L’«apertura» dell’agricoltura del ministro Martina e il «polo della trasformazione» di Rossi
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La ricetta lanciata dal ministro delle politiche agricole Martina all’incontro dell’Irpet a Follonica il 18 gennaio, giorno dell’annuncio dei 33,7 miliardi di export agroalimentare italiano nei primi 11 mesi del 2015: più giovani, più aggregazioni, più legami produzione-trasformazione, più infrastrutture, più export. Il presidente della Toscana Rossi punta a «un’alleanza tra industria, turismo e agricoltura» e ipotizza un polo della trasformazione dei prodotti agricoli nell’area grossetana.
La parola d’ordine per il rilancio dell’agricoltura, sia in sistemi territoriali fortemente vocati come il sud e la costa della Toscana che a livello nazionale, è «apertura», «una sfida ad aprirsi il più possibile che significa tante cose»: nuovi e più stretti legami di filiera fra produzione agricola e trasformazione agroalimentare, più infrastrutture per essere connessi alle principali vie di comunicazione e reti logistiche, un rinnovamento generazionale che chiuda il gap di 3 punti percentuali nella presenza di giovani nel settore primario italiano rispetto alla media europea, e più organizzazione attraverso nuovi strumenti di aggregazione della produzione come le reti di impresa o i consorzi ripensati. Forme di apertura necessarie per raggiungere l’apertura obiettivo che le riassume tutte, quella verso i mercati esteri e l’internazionalizzazione.
Questa, in sintesi, la ricetta per l’agricoltura e l’intera filiera agroalimentare delineata dal ministro delle politiche agricole Maurizio Martina ieri a Follonica durante il convegno “Circolo virtuoso. Opportunità e sviluppo possibile nel sud della Toscana”, organizzato dall'Irpet e dalla Regione con il patrocinio del Comune di Follonica. Un messaggio lanciato dal ministro dopo aver ricordato che dall’inizio della crisi nel 2008 ad oggi, un periodo durante il quale la produzione industriale italiana «si è ridotta del 25%», tutto è cambiato e ormai «ci troviamo in un nuovo scenario economico», che implica risposte innovative, a cominciare da una riconfigurazione delle «relazioni fra chi produce e chi trasforma», nel senso che il «settore primario deve essere tutt’uno con la trasformazione». Tutto ciò per far sì che l’agroalimentare made in Italy possa appunto aggredire meglio i mercati esteri. Processo in effetti già avviato quest’anno, grazie anche al trampolino di lancio dell’Expo di Milano con i suoi 50 mila incontri b2b, come confermato dai dati Istat annunciati ieri dal Mipaaf: nei primi 11 mesi del 2015 l’export agroalimentare italiano è cresciuto di oltre il 6% sul 2014 raggiungendo la cifra di 33,7 miliardi di euro.
La ricetta del ministro Martina pare offrire diverse opportunità di sviluppo all’economia del sud e della costa meridionale della Toscana (comprendente Piombino, Follonica, Grosseto, M. Argentario, Orbetello, Chiusi, Montalcino, Montepulciano, Piancastagnaio, Castel del Piano, Manciano, Pitigliano), su cui si concentrata l’analisi economica di Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’Irpet. Se infatti la Toscana nel complesso è stata il sistema economico regionale che ha risentito meno della crisi dal 2008 al 2014 – con l’eccezione del Trentino Alto Adige che ha ottenuto risultati ancora migliori – la ragione è da ricercarsi nell’ottimo andamento delle esportazioni (con un incremento superiore al 25%), imputabile in larga parte a una fascia di circa 3.500 imprese toscane più dinamiche e competitive. Ma tali potenzialità sul fronte dell’export non sono ancora pienamente sfruttate dalla Toscana meridionale e costiera, che infatti nel periodo 2008-2014 ha registrato una riduzione del Pil del 12%, contro la media regionale di -5,8%. La Toscana del sud può contare solo sul 3,5% (pari a 3,1% addetti e 2,5% di fatturato) di tale fascia dinamica di imprese, e le sue esportazioni estere pro capite sono un terzo di quelle della Toscana del nord, con un saldo commerciale pro capite negativo al netto del turismo.
Pertanto, visto che la Toscana meridionale ha una forte vocazione agricola, con un peso di tale settore del 13,9% in termini di unità di lavoro, contro il 4,2% del nord toscano, le aperture proposte dal ministro Martina verso un’agricoltura più integrata con la trasformazione alimentare, in vista di un incremento dell’export agroalimentare, sembrano davvero promettenti. Soprattutto se, come osservato durante una delle tavole rotonde del convegno da Federico Vecchioni, amministratore delegato di Bonifiche Ferraresi, unica azienda agroalimentare italiana quotata in borsa, il settore, consapevole che «l’agricoltura delle commodities è finita», non solo punterà «al prodotto sullo scaffale in una logica di integrazione con l’industria e il commercio agroalimentari», ma si aprirà anche al «mondo finanziario». E se, come sottolineato da Casini Benvenuti e da altri relatori del convegno, si realizzeranno quelle infrastrutture capaci di collegare quest’area geografica al resto d’Italia; anche se, per far crescere l’occupazione nella misura auspicata, da un minimo di 4 mila a un incremento ottimale di 18 mila posti di lavoro, non può bastare il settore agroalimentare.
Come ha detto il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi concludendo il convegno, «dobbiamo riuscire a tenere insieme i tre poli dello sviluppo. Serve un'alleanza tra industria, turismo e agricoltura per dare un futuro alla Toscana del sud». Per raggiungere questo obiettivo il presidente ritiene necessario un progetto condiviso da istituzioni e forze sociali dell'area «che definisca quali sono le priorità su cui puntare» su cui «far convergere i fondi europei di cui la Toscana può disporre, ma rispetto ai quali si possono chiedere anche ulteriori finanziamenti comunitari». Enrico Rossi considera indispensabili infrastrutture quali la bretella di Piombino, la Siena-Grosseto, una dotazione ferroviaria adeguata e l'autostrada tirrenica. Rispetto a tali opere ha affermato di voler aprire una “vertenzialità” con il Governo, perché se ha apprezzato l'impegno del sottosegretario Lotti e del ministro Del Rio, tuttavia «adesso vogliamo arrivare a concretizzare gli impegni che sono stati presi».
Tra le proposte emerse dal convegno per quanto riguarda il settore primario, Rossi si è detto convinto che trasformare qui i prodotti agricoli di questa zona, creando una sorta di polo della trasformazione agroalimentare nell’area di Grosseto, utilizzando poi il porto di Piombino (e in futuro le nuove infrastrutture) per la loro commercializzazione, sia un’opportunità da non perdere. Per questo ha chiesto alle istituzioni locali, alle associazioni di categoria e agli imprenditori dei settori interessati di farsi avanti e pronunciarsi in proposito.
Redazione Floraviva