Vis-à-vis

andrea vitaliUna nuova favola in agricoltura necessita di competenze e meritocrazia.

Abbiamo deciso di realizzare per questa primavera anche una edizione cartacea perché, anche se abbiamo 3000 lettori al giorno sul web, il territorio ce la chiede spesso. Del resto si tratta di un ritorno all’inizio, perché quando Floraviva nacque, nel 2008, durante l’omonima manifestazione, fu pubblicato contestualmente anche un numero su carta della rivista. Oggi, questa edizione, vuole essere anche un mezzo in più a disposizione di chi visita la manifestazione Naturalitas, per consentirgli di gettare uno sguardo d’insieme, per quanto sintetico, sul territorio e la sua primavera (speriamo in tutti i sensi).
Che cosa è cambiato per noi di Floraviva in questi sette anni? La nostra linea editoriale si è arricchita di informazioni e i nostri lettori oggi hanno superato la soglia dei 3000 lettori e sono in costante crescita. Continuiamo questo duro lavoro di portare le notizie del mondo agricolo toscano e dei settori in dialogo con esso fuori dai confini regionali e nazionali, oltre a cercare notizie stimolanti nell’universo del web per veicolarle in Toscana. Inoltre abbiamo aperto un focus sul nostro territorio, la Valdinievole, che abbiamo chiamato Valdinievole+, per provare a fornire un servizio informativo con una visione più aperta, non limitata alla pur centrale e dominante dimensione rurale.
I nostri inserzionisti pubblicitari, unica fonte di guadagno di Floraviva, ci confermano la loro fiducia e comprendono il valore di avere un pubblico nazionale e non solo di lettori interessati all’agroambientale e noi, senza timore, abbiamo inserito il contatore delle visite per ogni notizia pubblicata. Vogliamo che il nostro lettore e il nostro inserzionista possano misurare il lavoro che facciamo e il suo riscontro fra i navigatori della rete.
Abbiamo inserito da gennaio i consigli utili del mese in agricoltura e pubblicato diversi servizi internazionali realizzati da noi in prima persona, raccontando anche le nostre eccellenze che esportano i prodotti locali e l’immagine del nostro territorio: a Essen, Angers, in Olanda (quattro volte tra fine 2014 e l’inizio del 2015), scrivendo di produttori e di commercianti che operano in tali aree geografiche.
Mi pare di poter affermare senza rischio di smentite che nel comune sentire degli operatori professionali una delle differenze principali (a nostro svantaggio) fra noi e i mercati esteri sia la meritocrazia, o meglio la sua assenza in questi lidi. Ed è una grave penalizzazione, perché nel mondo del business i tempi deve dettarli l’operatore professionale, l’esperto, o al massimo le politica di settore intesa come policy, non la politica politicante e partitocentrica. E più in generale sarebbe molto utile per la nostra comunità se ciascuno di noi tornasse a fare solo ed esclusivamente il proprio mestiere.
Così, per stare nel campo della comunicazione, c’è chi crede che esistano solo le iperboli televisive e che queste siano il toccasana per vendere di più e meglio in ogni ambito, anche nel settore florovivaistico e persino per quelle imprese che non si rivolgono all’utente finale. Ma le cose non stanno così, soprattutto sotto certi livelli di investimento, e c’è bisogno di ben altro, a maggior ragione (ma non solo) quando si promuovono i prodotti del nostro florovivaismo fra fioristi, garden center, grande distribuzione e altri canali.
Tocco l’argomento comunicazione  e pubblicità non solo perché è il mio mestiere, ma anche per far capire che il modo di comunicare si è rivoluzionato - sebbene alcuni facciano ancora finta di non vederlo - e ha stravolto tutto, anche il funzionamento stesso dei mercati. Soprattutto in quest’ultima fase di profondo cambiamento socio-economico e culturale in Italia. L’avvento di internet è stato una vera rivoluzione. Quella guerra rivoluzionaria che uno dei migliori libri di strategia di sempre definisce “perfetta”: quella guerra che per Sun Tzu, nell’Arte della Guerra appunto, è il fare la guerra senza farla. Il risultato è che oggi, grazie al web, la meritocrazia dei contenuti rende la comunicazione, anche pubblicitaria, misurabile. Ma soprattutto condanna senza appello coloro che non fanno comunicazione rilevante per il ricevente. La “fuffa” ormai non funziona più.
