto, oggi forse non compresa, come ricorda Massi, era quella di creare un parco monumentale, dunque non un parco di occasioni di turismo, un parco divertimenti, perché, come scriveva Anzilotti, Pinocchio è parte di ognuno di noi come conoscenza intima e profonda, impossibile da trasformare in leggerezza. Massi evidenzia poi come ci siano numerosi richiami fra il Parco di Pinocchio, novecentesco, la Villa Garzoni, settecentesca, e il borgo medievale di Collodi. Ecco allora perché non si dovrebbe intervenire in un paesaggio già così forte e caratteristico che Porcinai aveva saputo tenere assieme nella realizzazione del Parco. Ad esempio, l'Osteria del Gambero Rosso, all'interno del Parco, ci ricorda subito la tipica piazzetta di un borgo medievale o, ancora, la tettoia è come quella di una casa colonica toscana e il tavolo ci rimanda all'architettura industriale toscana. Quest'ultima, cara anche a Lorenzini, la si ritrova subito anche nella conformazione di Collodi, circondata dalle cartiere. Altro collegamento sapientemente inserito da Porcinai sono le pietre, riprese dal torrente Pescia, ma anche dal centro medievale di Collodi e dal racconto di Pinocchio, quando egli si trova a scappare da Geppetto che lo rincorre e crea un “fracasso” con i suoi piedi di legno sul lastricato. Massi infine descrive abilmente tutta la bellezza delle sculture interne al Parco di Pinocchio, come la casa della Fata: «Ho fatto l'architetto perché da piccola guardavo la casa della fata, il mio immaginario si riempiva osservando le sfaccettature dei vetri delle bottiglie del tetto». 

Anna Lazzerini

AccademiaGeorgofili


Tra
gli spunti dell’incontro di ieri all’Accademia sul tema “L’agricoltura scomunicata”, una web tv e un master di comunicazione su temi agricoli dei Georgofili (idee di Massimo Lucchesi), più formazione professionale dei giornalisti (Stefano Tesi), una comunicazione capace di generare conoscenza (Luca Toschi), sfidare la mentalità corrente infarcita di parole vuote e luoghi comuni come l’espressione “naturale” (Pier Francesco De Robertis).

