Più peso all’agricoltura (toscana), ma reddito e clima sono sfide toste

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Giampiero Maracchi

Per Giampiero Maracchi, presidente dell’Accademia dei Georgofili, la risposta alle calamità naturali per i cambiamenti climatici e alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime sono le assicurazioni. L’agricoltura, ora responsabile solo del 10% dell’effetto serra, può scendere al 2/3%. Marco Moriondo (Cnr-Ibimet) elenca le strategie che dovranno adottare gli agricoltori nei futuri scenari del clima.

«Andremo a vendemmiare a fine luglio, a 2 mila metri di altitudine». Questa battuta, semiseria, pronunciata verso la fine dell’incontro dalla presidente del Collegio interprovinciale dei Periti Agrari di Lucca, Pisa, Pistoia, Livorno e Massa Carrara, Giulia Parri, sintetizza bene il possibile impatto sull’agricoltura dei cambiamenti climatici prospettati dal presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi e dal ricercatore del CnrIbimet di Firenze Marco Moriondo nei loro interventi al convegno del 3 marzo all’Istituto tecnico agrario Dionisio Anzilotti di Pescia. Incontro a cui hanno partecipato anche il sindaco Oreste Giurlani e l’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi illustrando le prospettive del settore agricolo nei loro ambiti di competenza (vedi nostro articolo).

In realtà, la relazione del noto climatologo e agrometeorologo fiorentino che presiede i Georgofili, intitolata “Cambiamento climatico, globalizzazione e agricoltura”, non si è limitata a illustrare le tendenze del clima, ma ha messo in discussione l’intero modello attuale di sviluppo economico capitalistico, ormai quasi sfuggito di mano ai governi, e ha elogiato, quale esempio di documento politico di altissimo livello, capace di inquadrare tutti i temi centrali della questione ambientale, l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’.

Restando all’evoluzione climatica, Giampiero Maracchiha ricordato che, a causa dell’effetto serra, gli oceani si sono molto riscaldati e dal 1980 ad oggi il loro contenuto di calore è aumentato di circa 7 volte. Questa è una delle cause principali dei cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo, con piogge la cui intensità è aumentata negli ultimi 20 anni di 9 volte e il verificarsi anche in Toscana di bufere come quelle del marzo e dell’agosto 2015 con venti di 160 chilometri orari capaci di sradicare anche solidi pini di 100 anni. Inoltre le temperature alte in inverno hanno causato le fioriture anticipate delle mimose (due mesi prima della festa della donna) e di diversi alberi da frutto, con il rischio che una gelata comprometta il raccolto. Le emissioni di gas che causano l’aumento dell’effetto serra, ha spiegato Maracchi, dipendono dall’utilizzo di combustibili come petrolio, gas e carbone. Il 40% di tali emissioni a livello mondiale sono imputabili ai trasporti, che hanno avuto un forte incremento per effetto, soprattutto, della crescita del commercio (aumentato dal 2000 al 2010 quattro volte più velocemente del Pil).

Quale ruolo per l’agricoltura e la selvicoltura in questo contesto? Secondo Maracchi è probabilmente finito il tempo dell’agricoltura Cenerentola, «è iniziata un’epoca nuova». L’agricoltura, ha ricordato Maracchi, è meno inquinante di altri settori economici: «oggi è responsabile del 10% dell’effetto serra, ma si può modificare portandola, con tutta una serie di accorgimenti, a un’incidenza del 2/3%». Non solo, «può dare un contributo all’uso di energie rinnovabili». Ad esempio in Danimarca l’agricoltura è autosufficiente sul piano energetico grazie all’utilizzo dell’olio di colza, un prodotto dell’agricoltura. «In Italia – ha detto Maracchi – il 35% delle necessità energetiche potrebbe essere soddisfatto con l’agricoltura»: attraverso l’uso del fotovoltaico sui 5 milioni di fabbricati agricoli, grazie alle biomasse derivate dagli scarti del bosco e delle coltivazioni, e così via.

Però c’è un problema: l’agricoltura deve essere in grado di assicurare un reddito agli agricoltori, ma oggi su 100 euro spesi dal consumatore finale, l’utile del produttore è solo di 3 euro. La sfida è rendere più redditizia l’agricoltura. Una parte importante di essa, secondo Maracchi, si giocherà sul fronte assicurativo, cioè grazie ad assicurazioni in grado di proteggere l’agricoltore sia dalle calamità naturali sia da improvvisi cali dei prezzi. Maracchi ha infine elencato i punti deboli dell’agricoltura italiana (che vale il 14% del Pil, se si considera tutta la filiera agroalimentare, e dà lavoro a 3 milioni di persone): costo dei trasporti superiore alla media dell’Ue del 20%; costo dell’energia elettrica maggiore del 70% rispetto alla media europea; export cresciuto, ma ancora inferiore a quello di Francia e Germania.

Richiamate le evidenze scientifiche che provano che il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo è causato dall’aumento di CO2, Marco Moriondo ha illustrato alcune tendenze del clima in Toscana: dal 1951 al 2006 si è verificato un incremento medio della temperatura annuale, ma ciò è l’effetto in gran parte dell’incremento di temperatura nei periodi estivi (circa 1 grado e mezzo in più); nello stesso cinquantennio la quantità annuale di pioggia è rimasta costante, ma sono diminuiti i giorni piovosi, il che implica quell’aumento di intensità delle piogge messo in evidenza da Maracchi. Le conseguenze in agricoltura sono state le modificazioni delle fasi fenologiche, in particolare anche dell’olivo e delle viti, per cui la fioritura di tali piante arriva con diversi giorni di anticipo rispetto a 50 anni fa.

Quali saranno in futuro gli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura e il paesaggio? Naturalmente la risposta dipende da quali degli scenari evolutivi del clima, dai più ottimistici ai più pessimistici, si verificheranno a livello globale. Ma, in estrema sintesi, come ha spiegato Moriondo, dato che il clima sarà caratterizzato da temperature più alte, piogge più intense ma meno frequenti e maggiori ondate di calore, si assisterà a un’anticipazione delle fasi fenologiche delle piante, all’accorciamento dei cicli di crescita e alla riduzione delle produzioni, e anche il paesaggio cambierà significativamente. Per l’olivo, specialmente a basse latitudini, la resa potrà diminuire nei prossimi vent’anni anche del 10%. Idem per le viti del Chianti. Ma, in particolare per il vino, il problema più importante sarà legato alla qualità: per mantenere i livelli attuali con certi vitigni le produzioni si sposteranno in aree col clima più adatto. Quindi in zone altimetriche più elevate e più a nord. Gli stessi spostamenti dovrebbero avvenire per l’olivicoltura, con l’azzeramento delle produzioni in Nord Africa e l’incremento in Francia.

Le strategie con cui l’agricoltura potrà reagire a tali trend elencate da Moriondo sono le seguenti:

- miglioramento genetico delle piante

- perfezionamento delle tecniche di irrigazione

- lotta alle malattie

- cambiamento di gestione delle colture (ad esempio, posticipo potature)

- spostamento delle aree di coltivazione (verso aree collinari più alte per molte delle produzioni tipiche).

 

Lorenzo Sandiford

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