Un ddl per difendere l’agricoltura dalla cementificazione
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Lo ha illustrato il ministro Catania con Carlo Petrini e Sergio Rizzo e prevede un limite al consumo di superficie agricola a fini edificatori imposto a livello nazionale. Positive le reazioni di Cia e Coldiretti, che ha presentato alcune stime sui prezzi della terra in Italia. Meno sensibile al consumo di suolo Confagricoltura, che non accetta il divieto per 10 anni di mutare la destinazione dei terreni che hanno ricevuto aiuti statali per l’agricoltura. [foto di VAghestelledellorsa da Wikipedia]
«Tra il 1971 e il 2010 la sau (superficie agricola utilizzata) si è ridotta di 5 milioni di ettari (da quasi 18 milioni di ettari a poco meno di 13), una superficie equivalente a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme». Tale riduzione ha interessato soprattutto le terre «a seminativi e i prati permanenti, ovvero i due ambiti da cui provengono i principali prodotti di base dell’alimentazione degli italiani: pane, pasta, riso, verdure, carne, latte». E il fenomeno è accaduto mentre aumentava la popolazione e quindi il bisogno alimentare.
Finora la perdita di sau non si è tradotta in una proporzionale perdita di produzione agricola. Questo grazie all’introduzione di nuove tecniche che hanno aumentato la produttività per ettaro coltivato: negli anni ’50 un ettaro a frumento produceva 1,4 tonnellate, mentre oggi quasi 4. Ultimamente però si è giunti al punto in cui all’applicazione di maggiori tecnologie disponibili non corrisponde un incremento del rendimento della terra.
Risultato? L’Italia dipende sempre più dall’estero per l’approvvigionamento e «attualmente produce circa l’80-85% delle risorse alimentari necessarie a coprire il fabbisogno dei propri abitanti. In altre parole, la produzione nazionale copre poco più dei consumi di tre italiani su quattro». E se si utilizza un indicatore negativo quale il deficit di suolo agricolo - che misura di quanto la sau di un Paese è inferiore rispetto al suolo agricolo necessario per produrre i cibi, prodotti tessili e biocarburanti necessari alla popolazione – l’Italia è al terzo posto in Europa e al quinto nel mondo con circa 49 milioni di ettari in meno di quanti ne servirebbero.
E’ quanto si legge nel rapporto “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione” presentato ieri dal ministro delle politiche agricole Mario Catania in un incontro a Roma in cui sono intervenuti anche il fondatore di Slow Food Carlo Petrini e il giornalista del Corriere della Sera Sergio Rizzo. Durante l’incontro il ministro ha presentato la bozza di un disegno di legge «in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo» che mira proprio a porre rimedio alla situazione descritta. E che ha come elemento centrale l’introduzione di limiti ben precisi a livello nazionale, e stabiliti dal ministero dell’agricoltura d’intesa con i ministeri dell’ambiente e delle infrastrutture, «al consumo di superficie agricola per fini edificatori» (art. 2); limiti che poi devono essere ripartiti a livello regionale insieme alla Conferenza delle regioni. A tale misura se ne aggiungono due altrettanto importanti: il divieto del mutamento di destinazione (agricola) per almeno 10 anni dei terreni che hanno ricevuto aiuti di stato o comunitari (art.3); incentivi a interventi edilizi di recupero dei nuclei abitati rurali (art.4).
Per capire la ratio del disegno di legge conviene tornare al rapporto presentato dal Ministro. Le ragioni della cornice deficitaria di sau sono due: l’abbandono e la cementificazione. Attualmente l’abbandono riguarda la porzione più ampia dei terreni sottratti all’agricoltura. Ma la cementificazione desta maggiori preoccupazioni, perché, oltre ad essere praticamente irreversibile e con un elevato impatto ambientale, interessa i terreni migliori sia in termini di produttività che di localizzazione: terreni pianeggianti, fertili, facilmente lavorabili e accessibili quali, ad esempio, le frange urbane, le aree costiere e quelle pianeggianti. Al contrario, l’abbandono riguarda i terreni meno fertili, spesso situati in aree montane e/o con poche infrastrutture. Si tratta, inoltre, di un fenomeno più facilmente reversibile.