Lucas Vos, boss delle strategie di FloraHolland, in questi giorni ha comunicato al mercato l’apertura di una nuova piattaforma che mette al centro il cliente: www.floraholland.com. Questa piattaforma permetterà, almeno quattro volte all’anno, di recuperare dal cliente i suoi bisogni, in modo poi da direzionare l’offerta. Ebbene, il leader mondiale della floricoltura, FloraHolland, sente la necessità di scambiare informazioni con i clienti e con tutta la catena produttiva e distributiva praticamente in modo costante. Ovvio che, se riuscirà nell’impresa, il suo potere e controllo del mercato, che è già adesso egemonico, non potrà che rafforzarsi.
Ma l’altro aspetto, ancor più interessante, è che FloraHolland, la grande cooperativa olandese del fiore e delle piante, sta avviando quella operazione di scorciamento della filiera che aveva peraltro già annunciato a inizio anno. L’operazione serve a comprimere i costi e a redistribuirli al produttore, a scapito di tutti i commercianti. La cooperativa si porrebbe infatti come base distributivo-logistica unica, facendo in un colpo solo un bel “delete” (“cancella”) di una grande fetta di coloro che adesso distribuiscono il prodotto senza avere contatto con l’utente finale. L’idea è che il gestore dei punti retail abbia ancora una sua storia fatta di competenze, ma che colui che compra e rivende semplicemente non abbia più senso, o almeno sia destinato ad avere gradualmente sempre meno spazio nel mercato. Gli esempi più virtuosi di questa tendenza sono, senza parlare di fenomeni internazionali quali Macintosh e restando in Europa, la catena di gelati italiana Grom oppure la francese Aquarelle per i fiori, o Plantes et Jardins, con milioni di fatturato fatti solo sul web.
Insomma uno scenario futuribile, agli occhi di noi italiani, che siamo i secondi produttori europei di piante e fiori, ma non riusciamo a metterci d’accordo su una, due o tre fiere di settore e non sappiamo sfruttare appieno la Pac 2014/2020 e ad attivare dei Pif all’altezza né nella floricoltura in senso stretto né nell’intero ambito dell’orto-florovivaismo, anche perché condizionati dai tempi della politica. Come diADE a luglio del 2014 abbiamo presentato un Pif intitolato “La filiera orto-florovivaistica: come innovare e vendere meglio”. Si sono susseguiti diversi incontri a cui hanno preso parte molti attori della filiera, a cominciare dal Mefit e il Distretto floricolo interprovinciale Lucca Pistoia, ma ad oggi non è venuto fuori niente di concreto.
Ciò accadeva quasi un anno fa, prima che FloraHolland annunciasse le sue nuove strategie e che venisse pubblicato il libro sulla floricoltura italiana di Arturo Croci e Giovanni Serra, i due decani del comparto, che avanza legittime critiche alla situazione attuale, anche se da un punto di vista poco innovativo. L’operosità delle genti di Pescia che Franco Scaramuzzi richiama nella sua presentazione del bel libro ‘Floricoltura e vivaismo a Pescia’ di Leonardo Magnani nel 2001 non trova riscontro, ahimè, nello scenario contemporaneo pesciatino, se non in rarissimi e isolati casi.
Riscrivere la favola dell’agricoltura, il settore primario, vuol dire anche non fossilizzarsi in vuote e fuorvianti celebrazioni simboliche e pensare piuttosto a riconvertire secondo nuovi parametri ambientali, fiscali e strategici, e quindi competitivi, il settore orto-florovivaistico. Il quale, come diADE ha spiegato nel suo progetto di Pif, deve urgentemente ripensarsi culturalmente. Marketing, innovazione, logistica, comunicazione e studio, questo ci vuole, non pulsioni e fiuto politico-elettorali. Nessuno è riuscito per ora a dare una risposta complessiva e convincente al fatto che in Toscana abbiamo una domanda di circa 900 milioni d’euro all’anno di ortaggi e frutta, il doppio di quanta ne produciamo. Potremmo incominciare a dare un contributo in tale direzione dalla Valdinievole e dalla Versilia, rilanciando nel contempo, i comparti sani o comunque ancora ricchi di prospettive del florovivaismo, non vi pare?

