Dal settore agricolo toscano richiesta unanime a Hogan: la Pac va semplificata!
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Nella giornata di apertura della Conferenza regionale dell’agricoltura a Lucca l’assessore Remaschi ha anche chiesto una maggiore efficienza dell’Agea. Le aspettative della Regione Toscana per la Pac post 2020: non adottare il criterio unico delle superfici agricole e più innovazione da parte degli agricoltori. Due dati in evidenza: i 2/3 dell’export agroalimentare sono diretti negli Usa (dove Trump potrebbe imporre più dazi); la Regione ha già allocato 2/3 del Psr 2014-2020.
Uno studio della Commissione europea ha analizzato le cause della complicazione della Politica agricola comune (Pac). Il punto importante è che in esso, prima di tutto, «si ammette che nella Pac 2014-2020 non si è raggiunta la semplificazione» agognata. Nel 1° pilastro della Pac la colpa sarebbe per metà della Commissione europea e per metà degli Stati membri, nel 2° pilastro invece l’80% delle responsabilità viene attribuito agli Stati membri. «A mio avviso questo studio è troppo generoso con la Commissione europea».
Così il direttore di Artea, Roberto Pagni, nel suo intervento alla sessione di ieri pomeriggio della terza “Conferenza regionale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale”, in corso a Lucca presso il Real Collegio dal 5 al 6 aprile, si è espresso su quello che, a parere concorde di tutti gli esponenti del settore agricolo toscano intervenuti alla Conferenza, è uno degli elementi più negativi della Pac 2014-2020, problema che va assolutamente risolto nella Pac post 2020. Come aveva detto l’assessore all’agricoltura della Toscana Marco Remaschi al termine della relazione introduttiva, «la responsabilità della eccessiva burocrazia è sia della Unione europea (Ue) che degli Stati membri, perché questi ultimi potevano semplificare. Fatto sta che è indispensabile un cambio di passo» e «fra le grandi questioni dell’agricoltura italiana c’è la necessità di rimettere a posto Agea (l’ente pagatore nazionale, ndr) e di rendere più efficiente il sistema di pagamento agli agricoltori».
Ma, al di là di questa critica unanime alla burocrazia della Pac con relativa richiesta di semplificazione all’Ue e per la sua parte al Ministero delle politiche agricole italiano, l’incontro di apertura della Conferenza dell’agricoltura è stato l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte dell’agricoltura toscana nel contesto dell’agricoltura europea - su cui incombono i rischi di una Pac ridimensionata a causa dei 9 miliardi in meno all’anno nel bilancio europeo per via della Brexit e del protezionismo di Trump (che potrebbe avere un impatto molto negativo sulla Toscana, visto che 2/3 delle esportazioni agroalimentari regionali sono dirette negli Stati Uniti) – e per raccogliere qualche idea e suggerimento da consegnare al Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan, che, come ha spiegato Remaschi, ha avviato lo scorso febbraio la fase di consultazione pubblica in vista della Pac post 2020. Questa fase durerà fino al 2 maggio e a luglio il Commissario Hogan presenterà a Bruxelles i risultati di tale fase. La Toscana, ha affermato Remaschi, ha due obiettivi principali: a) fare in modo che la sau (superficie agricola utilizzata) non sia il criterio guida nell’assegnazione dei finanziamenti (il che significherebbe una forte riduzione dell’attuale dote finanziaria destinata all’agricoltura italiana, se la somma del bilancio comunitario per agricoltura e sviluppo rurale diminuirà); b) stimolare gli agricoltori all’innovazione nel rispetto della sostenibilità ambientale.