Una web tv visitabile 24 ore su 24 che sia un’estensione della piattaforma informativa già ben sviluppata sul web e sui social media dall’Accademia dei Georgofili. E dei master di comunicazione e divulgazione dell’agricoltura presso i Georgofili.
Sono le due proposte lanciate da Massimo Lucchesi, già presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana nonché vice caporedattore del Tgr della Toscana di Rai 3 e georgofilo, nel suo intervento verso la fine dell’incontro sul tema “L’agricoltura scomunicata. Informazione, comunicazione e media in agricoltura” che è stato organizzato ieri a Firenze dall’Accademia dei Georgofili in collaborazione con il Communication Strategies Lab (Csl) dell’Università di Firenze e con l’Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana (Aset). 
Un appuntamento a cui sono intervenuti sia giornalisti della stampa specializzata su temi agricoli che esponenti della stampa generalista, fra cui il direttore della Nazione Pier Francesco De Robertis, per dibattere sullo stato dell’arte dell’informazione e della comunicazione riguardanti il mondo dell’agricoltura. Nella convinzione che entrambe siano essenziali, sia per dare informazioni utili agli addetti ai lavori sia per informare la cittadinanza sulle questioni più importanti del settore primario e sensibilizzarla al valore dell’agricoltura come bene per la collettività. Assunto condiviso dall’Unione europea che, con il Regolamento n. 1305/2013 del Parlamento europeo, chiede alle regioni italiane di dotarsi di piani di comunicazione per i propri Programmi di sviluppo rurale (Psr) 2014-2020, finalizzati al trasferimento delle conoscenze e innovazioni, alla messa in rete delle informazioni e alla promozione dell’accessibilità e qualità delle tecnologie comunicative nelle zone rurali.
Dopo l’apertura dei lavori del presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi, il giornalista Stefano Tesi, presidente di Aset, nella sua relazione “Informazione agricola tra cronaca, tecnica e politica”, ha detto che il titolo dell’incontro, ripreso da quello della relazione del prof. Toschi, «è stimolante e ha vari significati: il primo, dal punto di vista dei giornalisti, è quello di cattiva comunicazione e forse su questo c’è una responsabilità proprio dei giornalisti». Il fatto è, secondo Tesi, che «l’interesse per l’informazione agricola o agroalimentare è altissimo, per cui capita sempre più spesso che si debbano occupare di agricoltura giornalisti che non sono specializzati». Tesi ha distinto tre forme di giornalismo dedicato all’agricoltura e per ciascuna ha individuato alcuni problemi. I cronisti della stampa generalista si confrontano con un «analfabetismo di ritorno» sull’agricoltura dei cittadini e ne sono condizionati, ha sostenuto Tesi, ma spesso sono loro stessi a non avere la preparazione necessaria. Poi ci sono «comunicatori o intermediari di informazioni fra stampa e fonti» come gli addetti stampa, che «hanno un lavoro ingrato» perché hanno dei doveri deontologici ma spesso finiscono per piegarsi alle esigenze dei datori di lavoro rischiando di sfociare dalle notizie al marketing. Infine c’è la categoria dei «giornalisti della stampa tecnica, che hanno come interlocutori gli agricoltori»: di solito hanno competenza tecnica approfondita e più che cronisti sono dei «critici o recensori o divulgatori agronomici», e non sempre riescono a dialogare con il resto del mondo giornalistico. Per Tesi, per evitare l’informazione eterodiretta e scandalistica, ci vuole più formazione e professionalità dei giornalisti che si occupano di agricoltura.