Andrea Vitali

primavera contemporanea

viva i fiori

Lo ha detto a Floraviva Alberto Manzo, responsabile del tavolo tecnico del florovivaismo presso il Ministero delle politiche agricole, sentito in margine all’incontro su “L’importanza del fiore italiano” a Myplant & Garden. Dopo una sorta di fase sperimentale, è completato il disciplinare di “Vivaifiori” e sarà presentato al mondo durante l’Expo milanese. Manzo ha anche ricordato che per ora nei Psr regionali al settore florovivaistico, in media, va solo il 5/6 per cento del totale dei finanziamenti.

Questa mattina a Myplant & Garden si è svolto un importante incontro sul tema “L’importanza del fiore italiano” in cui si è discusso di come ridare un’identità alla floricoltura d’Italia. Tema affrontato anche da un progetto in progress sullo stile floreale italiano, che qui alla fiera milanese si è esercitato sul barocco attraverso dimostrazioni floreali delle maggiori scuole nazionali, esposte in un’area del padiglione 10. Durante l’incontro è stato richiamato più volte il nuovo piano nazionale del settore florovivaistico, completato nella seconda metà del 2014. Ad esempio lo ha citato Rudy Casati, docente della scuola Minoprio, quando ha ricordato che nel piano florovivaistico si prevede di dare finalmente riconoscimento al titolo di studio di “fiorista” (nel testo del piano si parla di «introdurre la figura del fiorista nel Repertorio Nazionale delle Figure di riferimento previste nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale» e di «qualifica triennale di “Operatore del Fiore e del Verde”»). Così come è stata sottolineata da più relatori l’esigenza di unità. E Cristiano Genovali, presidente dell’Associazione Piante e Fiori d’Italia, ha addirittura sostenuto che «dobbiamo avere un organo unico necessario per fare nuove sinergie: Piante e Fiori d’Italia è in mano alle camere di commercio, quindi non è di parte, e può diventare l’organo unico, il contenitore trasversale di riferimento del florovivaismo nazionale, senza impedire poi che a livello territoriale si possano declinare» in vario modo le sue decisioni.
Su tali questioni abbiamo sentito al volo il responsabile del tavolo tecnico del florovivaismo presso il Ministero delle politiche agricole, Alberto Manzo, che ci ha annunciato anche che il marchio “Vivaifiori”, già prodotto in via per così dire “sperimentale” da diverse realtà floricole italiane, sarà lanciato ufficialmente durante l’Expo 2015 di Milano.   
«Impossibile ora fare una sintesi del piano nazionale florovivaistico, che è pubblicato nel sito web del Ministero, - ha esordito Alberto Manzo -. In linea di massima si può dire che prevede per tutti e tre i settori (quindi fiori recisi, piante in vaso e piante superiori) determinati aspetti che sono ovviamente delle priorità per il settore. E’ evidente che il piano di settore prevede anche delle azioni e degli obiettivi che devono essere messi in atto dalle regioni nei propri Psr [Piani di sviluppo regionali, ndr]. Ed è evidente anche che ci sono degli aspetti che riguardano tutte le fasi della filiera che vanno sicuramente migliorate e fra queste, non ultima, ovviamente, la comunicazione, che è l’aspetto promozionale più importante».
Guardando al totale dei piani di sviluppo regionali, ha detto nel suo intervento, le risorse dedicate al florovivaismo non superano nel complesso il 5/6% del totale..
