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Genovali (Piante e fiori d’Italia): tavolo di filiera entro metà ottobre per far partecipare i floricoltori, ridurre a 3 i punti di varco per le derrate agroalimentari, un’associazione di filiera aperta anche ai non produttori. Cappellini (Anve): utile anche un primo piccolo ecobonus per i giardini privati, regolamenti del verde obbligatori e bandi separati da quelli dell’edilizia, il vivaismo forestale. Chiti (Cia florovivaismo): la richiesta d’incontro dal Mipaaf prova che c’è più «cultura del verde», ora incentiviamo le reti d’impresa contro la frammentazione. Grassotti (Mefit): più risorse per la sperimentazione e più peso ai mercati di fiori.

Pochi obiettivi con tempi e finanziamenti certi, incentivi al consumo interno di piante anche coinvolgendo altri ministeri. Sono le esigenze generali della filiera del florovivaismo e del verde emerse all’incontro del 21 settembre al Flormart di Padova sul tema “Il nuovo piano florovivaistico 2017-2019 – Proposte di lavoro in cantiere secondo gli attuali scenari nazionali ed internazionali”, in cui diversi rappresentanti di spicco della filiera si sono potuti confrontare con il responsabile florovivaismo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) Alberto Manzo. Incontro durante il quale Manzo ha annunciato, per conto del vice ministro del Mipaaf Andrea Olivero, che sarà convocato un tavolo di filiera in ottobre per portare avanti i lavori in vista del nuovo piano nazionale del florovivaismo (vedi nostro servizio “A ottobre incontro al Mipaaf sul Piano florovivaistico 2017-19”, 22 settembre).  
Ma Floraviva non si è accontentata e nelle successive giornate del 67° salone professionale di Padova (21-23 settembre scorso) ha cercato di capire meglio quali siano le questioni più scottanti del florovivaismo con alcuni degli esponenti toscani di punta del florovivaismo nazionale che avevano partecipato all’incontro del 21. Ecco una sintesi dei colloqui, rispettosa dell’ordine in cui sono avvenuti, separatamente, in margine ai vari appuntamenti di Flormart. A cominciare da quello con Antonio Grassotti, amministratore unico del Mercato dei fiori della Toscana – città di Pescia (Mefit).

antonio grassotti
«Questo è un settore che ha attraversato grandissime difficoltà – ha esordito Grassotti -, ma che sta lavorando per riemergere e per ritornare ad essere un settore trainante, in particolare per quanto riguarda il vivaismo, con una serie di problematiche, viceversa, nel comparto fiori, ché è quello che più direttamente seguo». «Ho trovato molto interessante l’incontro – ha continuato - perché intanto è il primo passo verso l’aggiornamento del piano florovivaistico nazionale e sono emerse già delle criticità. E mi è parso che una di queste sia anche la necessità di aggiornarlo rispetto ai piani precedenti su alcuni aspetti. E’ stato evidenziato che forse il periodo più buio del settore è terminato, cioè toccato il fondo sembra che si cominci a risalire, sia pure con percentuale quasi insignificante. Certo, il fatto che abbiano chiuso tantissime aziende deve far riflettere, perché è dipeso da un mancato rinnovamento e ricambio delle aziende e quindi invecchiamento e, progressivamente, abbandono. Ma hanno chiuso anche perché non più competitive sul mercato. E allora dal confronto e dal tavolo devono venire le idee per far sì che le criticità di tipo tecnico-amministrativo scompaiano».
«Ho sentito molti richiami alla ricerca e sperimentazione – ha aggiunto Grassotti - la verità è che poi devono essere investite anche in questo settore delle risorse importanti e quindi è da considerare assolutamente positiva la posizione del rappresentante ministeriale che ha dato per certa la convocazione nel mese di ottobre al Ministero per un incontro, da una parte, con il viceministro delle politiche agricole, dall’altra, con il presidente della commissione agricoltura e con tutti gli attori dell’incontro del 21, probabilmente ampliato anche ad altri. Io personalmente ho chiesto al funzionario del Ministero che includa anche i rappresentanti dei mercati floricoli come quello che io rappresento, proprio perché da lì, da quell’incontro, incominci la redazione di questo piano che deve essere il piano del rilancio e della rinascita, se vogliamo usare questo termine, di un settore che è fondamentale per l’economia del Paese e in particolare di certe zone…». Grassotti ha infine ricordato la lettera a nome del sindaco di Pescia Giurlani da lui consegnata a Manzo perché la dia ad Olivero, in cui si chiede la costituzione di un tavolo permanente dei mercati floricoli italiani (vedi nostro articolo “Pescia chiede a Olivero un tavolo permanente dei mercati di fiori” 22 settembre).