Il prof. Luca Toschi, che ha scritto di recente insieme a Eugenio Pandolfini, Marco Sbardella e Gianluca Simonetta, un libro che sta per uscire presso Apogeo con il titolo ‘La comunicazione sostenibile per lo sviluppo rurale. Socialità, innovazione, paesaggio’ e la prefazione del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, ha esordito sottolineando che l’espressione “L’agricoltura scomunicata” «non è un gioco di parole» e che nel mondo agricolo «tutti si lamentano della mancanza di comunicazione». Per Toschi «tutti siamo agricoltori», nel senso che apparteniamo al sistema dell’agricoltura, e «la comunicazione può avere un ruolo sia per la costruzione di un immaginario collettivo di qualità sia di modalità organizzative a sostegno delle attività produttive e dell’uso dei prodotti stessi». Toschi ha poi annunciato che con il suo team del Communication Strategies Lab sta preparando un libro sul caso Xylella, centrale per capire certi cortocircuiti nella comunicazione e nel rapporto fra scienza e senso comune, e ha ricordato l’esperienza di ascolto svolta per conto della Regione sul Psr 2014-2020. «La gente vuole sapere da chi è competente che cosa deve fare, è un diritto – ha concluso -. Siamo sicuri di avere le risposte? Che senza conoscere il contesto delle domande le risposte che diamo siano quelle giuste? Ci vuole una comunicazione che genera conoscenza».  
FlormartE’ stata poi la volta degli interventi di esponenti del giornalismo specializzato in agricoltura. Letizia Martirano, direttore dell’agenzia stampa Agrapress, ha sostenuto che «non viviamo in un momento fortunato per l’informazione, nel senso che circolano molti dati e suggestioni che non sono effettive notizie (non hanno la caratteristica della responsabilità della fonte) e ci informano più di desideri». Ma il problema è che «di fronte al susseguirsi di sciocchezze, la gente preferisce non sapere» e «si diffonde la depressione». Riguardo alla stampa generalista, pensa che si sia passati dalla «marginalità» dell’agricoltura all’opposto di adesso, con la «moda dell’agricoltura, molto grazie all’Expo»; ma «non c’è molta voglia di approfondire, per cui le notizie sono diventate letteratura e nemmeno di prim’ordine». Cristiano Spadoni, reporter di agricoltura e Internet della testata online AgroNotizie, ha sottolineato l’importanza dei nuovi mezzi attraverso cui sono veicolate le notizie, fra cui i social media. Questi mezzi, ha spiegato Spadoni, cambiano le modalità di fruizione delle notizie: «siamo noi che sempre più spesso andiamo a cercare le informazioni che ci servono invece di riceverle tramite sistemi push». Spadoni ha messo in evidenza l’importanza del «farmer journalism» (giornalismo dei contadini), che è una forma di citizen journalism significativa e «forse più basata sulle esperienze che le notizie», e del «data journalism» che permette di estrarre da enormi quantità di dati elementi di conoscenza da comunicare. Ma il sistema di verifica delle notizie, ha ammesso Spadoni, anche nel giornalismo digitale è più o meno lo stesso del giornalismo tradizionale, perché «non abbiamo i robot journalists» e si fa piuttosto uso del telefono.
Per Massimo Agostini, caposervizio di Agrisole/IlSole24ore - che adesso lavora anche ai lanci sul settore agricolo dell’agenzia Radiocor -, anche se oggi abbiamo tanti strumenti a disposizione e una enorme mole di mezzi di comunicazione, restano fondamentali il «fiuto per la notizia» e la capacità di soppesarla e verificarla prima di mediarla. Mentre Lorenzo Benocci, coordinatore di Dimensione Agricoltura, mensile di Cia Toscana, dopo aver osservato di far parte di tutte e tre le categorie di giornalisti identificate da Stefano Tesi, ha affermato che nella stampa generalista, quando si parla di agricoltura, «abbiamo a che fare con notizie negative e catastrofistiche e si sta esagerando» in tal senso. Benocci ha rimarcato il ruolo dell’Accademia dei Georgofili nel dare più spazio ai risultati della ricerca nell’informazione agricola e ha ricordato l’accordo fra Georgofili e Dimensione Agricola che prevede un approfondimento al mese scritto da membri dell’Accademia. Lorenzo Andreotti, redattore de L’Informatore Agrario nato come «tecnico di campo» e solo in seguito diventato giornalista, ha evidenziato i pericoli dei social network, capaci di far credere alle bufale sull’agricoltura a volte persino lettori esperti come gli agricoltori. Per i giornalisti specializzati in agricoltura, ha affermato Andreotti, il fine principale è «aiutare gli agricoltori a fare le scelte giuste» e «infatti quando sbagliamo ci mettono in