Il sindaco di Pistoia a Flormart su verde pubblico, Pnrr e contratti coi vivaisti
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Alessandro Tomasi, sindaco della capitale italiana del vivaismo ornamentale, intervistato il 22 settembre a Flormart in margine al convegno sul verde e l’attuazione del Pnrr: servono risorse non solo per le forestazioni urbane, ma pure per la gestione del verde, attenzione anche al patrimonio arboreo delle aree interne e bisogna consentire contratti di coltivazione coi vivaisti per la programmazione delle forniture di piante.
Al convegno del 22 settembre mattina alla Fiera di Padova su “Il verde per la qualità della vita: attuazione e prospettive del Pnrr”, organizzato da Fiere di Parma in collaborazione con Anci e Associazione Pubblici Giardini nell’ambito del salone professionale del florovivaismo Flormart – The Green Italy, è intervenuto, come unica voce fra i sindaci italiani, Alessandro Tomasi, primo cittadino di Pistoia, la capitale nazionale del vivaismo ornamentale.
Al termine dell’incontro, che mirava a «fare il punto sui progetti inerenti la foresta urbana, i parchi e giardini storici e le altre misure del Pnrr che hanno finanziato o finanzieranno il verde nelle città» e che è stato moderato dal pistoiese Renato Ferretti, da poco vice presidente del Consiglio dell’ordine nazionale degli agronomi e dei dottori forestali (Conaf), Floraviva ha posto alcune domande al sindaco Tomasi per capire meglio le istanze da lui sollevate nel suo intervento.
Sindaco, lei ha partecipato a questo convegno un po’ nelle vesti di portavoce dei sindaci, in quanto primo cittadino della capitale del vivaismo ornamentale e unico sindaco presente: che cosa mi può dire sull’attuazione del Pnrr in rapporto alle tematiche del verde? Come sta andando? Quali gli aspetti positivi e quelli negativi?
«Il Pnrr è sicuramente dal punto di vista degli investimenti una grande opportunità. È innegabile che siano arrivate tante risorse per fare investimenti: in riforestazione urbana, riqualificazione urbana, ma penso anche a investimenti sull’assetto idrogeologico. Però la necessità dei Comuni è che alla parte degli investimenti corrisponda anche l’arrivo di risorse per la parte corrente. Che vuol dire? Che dopo le riforestazioni e le riqualificazioni urbane serve mantenere quel verde, serve assumere delle professionalità interne che parlino lo stesso linguaggio di chi ha lavorato per riforestare e che possa seguirli. Penso ad agronomi, penso a tecnici, ingegneri, geometri e architetti che possano costituire nelle amministrazioni dei pool [gruppi di lavoro, ndr] che seguano il verde a tutto tondo. Questo è il primo aspetto che ho evidenziato durante l’incontro».
Ecco, un altro punto a cui ha fatto cenno, se ho ben capito, è il fatto che siano poco coperte nel Pnrr le superfici extraurbane: lei ha accennato a delle problematiche in questo senso nel territorio di Pistoia?
«Io ho portato l’esempio del mio Comune. Nel convegno si è parlato di grandi aree metropolitane, no? L’immaginario collettivo si è concentrato sull’idea che Milano, per esempio, o Torino si potessero riforestare dal punto di vista urbano. Loro hanno dimostrato che è molto difficile perché quelle superfici non sono riusciti a trovarle all’interno delle aree urbane e si sono dovuti espandere fuori. Io ho portato però l’esempio di un Comune tipo il mio, che è, come la maggioranza dei Comuni, intorno a 100 mila abitanti e che ha anche caratteristiche tali per cui su 236 km quadrati 215 km non sono urbanizzati. E quindi c’è tutto il tema delle aree interne, delle nostre colline da mantenere (per esempio le coltivazioni di ulivi), ma anche delle nostre montagne, delle foreste, che spesso non sono pubbliche. Già abbiamo un grandissimo patrimonio arboreo, dei luoghi stupendi che vanno mantenuti contro il dissesto idrogeologico, contro l’abbandono dei privati di aree boschive che magari ricevono in eredità e in difesa di coltivazioni che sembrano non rendere, come quella dell’olio, ma che sono caratteristiche del nostro territorio. Quindi all’attenzione delle riforestazioni urbane contro gli aumenti di calore per il cambiamento climatico, per creare zone d’ombra, per abbellire le nostre città e tutto quello di cui si è parlato all’incontro, va aggiunta l’attenzione a mantenere quello che c’è già…».
