Dalla Coppa Italia di Federiori a FloraFirenze una foto dello stato dell’arte floreale in Italia

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Uno spaccato del floral design italiano attraverso le parole di alcuni dei maggiori protagonisti della XI edizione della gara nazionale fra i fioristi di Federfiori. Il vincitore Emiliano Amadei (Lombardia) e il terzo, Federico Savoia (Veneto), illustrano le loro creazioni. Sentiti anche i toscani Iaconelli (Pisa) e Bertini (Firenze). Per il commissario della giuria, Fabio Vecchiato, ottimo il livello dei partecipanti, ma per vincere all’estero ci vorrà la massima precisione nel rispetto degli standard tecnici. Sprocatti dichiara che il settore dei fioristi si merita uno specifico riconoscimento professionale da parte dello Stato.

«Questa era la mia terza Coppa Italia. Quattro anni fa ero arrivato secondo. Finalmente ce l’ho fatta». Era ovviamente entusiasta domenica sera, ultimo giorno dell’XI edizione della competizione nazionale di Federfiori ospitata da FloraFirenze, il vincitore Emiliano Amadei, rappresentante della Lombardia, assistito da Emanuele Ponti. Ma anche piuttosto stanco, perché ha dovuto, per così dire, vincere due volte, a causa di un errore di abbinamento in due delle cinque prove fra le schede di valutazione dei giurati e le opere dei fioristi che ha costretto la giuria a rifare la classifica e la relativa premiazione (vedi nostra breve “FloraFirenze: l’XI Coppa Italia Federfiori ad Amadei”). Ma la vittoria di Amadei, titolare dell’omonima fioreria di Azzano San Paolo in quel di Bergamo, fondata dal padre Romeo nel 1958, è stata netta e quindi mai davvero messa in discussione, anche se il metodo di votazione estremamente «frammentato», come ha spiegato il commissario della giuria Fabio Vecchiato, non consente a nessuno di saperlo con certezza prima della conta finale. 

Per la prova della decorazione di un tavolo ispirata al matrimonio nella Firenze medicea Amadei ha creato una struttura di ferro ricoperta da materiale vegetale: «delle foglie sfibrate, con riserva d’acqua in semplici vasi di vetro formando una sorta di cascata» a ricordare i giardini delle ville del tempo. I fiori usati sono bianchi: peonie, rose da giardino, ranuncoli, tulipani, gelsomini, e poi edere. «Tutti fiori contestualizzati storicamente» precisa Amadei. La prova dedicata al tema del matrimonio vintage l’ha affrontata creando un arco colorato di 2 metri con cascate vegetali giocato sui toni dell’arancio e del fucsia, e inserendoci dei bottoni giganti e bottiglie di Coca-Cola. La prova della composizione di piante ispirata al riciclo è consistita in una rivisitazione della bottiglia di vetro: «l’abbiamo capovolta tagliandogli le estremità che sono diventate una sorta di contenitore». In ciascuna di queste bottiglie tagliate al contrario e legate tra loro come originali fioriere Amadei e il suo assistente hanno messo le piante, «una ricerca sulle orchidee con una serie di passaggi di colore». Il bouquet da sposa ispirato agli anni Venti è stato l’occasione per costruire «una struttura di ferro ricoperta con del lamé, con dei fili di seta, il tutto molto trasparente e luminoso, richiamando anche con una serie di frange, perline ecc. l’epoca del Charleston. Pure in questo caso si è utilizzata una serie di orchidee, una ricerca con inserimento di rose […] rose molto grandi, e una serie di collanine con delle perle, con all’interno anche l’astrantia, della nigella, della bouvardia, tutta una serie di piante a piccolo fiore».

Ecco invece come ha affrontato le stesse prove il terzo arrivato, Federico Savoia, uno dei fioristi del Veneto, titolare della fioreria Floridea a Santo Stefano di Verona, insieme all’assistente Romina Rinaldi. «Il tavolo, che era ispirato all’epoca dei Medici, – ci illustra Savoia - era una sorta di macchinario che si usava a quei tempi per la filatura della lana e l’abbiamo riproposto con tutto un assortimento di fiori: gloriosa, tulipani, ranuncoli, fritillaria; vari fiori nei colori arancio, rosso e fucsia». Nella prova del bouquet da sposa anni Venti, aggiunge Federico Savoia «abbiamo usato la tifa, che è un elemento naturale che ricorda un po’ la piuma, con del plexiglas nero, fiori bianchi, quindi black and white, ispirato a New York». Mentre in quella del matrimonio vintage hanno ricreato un abito da sposa ispirato a Grace Kelly in colori pastello, con rose e garofani. Infine, per la composizione di piante pensando al tema riciclo, Savoia ha usato solo orchidee: «una sedia che stava in piedi su un angolo, su una punta di una delle quattro gambe, sopra un libro e un barattolo, una sorta di instabilità instabile».