chiti
La convocazione di un tavolo di filiera è stata molto apprezzata anche da Roberto Chiti, responsabile nazionale florovivaismo della Confederazione italiana agricoltori (Cia): «è stato annunciato che il vice ministro Olivero ha richiesto di avere un confronto con la filiera e questa è già una notizia importante, perché solitamente siamo noi a chiedere gli incontri e, invece, che la richiesta venga dalla politica, secondo me, è sintomo del fatto che la cultura del verde in Italia sta crescendo e che quindi, anche nell’ambito della cittadinanza, viene fuori un qualcosa in più e di diverso rispetto al passato, che ci può consentire di fare delle proposte che abbiano la speranza di venire concretizzate, perché le proposte in realtà le avevamo fatte anche in passato. I tavoli di filiera che si sono susseguiti negli anni passati hanno individuato quelle che sono le criticità e le esigenze. Il problema è che le richieste sono rimaste in gran parte lettera morta, perché evidentemente sono stati enunciati dei buoni principi, ma le risorse non sono mai state messe in campo, non c’è stata la volontà politica di risolvere davvero la situazione, cosa che ci dobbiamo porre come obiettivo invece per il prossimo piano di settore».
Come perseguire tale fine? «Le richieste che sorgeranno da questo confronto – ha risposto Chiti - dobbiamo chiedere che vengano portate all’attenzione del parlamento e del governo perché possano trovare soluzione. Parliamo di internazionalizzazione, parliamo di filiera, parliamo di tutela dal punto di vista fitosanitario. Tante questioni sono state già individuate, si tratta di mettere a punto delle soluzioni. A partire da quello che stiamo chiedendo da molto tempo: gli incentivi per le opere a verde» (vedi nostro articolo “Quali speranze per un bonus fiscale sugli interventi a verde dei privati entro il 2017?” del 14 luglio). Quindi il primo punto è proprio questo del bonus fiscale per gli interventi a verde dei privati? «E’ uno dei punti – ha replicato Chiti - poi ce ne sono sicuramente altri». E un’altra idea sentita all’incontro del 21 settembre a Flormart che lo convince? «L’idea che credo sia da riprendere – ha detto - è la collaborazione fra aziende, le reti di impresa. Questo settore è formato per la stragrande maggioranza da piccole e piccolissime aziende. Si tratta di creare delle sinergie tra di loro e credo che il ministero possa fare molto da questo punto di vista, incentivando, sostenendo e promuovendo».

marcocappellini
Per Marco Cappellini, presidente dell’Associazione nazionale vivaisti esportatori (Anve), uno degli aspetti più interessanti venuti fuori anche all’incontro del 21 settembre, e in ogni caso fondamentale di per sé, è «la ricerca continua di unità che c’è a livello di associazionismo». Quando ha iniziato l’avventura come presidente di Anve ha trovato «un frazionamento di tutte quelle che sono le realtà di rappresentanza a livello distrettuale, provinciale, regionale ecc.», ma a suo avviso «c’era bisogno e c’è bisogno (perché l’opera non è finita e magari qualcuno rimarrà un po’ a bocca storta) di portare unità». Poiché l’unità consente di avere più peso nell’avanzare certe richieste normative sia sul governo italiano che a livello europeo. «Come ha detto qualcuno all’incontro, bisogna incominciare a parlare di vivaismo europeo e non più italiano, o tanto meno toscano o ligure». Cappellini pare più ottimista del presidente dell’Associazione nazionale Piante e Fiori d’Italia Cristiano Genovali rispetto alla facilità di raggiungere quell’unità d’intenti ritenuta necessaria da entrambi, visto che non ritiene significative le differenze richiamate da Genovali fra comparti del fiore reciso, delle piante fiorite in vaso e delle piante da esterno (vedi nostro servizio “A ottobre incontro al Mipaaf sul Piano florovivaistico 2017-19”, 22 settembre). Per lui al massimo si deve distinguere fra i comparti del fiore reciso da un lato e delle piante ornamentali da interno o da esterno dall’altro. E, «casomai se c’è un problema di partenza è la mancanza di un’associazione nazionale floricola», che riunisca tutte le realtà che si occupano di fiore reciso. «Però – ha detto - io non sono d’accordo sul fatto che i problemi del fiore reciso siano poi molto diversi da quelli del vivaismo. Tanto più ora, dopo la crisi». Quindi avanti con l’unità e «su pochi ma chiari obiettivi. Una volta che si hanno gli obiettivi, si può andare al tavolo di filiera, poi passare alla Conferenza Stato-Regioni e poi al Governo».
Quali sono le istanze prioritarie per Cappellini? Innanzi tutto l’ecobonus, cioè la detraibilità fiscale, sulle opere a verde dei privati. «Il progetto è giusto e lineare – ha osservato – il problema sono i fondi necessari, perché richiede un discreto stanziamento da parte del governo». Cappellini ha spiegato che sono state fatte alcune stime: il valore dei lavori potrebbe aggirarsi fra 800 milioni e 1 miliardo e 200 milioni e, in relazione a quella cifra e alla percentuale detraibile stabilita nonché alle franchigie previste, si arriverebbe a stanziamenti statali molto diversi, che potrebbero variare da 50 a 200 milioni. «Poi – ha aggiunto - noi siamo interessati anche al collegato agricolo, che è un documento enorme. I passaggi sul florovivaismo si leggono con la lente di ingrandimento, sono tre o quattro righe. Però sono interessanti. Per esempio il discorso relativo al vivaismo forestale: il ministero pare molto interessato al ripristino e alla riorganizzazione del vivaismo forestale». Cioè il vivaismo legato agli impianti boschivi, a riprodurre piante per i boschi.
«L’altra cosa per me importante – ha detto Cappellini -  è quella di distinguere nettamente i bandi dell’edilizia da quelli del verde: il mattone lo segue chi fa il mattone, e il verde lo segue chi fornisce piante, manutiene e progetta». Idealmente le aziende florovivaistiche iscritte al Registro ufficiale dei produttori e i giardinieri. Ma non è tutto. Cappellini chiede anche l’imposizione di veri e propri regolamenti del verde. «Io devo sapere – ha argomentato – per la qualità dell’aria di una certa città quale dotazione di verde è necessaria… Una cosa è certa: se si fa il regolamento del verde separato da quello urbanistico, allora è chiaro che la separazione dei bandi viene da sé».

