Florovivaisti Italiani-Cia: scenari e spunti per competere in Europa
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A Myplant & Garden al convegno dell’Associazione Florovivaisti Italiani di Cia il punto sul settore col sottosegretario La Pietra. Le voci di tre distretti.
Il settore florovivaistico di fronte all’emergenza siccità e a una situazione di mercato critica, dopo un biennio segnato da pandemia, aumenti record delle materie prime e crisi energetica.
Questo il punto di partenza del convegno organizzato il 24 febbraio dall’Associazione dei Florovivaisti Italiani di Cia-Agricoltori Italiani, “Italia vs. Europa: il mercato delle piante”, nell’ambito della fiera MyPlant&Garden a Milano Rho. Come riportato in un comunicato di Cia, ha aperto il convegno Aldo Alberto, presidente dell’Associazione dei Florovivaisti Italiani, ricordando i problemi storici del florovivaismo nazionale, che ancora stenta a fare sistema come accade all’estero. «Siamo ancora troppo legati all’iniziativa imprenditoriale del singolo imprenditore. Non è più rinviabile il riconoscimento del nostro settore, che si deve realizzare con un ufficio dedicato al Masaf e una legge quadro, da lungo tempo attesa - ha dichiarato Alberto -. E’ inoltre importante una buona dose di programmazione economica per incrociare la domanda e l’offerta di prodotto».
«Il florovivaismo non deve più essere la Cenerentola dell'agricoltura», ha dichiarato il sottosegretario al Masaf, Patrizio La Pietra, nel suo intervento. «Il settore ha bisogno di strategie di lungo termine, con una adeguata programmazione economica, frutto di una fattiva collaborazione di tutti i distretti interessati. Il ministero dell'Agricoltura farà la propria parte garantendo un'interlocuzione diretta con le associazioni di categoria». Anche per La Pietra è fondamentale valorizzare il florovivaismo inquadrandolo in una legge che attribuisca a ciascun attore della filiera le singole competenze e prende l’impegno a nome del Governo di portare a termine l’obiettivo entro la fine della legislatura.
Sull’export del florovivaismo nazionale è intervenuta Cristina Chirico, responsabile per Cia dell’internazionalizzazione. «L’esportazione si conferma sempre di più una componente essenziale del reddito dei nostri produttori – ha detto -. Occorre rafforzare il Made in Italy florovivaistico attraverso strumenti innovativi di promozione e strategie di comunicazione che abbiano l'obiettivo di una maggiore diversificazione delle destinazione nei mercati extra Ue. Senza dimenticare la crescita di domanda internazionale verso un prodotto sostenibile». Chirico ha sottolineato soprattutto l’importanza dei Paesi terzi, in virtù del +50% nel mercato Usa realizzato dall’Italia nell’ultimo anno: «durante la pandemia, il processo di delocalizzazione in alcuni Paesi del Sud America si è rallentato e questo potrebbe rappresentare un vantaggio per le nostre produzioni territoriali». Chirico ha, infine, sottolineato l’importanza dei programmi di promozione che vanno in futuro incentivati per dare un’ulteriore spinta al settore.
Il presidente Cia, Cristiano Fini, ha concluso l’evento ricordando quanto è stato fatto da Cia in questi anni con la nascita di un’associazione dedicata al florovivaismo, necessaria per aggregare il mondo produttivo e permettergli di avere maggiore visibilità con gli interlocutori istituzionali italiani e stranieri. «Mi rallegro delle positive dichiarazioni del sottosegretario La Pietra sulla legge quadro – ha evidenziato Fini - e guardo con grande favore alla convocazione dell’incontro interministeriale sul problema della siccità da parte della premier Meloni. Oltre a quanto detto da Chirico sull’export, ribadisco anche l’importanza dello stimolo dei consumi interni, aumentando il potere d’acquisto degli italiani grazie a nuove misure sul taglio del cuneo fiscale».
Le voci di tre distretti florovivaistici: Liguria, Pistoia, Puglia
All’incontro organizzato dall’Associazione Florovivaisti Italiani e Cia sono stati invitati a parlare anche i presidenti di tre importanti realtà distrettuali florovivaistiche, che sono intervenuti dopo l’introduzione di Aldo Alberto. Nell’ordine di intervento hanno parlato il presidente del Distretto florovivaistico della Liguria Luca De Michelis, il presidente del Distretto vivaistico-ornamentale di Pistoia Francesco Ferrini e il presidente del Distretto florovivaistico e del cibo di Puglia Piero Tunno. Ecco una sintesi dei loro interventi.