«Io ho dato una cifra che rende l’idea di quanto le regioni credono in questo settore, ma magari ci sono delle eccellenze regionali che ne hanno di più, quella è una media fra le regioni […]. In realtà ormai in tutte le regioni c’è una bella produzione florovivaistica, realtà bellissime. Ma è anche vero che in funzione dei sistemi che vengono adottati, dei criteri e dei punteggi, molto spesso quando si fanno dei bandi in agricoltura il settore florovivaistico è quello che, avendo sempre meno punteggi negli anni precedenti, ci rimette. E quindi rivedere questi criteri a livello regionale è fondamentale. Perché, per fare un esempio pratico, l’azienda florovivaistica ha bisogno di più ore lavorative ed è più intensa rispetto a un’azienda che ha delle colture estensive meccanizzate. Invece, appunto, per quanto riguarda il numero degli addetti e quant’altro, per la complessità della produzione florovivaistica ecc., evidentemente non ci sono in questo settore quei parametri che permettono di dare più punteggio alle aziende».
Lasciando la questione finanziamenti, nell’incontro lei ha parlato del marchio “Vivaifiori”: che cosa è esattamente?
«E’ un progetto che è nato nel precedente piano nazionale di settore e che è giunto al termine e consiste nella identificazione della produzione nazionale. Il marchio “Vivaifiori” non è un marchio del ministero, ma un marchio privato, perché stato fatto un progetto richiesto dal tavolo di filiera ad Ismea, Ismea ha messo a punto il progetto con un ente certificatore che è Bureau Veritas (lo diciamo ma perché è previsto nel progetto) e l’identificazione di un marchio prevede dei disciplinari di produzione nazionale. Per cui tutto ciò che viene prodotto in Italia dovrà essere marchiato ed evidenziato bene in modo da differenziarlo dagli altri prodotti che italiani non sono. Una sorta di etichettatura e tracciabilità, un marchio di garanzia nazionale per il consumatore».
Mi par di capire che sia pronto soltanto a livello di definizione dei disciplinari..
«No, no ci sono già delle associazioni, dodici associazioni a livello nazionale che hanno aderito e queste associazioni già cominciano a vendere prodotti col marchio. Anche qui alla fiera. […] Però adesso dobbiamo chiudere i disciplinari e, una volta che sono pronti, lanciarli durante l’Expo 2015. Diciamo che per ora è stata una fase sperimentale e ci sono dei prodotti già venduti. Adesso bisogna chiudere, perché ovviamente il ministero ha investito su richiesta del tavolo di filiera… Ripeto, un marchio privato: probabilmente l’idea è che – anzi quasi una certezza – si parta con l’associazione Piante e Fiori d’Italia che fa proprio il marchio come associazione leader e a quel punto si ratifica il tutto. Poi penserà il ministero a fare la promozione».
Ecco, Piante e Fiori d’Italia, come ha spiegato Genovali durante l’incontro, è in mano alle camere di commercio, vero?
«E’ ancora delle camere di commercio, ed è un’associazione che coinvolge tutti i floricoltori a vario titolo. Il problema è che le camere di commercio stanno attraversando una fase di ripensamento e quindi l’associazione ha bisogno di ripartire dal basso. Speriamo di dargli una mano anche con questa iniziativa».
Ma non si sa quale sarà l’assetto di Piante e fiori d’Italia?
«No, questo lo dovete chiedere a Genovali».
E’ stato ricordato durante l’incontro che nel piano del florovivaismo c’è un capitolo dedicato alle scuole e al titolo di fiorista, cosa è stato fatto?
«C’è una iniziativa dei fioristi [fra cui Federfiori, ndr] che ancora deve partire. Noi abbiamo sottolineato l’importanza anche della parte commerciale della filiera florovivaistica, che è l’ultimo anello ma non meno importante degli altri».