Abbiamo sentito anche i due fioristi toscani, Sara Iaconelli, Wedding Florist a Quattro Strade di Lari in provincia di Pisa (assistita da Rossana Fagiolini), e Simone Bertini, fiorista del rione di San Lorenzo nel centro storico di Firenze (assistente Massimo Bennati). Che sono stati protagonisti di una curiosa staffetta per il terzo posto nella prova bouquet da sposa anni Venti: prima era stata scelta Sara Iaconelli, ma poi corretto l’errore di abbinamento tra opere e schede, quel piazzamento è toccato a Simone Bertini. Di entrambi ricordiamo come hanno interpretato questa prova. Sara Iaconelli, come ci ha detto lei stessa, ha «realizzato un boa ispirandomi al Grande Gatsby sui colori del nero, oro, bianco e argento. Con delle calle, delle orchidee Vanda, delle phalaenopsis e poi dettagli di perle e nastri neri».

Mentre Simone Bertini ha preso spunto dal film Chicago e dal Charleston realizzando una calata di pansé (viole del pensiero, ndr), di lustrini, perle e perline e rappresentando con la parte floreale una borsetta di velluto da portare ai matrimoni.
Ebbene qual è stato il giudizio sul livello della competizione del commissario della giuria Fabio Vecchiato? «Altissimo» ha risposto, aggiungendo che, come sempre con il sistema di votazione standard europeo, «ha vinto chi ha sbagliato di meno». Vecchiato, dopo aver ricordato che i quattro parametri fondamentali di giudizio sono «la forma, il colore, il carattere e l’idea», ha risposto così alla questione della mancanza, negli ultimi anni, di risultati degni di nota dei fioristi italiani alle competizioni internazionali: «questo è un grande problema che io ho riscontrato e che mi sono appuntato, perché sarà uno dei prossimi argomenti in uno dei nostri meeting all’interno della scuola di Federfiori. Perché sui nostri libri di testo è scritto in maniera univoca che il fiore va tagliato in un certo modo, che la quantità d’acqua dei fiori va rispettata, che la lunghezza dei gambi, ecc. Però probabilmente siamo italiani e una volta che le sappiamo queste cose magari ne teniamo conto forse un po’ meno. E invece, a livello europeo, sono di una fiscalità pazzesca: se un fiore viene tagliato con una forbice perde una montagna di punti a livello tecnico perché la forbice chiude i pori di assorbimento, se il gambo non va a toccare la parte finale della fialetta vuol dire che è stato tagliato troppo corto. Cioè ci sono tutti questi parametri, che incidono. A livello estetico siamo in Italia molto forti, ma poi a livello tecnico non è che non siamo forti, ma siamo un po’ dei superficiali e dobbiamo tener conto di più dei fattori di giudizio a livello europeo. Questa è la mia personale opinione. Ma, siccome ho fatto da partecipante alla coppa del mondo di Tokyo, sono stato due volte alla Coppa Europa, sono sempre in giro per l’Europa, i metodi di giudizio li conosco abbastanza bene».
Chiudendo la manifestazione il presidente di Federfiori Carlo Sprocatti ha avuto parole di elogio per il fair play dimostrato dai maestri fioristi partecipanti alla Coppa Italia nel momento in cui è venuto fuori il problema degli abbinamenti e si è dovuto rifare la premiazione, con alcuni cambiamenti di posizione significativi. «La nostra competizione è la più importante del settore a livello nazionale – ci ha detto Sprocatti, ricordando che il vincitore parteciperà alla Coppa Europa del prossimo anno a Genova – e questa edizione ha dimostrato che i fioristi italiani si stanno evolvendo in modo particolare sotto l’aspetto professionale e stanno dando una grande prova di maturità, manifestando con ciò anche l’aspettativa di un riconoscimento da parte dello Stato».

Lorenzo Sandiford