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Il presidente dell’Associazione Nazionale Piante e Fiori d’Italia Cristiano Genovali ha ricordato che «metà dell’universo floricolo, cioè il reciso, avendo una scadenza che è quella dei defunti, dalla metà del mese di ottobre in poi non potrà essere presente», ed ha pertanto chiesto innanzi tutto che il tavolo della filiera florovivaistica venga anticipato alla «prima decade del mese». «Se questo avverrà – ha continuato - sicuramente parteciperemo tutti compatti. Perché ci sono parecchie questioni da riscrivere e inserire nel nuovo piano florovivaistico».
Quali questioni sono più urgenti? «La più importante dal mio punto di vista – ha affermato Genovali - è l’uso minore dei fitofarmaci: è imprescindibile una presa di posizione del ministero sulla carenza di molecole per la lotta contro le avversità in floricoltura: qui bisognerà capire come interagire con le ditte che producono e che devono spendere denari per la registrazione presso il Ministero della salute perché le aziende florovivaistiche si trovano con una carenza di molecole per poter combattere e… ». Cioè i prodotti che vengono dati non sono sufficienti? «Non sono sufficienti perché c’è stata una scrematura da parte del Ministero della salute di moltissime molecole che non vengono riregistrate per i cosiddetti usi minori. Sono molecole che sono molto valide per curare o colpire un’avversità che magari è su produzioni che posso andare dal frutticolo al cerealicolo e così via, però, non essendo registrate sul floricolo, non possono essere somministrate. Quello degli agrofarmaci è il tema dei temi in questo momento».
Altre questioni? «Poi sicuramente – ha risposto Genovali - anche quello che è stato detto il 21 all’incontro: la promozione, la necessità di fare sistema. La promozione di tutti i comparti del florovivaismo, ma in particolare del fiore reciso, in cui è avvenuta la moria principale di aziende negli ultimi anni. Il focus sulle aziende floricole è attuale in questo momento, perché a livello globale c’è un piccolo trend di crescita ed è vero che forse la congiuntura sta cambiando. Però ci vogliono degli aiuti, anche immateriali agevolando delle strutture capaci di fare massa critica dal punto di vista della promozione, perché il mercato italiano è quello più in crisi a livello internazionale. Ma se si vanno a vedere i dati dell’import export, noi importiamo la stragrande maggioranza di fiori recisi, che vengono purtroppo da Paesi terzi e sappiamo bene a chi mi riferisco, cioè al competitor mondiale che è l’Olanda».
Riguardo alla difficoltà oggettiva di partenza verso l’unità del settore, Genovali conferma che «le aziende che producono fiore reciso e le aziende che producono alberature primarie e le aziende che producono piante fiorite in vaso sono tre tipologie economiche completamente diverse, sia dal punto di vista strutturale, di dimensioni e impiego di personale, che di esigenze, quindi sono tre comparti… e addirittura, se pensiamo alla produzione di piante aromatiche, penso alla zona di Albenga ma anche a Latina o alla Sicilia, questo sarebbe un quarto comparto a sé. Quindi non è che io voglio stare a distinguere l’indistinguibile, è così nei giochi. Poi che si debba fare un lavoro di squadra lo auspichiamo tutti, e io per primo, e l’ho anche detto alla conferenza di ieri». L’obiettivo ultimo, per Genovali, è un’associazione nazionale che possa fare promozione a 360 gradi e che possa occuparsi di tutte le problematiche del settore: «di importazione, di esportazione, di collaborare con i ministeri dell’ambiente e della sanità per le avversità dei patogeni, perché non ci scordiamo che ora si parla molto di Xylella ma prima ce ne sono stati altri 8 di cosiddetti agenti alieni che sono intervenuti a danno di produzioni italiane: il punteruolo rosso, che ha distrutto tutti i palmeti di Phoenix canariensis in Italia, prima ancora il cinipide del castagno, ecc». «Quindi – ha insistito - questo è un punto di allarme da mettere a fuoco perché è impensabile che un Paese come l’Italia, che ha dei competitor internazionali dove per fare entrare delle derrate c’è un unico punto di varco, ne abbia 130 di punti di varco per i prodotti agroalimentari. Io dico al massimo tre: uno al nord, uno al centro e uno al sud. Inoltre si deve insistere con il sistema fitopatologico nazionale per far sì che sia più efficiente, perché la Francia – e il riferimento è al caso delle arance dal Sudafrica - in tre giorni riesce a bloccare e mettere in quarantena un’intera produzione di un Paese terzo, mentre all’Italia servono 6, 7 mesi». «Dobbiamo essere pronti – ha detto Genovali -, perché delle palme forse ne possiamo fare a meno, con gli olivi la cosa è già più problematica, ma se viene attaccata la vite, che cosa succede in Italia?».
L’ultima osservazione di Genovali riguardava le fiere ma anche l’unità della filiera florovivaistica e del verde. «Bisognerebbe sforzarsi – ha sottolineato - di fare quello che viene fatto anche all’estero, ovvero riuscire a portare dentro le fiere anche quel mondo che non è rappresentato dai produttori. Penso ad esempio ai negozi di fiori. Penso ai garden. Penso ai giardinieri. Perché altrimenti non si crea una visione puntuale e completa della filiera. La filiera non è solo chi produce fiori, chi produce piante e chi produce alberature primarie. Questa è la parte produttiva della filiera. Poi dentro la filiera c’è chi lavora il prodotto, chi disegna giardini…». Forse ci vorrebbe un’associazione rappresentativa dell’intera filiera? «Ma ci deve essere sicuramente un’associazione che abbracci tutta la filiera! – ha risposto - o per lo meno che arrivi a quei quasi 15 mila negozi di fiori in Italia che sono rappresentati da 2 sindacati e che ci si metta in contatto con essi. Ciò potrebbe fare del bene al settore».
 
Lorenzo Sandiford

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Il sindaco di Pescia Giurlani ha fatto ieri il punto della situazione con gli operatori del mercato: una cabina di regia coordinata dal Mefit dovrà predisporre il progetto di valorizzazione multifunzionale entro 8 mesi. Per il consigliere regionale Niccolai le novità sono la corresponsabilità pubblico-privata e il coinvolgimento dei commercianti. Orlandini (Cia): ottimo risultato viste le premesse, i floricoltori dovranno cambiar passo a cominciare dall’occasione Pistoia capitale della cultura. Procissi (Coldiretti): bene, adesso la Regione conosce meglio la filiera floricola, ma questo è solo un punto di partenza».

