Dazi Usa: a rischio l'agroalimetare made in Italy
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Scattano oggi, con l’avvio dell’indagine da parte del Dipartimento del Commercio Usa, i dazi nei confronti dell’Unione Europea. A rischio il made in Italy alimentare.
È quanto hanno denunciato Coldiretti e Filiera Italia. L'importo complessivo dei prodotti europei da colpire con dazi ammonta a 11 miliardi di dollari e comprende anche importanti prodotti agricoli e alimentari di interesse nazionale come i vini tra i quali il Prosecco ed il Marsala, formaggi, ma anche l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici tra gli alimentari e le bevande colpite.
Il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha avviato un'indagine ed il 28 maggio è prevista l’audizione pubblica delle parti interessate e il successivo invio di considerazioni scritte sulle misure proposte dagli Usa, in risposta agli aiuti europei all’Airbus che danneggiano la Boeing.
Secondo lo studio di Filiera Italia e Coldiretti a risentirne saranno principalmente i prodotti agroalimentari Made in Italy che nel 2018 hanno registrato il record di export un valore di 4,2 miliardi (+2%). E tra questi il vino è il prodotto Made in Italy che sarà più colpito visto che nel 2018 ha registrato un valore delle esportazioni di 1,5 miliardi di euro. Ma sono in pericolo anche gli altri prodotti simbolo dell’agroalimentare nazionale come l’olio di oliva che nel 2018 ha registrato esportazioni pari a 436 milioni o i formaggi italiani che valgono 273 milioni. Per il Pecorino Romano, ad esempio, gli Usa rappresentano circa i 2/3 del totale export mentre per il Grana Padano ed il Parmigiano Reggiano gli Usa sono il secondo paese per importanza, dopo la Germania.
Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, sottolinea che: «Ci sono le condizioni per evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull'economia e sulle relazioni tra Paesi alleati. Gli Usa si collocano al terzo posto tra i principali italian food buyer dopo Germania e Francia, ma prima della Gran Bretagna».
Redazione