L'Italia è bio-diversa almeno 21 volte

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biodiversità

Italia, il Paese più biodiverso d’Europa. L’Italia è un ponte gettato nel cuore del Mediterraneo, una terra di diversità. Nonostante l’occupazione del suolo e delle coste, l’Italia è ancora il Paese con la massima biodiversità in Europa. Ogni Regione italiana ha scelto una pianta che fosse simbolo della sua storia, della sua cucina, del suo ingegno nel costruire un ambiente sostenibile, delle sue tradizioni e insieme del suo futuro.

Abruzzo - Zafferano
La produzione dello zafferano di Navelli è un rito antico: la raccolta manuale, prima dell’alba, si fa stringendo il fiore ancora chiuso tra pollice e indice di una mano e recidendolo con l’unghia. Poi vengono separati gli stimmi e messi ad asciugare sopra la brace viva di quercia rovella. Tostato ed essiccato così, lo zafferano conserva il colore rosso porpora, la fragranza e l’aroma. La selezione dei bulbi è rigida e ogni zafferaneto vive un solo anno! Per questo i bulbi abruzzesi sono i più grossi e gli stimmi i più lunghi.
Alto Adige – Suedtirol - Segale
La segale, giunta sulle Alpi nell’800 a.C. e oggi di nuovo coltivata soprattutto in Val Venosta e Val Pusteria, occupa un posto d’onore nel mondo dei cereali altoatesini: molte varietà di pane sono ottenute con farina di segale e pasta madre, il lievito naturale prodotto dai panettieri. Affinché durasse, il pane veniva fatto essiccare e così nacque lo Schüttelbrot. Pane naturale senza conservanti! Il progetto “Regiograno” ha l’obiettivo di rilanciare i cereali in Alto Adige, creando una rete tra agricoltori, mugnai e panificatori.
Basilicata - Fragola
Il Metapontino, lembo di terra che si affaccia sul Mar Jonio, culla della Magna Grecia, è detto “California d’Italia” per le condizioni del terreno e il clima eccezionalmente favorevoli. La regina delle colture è la fragola, soprattutto la varietà coltivata Candonga, dal frutto (in realtà un’infiorescenza ingrossata) succoso e aromatico, apprezzata ed esportata in tutto il mondo! Conserva integri, per più giorni, sapore e consistenza. Gli chef stellati la utilizzano sempre di più per i loro originali piatti in cucina.
Calabria - Bergamotto
Vive nel sud della Calabria almeno dal Trecento. È un agrume sempreverde di origine incerta e nome misterioso, mutuato dal turco o dall’arabo. Sulla costa da Villa San
Giovanni a Monasterace produce il suo olio essenziale, un toccasana, frutto di una miscela di 250 sostanze! L’essenza ricavata dalla sua scorza è ingrediente basilare dei profumi. Il the nero aromatizzato al bergamotto incantò gli inglesi due secoli fa. Il succo rende prelibati dolci, creme e liquori. Chi lo scoprì lo definì il frutto più prezioso di tutti.
Campania - Limone
I più pregiati sono quelli di Sorrento e della Costiera Amalfitana: profumo intenso, polpa succosa, pochi semi. Magnifica è la coltivazione tipica a terrazzamenti, lungo i versanti scoscesi della costa, con la copertura delle piante attraverso le mitiche “pagliarelle”. I giardini di limoni sono fazzoletti di terra sempreverdi, elementi di spicco del paesaggio più celebrato al mondo! Li portarono in Campania gli arabi, ma già ne troviamo di molto simili agli attuali nei dipinti e nei mosaici di Pompei ed Ercolano.
Emilia-Romagna - Melograno
Fin dal Trecento il melograno era presente in Emilia-Romagna nei giardini dei contadini e negli orti dei conventi, per uso alimentare e medicinale. Il frutto del buon augurio cresce su piante bellissime, raffigurate in affreschi rinascimentali e ceramiche faentine. Per il verde delle foglie, il rosso dei chicchi e il bianco della membrana che li avvolge, è la pianta del tricolore italiano! Varietà locali, come la Grossa di Faenza, sono oggi molto rinomate e la ricerca conferma che la melagrana contiene sostanze antitumorali.
Friuli Venezia Giulia - Barbatella di vite
La barbatella è la madre del vino: una giovanissima pianta di vite, già innestata e pronta per essere piantata. Nei decenni fra Ottocento e Novecento il flagello della fillossera devastava i vigneti europei, attaccando le radici. Ci si accorse che l’unico rimedio era innestare le varietà europee su viti americane, non attaccate dall’insetto. In Friuli nacquero i primi vivai per il reimpianto e Rauscedo ne divenne la capitale. Oggi una barbatella su quattro, nel mondo, parla friulano! Grazie a ricerca, innovazione e qualità.