croce». Mentre Gaetano Menna, coordinatore di Mondo Agricolo, ha teorizzato che «c’è un’altra categoria di giornalisti: quelli delle categorie professionali, come me che faccio parte di Confagricoltura. Noi abbiamo anche il compito di essere fonte di notizie, con il supporto degli uffici tecnici e dei centri studi». A suo avviso stiamo assistendo a «un passaggio dalle news al new, dalle notizie al nuovo», inoltre «l’agricoltura è spesso trattata come poesia», anche se la sua testata non cavalca tale tendenza. Claudia Fedi de Il Punto Coldiretti ha illustrato come è organizzato il sistema della comunicazione Coldiretti, mettendo in evidenza fra l’altro l’importanza delle notizie che arrivano in sede nazionale dagli addetti stampa distribuiti sul territorio. La newsletter viene inviata a vari tipi di pubblico, non solo agli imprenditori agricoli, e i testi sono quindi scritti in un linguaggio non troppo tecnico, ma chiaro e comprensibile a tutti. Infine, Alessandro Maresca, redattore di Terra e Vita e membro di Arga, autodefinendosi «giornalista del terzo tipo, un po’ alieno», ha elencato quattro punti importanti della sua attività: mettere in contatto fra di loro gli agricoltori, trasferire le innovazioni affinché l’agricoltura sia competitiva, segnalare come si accede ai contributi pubblici, aiutare l’agricoltura a stare al passo coi tempi, tenendo conto di mutamenti come ad esempio il cambiamento climatico che comportano aggiornamenti dell’attività.
Il giornalista Maurizio Naldini, georgofilo, ha sottolineato l’importanza della comunicazione interna fra gli 800 georgofili, questione messa in agenda durante la presidenza del prof. Franco Scaramuzzi, e ha detto che l’Accademia dei Georgofili, con le sue piattaforme informative e l’archivio digitalizzato, è un «capitale sociale» a disposizione di tutti. Naldini ha anche polemizzato con quel giornalismo che confonde la «ruralità» con la «agricoltura»: la prima «non affronta i veri problemi dell’agricoltura» e si occupa di fenomeni di colore e modasagre, orti fai-da-te ecc.») e rappresenta «la città che sta colonizzando la campagna». L’agricoltura invece si occupa di temi complessi come, ad esempio, gli ogm e la necessità di sfamare una popolazione mondiale in continua crescita. Mentre Lorenzo Frassoldati, giornalista specializzato e georgofilo, ha detto che nei giornali «l’agricoltura dovrebbe passare dalle pagine del lifestyle a quelle di economia» e che «bisogna alfabetizzare i giornalisti sui fondamentali»: ricordando, per esempio, che «l’agricoltura non è l’agroalimentare, perché l’agricoltura è produzione e vale il 2% del Pil» italiano, mentre è l’agroalimentare (cioè la filiera de trasformazioni alimentari: i vari Barilla, i produttori di prosciutto, ecc.) a valere più del 10% del Pil; oppure che sono pochi i settori agricoli autosufficienti dell’Italia: il vino, l’ortofrutta e le carni bianche
Dopo la relazione di Massimo Lucchesi con le proposte sopra richiamate, il direttore della Nazione, Pier Francesco De Robertis, ha iniziato le sue considerazioni conclusive con una citazione di Montanelli: «il vero toscano è di campagna», mentre il toscano di città è un imbastardimento. A mettere in chiaro quanto sia importante l’informazione sulla campagna e sull’agricoltura nella nostra regione. Però, ha affermato De Robertis, «ormai la narrazione dell’agricoltura e del food è infarcita di luoghi comuni e stereotipi». Come, ad esempio, l’uso che viene fatto dell’espressione “naturale”. «E’ forse colpa dei giornalisti – ha affermato De Robertis - non avere il coraggio e non fare lo sforzo di sfidare una mentalità comune alimentata da esigenze commerciali o dal politically correct». Anche perché, ha aggiunto, quando affrontiamo tematiche come i patentini agricoli o la mosca olearia, la risposta del pubblico è in realtà molto positiva.
«Una volta si sarebbe detto – ha concluso Giampiero Maracchiche ci vuole una cultura di tutti. Credo che il giornalismo debba avere il coraggio di ricreare questa cultura», in modo che i cittadini siano consapevoli delle scelte e degli acquisti che fanno».