Lorenzo Sandiford


Intervista al presidente di Cia Pistoia, all’indomani di un incontro al Cespevi, sul ruolo del centro di sperimentazione, a cui si vogliono affidare ricerche mirate su richiesta dei vivaisti, e sul futuro del distretto pistoiese. Nel documento sul florovivaismo firmato dall’alleanza Cia-Confagricoltura si parla di «certificazioni d’area» e brevetti, «carta dei valori» in relazione anche ai pagamenti. Orlandini dice la sua pure sulla questione Imu.

Ieri si è tenuto a Pistoia un importante incontro al Centro di sperimentazione per il vivaismo (Cespevi), presieduto da Renato Ferretti, a cui erano presenti le associazioni di categoria e numerosi imprenditori agricoli del vivaismo. Fra gli intervenuti c’era anche Sandro Orlandini, presidente di Cia Pistoia, al quale abbiamo posto alcune domande non solo a proposito dell’incontro, ma anche su altri temi all’ordine del giorno nel florovivaismo e in tutto il settore agricolo pistoiese
Cosa è venuto fuori dalla riunione del Cespevi? Qualche novità?
«L’incontro aveva per tema il futuro e il ruolo del Cespevi. Tra le proposte emerse per valorizzarlo ricordo l’idea di utilizzare il Centro di sperimentazione per ricerche mirate sulle esigenze del settore, sia ispirate dai bandi di finanziamento pubblico europei e regionali, sia su commissione delle aziende interessate ad approfondire questioni specifiche. La risposta dei vivaisti presenti è stata positiva, a cominciare da quella di Vannucci, presidente del distretto uscente».
Ecco, avete parlato anche del distretto vivaistico pistoiese, di cui va trovato il nuovo presidente, che sostituirà Vannucci? Qual è la posizione di Cia in ogni caso?
«Qualche scambio di battute sul distretto c’è stato. A me preme ricordare la posizione di Cia in proposito. Come Agrinsieme [il coordinamento che rappresenta le aziende e le cooperative di Cia, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative italiane, ndr] c’è innanzitutto l’accordo sul nome di Francesco Mati, responsabile nazionale per il florovivaismo di Confagricoltura e titolare di un’azienda storica del vivaismo pistoiese, nonché persona preparata e al passo coi tempi. Poi, sempre nell’ambito di Agrinsieme, abbiamo sottoscritto da poco un documento che afferma quello che dovrebbe fare il distretto vivaistico pistoiese non appena insediata la nuova presidenza».
Può anticipare qualche aspetto di questo documento sul florovivaismo?
«Fra i punti sottolineati con forza c’è l’esigenza di valorizzare la produzione vivaistica locale attraverso certificazioni d’area. Bisogna poi strutturarsi per i brevetti, e su questo fronte un ruolo importante potrebbe averlo anche il Cespevi. Inoltre, nell’ambito del distretto, verrà elaborata una carta dei valori sui rapporti economici all’interno della filiera, soprattutto in relazione ai tempi di pagamento».
La questione Imu è sempre calda su più fronti, da quello della batosta ai terreni agricoli delle comunità montane a quello delle disparità nelle rendite catastali in agricoltura. Cosa ne pensa in sintesi?
«Ci opponiamo in maniera assoluta all’inasprimento dell’Imu che ha colpito i terreni agricoli nei comuni montani, già provati dalla mancanza di redditività e dai problemi legati all’assetto idrogeologico. Mi conforta, tuttavia, aver ricevuto ieri da Cia nazionale una nota che riferisce di un incontro organizzato dai gruppi parlamentari del Pd, il maggior partito, nel quale è stato assicurato che la norma verrà completamente riformulata venendo incontro alle necessità delle aziende presenti nelle zone montane e svantaggiate».
E, riguardo alle rendite catastali, è vero che esistono disparità significative che danneggiano l’agricoltura del territorio di Pistoia?
«Ora come ora, quando si parla di vivaismo, non è più oro quel che luce ed è giusto, pertanto, adeguarsi ai tempi. E quindi si possono accettare aliquote un po’ più alte, ma non di 3 o 4 volte, come succede adesso nel confronto fra territorio pistoiese e altre zone florovivaistiche d’Italia, oppure nel rapporto fra il nostro territorio e aree con altri tipi di coltivazioni». 
 
