Dall’Accademia dei Georgofili idee per migliorare l’informazione sull’agricoltura
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Tra gli spunti dell’incontro di ieri all’Accademia sul tema “L’agricoltura scomunicata”, una web tv e un master di comunicazione su temi agricoli dei Georgofili (idee di Massimo Lucchesi), più formazione professionale dei giornalisti (Stefano Tesi), una comunicazione capace di generare conoscenza (Luca Toschi), sfidare la mentalità corrente infarcita di parole vuote e luoghi comuni come l’espressione “naturale” (Pier Francesco De Robertis).
Una web tv visitabile 24 ore su 24 che sia un’estensione della piattaforma informativa già ben sviluppata sul web e sui social media dall’Accademia dei Georgofili. E dei master di comunicazione e divulgazione dell’agricoltura presso i Georgofili.
Sono le due proposte lanciate da Massimo Lucchesi, già presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana nonché vice caporedattore del Tgr della Toscana di Rai 3 e georgofilo, nel suo intervento verso la fine dell’incontro sul tema “L’agricoltura scomunicata. Informazione, comunicazione e media in agricoltura” che è stato organizzato ieri a Firenze dall’Accademia dei Georgofili in collaborazione con il Communication Strategies Lab (Csl) dell’Università di Firenze e con l’Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana (Aset).
Un appuntamento a cui sono intervenuti sia giornalisti della stampa specializzata su temi agricoli che esponenti della stampa generalista, fra cui il direttore della Nazione Pier Francesco De Robertis, per dibattere sullo stato dell’arte dell’informazione e della comunicazione riguardanti il mondo dell’agricoltura. Nella convinzione che entrambe siano essenziali, sia per dare informazioni utili agli addetti ai lavori sia per informare la cittadinanza sulle questioni più importanti del settore primario e sensibilizzarla al valore dell’agricoltura come bene per la collettività. Assunto condiviso dall’Unione europea che, con il Regolamento n. 1305/2013 del Parlamento europeo, chiede alle regioni italiane di dotarsi di piani di comunicazione per i propri Programmi di sviluppo rurale (Psr) 2014-2020, finalizzati al trasferimento delle conoscenze e innovazioni, alla messa in rete delle informazioni e alla promozione dell’accessibilità e qualità delle tecnologie comunicative nelle zone rurali.
Dopo l’apertura dei lavori del presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi, il giornalista Stefano Tesi, presidente di Aset, nella sua relazione “Informazione agricola tra cronaca, tecnica e politica”, ha detto che il titolo dell’incontro, ripreso da quello della relazione del prof. Toschi, «è stimolante e ha vari significati: il primo, dal punto di vista dei giornalisti, è quello di cattiva comunicazione e forse su questo c’è una responsabilità proprio dei giornalisti». Il fatto è, secondo Tesi, che «l’interesse per l’informazione agricola o agroalimentare è altissimo, per cui capita sempre più spesso che si debbano occupare di agricoltura giornalisti che non sono specializzati». Tesi ha distinto tre forme di giornalismo dedicato all’agricoltura e per ciascuna ha individuato alcuni problemi. I cronisti della stampa generalista si confrontano con un «analfabetismo di ritorno» sull’agricoltura dei cittadini e ne sono condizionati, ha sostenuto Tesi, ma spesso sono loro stessi a non avere la preparazione necessaria. Poi ci sono «comunicatori o intermediari di informazioni fra stampa e fonti» come gli addetti stampa, che «hanno un lavoro ingrato» perché hanno dei doveri deontologici ma spesso finiscono per piegarsi alle esigenze dei datori di lavoro rischiando di sfociare dalle notizie al marketing. Infine c’è la categoria dei «giornalisti della stampa tecnica, che hanno come interlocutori gli agricoltori»: di solito hanno competenza tecnica approfondita e più che cronisti sono dei «critici o recensori o divulgatori agronomici», e non sempre riescono a dialogare con il resto del mondo giornalistico. Per Tesi, per evitare l’informazione eterodiretta e scandalistica, ci vuole più formazione e professionalità dei giornalisti che si occupano di agricoltura.