Proprietà dell’immobile al Comune di Pescia e finanziamenti sufficienti per il suo adeguamento strutturale da parte della Regione Toscana, ma anche corresponsabilità e impegno del Comune e dei privati, florovivaisti e commercianti in testa, nel piano di rilancio del mercato dei fiori. Un progetto di sviluppo aperto alla multifunzionalità, ma la cui priorità resta la filiera floricola.
Questa, in sintesi, la ricetta per la “Manutenzione e valorizzazione del mercato dei fiori di Pescia”, definita nell’intesa fra Regione, Comune, associazioni di categoria degli agricoltori e dei commercianti, Mercato dei fiori della Toscana (Mefit) e Coriprolivi, che è stata presentata ieri dal sindaco Oreste Giurlani e dal consigliere regionale Marco Niccolai agli operatori iscritti al Mefit, l’azienda speciale comunale che gestisce i servizi per il commercio all’ingrosso di piante e fiori nella struttura ex Comicent di via Salvo d’Acquisto. Non c’è ancora la firma al protocollo per dettagli tecnico-burocratici, ma ci siamo. La Regione dovrebbe approvare oggi la variazione di bilancio che stanzia i finanziamenti di 3 milioni in tre anni. E a breve, entro ottobre, il Comune e la Regione, una volta avvenuto il passaggio di proprietà dell’immobile e sottoscritto il protocollo d’intesa, approveranno l’accordo di programma con i dettagli e la tempistica dell’erogazione delle risorse e dell’esecuzione dei lavori in modo da assicurare la continuità della gestione del servizio pubblico del mercato all’ingrosso di fiori e piante.
«Questo è un incontro importante – ha esordito l’amministratore unico di Mefit, Antonio Grassotti – perché giunge al termine di un percorso lungo e difficile. Non deve però essere considerato un punto di arrivo, ma di partenza per il rilancio del mercato dei fiori e del settore della floricoltura»
«Sono tre i soggetti protagonisti di questo accordo che hanno deciso di dare una svolta alla situazione di precarietà in cui versava da troppo tempo il mercato dei fiori di Pescia – ha affermato Oreste Giurlani –: la Regione Toscana, le associazioni di categoria e il Comune. Il 30 dicembre scorso ci riunimmo qua annunciando l’avvio del confronto con la Regione: ce l’abbiamo fatta e il 5 ottobre il testo dell’accordo di programma con la Regione passerà in consiglio comunale. Ma la vera sfida comincia ora. Abbiamo deciso di prendere la proprietà dell’immobile e metterci la faccia, a fronte delle necessarie garanzie sulle risorse regionali per l’adeguamento strutturale, perché questa è l’unica strada per rilanciare il mercato e il settore. Però questa è una responsabilità e bisogna che entro 8 mesi predisponiamo il progetto di valorizzazione multifunzionale del mercato».
cftCome è previsto nel protocollo d’intesa, infatti, verrà creata una cabina di regia composta da tutti i firmatari del protocollo (Regione Toscana, Comune di Pescia, Mefit, Cia e Coldiretti e Unione provinciale agricoltori Pistoia, Confcommercio Pistoia e Prato, Confesercenti Pistoia e Coriprolivi di Pescia), i cui lavori saranno coordinati dal Comune di Pescia tramite il Mefit, che dovrà elaborare entro 8 mesi dalla firma del protocollo un “progetto per la valorizzazione multifunzionale del Comicent”. Il Mefit dovrà anche aggiornare entro 6 mesi dalla firma del protocollo il suo piano di sviluppo «concertando con la cabina di regia». Giurlani ha così riassunto gli impegni delle tre parti protagoniste dell’accordo: «la Regione si impegna a dare i 3 milioni in 3 anni, più l’opzione di un quarto, per l’adeguamento strutturale del mercato e ad aiutarci nel rilancio della floricoltura; il Comune si impegna a utilizzare le risorse ricevute per mettere in sicurezza la struttura, a destinare 500 mila euro di proprie risorse allo stesso scopo, a stilare un progetto di sviluppo della struttura e del settore insieme alle associazioni di categoria; queste ultime, infine, che non dovranno fare nulla per l’adeguamento delle strutture, si impegnano però ad essere parte attiva nel percorso progettuale e di rilancio». Giurlani ha poi ricordato le azioni complementari intraprese per il rilancio della floricoltura: dal tavolo di concertazione sul distretto di oggi e alla lettera inviata al Ministero delle politiche agricole per chiedere la creazione di un tavolo permanente dei mercati di fiori italiani, anche in vista del Piano nazionale florovivaistico 2017-19 che sarà discusso in ottobre (vedi).  