Lorenzo Sandiford
 
 

oreste giurlani

Il sindaco di Pescia apprezza l’«incoming divulgativo» promosso oggi e domani tra Pistoia e Lucca dalla manifestazione pistoiese ‘Vestire il paesaggio’ in vista dell’Expo di Milano: non solo perché ha toccato pure il mercato dei fiori pesciatino e Collodi, ma anche perché è un’azione concreta nella direzione da lui auspicata della complementarietà di vivaismo e floricoltura in seno a una strategia unica del florovivaismo toscano.

«Per vestire il paesaggio non bastano il verde e le piante pistoiesi, che comunque restano essenziali e trainanti, ma ci vogliono anche i fiori del distretto floricolo pesciatino-viareggino, nella logica di una sorta di super distretto del verde fiorito toscano. Per questo ho molto apprezzato che l’incoming divulgativo con la stampa estera organizzato per oggi e domani in anticipazione dell’Expo di Milano dai vivaisti pistoiesi abbia previsto anche una visita al mercato dei fiori di Pescia e a villa Garzoni a Collodi, la patria di Pinocchio, che è stato di recente scelto come ambasciatore simbolico della Toscana all’Expo».
Lo ha dichiarato oggi il sindaco di Pescia Oreste Giurlani dopo la visita di stamani al Mercato Fiori Piante Toscana – città di Pescia (Mefit) di trenta giornalisti da 15 Paesi stranieri organizzata dai promotori della manifestazione pistoiese ‘Vestire il paesaggio’.
«Si tratta di un’iniziativa – ha continuato Giurlani – che va proprio nella direzione da me auspicata il 15 novembre scorso, in un appello rivolto alla Regione Toscana e al sindaco di Pistoia Bertinelli, della complementarietà di vivaismo e floricoltura in seno a una strategia unica del florovivaismo toscano. Strategia che potrebbe poggiarsi sul recupero del vecchio strumento del piano florovivaistico regionale».
«Sarebbe stato ancora meglio - ha concluso Giurlani – se i giornalisti stranieri avessero potuto visitare il Mefit durante la manifestazione nazionale per i fioristi Christmas Flower Trends del 30 novembre e 1 dicembre, un evento formativo e fieristico in cui abbiamo applicato le logiche della moda alla commercializzazione dei fiori e delle piante suggerendo agli operatori del settore i trend del gusto floreale per Natale e tutto l’inverno. Il rilancio della filiera florovivaistica passerà sempre di più anche da eventi di questo genere che fanno leva sulla creatività e la qualità estetica nel modo di confezionare i prodotti e allestire gli spazi espositivi e tutto il territorio circostante, oltre che sulla loro qualità intrinseca frutto di una sapiente miscela di tradizione e innovazione». 
 
Redazione Floraviva

Secondo Mario Carlesi, presidente di Coldiretti Pistoia, e Cristiano Genovali, a capo di Coldiretti Lucca, buone prospettive per l’ecologia applicata al florovivaismo, anche quello floricolo del distretto pesciatino e viareggino. Carmazzi in vetrina come esempio di floricoltore green e innovativo. Procissi, di Coldiretti Valdinievole, sostiene che sarebbe il momento migliore per investire in energie rinnovabili e uscire dall’anonimato, ma molti produttori sono stremati dalla crisi e intimoriti.