Il presidente del Distretto florovivaistico della Liguria Luca De Michelis ha prima sottolineato due dati rappresentativi della Liguria in campo florovivaistico, cioè il fatto che «produce 150 milioni di vasi» e che è «la prima regione dove il pilastro principale dell’agricoltura è il florovivaismo, nel senso che l’economia agricola è sostenuta principalmente dalla floricoltura, sia dal fiore reciso che dal vaso». Poi si è soffermato su un processo di cambiamento in corso ultimamente: «le nostre aziende sono piccole, ma stiamo vedendo che c’è una diminuzione del numero delle aziende ma un aumento delle superfici: vuol dire che stiamo gradualmente facendo sistema.
De Michelis è poi passato a illustrare alcune delle problematiche principali del florovivaismo. «Siamo deboli commercialmente – ha messo in evidenza per prima cosa - sia come aziende agricole che come commercianti ed esportatori. Questo per una questione di sistema. Siamo piccoli». Collegato a ciò il secondo problema: «l’individualismo, che abbiamo noi latini e noi che siamo baciati dal mar Mediterraneo. La colpa è nostra, di noi come produttori. Se non facciamo un cambiamento di mentalità da questo punto di vista, come diceva Aldo, siamo tagliati fuori. La mentalità deve cambiare. Ad Albenga il quadro si è un po’ evoluto, nel senso che qualcuno ha pensato di fare rete d’impresa o di formare cooperative». Dopo aver citato senza tanti commenti la burocrazia e le problematiche fitosanitarie, De Michelis ha rimarcato anche la questione più specifica dei vasi che vengono considerati dalla normativa «non come mezzi di produzione ma come imballi».
Altro grosso problema generale, secondo De Michelis, «è che noi abbiamo bisogno di questo decreto del florovivaismo, dell’ufficio dedicato alla floricoltura. Io non posso pensare che l’opinione pubblica parla di floricoltura quando Blanco s’imbelina nelle rose: è assurdo. Noi dobbiamo parlare di floricoltura sempre. Perché siamo un fiore all’occhiello». Proprio come succede con l’agroalimentare italiano, che «è pubblicizzato in maniera spettacolare».
Ma le problematiche non sono solo politiche, ma pure sul fronte commerciale. «Perché oggi i nostri agricoltori - ha concluso De Michelis - hanno fatto dei cambiamenti epocali, hanno migliorato le varietà, hanno variato i vasi, si sono certificati e molte volte tutto questo sforzo non è stato riconosciuto. Quindi noi abbiamo bisogno che la parte commerciale oggi ci aiuti e faccia presente che le produzioni che abbiamo noi sono produzioni eccellenti. Ci deve essere il giusto guadagno per tutti».
Dopo essersi presentato, il prof. Francesco Ferrini, presidente del Distretto rurale vivaistico-ornamentale della provincia di Pistoia da un anno e mezzo, ha esordito confermando che «il vivaismo si sta evolvendo, anche se questa cosa non è percepita all’esterno». E «si sta evolvendo – ha continuato - perché c’è la necessità di un cambiamento: ci sono diversi segnali. Alcuni sono stati già detti. Il cambiamento climatico, ad esempio». «L’importante – ha chiosato - è che i produttori sappiano coglierli, valutarli e adattarsi ad essi».
«Ho trovato una presentazione di Banca Intesa sull’Agribusiness – ha poi messo in luce il presidente del Distretto vivaistico di Pistoia Ferrini - fatta molto bene, in cui sono esposti quattro macro trend del settore che credo siano ampiamente condivisibili. C’è sicuramente il focus sulla sostenibilità, c’è una velocissima innovazione e digitalizzazione di tutte le operazioni. E ovviamente bisogna tener conto dell’ultima parte, cioè che ormai è assodato, soprattutto dopo la pandemia, che il verde ha un benefico effetto sul nostro benessere generale».
«Sappiamo che Pistoia è l’hub vivaistico-ornamentale più grosso d’Europa se non addirittura del mondo – ha poi proseguito Francesco Ferrini -. Ci sono dei punti di forza e di debolezza, ma ci sono anche molte opportunità e minacce, secondo la classica analisi swot». Ma Ferrini ha posto l’attenzione su una questione spesso trascurata: «il problema è che il vivaio, e in questo caso parlo di quello vivaistico-ornamentale, cioè di piante destinate al verde urbano o al verde privato, è qualcosa di estraneo alla progettazione e gestione del verde. Cioè si va nel vivaio quando già tutto è stato deciso. E questo poi provoca spesso degli insuccessi, che non vengono addebitati a chi li ha determinati, ma al vivaista che ha prodotto le piante. E questo non è accettabile». Come scongiurare quest’ultimo rischio? Per Ferrini «bisogna che il vivaista, il comparto vivaistico, diventi lui stesso il motore di cambiamento, lui stesso l’hub informativo, perché il vivaista ora non ha molta informazione su che cosa produrre, su quanto produrre, su per chi produrre, su dove produrre e su quali tecniche produttive utilizzare». Domande che richiedono risposte in fase progettuale, sottolinea il presidente del Distretto di Pistoia, «perché ovviamente tutto questo si riflette sulle scelte della programmazione della produzione», che non sono scelte solo tecniche, sulle quali i vivaisti sono ampiamente preparati da tempo, ma anche scelte strategiche e tattiche o anche emergenziali. Quindi deve cambiare la visione del vivaio, che deve diventare «il think tank, l’hub dove partono le idee, dove non si va a comprare piante, ma si va a farci dire che piante mettere, quando metterle, dove metterle e come gestirle».