Lorenzo Sandiford

sandro orlandini

Si è tenuta ieri pomeriggio la conferenza stampa, organizzata da Cia Pistoia, per capire quale potrà essere il futuro prossimo del Centro Sperimentale per il Vivaismo pistoiese. Dopo la prima gara andata deserta, la Camera del Commercio di Pistoia pubblicherà un nuovo bando verso fine mese per vendere la sua quota, pari all’80%, con un ribasso del 10% rispetto alla cifra iniziale di € 3.260.000. Intanto una cordata di imprenditori si è fatta avanti e in sua rappresentanza Francesco Mati, presidente del Distretto Vivaistico pistoiese, esprime la volontà di innovare e rilanciare il Cespevi da qui al 2020 e oltre. Il Comune di Pistoia salverà comunque i 24 ettari di verde del Centro, anche se ribadisce l’importanza di questo per la città e il distretto. Renato Ferretti, ormai presidente dimissionario del Cespevi, lamenta mancati pagamenti da parte della Regione e problemi con l’Amministrazione pistoiese.

Alla conferenza stampa la partecipazione delle autorità e dei professionisti coinvolti è stata numerosa e sentita, come ha sottolineato Sandro Orlandini, presidente Cia Pistoia, che ha organizzato l’incontro per cercare di delineare le linee di indirizzo da adottare per il futuro del Cespevi. Orlandini parte dalla constatazione che il Centro, dopo 35 anni di storia e di successi, è oggi pressoché un bosco nonostante continui ad essere una risorsa importante grazie anche al servizio fitosanitario regionale. Quale casa del florovivaismo della Toscana, come lo ha definito il giornalista Eugenio Fagnoni, il Cespevi sembra poter avere tutte le carte in regola per proseguire la sua vita di ricerca in un’ottica di innovazione. Il presidente della Camera di Commercio di Pistoia, Stefano Morandi, ha spiegato chiaramente la situazione che ha portato alla cessione della quota, dettata non da una scelta politica, ma dalle norme che obbligano la Camera a dismettere le sue partecipazioni in società non prettamente strategiche. Morandi ci tiene a sottolineare: «I bandi non andranno avanti all’infinito, al massimo si prevede una svalutazione del 20%. Abbiamo più volte tentato di avvicinare gli operatori del settore affinché acquisissero quote del Cespevi, ma niente di concreto è stato ottenuto. Adesso l’augurio è che venga fatta un’offerta economica congrua.» Anche l’assessore regionale all’agricoltura, Marco Remaschi, è intervenuto per ricordare la necessità di ricerca e innovazione per il successo dell’agricoltura italiana in un mercato sempre più competitivo e con regole diverse in vari paesi. «Per la promozione di un settore così importante si deve ripensare il Centro a livello di rete d’impresa. Che ruolo esso può esercitare rispetto ai cambiamenti di mercato? Può essere un punto di riferimento per le aziende di settore?», così incalza Remaschi per rimarcare l’esigenza di stabilire una mission per il Cespevi. Francesco Mati, presidente del Distretto Vivaistico ornamentale, interviene affermando che di fronte ai numerosi stimoli provenienti da questa situazione, fra cui quello di Morandi e Ferretti, lui e gli imprenditori che lo affiancano non potevano non rispondere. Ecco allora che è nato un dialogo e una collaborazione fra imprenditori per immaginare uno sviluppo del Centro, come la possibilità di creare qui un distaccamento di brevetti botanici. L’intento è di far aderire il Cespevi al futuro del vivaismo da qui al 2020 e anche di più. Daniela Belliti, vicesindaco del Comune di Pistoia, ha sottolineato come il vivaismo sia per l’amministrazione un settore centrale, ma «i valorosi vivaisti che decidono di investire nel Centro non devono condannarsi alle perdite, semmai trovare un sistema di ricavi». Questi possono venire da collaborazioni con il mondo della ricerca e dell’università. «La liquidazione del Cespevi resta uno scenario da non pensare per noi. Mantenendo la dimensione di distretto, si può individuare un percorso di soluzioni che vedranno Pistoia Capitale della Cultura 2017 con una riqualificazione del verde urbano e il Cespevi quale elemento trainante di una serie di eventi.» Anche Luca Iozzelli, neo eletto presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, oggi detentrice del 20% del Centro, è intervenuto per ricordare che una fondazione di origine bancaria interviene quando esistono progetti chiari con obiettivi concreti. Soddisfatto che ci sia un primo nucleo di imprenditori pronti a progettare il futuro di quest’area, Iozzelli afferma che non c’è un prezzo congruo, ma di mercato a questo punto: se l’attività del Cespevi non regge, si dichiara il fallimento. La Fondazione crede comunque nelle potenzialità del Centro e lo ha sempre dimostrato, come ricorda Iozzelli: in particolare, nell'esercizio 2016, ha messo 200.000 euro, ma oltre a questo serve un progetto/bilancio che tenga a livello di costi e ricavi. Dal mondo della politica hanno parlato Federica Fratoni, assessore regionale all’ambiente, e Marco Niccolai, consigliere regionale, e entrambi hanno apprezzato il coinvolgimento degli imprenditori in un momento in cui la Regione non può più finanziare o effettuare operazioni di salvataggio, se non tramite i piani di sviluppo rurale e sottostando a determinate regole.

Redazione

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The future of Cespevi: between a businessmen network and the Region which “doesn't pay the bills”
 

Yesterday afternoon took place the press conference , organized by Cia Pistoia, to understand which will be the next future for the Experimental Center for Pistoia's Nursery. After the first competition that was desolate, the Chamber of Commerce of Pistoia will publish a new tender notice for the end of the month to sell its part, in the amount of 80% , with a reduction of 10% compared to the starting sum of   3.260.000 euros. Meanwhile a businessmen network  step forward and in its representation Francesco Mati, president of Pistoia Nursery District, expresses his will to innovate and restart the Cespevi from now to 2020 and over. The Municipality of Pistoia will save anyway the 24 green ectars of the Center, even if reiterates the importance of this for the town and district. Renato Ferretti, already outgoing president of Cespevi, complains lack of payments from the Region and problems with the Management of Pistoia.