All’incontro di Coldiretti “Lavorare e vivere green in Italia”, tenutosi stamani al Mandela Forum di Firenze, ha avuto un po’ di spazio sotto i riflettori dei media anche il florovivaismo: sia nella versione della coltivazione di piante ornamentali del pistoiese sia in quella floricola o florovivaistica del distretto interprovinciale Lucca Pistoia, che ha come punte di diamante i territori della Valdinievole, con al centro Pescia e il suo Mefit (Mercato Fiori Piante Toscana), e di Viareggio e Torre del Lago.
Già sul palco la giornalista Luisella Costamagna, all’inizio dell’incontro, è stata accolta da alcuni bouquet made in Viareggio. Ma soprattutto, all’ingresso, era in esposizione, fra gli esempi d’innovazione, l’azienda di Marco Carmazzi, florovivaista specializzato in peperoncini fiori commestibili e ultimamente orti verticali, nonché presidente del distretto floricolo pesciatino e viareggino (ma qui solo in veste di militante Coldiretti).
Che prospettive ci sono per un florovivaismo green, vale a dire per un florovivaismo che sposi sempre di più il modello di agricoltura attento alla sostenibilità ambientale e alla qualità e unicità dei prodotti promosso da Coldiretti? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei protagonisti dell’associazione nel territorio distrettuale, a cominciare da Maurizio Procissi, responsabile Coldiretti per la Valdinievole Ovest.
«In chiave pesciatina – esordisce Procissi - questo incontro ci tocca in maniera marginale, perché la nostra zona è prettamente a vocazione florovivaistica ed esce un attimo da quello che per me è l’argomento del giorno principale, cioè le rendite finanziarie legate alla Pac (Politica agricola comune, ndr): praticamente noi vogliamo che i soldi dell’Europa vadano agli agricoltori e non a banche e assicurazioni proprietarie di grandi estensioni di territorio. E questo è l’anello principale. E’ ovvio che poi c’è una difesa dell’agricoltura tutta. Il ministro è presente. Anche il ministro dell’ambiente è presente. Abbiamo fatto le nostre proposte per un settore florovivaistico che si possa sviluppare e quindi speriamo che vengano accolte». Ma, sollecitato, Procissi non si ferma qui e aggiunge qualcos’altro in materia di florovivaismo. «E’ da un anno circa – dice – che stiamo lavorando sul progetto Fai (Filiera agricola italiana): cerchiamo di calarlo anche nella filiera florovivaistica». Procissi conclude osservando che il modello green di agricoltura implica, sul lato produzione, l’impiego di energie alternative: «dal punto di vista economico questo sarebbe il momento migliore per investire in tale direzione, ma è difficile farlo capire ai nostri floricoltori provati dalla crisi. Però in realtà è il momento ideale per uscire dalla massa e fare investimenti».
Il presidente di Coldiretti Pistoia, Mario Carlesi, sostiene che «i fattori innovativi del vivaismo pistoiese sono le ricerche dei nuovi mercati, ma soprattutto la ricerca per produrre in modo sostenibile». «Coldiretti Pistoia – continua - è capofila di un progetto di Pif in cui abbiamo l’appoggio delle università di tutta la Toscana per creare un vaso ecologico, che non sarà più un problema come la vecchia plastica, ma un vaso che si dissolverà nell’ambiente a contatto con il terreno. E questa non è un’innovazione, ma una rivoluzione che cambierà certamente il modo di lavorare». E alla domanda se la filosofia green avrà un impatto anche sul florovivaismo del distretto floricolo Lucca Pistoia, risponde: «penso proprio di sì […] il prossimo futuro dell’agricoltura, e di Coldiretti in particolare, che proprio ci tiene a questo, perché la nostra agricoltura è tutta centrata sui prodotti di nicchia, perché dobbiamo vendere qualità e tracciabilità. I nostri consumatori non ci chiedono solo la qualità ma anche come è stato prodotto questo bene di così grande qualità. E vale già ora, ma nel prossimo futuro ci sarà sempre più ecologia nelle nostre aziende». «Anche nel florovivaismo – conclude Carlesi - si sta veramente andando in quella direzione, grazie anche alle ricerche delle università. Non è che siano cose estemporanee dei produttori. Gli agricoltori si stanno ormai appoggiando all’università nella ricerca più avanzata, non si può più ascoltare chi ci consiglia solo su come fare business, ma su come fare business ed ecologia».    
