CONTRATTI A TERMINE IN AGRICOLTURA: LA CASSAZIONE INTERPELLA LA CORTE UE
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Dubbi sulla compatibilità della normativa italiana con il diritto europeo: attesa una pronuncia che potrebbe cambiare le tutele per il lavoro agricolo stagionale.
Con l’ordinanza n. 12572/2025 del 12 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla compatibilità della normativa italiana in materia di lavoro agricolo a termine con il diritto comunitario. La vicenda prende spunto da due operai agricoli, impiegati per anni nella stessa azienda con numerosi contratti a tempo determinato per le medesime mansioni, la cui richiesta di trasformazione del rapporto in tempo indeterminato è stata respinta in appello, sulla base delle previsioni del CCNL agricolo.
Il contratto collettivo nazionale prevede infatti che il lavoratore agricolo possa chiedere la trasformazione del contratto solo al superamento delle 180 giornate effettive di lavoro in 12 mesi, da esercitare entro sei mesi. Tuttavia, la Cassazione ha sollevato dubbi sull’efficacia di tale strumento rispetto alla clausola 5 dell’accordo quadro europeo allegato alla direttiva 1999/70/CE, che impone agli Stati membri misure idonee a prevenire abusi nei contratti a termine.
I giudici italiani chiedono alla Corte di Giustizia se questa esclusione dalla normativa generale sui contratti a termine e la tutela affidata unicamente alla contrattazione collettiva possano considerarsi conformi al diritto europeo, soprattutto in un comparto ad alta incidenza di stagionalità come quello agricolo.
Il rinvio alla Corte UE pone in evidenza un nodo strutturale del lavoro agricolo in Italia: l’equilibrio tra la flessibilità necessaria alle imprese per rispondere ai cicli produttivi e la tutela effettiva dei lavoratori. La decisione attesa da Lussemburgo potrebbe ridefinire il quadro normativo per l’impiego a termine in agricoltura, settore strategico e al contempo tra i più esposti a dinamiche occupazionali precarie.
Redazione