To the press conference the participation of authorities and professionals involved has been copious  and felt, as highlighted Sandro Orlandini, president of Cia Pistoia, that organized the meeting to try outline the lines of adresses to adopt for the future of Cespevi. Orlandini starts from the verification that the Center, after 35 years of history and successes, is today almost a wood although continues to be an important resource thanks to the regional plant health service. As house of the nursery of Tuscany, like the journalist Eugenio Fragnoni defined it, the Cespevi seems aible to have all the papers in order to go on with its research life in a perspective of innovation. The president of Pistoia's Chamber of Commerce, Stefano Morandi, clearly explained the situation that has taken to the end of the sum, dictated not by a political choice, but by ruls that force the Chamber to decommiss its participation in society not essentially strategics. Morandi is interested in underlining: «The announcements won't go on for ever, at maximum it's predicted a depreciation of 20%. We tried more times to approach the sector operators so that they would acquire sum of Cespevi, but nothing concrete has been obtained. Now the wish is that another appropriate economic offer  is made». Also the regional assessor to the agriculture, Marco Remaschi, partecipated to remember the necessity of research and innovation for the success of italian agriculture in a market that's always  more competitive with different rules in the countries. «For the promotion of such important sector  it's necessary to rethink the Center at enterprise level network. What kind of role can use compared to market changes? Can it be a reference point for the sector companies?», so Remaschi presses to notice the need to etablish a mission for Cespevi. Francesco Mati, president of the Nusery  ornamental District, participates affirming that in front of many urges coming from this situation, among which the one of Morandi and Ferretti, he and the businessmen couldn't fail to answer. Here then was borned a dialogue and a collaboration between businessmen to imagine a development of the Center, as the possibility to create a detachment of botanical patents. The intent is to make the Cespevi join the future of the nursery from now to 2020 and more. Daniela Belliti, deputy mayor of Pistoia Municipality, underlined how the nursery is for menagement a central sector , but «the valian nurseymen choosing to invest must not condemn themselves to the losses, but find a incoming system». These can come by collaborations with the world of research and university. «The settlement of Cespevi remains a scenary that we must not think about. Remaining in the distric dimension, it's possible to identify a way of solutions that will see Pistoia as Capital of the Culture in 2017 with a requalification of the hurban green and the Cespevi as leading element of series of events». Also Luca Iozzelli, newly elected president of the Fondazione Cassa di Risparmio of Pistoia and Pescia, today holder of the 20% of the Center, participated to remember that a foundation by banking origin attends only when exist clear projects with real goals. Satisfied that a first unit of businessmen is ready to project the future of this area, Iozzelli affirms that there's not an appropriate cost, but a market one at this point: if the activity of Cespevi doesn't last, bankruptcy is declared. Anyway the Foundation believes in the potentiality  of the Center and has always shown it, as Iozzelli remembers: particularly, in the 2016 practice, put 200.000 euros but, over this, it's necessary a project/balance taking costs and revenues. For the world of politics have spoken Federica Fratoni, regional assessor to the environment, and Marco Niccolai, regional councilman, and both admired the involvment of businessmen in a moment where the Region can't finance or do rescue operations no more, if not through the rural development plans and by putting up with rules.

Editorial staff

La firma il 21 aprile a Torino durante Ifla 2016, il 53° congresso mondiale degli architetti del paesaggio. Scanavino (Agrinsieme): «il verde pubblico è un investimento in qualità della vita, come la spesa sanitaria, e deve uscire dal patto di stabilità con i suoi vincoli». Monti (Aiapp): «ci vuole il coraggio non tanto di immaginare grandi parchi, ma di fare molti piccoli interventi puntuali, che servono di più alle persone, agli architetti e ai vivaisti».  