«Dopo un anno di lavoro, dall’inizio del nuovo mandato regionale – ha detto il consigliere regionale Marco Niccolai -, abbiamo finalmente dato una svolta a una situazione di incertezza che andava avanti dal 2007, quando fu messo in liquidazione il Comicent: una incertezza che rischiava di essere mortale». Niccolai ha ripreso quanto comunicato alla stampa in questi giorni sottolineando due aspetti cruciali dell’intesa fra Regione, Comune e associazioni di categoria: il protocollo è impostato in un’«ottica di corresponsabilità pubblico-privata» e non coinvolge più solo le categorie agricole ma anche le «categorie del commercio, a dimostrazione che questa struttura ha una importante valenza commerciale». Infine Niccolai ha sottolineato che la Regione non si limiterà ad erogare finanziamenti, ma «metterà in campo azioni per supportare il Comune e la progettualità del territorio». Si tratta di «una sfida ma anche un’opportunità», ha concluso Niccolai.
Sandro Orlandini, presidente di Cia Pistoia, ha affermato che l’accordo raggiunto con la Regione Toscana «è un risultato ottimo», soprattutto alla luce di come era iniziato il confronto con la Regione, che sembrava non lasciare spazio all’erogazione di risorse. «Devo dare atto a Giurlani – ha detto Orlandini – di avere resistito con grande tenacia». Orlandini ha poi aggiunto che «siamo a un punto di svolta vero e gli operatori devono essere consapevoli che non tutto sarà come prima, perché non si può correre il rischio di trovarci fra dieci anni con gli stessi problemi di oggi». Anche per questo ha espresso la sua amarezza per il fatto che «manchino tanti soci di Cia che il 30 dicembre scorso erano qua a protestare». Rievocati i meriti dei vertici attuali e precedenti del Mefit, Orlandini ha sottolineato, nella prospettiva del rilancio della filiera floricola, che «il prossimo anno Pistoia sarà capitale italiana della cultura e bisogna che la floricoltura pesciatina abbia un ruolo da protagonista all’interno delle manifestazioni in programma». Infine Orlandini ha esortato i florovivaisti a partecipare a Christmas Flower Trends, l’iniziativa del Mefit sulle tendenze floreali in programma l’1 e 2 ottobre: anche questo è «un passo nella via del rilancio della filiera».
Sintetico ma esplicito Maurizio Procissi di Coldiretti Pescia: «il 30 dicembre scorso l’ipotesi più rosea era che gli operatori del Mefit dovessero finire in una tensostruttura. Non è stato facile questo percorso, è stato un anno molto difficile. Ho visto Giurlani combattivo, Niccolai ottimo uditore delle esigenze del territorio. E’ chiaro, però, che questo è solo un punto di partenza, perché altrimenti la struttura invecchierà di nuovo. Grazie anche al contributo dei commercianti, adesso la filiera floricola è più conosciuta a livello regionale. Speriamo che si spendano bene i finanziamenti nel rispetto sia di chi lavora al mercato che di tutti i cittadini».
Pamela Maionchi, di Confcommercio Pescia, ha manifestato la soddisfazione della sua associazione di categoria per lo stanziamento della Regione Toscana. «Chiudere una struttura come il mercato dei fiori sarebbe stata una perdita di ricchezza gravissima per il territorio. Ci impegneremo a coinvolgere le imprese nostre associate nel progetto di rilancio multifunzionale del mercato.
Infine Antonino Melara, funzionario regionale che si occupa della floricoltura, ha confermato che «siamo a un punto di svolta». «Oggi – ha continuato - forse c’è meno partecipazione perché gli operatori pensano che le cose vadano bene. In ogni caso 3 milioni di euro in una fase di grossi tagli per la Regione sono tanti, ma pensiamo che siano spesi bene. Ma tutti da ora in poi dovranno metterci la faccia».
Chiudendo l’incontro, Giurlani ha fra l’altro ricordato che da ora in poi, con il passaggio di proprietà, «potremo finalmente stringere accordi con privati, in primis del settore florovivaistico, che volessero avere uno spazio operativo negli spazi del mercato di via Salvo d’Acquisto». Chiusa la fase dell’incertezza e del rinnovo della gestione di anno in anno, sarà possibile per i privati programmare i propri investimenti pluriennali, piccoli o grandi che siano.
 