Il prof. Luca Toschi, che ha scritto di recente insieme a Eugenio Pandolfini, Marco Sbardella e Gianluca Simonetta, un libro che sta per uscire presso Apogeo con il titolo ‘La comunicazione sostenibile per lo sviluppo rurale. Socialità, innovazione, paesaggio’ e la prefazione del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, ha esordito sottolineando che l’espressione “L’agricoltura scomunicata” «non è un gioco di parole» e che nel mondo agricolo «tutti si lamentano della mancanza di comunicazione». Per Toschi «tutti siamo agricoltori», nel senso che apparteniamo al sistema dell’agricoltura, e «la comunicazione può avere un ruolo sia per la costruzione di un immaginario collettivo di qualità sia di modalità organizzative a sostegno delle attività produttive e dell’uso dei prodotti stessi». Toschi ha poi annunciato che con il suo team del Communication Strategies Lab sta preparando un libro sul caso Xylella, centrale per capire certi cortocircuiti nella comunicazione e nel rapporto fra scienza e senso comune, e ha ricordato l’esperienza di ascolto svolta per conto della Regione sul Psr 2014-2020. «La gente vuole sapere da chi è competente che cosa deve fare, è un diritto – ha concluso -. Siamo sicuri di avere le risposte? Che senza conoscere il contesto delle domande le risposte che diamo siano quelle giuste? Ci vuole una comunicazione che genera conoscenza».
E’ stata poi la volta degli interventi di esponenti del giornalismo specializzato in agricoltura. Letizia Martirano, direttore dell’agenzia stampa Agrapress, ha sostenuto che «non viviamo in un momento fortunato per l’informazione, nel senso che circolano molti dati e suggestioni che non sono effettive notizie (non hanno la caratteristica della responsabilità della fonte) e ci informano più di desideri». Ma il problema è che «di fronte al susseguirsi di sciocchezze, la gente preferisce non sapere» e «si diffonde la depressione». Riguardo alla stampa generalista, pensa che si sia passati dalla «marginalità» dell’agricoltura all’opposto di adesso, con la «moda dell’agricoltura, molto grazie all’Expo»; ma «non c’è molta voglia di approfondire, per cui le notizie sono diventate letteratura e nemmeno di prim’ordine». Cristiano Spadoni, reporter di agricoltura e Internet della testata online AgroNotizie, ha sottolineato l’importanza dei nuovi mezzi attraverso cui sono veicolate le notizie, fra cui i social media. Questi mezzi, ha spiegato Spadoni, cambiano le modalità di fruizione delle notizie: «siamo noi che sempre più spesso andiamo a cercare le informazioni che ci servono invece di riceverle tramite sistemi push». Spadoni ha messo in evidenza l’importanza del «farmer journalism» (giornalismo dei contadini), che è una forma di citizen journalism significativa e «forse più basata sulle esperienze che le notizie», e del «data journalism» che permette di estrarre da enormi quantità di dati elementi di conoscenza da comunicare. Ma il sistema di verifica delle notizie, ha ammesso Spadoni, anche nel giornalismo digitale è più o meno lo stesso del giornalismo tradizionale, perché «non abbiamo i robot journalists» e si fa piuttosto uso del telefono.
Per Massimo Agostini, caposervizio di Agrisole/IlSole24ore - che adesso lavora anche ai lanci sul settore agricolo dell’agenzia Radiocor -, anche se oggi abbiamo tanti strumenti a disposizione e una enorme mole di mezzi di comunicazione, restano fondamentali il «fiuto per la notizia» e la capacità di soppesarla e verificarla prima di mediarla. Mentre Lorenzo Benocci, coordinatore di Dimensione Agricoltura, mensile di Cia Toscana, dopo aver osservato di far parte di tutte e tre le categorie di giornalisti identificate da Stefano Tesi, ha affermato che nella stampa generalista, quando si parla di agricoltura, «abbiamo a che fare con notizie negative e catastrofistiche e si sta esagerando» in tal senso. Benocci ha rimarcato il ruolo dell’Accademia dei Georgofili nel dare più spazio ai risultati della ricerca nell’informazione agricola e ha ricordato l’accordo fra Georgofili e Dimensione Agricola che prevede un approfondimento al mese scritto da membri dell’Accademia. Lorenzo Andreotti, redattore de L’Informatore Agrario nato come «tecnico di campo» e solo in seguito diventato giornalista, ha evidenziato i pericoli dei social network, capaci di far credere alle bufale sull’agricoltura a volte