Oltretutto in Italia la cementificazione è avvenuta anche a prescindere dalle dinamiche demografiche, cioè in luoghi in cui la popolazione diminuiva. Una cifra parla da sola: «la popolazione dal 1950 ad oggi è cresciuta del 28% mentre la cementificazione è cresciuta del 166%». E ciò ha fatto sì che «dagli anni ’50 del secolo scorso ad oggi è stata cementificata una superficie pari alla Calabria (1,5 milioni di ettari, ISPRA, 2010). Tra sessant’anni, al tasso di cementificazione attuale, si aggiungerà una superficie corrispondente a quella del Veneto». L’Istat, nel Rapporto annuale 2012, mostra che le superfici edificate coprono il 6,7% del territorio nazionale. Tra il 2001 e il 2011, su scala nazionale, la cementificazione è cresciuta dell’8,77%. La situazione italiana risulta problematica anche su scala europea, dove si posiziona come quarto Paese per percentuale di suolo cementificato dopo Olanda, Belgio e Lussemburgo.
La causa principale dell’espansione del cemento è la «elevata discrepanza tra la redditività dell’edilizia e quella agricola. Questo avviene su tutte le scale e interessa tutti i settori inclusi i Comuni che percepiscono gli oneri di urbanizzazione (maggiori per l’edilizia ex novo vs. ristrutturazione)». Da qui la necessità di un limite imposto a livello ministeriale.
Positive le reazioni di Cia e Coldiretti. Per il presidente di Cia Giuseppe Politi «il disegno di legge di proposto dal ministro Catania può costituire un primo cambio di rotta per costruire un sistema ambientale realmente sostenibile, che faccia dell’agricoltura un volano di riequilibrio territoriale». Mentre il presidente di Coldiretti Sergio Marini ha dichiarato: «ben vengano le iniziative come la bozza di disegno di legge illustrata dal ministro delle politiche agricole Mario Catania al quale la Coldiretti è disponibile a dare il suo contributo nell'interesse dell’agricoltura». E un primo contributo può essere considerato il comunicato diffuso ieri da Coldiretti in cui vengono esposti alcuni dati sul mercato fondiario (ricavati dall’organizzazione agricola da un’indagine dell’Inea) che vedono il bene terra tenere con un prezzo medio per ettaro di 19.400 euro. «Nonostante la crisi – si legge – la terra si conferma “bene rifugio”, con le quotazioni che fanno registrare un aumento dell’0,5 per cento rispetto all’anno precedente, anche se le attività di compravendita viaggiano a ritmi ridotti».
Unica nota stonata per il ministro la posizione un po' critica di Confagricoltura: «denunciamo da anni gli effetti di una cementificazione selvaggia del territorio, una pressione che sta ridimensionando gli spazi agricoli del nostro Paese, ma vogliamo anche ricordare, con forza, che oltre il 4% della sau (superficie agricola utilizzata) è a riposo e che, unendola alla superficie attualmente non utilizzata, si potrebbe rimettere in coltura un’estensione pari ad oltre il 9% della sau: ovvero 1,2 milioni di ettari oggi improduttivi». «E’ assolutamente apprezzabile – chiosa il presidente di Confagricoltura Mario Guidi - il tentativo di mettere al centro dell’attenzione del Paese l’agricoltura produttiva e i terreni che possono essere ad essa recuperati, seppur consideriamo meno condivisibili i limiti sulla destinazione nel tempo dei terreni agricoli».
Durante l’incontro Catania ha sostenuto che «ogni giorno 100 ettari di terreno vanno persi, negli ultimi 40 anni parliamo di una superficie di circa 5 milioni. […] Sono dati che devono farci riflettere sul fatto che il problema del consumo del suolo nel nostro Paese deve essere una priorità da affrontare e contrastare». «Dobbiamo invertire la rotta – ha detto - di un trend gravissimo che richiede un intervento in tempi rapidi. Serve una battaglia di civiltà, per rimettere l'agricoltura al centro di quel modello di sviluppo che vogliamo dare al nostro Paese. Non penso, naturalmente, a un ritorno a un paese agreste, ma immagino uno Stato che rispetti il proprio territorio e che salvaguardi le proprie potenzialità». E ha poi aggiunto che la cementificazione «è qualcosa di devastante sia per l'ambiente sia per l'impresa agricola, con effetti negativi sul volume della produzione. La sottrazione di superfici alle coltivazioni abbatte la produzione agricola, ha un effetto nefasto sul paesaggio e, di conseguenza, sul turismo». «Tutto ciò - ha concluso - avviene in un Paese come il nostro dove il livello di approvvigionamento è molto basso, dato che almeno il 20 per cento dei consumi nazionali è coperto dalle importazioni. Qual è il nostro compito? Dobbiamo aggredire le cause di questo processo, serve una nuova visione economica, un diverso modello di sviluppo. Bisogna anche contrastare l'aggressività di alcuni poteri forti, l'assenza di regole, dobbiamo modificare una certa cecità della politica, introducendo un cambiamento normativo nel meccanismo di spesa degli oneri di urbanizzazione che vanno nelle casse dei Comuni».
Lorenzo Sandiford