Lorenzo Sandiford


La decisione del viceministro Olivero è stata annunciata il 21 settembre a Flormart dal responsabile del tavolo di filiera del florovivaismo Alberto Manzo. Genovali (Piante e fiori d’Italia): «il numero delle imprese attive è crollato a 13 mila 300, ci vogliono pochi obiettivi con timing precisi e finanziamenti adeguati». Mastrocinque (Cia): «bisogna incentivare il consumo di piante coinvolgendo altri ministeri». Cappellini (Anve): «per troppo tempo siamo rimasti nel cono d’ombra dell’agroalimentare, adesso ci vogliono politiche specifiche per il florovivaismo». Mati (Confagricoltura): «l’inquinamento dell’aria è dovuto anche alla contemporanea senescenza delle alberature ereditate dalle tre fasi storiche di grandi investimenti nel verde pubblico: fine ‘800, ventennio, dopoguerra».  

«E’ una fase di evoluzione: a dicembre terminerà il periodo di applicazione del precedente piano, che non è tutto sorpassato. Come responsabile del tavolo di filiera in questi anni ho fatto il possibile per aiutare un settore forse un po’ trascurato rispetto ad altri. La nostra produzione è eccellente e la esportiamo già nel mondo, ma dobbiamo spingerla di più. Come richiesto dal vice ministro Olivero, stabiliremo un appuntamento ad ottobre. Per raggiungere obiettivi concreti ci vuole unità».
E’ quanto dichiarato ieri da Alberto Manzo, funzionario del Ministero delle politiche agricole esperto di florovivaismo, durante l’incontro sul tema “Il nuovo piano florovivaistico 2017-2019 – Proposte di lavoro in cantiere secondo gli attuali scenari nazionali ed internazionali” che si è tenuto a Flormart, subito dopo l’inaugurazione. All’incontro alcuni esponenti di spicco del settore hanno manifestato le proprie istanze al funzionario ministeriale, visto che il vice ministro Andrea Olivero ha dovuto dare forfait all’ultimo momento
Cristiano Genovali, presidente dell’Associazione nazionale Piante e Fiori d’Italia (e di Coldiretti Lucca), ha prima anticipato il dato shock sul numero delle aziende florovivaistiche realmente attive in Italia, estrapolato da un’indagine che sarà presentata a breve: sono calate a 13.300, da 30 mila che erano quindici anni fa. Unica consolazione, la «fievole inversione di tendenza» dal 2015 a giugno 2016: + 0,4% aziende attive. «Io spero che il nuovo piano – ha poi detto Genovalici dia pochi obiettivi ma con timing precisi e finanziamenti adeguati, perché è impensabile che questo settore non riceva mai niente». Sulla questione dell’unità fra i soggetti del settore Genovali ha detto che «fiori recisi, piante fiorite in vaso, alberature primarie è difficile metterli insieme, ma è indispensabile».
«Ci sono delle criticità su cui bisogna ragionare – ha esordito Alessandro Mastrocinque, vicepresidente nazionale di Cia -. Abbiamo un’ottima penetrazione sui mercati esteri, ma va male il mercato interno e forse bisognerà incentivare il consumo di piante». «Dobbiamo puntare con forza sul verde – ha continuato – perché è un vantaggio per gli operatori del settore ma anche un’esigenza di tutta la società. A Manzo dico che nel nuovo piano nazionale florovivaistico dobbiamo coinvolgere anche altri ministeri: ambiente, sviluppo economico e sanità». Inoltre, ha osservato Mastrocinque, «un tempo il ministero faceva delle statistiche: se non abbiamo i numeri sotto mano, è difficile fare delle strategie». «Dobbiamo ragionare in maniera più strutturata con le regioni – ha concluso – perché nei meccanismi dei Psr ci sono spesso punteggi che impediscono di accedere ai finanziamenti alla piccole imprese agricole, ci vuole un lavoro di sburocratizzazione accompagnato da sostegni economici».
Per Francesco Mati, responsabile nazionale florovivaismo di Confagricoltura, nonché presidente del distretto vivaistico ornamentale di Pistoia, il principale a livello europeo, ha chiesto di «immaginare qualcosa di nuovo rispetto al precedente Piano nazionale florovivaistico». I risultati ottenuti con esso, ad esempio sui codici doganali, sono «importanti a livello comunitario, ma incidono poco sulle economie di scala delle aziende del settore». Ora, ha affermato Mati, «dobbiamo occuparci dei temi di cui si occupa la stampa non specializzata: le malattie e morti per l’inquinamento dell’aria anche per colpa della senescenza delle alberature pubbliche in Italia. Tutti gli investimenti fatti fra fine ‘800 e inizio ‘900 (soprattutto in platani), nel ventennio fascista (pini) e nel dopoguerra (robinie) stanno raggiungendo contemporaneamente uno stadio di senescenza e quindi stanno venendo a mancare i loro effetti benefici sull’aria». Mati ha concluso sottolineando che il settore si sta muovendo con maggiore coesione da un anno a questa parte con iniziative congiunte su questioni come, ad esempio, le agevolazioni fiscali per gli interventi a verde privati. 
«E’ evidente che siamo a una svolta sia sul florovivaismo che su Flormart» ha affermato Marco Cappellini, presidente dell’Associazione nazionale vivaisti esportatori, alludendo al cambio di gestione alla guida della fiera di Padova e quindi del salone del florovivaismo, giardinaggio e architettura del paesaggio. «Sì, ci sono segnali di unità nel settore – ha continuato Cappellini – ma le questioni da affrontare sono molte: codici doganali, problematiche fitosanitarie e la proliferazione di regole diverse nei Comuni» per gli appalti riguardanti il verde pubblico. «Per troppo tempo – ha dichiarato Cappellini – siamo rimasti nel cono d’ombra dell’agroalimentare, adesso ci vogliono politiche specifiche per il florovivaismo». Cappellini ha poi ricordato il portale Phytoweb, realizzato insieme a Ice (Istituto per il commercio estero) e Mise (Ministero per lo sviluppo economico) e già presentato al tavolo di filiera: «una sorta di contenitore di tutte le normative e problematiche fitosanitarie e doganali extra europee».
Nel tirare le conclusioni, Alberto Manzo ha replicato alle sollecitazioni emerse nell’incontro, rimandando gli approfondimenti al tavolo di filiera di ottobre con il vice ministro Olivero. Ad esempio, ha ricordato che un po’ di risorse sono state date: 6 progetti per un investimento totale di oltre 1 milione e 100 mila euro. Ha poi ammesso le difficoltà a interfacciarsi con alcuni ministeri, alludendo anche al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma ha evidenziato che «la quota verde negli appalti è intorno all’1 o 2%, questo significa che ci sono carenze oggettive nella natura degli appalti». «Però – ha conclusosono d’accordo: ci vorrebbe una cooperazione interministeriale più incisiva, anche se ad esempio con il Mibact c’è stata collaborazione in vari ambiti». Riguardo alla mancanza di statistiche, Manzo ha detto che quando sono state necessarie, ad esempio per i codici doganali dei ranuncoli, «i dati siamo riusciti a tirarli fuori» e comunque è un problema che riguarda anche l’agroforestale e l’ortofrutta. Infine, riguardo alla necessità di aggregarsi, per Manzo «la parola magica è distretti», ma «la domanda è: funzionano o no i distretti? E analogamente: funzionano o no i mercati di fiori?». 
 
Lorenzo Sandiford


Al seminario di Flora trade sulla qualità del lavoro del giardiniere presenti esponenti del florovivaismo pistoiese. Per Roberto Chiti la competenza del giardiniere «valorizza le piante», ma ciò che interessa di più è la «coesione della filiera». Renato Ferretti: «basta imprese di pulizie negli appalti a verde, ci vuole una categoria specifica», «la strada per l’albo è difficile, ma se arriva, tanto meglio».