persino lettori esperti come gli agricoltori. Per i giornalisti specializzati in agricoltura, ha affermato Andreotti, il fine principale è «aiutare gli agricoltori a fare le scelte giuste» e «infatti quando sbagliamo ci mettono in croce». Mentre Gaetano Menna, coordinatore di Mondo Agricolo, ha teorizzato che «c’è un’altra categoria di giornalisti: quelli delle categorie professionali, come me che faccio parte di Confagricoltura. Noi abbiamo anche il compito di essere fonte di notizie, con il supporto degli uffici tecnici e dei centri studi». A suo avviso stiamo assistendo a «un passaggio dalle news al new, dalle notizie al nuovo», inoltre «l’agricoltura è spesso trattata come poesia», anche se la sua testata non cavalca tale tendenza. Claudia Fedi de Il Punto Coldiretti ha illustrato come è organizzato il sistema della comunicazione Coldiretti, mettendo in evidenza fra l’altro l’importanza delle notizie che arrivano in sede nazionale dagli addetti stampa distribuiti sul territorio. La newsletter viene inviata a vari tipi di pubblico, non solo agli imprenditori agricoli, e i testi sono quindi scritti in un linguaggio non troppo tecnico, ma chiaro e comprensibile a tutti. Infine, Alessandro Maresca, redattore di Terra e Vita e membro di Arga, autodefinendosi «giornalista del terzo tipo, un po’ alieno», ha elencato quattro punti importanti della sua attività: mettere in contatto fra di loro gli agricoltori, trasferire le innovazioni affinché l’agricoltura sia competitiva, segnalare come si accede ai contributi pubblici, aiutare l’agricoltura a stare al passo coi tempi, tenendo conto di mutamenti come ad esempio il cambiamento climatico che comportano aggiornamenti dell’attività.
Il giornalista Maurizio Naldini, georgofilo, ha sottolineato l’importanza della comunicazione interna fra gli 800 georgofili, questione messa in agenda durante la presidenza del prof. Franco Scaramuzzi, e ha detto che l’Accademia dei Georgofili, con le sue piattaforme informative e l’archivio digitalizzato, è un «capitale sociale» a disposizione di tutti. Naldini ha anche polemizzato con quel giornalismo che confonde la «ruralità» con la «agricoltura»: la prima «non affronta i veri problemi dell’agricoltura» e si occupa di fenomeni di colore e moda («sagre, orti fai-da-te ecc.») e rappresenta «la città che sta colonizzando la campagna». L’agricoltura invece si occupa di temi complessi come, ad esempio, gli ogm e la necessità di sfamare una popolazione mondiale in continua crescita. Mentre Lorenzo Frassoldati, giornalista specializzato e georgofilo, ha detto che nei giornali «l’agricoltura dovrebbe passare dalle pagine del lifestyle a quelle di economia» e che «bisogna alfabetizzare i giornalisti sui fondamentali»: ricordando, per esempio, che «l’agricoltura non è l’agroalimentare, perché l’agricoltura è produzione e vale il 2% del Pil» italiano, mentre è l’agroalimentare (cioè la filiera de trasformazioni alimentari: i vari Barilla, i produttori di prosciutto, ecc.) a valere più del 10% del Pil; oppure che sono pochi i settori agricoli autosufficienti dell’Italia: il vino, l’ortofrutta e le carni bianche.
Dopo la relazione di Massimo Lucchesi con le proposte sopra richiamate, il direttore della Nazione, Pier Francesco De Robertis, ha iniziato le sue considerazioni conclusive con una citazione di Montanelli: «il vero toscano è di campagna», mentre il toscano di città è un imbastardimento. A mettere in chiaro quanto sia importante l’informazione sulla campagna e sull’agricoltura nella nostra regione. Però, ha affermato De Robertis, «ormai la narrazione dell’agricoltura e del food è infarcita di luoghi comuni e stereotipi». Come, ad esempio, l’uso che viene fatto dell’espressione “naturale”. «E’ forse colpa dei giornalisti – ha affermato De Robertis - non avere il coraggio e non fare lo sforzo di sfidare una mentalità comune alimentata da esigenze commerciali o dal politically correct». Anche perché, ha aggiunto, quando affrontiamo tematiche come i patentini agricoli o la mosca olearia, la risposta del pubblico è in realtà molto positiva.
«Una volta si sarebbe detto – ha concluso Giampiero Maracchi – che ci vuole una cultura di tutti. Credo che il giornalismo debba avere il coraggio di ricreare questa cultura», in modo che i cittadini siano consapevoli delle scelte e degli acquisti che fanno».
Lorenzo Sandiford