E come viene vista invece la svolta green dai floricoltori della Versilia? Come osserva Cristiano Genovali, presidente di Coldiretti Lucca, nonché floricoltore, «abbiamo qui una rappresentanza di questa prospettiva green, un’azienda che è un fiore all’occhiello di questo settore. Non fa food, ma fa ornamentale e quindi anche sull’ornamentale si possono ottenere certificazioni. E’ una certificazione dal punto di vista della green economy importantissima perché certifica un processo e un prodotto che può essere anche commestibile, perché si tratta di un’azienda che produce peperoncini, l’azienda Carmazzi di Torre del Lago a Viareggio». «Le prospettive per la green economy – prosegue Genovali - sono sicuramente importanti, perché c’è tutto un mondo da scoprire anche per quello che concerne il settore vivaistico: nuove tecniche di produzione, nuovi impianti…». E a domanda sugli effetti di ciò sul distretto floricolo con tutti i suoi problemi risponde: «i problemi nel distretto floricolo ci sono e il presidente del distretto è molto attivo anche su questo fronte - tra l’altro è la stessa persona di cui parlavamo prima, Marco Carmazzi -. La green economy qui si può riverberare con una scelta di tecniche produttive innovative e anche, soprattutto, con una selezione di specie floricole più in linea con l’andamento climatico del nostro paese. Quindi andando a scegliere quelle produzioni che possono avere un bassissimo impatto energetico e un impiego di chimica minore, sia dal punto di vista delle concimazioni che dal punto di vista dell’impiego di fitofarmaci». A che punto siamo? «Ci sono moltissime aziende – risponde Genovali - che stanno puntando su questo, riconvertendosi dal punto di vista produttivo e andando a scegliere non più le produzioni tipiche che potevano esserci nella zona costiera della Versilia e nella Valdinievole (che poi sono le due aree vocate al florovivaismo della regione toscana); riconvertendosi non più magari alle rose o ai lilium o a specie che richiedono anche grossi impieghi di combustibili fossili per il riscaldamento, ma puntando su quelle produzioni che hanno un basso impatto ambientale per l’uso minore di pesticidi richiesti, perché più si va a scegliere specie floricole del territorio, quindi più vicine all’habitat naturale in cui si trovano, meno bisogno hanno di concimazioni e fitofarmaci, e poi richiedono un impiego minore di combustibili fossili. Ecco in che modo si può sostenere la green economy anche nel florovivaismo».
E cosa dice il lupus in fabula, Marco Carmazzi, lì presente insieme al figlio Giacomo, già impegnato a farsi le ossa nell’azienda di famiglia? Che spazio c’è nella floricoltura per il «lavorare e vivere green»?
«Noi chiediamo come imprese – è la sua risposta - che ci sia lo spazio e soprattutto che questo sia il futuro dell’economia, non solo quella agricola. E’ per questo che siamo qui con la nostra azienda a testimoniare le nostre scelte in tale direzione: dall’impianto fotovoltaico alle biomasse dalle certificazioni ambientali Iso 14001 al biologico». «Dagli investimenti nelle certificazioni ambientali – insiste Carmazzi - agli investimenti nelle energie rinnovabili, da quelli fatti nelle cultivar nuove o comunque in idee che pensiamo essere nuove, come i fiori edibili o la filiera del peperoncino, ecc., questa penso che sia la direzione giusta: una scommessa in un’economia verde nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente».

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