Ferrini ha concluso il suo intervento ricordando alcuni degli ultimi progetti portati avanti dal Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia, alcuni già sotto la presidenza del predecessore Francesco Mati, e che in generale vanno nella direzione di «neutralità climatica», «economia circolare», «nuove tecnologie», «logistica smart» e «introduzione di colture di specie e varietà sempre più resilienti». Fra i progetti illustrati da Ferrini, Autofitoviv, il Pid “Vivaismo per un futuro sostenibile” (vedi anche qua) e il più recente per un Laboratorio di autocontrollo fitosanitario.
Infine, il presidente del Distretto florovivaistico e del cibo di Puglia Piero Tunno ha esordito ricordando che il suo distretto «ha già una storia di 12 anni» e che, essendo la Puglia una regione piuttosto grande, «non siamo riusciti a portare qui nemmeno tutte le aziende agricole, florovivaistiche, vivaistiche ecc.». «Non so dirvi precisamente i numeri – ha aggiunto - ma vi posso dire che è un mercato abbastanza importante per la produzione» (vedi).
Dopo aver rievocato l’importante tradizione florovivaistica e botanica dell’Italia, il presidente Tunno ha affermato che «ultimamente ci siamo un po’ persi, qualcosina non sta funzionando, probabilmente perché non ci siamo fatti sentire abbastanza. Il fatto è che le associazioni in Italia sono disgregate, piccole. Noi non siamo mai stati abbastanza compatti e uniti per fare una voce univoca per portare al ministero richieste precise e coerenti. Ma adesso ci stiamo provando».
E sono 4 i punti oggetto di richieste al sottosegretario La Pietra illustrati dal presidente del Distretto florovivaistico di Puglia. A cominciare da 1) la necessità di «prevedere un agronomo nella pianta organica di ogni Comune d’Italia», perché «non è pensabile che un territorio comunale che per il 95% è agricolo abbia un ufficio tecnico senza un agronomo. Ci sono architetti, ingegneri, geometri, ma non c’è un agronomo con il quale poter dialogare. Quindi un’azienda agricola quando va a parlare con l’ufficio tecnico del suo Comune, non ha un interlocutore. Questo è gravissimo». Quindi bisogna «prevedere nella pianta organica di un Comune un agronomo o perito agrario». In questo modo potremo immaginare uffici tecnici comunali in grado di fare «un censimento di quello che è il verde pubblico», cosa importante perché «negli ultimi anni il verde pubblico dei Comuni è diminuito».
Il punto n. 2) per Tunno è che «dobbiamo rendere la produzione di piante e fiori, ma soprattutto di fiori, più sostenibile». E a tal fine, ha continuato, «ci aiuterebbe molto se sulle strutture floricole che abbiamo potessimo per esempio mettere dei pannelli fotovoltaici». Come messo in evidenza da Tunno, non ci sono in generale problemi paesaggistici in questo caso, perché «le serre non sono belle da vedere, quindi se ci autorizzate a mettere un po’ di pannelli fotovoltaici per continuare a fare le nostre produzioni floricole, potremmo anche vendere un po’ di energia e rendere la nostra produzione più sostenibile. Questo non vuol dire che le aziende agricole o floricole debbano diventare produttori di energia, ma si tratta di fare una giusta combinazione su strutture che già esistono e che comunque paesaggisticamente non sono un bel vedere».
Il punto 3 rimarcato da Tunno è di «avere un po’ più distretto nelle decisioni regionali e nazionali», per usare le sue parole. «Ormai i distretti ci sono – ha detto rivolgendosi idealmente alle istituzioni politiche - li avete voluti. Ci siamo, ci siamo organizzati. Quindi nella programmazione futura consultate i distretti, perché nei distretti avete il tessuto imprenditoriale nazionale. Non è poca cosa. Sono riusciti a raggiungere un grosso traguardo.
E, infine, 4° e ultimo punto, pensato soprattutto per la sua regione, la Puglia, la necessità di sedersi al tavolo della programmazione anche sulla questione della Xylella, che ha devastato il settore.
Redazione