 
Il verde pubblico è un investimento, non una spesa. Secondo Agrinsieme, il coordinamento tra Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari, non investire oggi in verde pubblico significa avere maggiori costi in futuro per 1,4/1,7 volte il valore del “non investito” e a lungo termine il costo di non piantare alberi è il doppio del costo che si sosterrebbe piantandoli. Ciò vale se le opere a verde e gli interventi sul paesaggio sono mirati, con piante e progetti di qualità, tali da garantire che la cura del verde e dei paesaggi porti benessere e salute pubblica, crescita dell’occupazione e del turismo, risparmio energetico e persino valorizzazione degli immobili.
E’ anche per questi motivi di interesse generale e non solo per i legittimi vantaggi economici delle proprie categorie che giovedì 21 aprile a Torino, durante Ifla 2016 (International Federation of landscape architects), ossia il 53° congresso mondiale degli architetti del paesaggio, Agrinsieme e Aiapp (Associazione italiana di architettura del paesaggio) hanno siglato un protocollo d’intesa che sancisce un patto di collaborazione triennale per la promozione del verde (pubblico e privato) e per la qualità dei paesaggi, un impegno a unire le forze coordinando le proprie attività su tale fronte e realizzando iniziative in comune. Gli obiettivi sono così sintetizzabili: fare sinergia nello sviluppo del verde, promuovere il valore del verde per il benessere delle persone e lo sviluppo economico, favorire collaborazioni fra soggetti di vari comparti del vivaismo, sensibilizzare la pubblica amministrazione e le istituzioni sulle valenze del verde sia in ambito urbano che negli spazi aperti, mettere in comune reti e conoscenze. A firmare l’intesa sono intervenuti il coordinatore nazionale di Agrinsieme, nonché presidente di Cia (Confederazione italiana agricoltori), Dino Scanavino, e la presidente di Aiapp Anna Letizia Monti.
«Il protocollo si inserisce in una serie di iniziative collaborative che si sono sviluppate con l’Aiapp a partire da Expo in tutti questi mesi – ha dichiarato Dino Scanavino -. Quindi si è costruito un percorso che oggi si concretizza in questo accordo». «Noi crediamo fermamente – ha continuato Scanavino - che la collaborazione e il dialogo tra paesaggisti, architetti, agronomi e i produttori vivaistici o gli agricoltori nel loro complesso sia un fatto straordinariamente importante, perché se il paesaggio esiste, se il paesaggio è fruibile, tutto questo è merito di chi gli fa una manutenzione produttiva, cioè degli agricoltori. E poi c’è il paesaggio urbano, che è un elemento invece da costruire, da inventare a volte. A volte è utile a mitigare interventi invasivi come quelli nelle zone industriali, come i grandi complessi commerciali. Ecco, l’elemento che però è alla base del nostro operare è il miglioramento della qualità della vita dei cittadini attraverso il verde: il verde pubblico e il verde privato. Allora è necessario che si evidenzino scelte coraggiose da parte degli enti pubblici, degli amministratori e dei politici a favore di opere pubbliche che prevedano presenza di verde, piantumazioni, aree verdi, fiorite» e «incarichi a professionisti del verde».
«Il settore florovivaistico – ha affermato Anna Letizia Monti – ha fatto tanti passi in avanti negli ultimi anni. Ne abbiamo fatti anche noi professionisti, architetti del paesaggio e agronomi, che stiamo capendo che non possiamo non tenere conto di chi le piante le produce. La crescita dei florovivaisti consiste nel comprendere che non si tratta solo di vendere le piante, ma anche di vendere i servizi successivi, quindi di realizzare e vendere progetti. Questa consapevolezza di dover lavorare insieme ci farà fare grandi cose in futuro. Noi professionisti non siamo bravi ad andare all’estero, i vivaisti invece sono bravissimi a esportare. Ma noi architetti del paesaggio siamo capaci di vendere sogni». «Serve il coraggio delle amministrazioni – ha aggiunto Anna Letizia Monti – di fare piccoli progetti di paesaggio, piccoli interventi che vengano diffusamente realizzati sul territorio. Meglio 100 piccoli interventi che anni di attesa per un grande progetto. E’ più utile a tutti: ai cittadini, agli architetti e i professionisti, ai vivaisti. Il coraggio non è tanto immaginare parchi di decine di ettari. Ben vengano anche quelli, ma bisogna incominciare a fare anche i piccoli interventi, che non portano paginate sui giornali ma aprono il cuore alle persone».