Lazio - Carciofo
La ninfa Cynara rifiutò le attenzioni di Zeus e fu trasformata in pianta spinosa. Forse originario dell’Etiopia, il carciofo deriva dal cardo selvatico e fu portato in Lazio dagli etruschi. Gli egizi lo utilizzavano in cucina, in medicina e nei riti funebri. Principe della cucina romana secondo il gastronomo Apicio, Plinio il Vecchio ne esaltò le proprietà depurative, toniche e… afrodisiache! Nel Lazio sono tante le varietà coltivate, invernali ed estive, ma il più conosciuto è il carciofo romanesco del litorale laziale.
Liguria - Olivo
Alti, plurisecolari, abbarbicati ovunque: gli olivi hanno trovato in Liguria un microclima particolare. Lo spettacolo degli oliveti liguri e dei terrazzamenti con muretti a secco è unico al mondo, per bellezza e ingegnosità nello sfruttare anche i pendii più scoscesi! È un paesaggio plasmato in questo modo fin dall’epoca romana per produrre un olio pregiato dal sapore delicato. Tante le varietà coltivate da Ponente a Levante, come l’oliva taggiasca, pazientemente selezionata dai monaci benedettini del convento di Taggia.
Lombardia - Gelso
Un tempo gli argini di campi e vigne di Lombardia erano contornati da file di gelsi. La pianta fu introdotta in Italia dai bizantini e diffusa nei domini lombardi dagli Sforza nel Quattrocento: le foglie dei “mori”, altamente proteiche, nutrivano i bachi da seta. Il gelso è resistente, ornamentale e produce more benefiche: una pianta umile e utilissima! Oggi le robuste varietà di gelso portate dagli emigranti lombardi in Sudamerica fanno il viaggio di ritorno: non solo per la bachicoltura, ma anche per foraggio e biomasse.
Marche - Roverella
Fusto contorto e ampia chioma, la roverella è più piccola di altre querce caducifoglie ed è diffusa nei pendii marchigiani soleggiati, dal livello del mare fino ai 1100 metri d’altitudine. È buona come legna da ardere, ma presenta una ben più redditizia e rara proprietà: dove c’è lei ci sono anche i tartufi! Allo stato naturale stringe simbiosi con quasi tutte le specie di tartufo presenti sul territorio, ma predilige i tartufi neri, in particolare il tartufo nero pregiato, il tartufo scorzone e quello uncinato.
Molise - Leguminose
Un tempo le leguminose locali, come le lenticchie di Capracotta, i fagioli di Castel San Vincenzo e Conca Casale, le cicerchie di Baranello, i ceci di Riccia, erano parte essenziale della biodiversità agricola molisana. I loro semi contengono una quantità di proteine molto elevata, talvolta superiore a quella contenuta nella carne! Abbandonate per motivi economici, oggi vengono riscoperte e conservate, anche perché rappresentano preziose colture di rinnovo nelle rotazioni agricole, grazie al loro effetto fertilizzante.
Piemonte - Nocciolo
Pietro Ferrero un secolo fa coltivava l’idea di realizzare un companatico per il pane che gli operai si portavano in fabbrica: una crema spalmabile di cioccolato con aggiunta di
nocciole tipiche del Piemonte. La progenitrice della nutella (da “nut”, nocciola) si chiamava Pasta Giandujot ed era prodotta ad Alba: diventerà poi un enorme successo internazionale! La varietà di nocciolo coltivata in Piemonte è la Tonda Gentile Trilobata, la migliore al mondo per conservabilità, forma, gusto e aroma dopo la tostatura.
Puglia - Frumento Duro
Il grano duro nacque dalla fusione di due specie selvatiche nella Mezzaluna Fertile e trovò nel clima caldo e secco del Tavoliere un ambiente ideale. Da quello pugliese, presente già nel V secolo a.C. e oggi prodotto soprattutto nelle province di Foggia, Bari e Taranto, si ricavano semole a granuli grossi ricchi di glutine e proteine, adatte per produrre pani tipici cotti in forni a legna, come il pane di Altamura e il pane di Laterza, o le tipiche frise salentine! Ma, soprattutto, paste di grano duro per le celebri orecchiette.