Il mondo florovivaistico pistoiese guarda con interesse, ma un po’ di prudenza, ai progetti dell’ancora piccolo ma agguerrito e preparato movimento dei giardinieri professionisti capitanato dall’Aigp, che mira a un albo professionale dei giardinieri, a cui riservare l’esercizio delle attività di costruzione e manutenzione del verde.  
Almeno questa è la sintesi dei pareri espressi da due qualificati esponenti di quel mondo che sono intervenuti ieri l'altro a Flora trade a Rimini come relatori nel seminario tecnico “Qualità e innovazione nel lavoro del giardiniere”. Roberto Chiti, vivaista pistoiese che riveste il ruolo di responsabile florovivaismo nella Confederazione italiana agricoltori, ha tenuto una relazione intitolata “Il giardiniere professionista e l’importanza di una filiera verde coesa”. Mentre Renato Ferretti, esperto di florovivaismo e direttore della manifestazione pistoiese Vestire il paesaggio, ha parlato sul tema “La qualità del materiale vivaistico come elemento qualificante nel lavoro del giardiniere”.  
«A noi interessa prevalentemente cercare di sviluppare rapporti di filiera, tenendo assieme gli agricoltori da noi rappresentati con i finalizzatori del nostro lavoro, che sono i giardinieri – ha detto poi a Floraviva Roberto Chiti, ringraziando Aigp per l’invito al seminario -. Questo è il quadro in cui ci poniamo oggi per cercare di sviluppare assieme temi comuni e per cercare di risolverli, portando una voce più forte, unita, di una filiera compatta e determinata nelle stanze che contano». 
Ma è davvero utile per i produttori avere a che fare con giardinieri professionisti? «Certamente – ha risposto Chiti -. Avere una cultura del verde, avere una filiera del verde attiva, quindi creare quella cultura di un verde che sia di qualità e che porti benessere alla cittadinanza per noi è fondamentale. Sapere che coloro che vanno a realizzare queste opere, siano aziende agricole o giardinieri professionali, hanno comunque una cultura e una competenza per poterlo fare per noi è una garanzia che i nostri prodotti siano valorizzati nei mercati».
E cosa pensa sulla prospettiva di un albo professionale dei giardinieri? Ci crede? «Io credo che tanto percorso debba ancora essere fatto. Dovrà essere aperto, intanto, in accordo con l’articolo 12 della legge 154/16 ("Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare", ndr), un dialogo con le regioni per capire quali sono le intenzioni, essendo esse gli enti deputati a redigere le norme della formazione professionale atta a qualificare le figure professionali. Resta chiaro che gli agricoltori iscritti al Rup (Registro ufficiale produttori) sono all’interno di questo percorso. Certamente siamo perché si porti avanti la formazione a tutti i livelli. Noi tra l’altro abbiamo un’agenzia formativa in Cia molto qualificata e radicata sui territori. Quindi accettiamo la sfida e cerchiamo di portarla in fondo».
«Il corpo centrale del mio intervento – ha spiegato invece Renato Ferretti - è dedicato a come si fanno le piante e alla qualità della piante del distretto florovivaistico pistoiese, che indubbiamente sono un valore aggiunto per la realizzazione dei giardini, dei parchi e dei progetti di paesaggio». 
Quali le prospettive che si arrivi davvero a un albo o almeno a un percorso formativo e una certificazione?
«Io credo che non sia una strada facile, anche perché credo che sia in controtendenza rispetto a quello che viene fatto sulle professioni che storicamente hanno un albo. Quindi non credo che sia facile. Credo però che sia importante puntualizzare i livelli qualitativi che devono avere le aziende che realizzano parchi, giardini e impianti a verde alla stessa stregua di quello che fanno per tutte le altre realizzazioni di tipo edile, stradale, idraulico e impiantistico. Non è più tollerabile che le imprese di pulizie possano partecipare agli appalti a verde: è una cosa che stride perché poi ovviamente i risultati sono sotto gli occhi di tutti in termini di potature, di errori gestionali, di scelta materiale non idoneo e chi più ne ha più ne metta».
E se non un albo, almeno una qualche forma di certificazione volontaria?
«Ma direi piuttosto una sezione quanto meno delle aziende che possono operare in questo settore sia sulla Soa (Società per le opere pubbliche) sia su quelli che ormai sono i punti di riferimento per la fornitura di servizi, dove bisogna che ci sia una categoria specifica riferita alle opere a verde, opere di giardinaggio, e per accedervi bisogna avere determinati requisiti. Bisogna evitare che chi genericamente fa altri lavori acquisisca questo tipo di lavori che necessitano di una qualificazione professionale. Ovviamente questo presuppone che tu abbia un’esperienza, che tu abbia una struttura organizzativa con le qualifiche professionali necessarie e quindi da questo punto di vista credo che questo sarebbe già un notevole passo avanti. Poi se arriva qualcosa di più come l’albo tanto meglio».
 
L.S.

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Sabato 2 luglio al Centro Visite della Riserva Naturale del Padule di Fucecchio si è fatto il punto sul lavoro del Centro, a più di venticinque anni dalla sua costituzione, e sulle attività dell'associazione Onlus. Ancora nessuna certezza per il futuro di una realtà che meriterebbe più risorse e attenzione poiché è riuscita a mantenere aperture straordinarie e ha portato ben 70.000 studenti nell'area, con 5.000 visitatori nel 2014, e altrettanti nel 2015, al Centro (inaugurato ad ottobre 2013). Ferretti ricorda che il futuro del Centro è già scritto nel Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia. Vanni lamenta un mancato intervento della Regione, non presente infatti alla giornata, e vede un possibile futuro del Centro all'interno del brand "Da Leonardo a Pinocchio" per non perdere la visione d'insieme a causa delle incertezze politiche. 

