Confagricoltura: più produttività nella pa e carbon tax sull’import

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Nel primo evento per il centenario di Confagricoltura, a Roma su “Identità e futuro”, il presidente Giansanti ha affermato che l’agroalimentare è il primo settore economico italiano e ha una crescita di produttività del 2% medio annuale da tempo, ma il problema è l’economia aggregata, frenata dall’inefficienza della pubblica amministrazione. Giansanti auspica che il “patto verde” europeo per la neutralità climatica entro il 2050 non si traduca in svantaggio competitivo delle nostre aziende e chiede l'introduzione di «una “carbon tax” sulle importazioni».

Il ruolo dell’agroalimentare nell’economia nazionale e la sfida della sostenibilità ambientale nel contesto di un rilancio del paese, frenato da bassa produttività della pubblica amministrazione e inefficienza dei servizi pubblici. 
Questi i temi centrali affrontati oggi a Roma a Villa Blanc nella seconda giornata di dibattito di “Identità e futuro”, il primo appuntamento del centenario di Confagricoltura.
«L’agroalimentare è il primo settore dell’economia italiana, ma manca ancora la consapevolezza di questo primato. E delle potenzialità che possono essere realizzate», ha detto il presidente Massimiliano Giansanti. Da decenni la produttività del settore cresce in media di 2 punti percentuali l’anno. Grazie all’affermazione di una rete di imprese moderne ed efficienti, l’agroalimentare è diventato parte fondamentale dell’economia italiana in termini di creazione di reddito, occupazione, presenza sui mercati internazionali. «La nostra agricoltura è in testa in Europa per creazione di valore aggiunto. L’industria manifatturiera è seconda solo alla Germania – ha aggiunto Giansanti -. Eppure l’economia non cresce e la produttività ristagna da oltre un decennio».
«Dal 2017 la crescita dell’economia reale – agricoltura, industria e commercio – ha superato quella che si è registrata in Francia, Germania e Spagna – sottolinea Confagricoltura -. Siamo ancora indietro, invece, allargando l’analisi all’economia aggregata. Vale a dire, se prendiamo in considerazione l’apporto della pubblica amministrazione». In sostanza, se l’economia italiana è bloccata i problemi non stanno dietro i cancelli delle imprese per Confagricoltura. «Occorre guardare altrove – ha rimarcato il presidente di Confagricoltura - Verso strutture amministrative che in molti ambiti sono inefficienti, anche perché scarsamente digitalizzate. I servizi pubblici danno uno scarso apporto in termini di valore aggiunto. La burocrazia continua a frenare, in molti casi, l’iniziativa privata. Le infrastrutture, a partire dai trasporti, sono nel complesso inadeguate».
A parere di Confagricoltura c’è un diffuso consenso sul fatto che siano questi i nodi da sciogliere, per far tornare a crescere l’economia italiana: non mancano le analisi, i progetti e anche le risorse, ma la capacità di realizzazione. «Un sistema diffuso di buone imprese - orientate al cambiamento, aperte all’innovazione, responsabili sul piano sociale e della tutela delle risorse naturali - non è sufficiente ad assicurare una crescita economica stabile e duratura – ha rimarcato Giansanti - se manca un sistema di buon governo in grado di accompagnare e favorire l’impegno degli imprenditori». Confagricoltura ritiene che da troppo tempo in Italia non ci sia un dialogo strutturato tra imprese e istituzioni, per stabilire le priorità e concentrare le risorse su progetti strategici, facendo affidamento su solide competenze. In sintesi, per progettare il futuro e realizzarlo ognuno secondo le proprie responsabilità. 
E le sfide da affrontare sono molte, rileva Confagricoltura, a partire da quella della sostenibilità ambientale. A dicembre il Consiglio europeo ha fissato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Allo scopo, è stato proposto il “Patto Verde” che chiama direttamente in causa il settore agricolo. E nei giorni scorsi, la Commissione ha lanciato ufficialmente il progetto di una conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe iniziare a maggio.
Confagricoltura accetta la sfida dei cambiamenti climatici. «A certe condizioni – ha detto Giansanti - possiamo senz’altro produrre le stesse quantità, riducendo il ricorso alla chimica e con una ridotta pressione sulle risorse naturali. E in quest’ottica, è giusto ricordarlo a merito dei nostri agricoltori e allevatori, sono già stati raggiunti significativi risultati. Ma la sostenibilità ambientale impone una dimensione globale. Possiamo accettare che l’Unione europea svolga un’azione guida, per indicare la strada da seguire. Ma resta il fatto che le emissioni ad effetto serra degli Stati membri incidono per il 10% su quelle complessive su scala mondiale».
La riduzione della produzione europea, in pratica, non avrebbe grandi conseguenze sullo stato di salute del clima a livello internazionale, se altri protagonisti dell’economia mondiale continuassero a non assumere impegni precisi e concertati. E c’è da chiedersi se l’eventuale riduzione della produzione europea sarebbe conveniente sotto il profilo della sostenibilità ambientale, se il risultato fosse quello di aumentare le importazioni da Paesi terzi dove prevalgono sistemi produttivi meno rigorosi e che distano decine di migliaia di chilometri dai nostri mercati di sbocco.
In quest’ottica Confagricoltura ritiene che l’ipotesi di una “carbon tax” sulle importazioni vada presa in attenta considerazione, per evitare discriminazione a danno delle imprese europee, e per di più senza vantaggi per l’ambiente. «Noi pensiamo che la sostenibilità ambientale debba coesistere con quella sociale ed economica. E che occorra puntare su ricerca, innovazione e tecnologie avanzate. Senza pregiudizi», ha concluso il presidente Giansanti.

Redazione