… e su questo ulteriore aspetto pensa che troverete qualche risposta nel Pnrr?
«No, nel Pnrr secondo me non ne hanno tenuto conto. Ma le risorse che verranno in futuro ci sono e dovranno essere dedicate sempre di più alle aree interne. Ricordo che le aree interne sono degli ecosistemi che danno molto alle città, perché l’acqua arriva da lassù. Noi scappiamo dalle città per andare a rifugiarci nella montagna per trovare ombra. E nella mia città in particolare più della metà della popolazione vive in queste zone in piccole frazioni che hanno dei benefici molto importanti: comunità vive dove non si è solo numeri, comunità che mantengono quei territori, magari facendo l’orto, magari coltivando e magari facendo impresa, e che vanno necessariamente aiutate».
Lei ha poi parlato di un tema che interessa molto ai vivaisti, i contratti di coltivazione, portando l’esempio di una città francese dove c’è più libertà di manovra e possibilità di programmare le forniture di piante. È così?
«L’Italia rischia di morire di burocrazia, anche nel mettere a terra il Pnrr. Sottolineavo che noi siamo costretti a gare al massimo ribasso, e quindi spesso ci accontentiamo di prodotti scadenti o abbiamo lavori che non rispettano tutti i requisiti e dobbiamo tornarci sopra. Ma nelle grandi municipalità degli altri Stati non è così. Facevo l’esempio di Marsiglia, perché me ne ha parlato un nostro vivaista, dove già da 5/6 anni sono venuti qua e hanno programmato (quindi ci sono le leggi e il codice degli appalti francesi che glielo permettono) l’acquisto nei nostri vivai, da qui a 5 anni, di piante che servono loro…».
… quindi hanno già contrattualizzato tutto?
«… hanno già contrattualizzato e controllano ogni anno l’andamento di queste piante, come vengono coltivate, le curano se c’è da curarle, le scartano se c’è da fare delle sostituzioni. Noi arriviamo alla fine del lavoro oppure dell’appalto complessivo e mettiamo l’acquisto delle piante se ci riesce».
Voi non potreste farlo? Che cosa potete fare?
«Noi o mettiamo nella gara direttamente l’acquisto delle piante, quindi chi vince la gara, una ditta edile, alla fine dovrà acquistare le piante oppure, finito il lavoro, dobbiamo fare una nuova gara d’appalto per acquistare le piante. Che poi ci devono essere, devono essere buone…».
… senza una pianificazione.
«Sì. Quindi avere dei contratti di questo genere, delle gare d’appalto e delle regole che ci permettano di andare dai vivaisti e dire loro: noi fra 5 anni vogliamo arrivare a questo. Questo permette a loro di programmare, permette a noi di spendere meno, permette di avere piante di migliore qualità: insomma permette di avere una programmazione aziendale che sarebbe importante. Su questo stiamo spingendo e speriamo che qualcuno ci ascolti».
Nel nuovo Codice degli appalti ciò non è ancora possibile?
«Non c’è stata comunicazione fra il Ministero dell’Agricoltura, che è più sensibile a questi temi, con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha corretto il Codice degli appalti. Ma questo è endemico di questo Paese…».
… quindi quando sarà la prossima finestra per introdurre questa possibilità?
«Sempre perché il Codice degli appalti, come tutte le leggi, può essere modificato. Dunque, bene fare passare questo concetto. Ma ne devono passare anche altri, perché il Codice degli appalti sui lavori pubblici è migliorabile».
Quindi ci sono tante cose da migliorare e c’è sempre la possibilità di farlo?
«Certo, io mi auguro di sì. Da quando sono sindaco l’ho visto revisionare già più volte in questi sei anni».
Lorenzo Sandiford