Questo focus sui venticinque anni di attività si è necessario per prendere coscienza dell'importanza e del lavoro che il Centro ha svolto in questi anni per la tutela, la conservazione e la conoscenza dell'area umida del Padule. Il sindaco di Larciano, Lisa Amidei, ha aperto gli interventi, assieme al saluto del presidente dell'associazione Intrecci, Alessandro Geloso. Aldo Morelli, già presidente della Provincia di Pistoia, ha parlato dell'esperienza del Centro R.D.P. Quale tavolo di confronto fra le parti e strumento di conoscenza, programmazione e gestione. Il Centro, ricorda Morelli, è nato da una presa di coscienza negli anni '80 delle condizioni drammatiche in cui versava il Padule, che rischiava di vedere la sua fine. Una forte coscienza territoriale portò alla costruzione della Onlus quale strumento di tutela e gestione ambientale che riuniva persone con interessi diversi, ma accomunate da un unico scopo: la salvaguardia di un'area davvero preziosa. E da qui di strada ne è stata fatta tanta, con molte difficoltà, ma con un grande entusiasmo e una forte passione, come hanno ricordato i due dipendenti del Centro, Alessio Bartolini (che ha illustrato gli interventi di ripristino ambientale e la gestione della Riserva Naturale del Padule di Fucecchio) e Enrico Zarri (intervenuto sulle attività di fruizione e promozione del Padule di Fucecchio e del territorio: natura, storia e attività tradizionali). Tutti gli interventi messi in atto, fin dall'inizio, si sono fondati su un'ampia gamma di saperi e hanno sempre riscontrato esiti ben al di sopra delle aspettative. Questi interventi, ricorda Bartolini, rappresentano un'eredità importantissima perché oggi non sarebbero più possibili, data la mancanza di risorse. Oltre ad una gestione straordinaria di interventi, come quelli di ridefinizione dell'assetto idraulico dell'area, è stata fatta una gestione ordinaria e partecipata quotidianamente grazie all'impegno anche di molti volontari per un ampio spettro di attività sviluppate sempre con rigore tecnico-scientifico. Da poche centinaia di individui il Padule adesso vanta decine di specie. Zarri ha poi evidenziato come le attività del Centro abbiano sempre rispettato lo Statuto, in vigore dal 2003, che prevede la valorizzazione delle qualità storiche, ambientali e naturalistiche del Padule di Fucecchio e del lago di Sibolla, come aree umide di interesse territoriale e non solo. In qualità di più grande padule italiana interna, quest'area vanta una flora antica e una fauna sorprendente con specie scomparse da anni che hanno fatto ritorno. Il fascino della storia attraversa tutta la zona, a cui anche l'antica tradizione della raccolta e lavorazione delle erbe palustri è profondamente legata. Circa 70.000 studenti hanno avuto modo di conoscere tutta questa ricchezza grazie alle visite guidate, attive dal 1992, con guide ambientali ed escursionistiche ai sensi della L.R. 14/2005. Uno dei prossimi progetti, annunciato sabato da Zarri, è poi quello del servizio cartografico interattivo sul Padule e il territorio per scoprire in modo autonomo e interattivo anche tutta la Valdinievole (entro settembre ne sarà fatta una presentazione). Anche il Consorzio di Bonifica 4 Basso Valdarno ha manifestato il suo sostegno al Centro e ha chiesto che la struttura possa continuare a vivere per la salvaguardia dell'ambiente e del nostro futuro. Anna Mensuali della Scuola Superiore S. Anna di Pisa ha parlato de“I progetti di ricerca e conservazione ex situ delle piante acquatiche del Padule di Fucecchio”, attività di collaborazione iniziata nel 2010 (anno della biodiversità) con il Centro per sviluppare una forma di conservazione ex situ delle specie idrofite del Padule maggiormente minacciate. Renato Ferretti, Dirigente Area Governance Territoriale della Provincia di Pistoia, ha parlato della tutela e della valorizzazione del Padule di Fucecchio nella pianificazione territoriale, con particolare riferimento al documento del 2009: “Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia”. Di questo si è attuato forse il 5%, lamenta Ferretti, e si dovrebbe invece sfruttarlo per tutti i settori che coinvolge: piano faunistico-venatorio, piano provinciale delle aree protette e programma di sviluppo sociale ed economico, programmi di sviluppo rurale, piano provinciale delle piste ciclabili e piano ittico. Da sviluppare sicuramente la forte identità turistica della zona, secondo Ferretti, in un'ottica di sostenibilità e di collegamento fra il territorio e il Padule. «Ad oggi forse solo un triatleta potrebbe percorrere autonomamente il percorso di arrivo in Padule. Di tutti gli arrivi turistici a Montecatini, una parte dovrebbe essere confluita qui con un percorso ciclabile ad hoc, e non dispersa fuori dal nostro territorio.» Anche il sindaco di Cerreto Guidi, Simona Rossetti, ha ribadito la necessità di lavorare per garantire un futuro al Centro e la speranza che la Regione possa guardare dall'alto il territorio e salvaguardare il Padule. Anche Luigi Turini, che è stato per oltre vent'anni presidente del Centro di ricerca e documentazione, lamenta il forte ostacolo interposto al futuro del Centro da parte dei gruppi di potere che hanno interesse a non far confluire qui risorse economiche. Rinaldo Vanni, attuale presidente del Centro R.D.P., conclude la mattinata con una riflessione su una mancata comunicazione da parte del Centro, negli anni precedenti, riguardo al suo ruolo e alla sua importanza e dunque l'elemento economico è stato usato per demolirlo a favore di interessi privati di proprietari e cacciatori. Il Padule è rappresentato da i due punti, sia quello di Ponte Buggianese che quello del Centro, che è ad oggi l'unico progetto concreto di conservazione. «Non credo alla Regione: dal primo gennaio ha avuto le competenze ma non le ha attuate. La Regione penserebbe di espropriare l'esercizio delle Istituzioni e delle Associazioni di una funzione che è loro. Sembra che non si parli del Padule, ma di mettere da parte chi dà fastidio. Si deve ripensare il futuro del Centro, forse all'interno del brand “Da Leonardo a Pinocchio” perché ormai i Comuni da soli non possono andare da nessuna parte. L'incertezza politica non può far perdere la visione d'insieme.»

Anna Lazzerini