Alla sessione di ieri della Conferenza dell’agricoltura hanno partecipato anche due membri della Commissione europea, che hanno dato spunti interessanti ai presidenti regionali di tutti i principali soggetti di rappresentanza della filiera agricola italiana. Per primo Aldo Longo (Direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale), nella sua relazione sul ruolo dell’innovazione e degli strumenti finanziari, ha tra l’altro ricordato le opportunità per il settore primario che la Commissione europea si attende dall’estensione dell’uso delle tecnologie digitali in agricoltura: «creerà le condizioni per nuovi servizi e prodotti». «L’agricoltura europea – ha continuato Longo – è ancora arretrata in questo senso» per tre motivi: scarsa propensione al rischio degli agricoltori (temono che tali investimenti non producano più reddito), timore per il cambiamento del modello d’impresa che tali tecnologie implicano e riluttanza a condividere i dati con gli esperti di tecnologie. Aldo Longo ha infine ricordato la piattaforma multiregionale per l’accesso al credito che sarà firmata a Verona in coincidenza con Vinitaly. Uno strumento, ha spiegato, per offrire garanzie pubbliche che agevolino la concessione di prestiti. Il 50% del rischio sarà assunto dalla parte pubblica, ha detto, questo grazie alla partecipazione di organismi quali la Banca europea degli investimenti (Bei), il Fondo europeo per gli investimenti (Fei), Cassa depositi e prestiti (Cdp), Ismea e 8 regioni italiane fra cui la Toscana. Poi è intervenuto Bruno Buffaria (anche lui della Dg Agricoltura della Ce) che ha spiegato l’importanza economica delle filiere agroalimentari e come la Commissione europea intende riequilibrarli. «Il contesto dell’economia globale in cui si inserisce l’agricoltura europea – ha detto – comporta l’esposizione a rischi economici altissimi: instabilità dei mercati e volatilità dei prezzi. E poi c’è il rischio politico, ben esemplificato dall’embargo russo». Le filiere agroalimentari, ha spiegato, hanno dato una risposta a tale difficile situazione, perché «sono in grado di produrre valore aggiunto» rispondendo a una domanda sempre più segmentata e variegata. Prima di iniziare il percorso verso la nuova Pac post 2020 il Commissario Hogan, un anno fa, ha posto la seguente domanda-guida a una task force di esperti: che cosa dobbiamo fare per rafforzare ulteriormente l’efficienza economica delle filiere e il potere di mercato dei produttori agricoli? Gli esperti a novembre del 2016 gli hanno consegnato un rapporto con 7 raccomandazioni, fra cui le seguenti tre (oltre alle misure per agevolare il credito come quella citata da Longo della piattaforma multiregionale): 1) trasparenza di mercato e più informazioni economiche (perché si conoscono bene i prezzi alla produzione e quelli finali al consumo, ma non altrettanto quello che succede all’interno delle filiere); 2) porre fine alle pratiche commerciali sleali impegnando gli Stati membri a indicare un ente responsabile di questa materia; 3) ridefinire il rapporto tra politica agricola comune e politiche per la concorrenza economica.
Nel suo intervento sui cambiamenti climatici e l’agricoltura, il presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi ha concluso parlando delle energie alternative in agricoltura, o meglio del contributo che l’agricoltura può dare a un uso più diffuso delle energie alternative. Se in tutti gli spazi rurali disponibili in Italia, ha sostenuto Maracchi, si adottassero in maniera ottimale le varie tipologie di energie rinnovabili (solare, eolico, biomasse) si potrebbe produrre una quantità di energia equivalente a quasi la metà dell’attuale consumo di energia elettrica in Italia. Inoltre con un uso ottimale a fini energetici dei residui agricoli (biomasse residuali) si potrebbe produrre 3 volte la quantità di energia consumata dall’agricoltura italiana. Del resto, ha ricordato Maracchi, la Danimarca con il 20% della sau coltivata a colza produce il 145% del fabbisogno energetico della propria agricoltura.