Completamente d’accordo su quest’ultimo punto Dino Scanavino, che ha detto: «non c’è bisogno di immaginare sempre solo grandi opere a verde, oppure si possono pensare anche grandi opere, ma frazionate in lotti piccoli. Cioè si devono poter fare, si devono iniziare, perché gli alberi ci mettono molto tempo a crescere». «E poi – ha proseguito Scanavino - c’è la necessità di formare i cittadini sul buono del verde pubblico. Io faccio sempre un esempio: un albero ad alto fusto raffresca quanto 10 condizionatori attaccati tutto l’anno. E questo è un elemento che bisogna raccontare. Così come bisogna raccontare che è scientificamente provato che chi vive in aree verdi, in mezzo agli alberi ha la sensazione di essere più giovane e quindi vive di più e meglio». 
«Il verde pubblico – ha sottolineato Scanavino – è investimento in qualità della vita dei cittadini e deve uscire dal patto di stabilità con i suoi vincoli. La legge di stabilità in atto inserisce il verde pubblico tra le opere che fanno riferimento al patto di stabilità, cioè per cui non si può spendere oltre una certa cifra. Io credo che i Comuni per il verde pubblico debbano poter sforare il patto di stabilità, perché è come una spesa sanitaria». «E’ necessario più coraggio da parte degli amministratori e dei governi anche nel mettere in atto politiche fiscali che incentivino la creazione di giardini privati – ha continuato Scanavino -. Il ddl Susta sta avanzando molto lentamente, ogni tanto emerge come un fiume carsico, poi torna ad inabissarsi. In queste settimane c’è stato qualche movimento, però va troppo piano. Io credo che ci vorrebbe invece un provvedimento governativo in sede di legge di stabilità 2017. Non possiamo attendere l’iter parlamentare».
Uno degli aspetti centrali del protocollo d’intesa, ha spiegato Scanavino, è che «presentandosi insieme ai regolatori politici e agli amministratori, gli agricoltori, cioè i produttori di piante e fiori, e i paesaggisti, cioè i produttori di progetti e idee, realizzano una sinergia che dovrebbe essere assai più convincente rispetto al sostanziale fai da te che oggi vediamo in molti casi e che genera a volte dei danni, perché il verde va progettato, gli alberi hanno il loro habitat che va individuato e ci vogliono dei professionisti: non si può mettere un albero perché ci piace vederlo lì, se lì quell’albero non ci può vivere, bisogna mettercene un altro, per questo ci vogliono i professionisti».
«L’albero è un elemento importante per la qualità della vita delle persone – ha detto Anna Letizia Monti -, se ne parla molto ma poi non vengono fatti impianti. Cop 21, la conferenza sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Parigi a dicembre, ha posto l’accento sui problemi legati al cambiamento del clima. Un elemento, anzi l’elemento per eccellenza che produce ossigeno e mitiga l’innalzamento delle temperature è la pianta. Quindi io credo che se all’interno delle città, se nei periurbani si aumentasse la dotazione di spazi aperti con vegetazione sarebbe un grande passo anche proprio per dare gambe agli intenti di Cop 21. E’ con questo auspicio che apriamo il Manifesto per il paesaggio equo e sostenibile che domani, in chiusura di questo congresso, verrà sottoscritto dai paesaggisti di tutto il mondo e sarà presentato all’opinione pubblica del nostro Paese affinché tutte le associazioni e i soggetti interessati possano firmarlo e diffonderlo».
Dino Scanavino non si è sbilanciato nel quantificare l’impatto economico dell’attuazione delle misure auspicate sul fronte del verde da Agrinsieme e Aiapp, ma ha osservato che «il florovivaismo, in particolare il vivaismo da piante, è andato in difficoltà da quando gli enti pubblici hanno smesso di investire sul verde pubblico, perché la crisi ha indotto a tagliare una spesa, che in realtà è un investimento, e quindi ha messo in difficoltà il florovivaismo. Io non so quanto possa essere l’impatto di queste azioni che auspichiamo, quanto possa essere l’incremento di fatturato. So però che questo è un comparto che vale 2 miliardi e mezzo, che occupa 21 mila imprese e che queste 21 mila imprese occupano 100 mila persone. Quindi il 10% della forza lavoro impiegata in agricoltura è presso i florovivaisti, per cui è un settore da tenere in grande considerazione»
 
Lorenzo Sandiford