Roma Capitale - Lauro
Nella mitologia greco-romana l’alloro era una pianta sacra che simboleggiava sapienza, gloria e abbondanza. Una corona trionfale di Laurus cingeva la fronte dei generali che tornavano vittoriosi a Roma e poi degli imperatori. Portarla era il massimo onore anche per un poeta, che diveniva così “laureato”! Cresce spontanea nelle regioni mediterranee. Boschetti di questa pianta aromatica sempreverde sorgevano vicino ai santuari e ai luoghi di purificazione. Troviamo l’alloro raffigurato in splendidi affreschi di età imperiale.
Sardegna - Sughero
La quercia da sughero cresce spontanea in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. Se ne ricava un tessuto vegetale impermeabile e isolante. Per avere il sughero “femmina”, il più pregiato, ci vogliono abilità, per non rovinare con i tagli la corteccia sottostante, e tanta pazienza: l’albero, per poter essere decorticato senza danni, deve avere almeno vent’anni e il prelievo successivo deve attendere almeno dieci anni! L’estrazione e la lavorazione del sughero sardo è concentrata in Gallura, in particolare a Calangianus.
Sicilia - Ficodindia
È maestra nell’accumulare acqua, come tutte le piante succulente. Nasce in Messico ma da cinque secoli il ficodindia è siciliano di adozione. Resiste dove altri soccombono. Dai semi si spreme olio per cosmesi, le sue pale spinose sono commestibili, viene usato come foraggio e per biomassa. Se ne ricavano persino pigmenti naturali per celle fotovoltaiche
di nuovissima generazione! Ma i più amati sono i suoi deliziosi frutti, che Elio Vittorini così descrive: “Frutti coronati di spine che crescevano, corallo, sulla pietra”.
Toscana - Castagno
Originario dell’Asia minore, il plurisecolare “albero del pane” era indispensabile per la vita in montagna. Regalava legno, farina, frutti e buon miele. “Pan di legno” e “vin di nuvoli”: il povero pasto a base di polenta di castagne e acqua di fonte diventava più saporito chiamandolo con nomi poetici! I castagneti da frutto un tempo ricoprivano 150.000 ettari di Toscana. Le invasioni della vespa cinese e della robinia hanno ridotto molto la produzione recente, motivo in più per difendere le varianti tipiche toscane.
Trentino - Mirtillo
Blu intenso, gustosi e carnosi: i mirtilli crescono bene in montagna anche oltre i 1000 metri, in terreni acidi. Si raccolgono tra luglio e ottobre nei boschi e nelle vallate del Trentino, che vanta una produzione di piccoli frutti di altissima qualità, per consumo diretto, marmellate e liquori. Le antocianine sono pigmenti con un’elevata attività protettiva antitumorale e i mirtilli ne sono ricchi! La specie maggiormente coltivata in Trentino è il mirtillo gigante nordamericano ed è suddivisa in varietà particolari come Brigitta.
Umbria – Lenticchia
Sugli splendidi piani carsici di Castelluccio di Norcia, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, a circa 1500 metri di altitudine, si coltiva una varietà speciale e rara di lenticchia. I suoi semi sono stati trovati in tombe neolitiche del 3000 a.C. Proteine vegetali, vitamine, fibre e sali: la piccola “Lénta” ha tutto ciò che serve per una dieta nutriente e sana! Abituata al freddo, resiste ai parassiti. I germogli si mangiano in insalata. Grazie alla buccia tenera, può essere cotta senza ammollo, per deliziose creme e zuppe.
Valle d’Aosta - Melo
Lungo la Dora Baltea, le fertili terrazze alluvionali sono un paradiso per il melo. Piove poco e il territorio valdostano, benché circondato dai massicci delle Alpi, è inondato di sole e di vento, anche in settembre e ottobre, quando maturano le mele. Un ambiente unico, che ospita più del 40% di tutte le piante italiane! Da secoli le mele, renette e non solo, sono presenti in tante ricette, nel sidro, nei riti e nelle feste.
Veneto - Vite
Nel 2013 l’Italia era detentrice del maggior numero di vitigni al mondo, con quasi 380 varietà tipiche, 25 delle quali solo in Veneto. La Dorona è un vitigno autoctono coltivato esclusivamente nella piccola isola lagunare di Mazzorbo: è un’antica e dorata uva bianca veneziana, una delle più rare che esistano! In Veneto si coltiva la vite dal VII secolo a.C. Secondo i romani, il vino retico delle colline veronesi era secondo soltanto al Falerno. Nel Cinquecento comparvero nel vicentino i vini “piccanti”, cioè frizzanti.

Redazione Floraviva