I numeri dell’Irpet sull’agricoltura toscana
Simone Bertini, dirigente dell’Irpet, ha fotografato l’andamento del comparto agricolo nei dieci anni trascorsi dal 2006, quando si svolse la seconda Conferenza regionale dell’agricoltura, e oggi. «Dopo la fase più difficile, tra il 2010 e il 2012 - ha rilevato - nell'ultimo triennio si nota un ritrovato dinamismo da diversi punti di vista: esportazioni, occupazione, valore della produzione, razionalizzazione dei costi all’interno delle imprese». Riguardo alle aziende, sono diminuite da circa 80 mila nel 2006 alle 70 mila dell’ultima rilevazione (a cui vanno aggiunte oltre 5 mila aziende agro-industriali), ma in compenso la dimensione media aziendale è aumentata da 9 a 10,5 ettari. Anche se la sau si è ridotta. Sul fronte della produzione, il confronto 2006 e oggi dice che l’agricoltura e l’agroalimentare hanno mantenuto all’incirca lo stesso livello. Ciò grazie al recupero degli ultimi 3 o 4 anni, dopo un periodo di crisi. Attualmente il valore aggiunto di agricoltura e agroalimentare toscano insieme ammonta a 3,2 miliardi di euro, di cui 2 miliardi (pari al 70%) da attribuire alla parte strettamente agricola. Tale valore è prodotto in misura sempre maggiore dalle coltivazioni legnose. Come è facile immaginare il primato spetta al vino (la produzione di vino è aumentata del 20%). Significativo anche il contributo delle produzioni zootecniche (per un valore di oltre 500 milioni di euro), con una redistribuzione tra le tipologie di allevamenti: in aumento pollame e suini in diminuzione bovini, ovini e caprini. L’andamento dell’export del settore agricolo nel decenio 2006-2016 ha visto una contrazione dell’8% nel 2013 e poi una ripresa negli anni successivi (+5% nel 2016). Meglio il settore alimentare: + 21% nell’ultimo decennio. Complessivamente l’export agroalimentare vale 1,8 miliardi di euro e corrisponde al 7% delle esportazioni toscane e al 6% di quelle agroalimentari italiane. Suddividendo la voce agroalimentare in prodotti alimentari e prodotti agricoli si vede che l’export dei primi vale 1,6 miliardi, mentre l’export dei prodotti agricoli 221 milioni. Da sottolineare infine che 2/3 delle esportazioni toscane hanno come destinazione gli Stati Uniti d’America, che importano per il 95% bevande e oli e grassi. Riguardo infine agli occupati, sono al momento 51 mila in agricoltura e il numero è in costante crescita dal 2012. All’ultimo censimento l’età mediana degli agricoltori era altissima, 62 anni, con oltre la metà con più di 60 anni e nemmeno il 10% degli agricoltori sotto i 40 anni. Tuttavia, si stima che le aziende condotte dai giovani abbiano una produttività maggiore rispetto alle altre di circa il 7%.
Finanziamenti europei in Toscana
Nell’incontro di ieri sono stati forniti anche i dati sui contributi comunitari, di cui hanno parlato il dirigente regionale Antonino Mario Melara per il 2° pilastro (Psr 2014-2020) e il direttore di Artea Roberto Pagni per il 1° pilastro (contributi diretti e ocm). In sintesi, riguardo al Programma di sviluppo rurale 2014-2020, sui 962 milioni previsti (43% dell’Ue, 39% dello Stato e 17% della Regione), la Regione Toscana è già riuscita ad allocarne 624 milioni. Sono 18 i bandi e le procedure negoziali già pubblicati nel corso di questa prima fase di attuazione del piano. Tra questi da segnalare la partecipazione al bando agricoltura biologica (2.059 domande tutte finanziate) e al pacchetto giovani (oltre 800 domande finanziate). Da segnalare anche la partecipazione alla sottomisura "Investimenti aziende agricole" (472 domande finanziate), ai progetti integrati di filiera (39 progetti finanziati), alla sottomisura relativa alle indennità compensative nelle zone montane (3326 aziende finanziate). Sono invece 10 i bandi attualmente aperti, con un totale di 42 milioni a disposizione, e 14 quelli che saranno aperti entro la fine del 2017 con un ulteriore stanziamento di 94 milioni. Tra le voci di finanziamento: la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (10 milioni) la salvaguardia della biodiversità, l'agricoltura sociale, l'acquisto di nuovi macchinari e attrezzature, il miglioramento della redditività e della competitività delle aziende agricole e anche gli interventi relativi agli strumenti finanziari. Infine, riguardo al 1° pilastro, quello degli interventi diretti di sostegno al reddito degli agricoltori e degli aiuti al mercato attraverso le cosiddette organizzazioni comuni di mercato, che hanno per fine equilibrare gli impatti sui mercati agricoli comuni esercitati da fattori esterni quali le condizioni atmosferiche o un'elevata volatilità dei prezzi, le cifre indicano che in Toscana nel 2015 e nel 2016 sono stati effettuati pagamenti diretti e aiuti alle Organizzazioni comuni di mercato per oltre 372 milioni di euro. Come spiegato da Pagni, in Toscana il numero dei beneficiari di contributi del 1° pilastro è stato di 41.182 individui, pari all’1,1% della popolazione (contro una media italiana dell’1,8%), con un contributo medio di 4.163 euro (contro una media nazionale di circa 3.500 euro). Da sottolineare che il 64% dei beneficiari riceve un contributo di meno di 1250 euro. Infine ¼ della superficie non è interessato al pagamento diretto della Pac.
Lorenzo Sandiford